domenica 28 febbraio 2010

La Trasfigurazione ci ricorda che le gioie seminate da Dio nella vita non sono punti di arrivo, ma luci che Egli ci dona nel pellegrinaggio terreno


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

LE VIOLENZE ANTI-CRISTIANE NEL MONDO: LO SPECIALE DEL BLOG

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Angelus del 28 febbraio 2010: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)



Vedi anche:

I Cristiani iracheni invocano pace e giustizia (Osservatore Romano)

Benedetto XVI: Gesù, Legge e guida dell'esistenza umana (Zenit)

Dal Papa appello per i cristiani in Iraq (Giansoldati)

Storia di Shazia. Novità per aiutare…(Antonio Socci)

Il vicario patriarcale di Baghdad, Mons. Warduni: "Grazie Santo Padre per la sua vicinanza!" (Sir)

Cile: per l'arcivescovo di Concepciòn la situazione è molto grave, ma la gente sta reagendo con coraggio e senso di solidarietà

Appelli del Papa per l'Iraq ed il Cile (Fabio Zavattaro)

Cile, il Papa: Non far mancare la solidarietà (Laurence Figà-Talamanca)

L'appello del Papa per i Cristiani in Iraq: "Il Governo li salvi" (Vecchi)

Il Papa all'Angelus: Gesù, l'unica voce da ascoltare (Sir)

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Cristiani iracheni in Piazza San Pietro: "grati al Papa e a quanti pregano per noi" (Radio Vaticana)

Il Papa all'Angelus con un cerotto sullo zigomo destro. Il Vaticano: non è niente (Ansa)

Cile, il Papa: non manchi la solidarietà internazionale (Izzo)

Troppo vento a San Pietro: vola il drappo rosso del Papa (foto)

Appello del Papa all'Angelus per i cristiani in Iraq e per i terremotati del Cile. Per la Quaresima, l'invito a meditare assiduamente il Vangelo

Appello del Papa per i Cristiani dell’Iraq e preghiera per i terremotati del Cile (AsiaNews)

Iraq, il Papa fa appello alle autorità civili: proteggere i Cristiani (Izzo)

Iraq, il Papa lancia un appello affinchè sia ridata sicurezza alla popolazione e alle minoranze religiose più vulnerabili (Tgcom)

Iraq, il Papa: Basta violenze contro i Cristiani, serve sicurezza (Apcom)

Il Papa: tutti devono meditare il Vangelo e seguire Gesù (Izzo)

Cile, il Papa: Prego per le vittime, serve la solidarietà di tanti (Apcom)

I vescovi cileni: "è una catastrofe!" (Radio Vaticana)

Cristiani d’Irak, un disegno politico dietro l’ondata di omicidi (Roberto Fabbri)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 28.02.2010

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Si sono conclusi ieri, qui nel Palazzo Apostolico, gli Esercizi Spirituali che, come è consuetudine, si tengono agli inizi della Quaresima in Vaticano. Con i miei collaboratori della Curia Romana abbiamo trascorso giorni di raccoglimento e di intensa preghiera, riflettendo sulla vocazione sacerdotale, in sintonia con l’Anno che la Chiesa sta celebrando. Ringrazio quanti ci sono stati vicini spiritualmente.
In questa seconda domenica di Quaresima la liturgia è dominata dall’episodio della Trasfigurazione, che nel Vangelo di san Luca segue immediatamente l’invito del Maestro: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua! (Lc 9,23). Questo evento straordinario, è un incoraggiamento nella sequela di Gesù.

Luca non parla di Trasfigurazione, ma descrive quanto è avvenuto attraverso due elementi: il volto di Gesù che cambia e la sua veste che diventa candida e sfolgorante, alla presenza di Mosè ed Elia, simbolo della Legge e dei Profeti. I tre discepoli che assistono alla scena sono oppressi dal sonno: è l’atteggiamento di chi, pur essendo spettatore dei prodigi divini, non comprende. Solo la lotta contro il torpore che li assale permette a Pietro, Giacomo e Giovanni di "vedere" la gloria di Gesù.

Allora il ritmo si fa incalzante: mentre Mosé ed Elia si separano dal Maestro, Pietro parla e, mentre sta parlando, una nube copre lui e gli altri discepoli con la sua ombra; è una nube, che, mentre copre, rivela la gloria di Dio, come avvenne per il popolo pellegrinante nel deserto. Gli occhi non possono più vedere, ma gli orecchi possono udire la voce che esce dalla nube: "Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!" (v. 35).
I discepoli non sono più di fronte ad un volto trasfigurato, né ad una veste candida, né ad una nube che rivela la presenza divina. Davanti ai loro occhi, c’è "Gesù solo" (v. 36). Gesù è solo davanti al Padre suo, mentre prega, ma, allo stesso tempo, "Gesù solo" è tutto ciò che è dato ai discepoli e alla Chiesa di ogni tempo: è ciò che deve bastare nel cammino. È lui l’unica voce da ascoltare, l’unico da seguire, lui che salendo verso Gerusalemme donerà la vita e un giorno "trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso" (Fil 3,21).
"Maestro, è bello per noi essere qui" (Lc 9,33): è l’espressione estatica di Pietro, che assomiglia spesso al nostro desiderio di fronte alle consolazioni del Signore.

Ma la Trasfigurazione ci ricorda che le gioie seminate da Dio nella vita non sono punti di arrivo, ma sono luci che Egli ci dona nel pellegrinaggio terreno, perché "Gesù solo" sia la nostra Legge e la sua Parola sia il criterio che guida la nostra esistenza.

In questo periodo quaresimale invito tutti a meditare assiduamente il Vangelo. Auspico, inoltre, che in quest’Anno Sacerdotale i Pastori "siano veramente pervasi dalla Parola di Dio, la conoscano davvero, la amino al punto che essa realmente dia loro vita e formi il loro pensiero" (Omelia nella Messa crismale, 9 aprile 2009). La Vergine Maria ci aiuti a vivere intensamente i nostri momenti di incontro con il Signore perché possiamo seguirlo ogni giorno con gioia. A Lei volgiamo il nostro sguardo invocandola con la preghiera dell’Angelus.

DOPO L’ANGELUS

Ho appreso con profonda tristezza le tragiche notizie delle recenti uccisioni di alcuni Cristiani nella città di Mossul e ho seguito con viva preoccupazione gli altri episodi di violenza, perpetrati nella martoriata terra irachena ai danni di persone inermi di diversa appartenenza religiosa. In questi giorni di intenso raccoglimento ho pregato spesso per tutte le vittime di quegli attentati ed oggi desidero unirmi spiritualmente alla preghiera per la pace e per il ripristino della sicurezza, promossa dal Consiglio dei Vescovi di Ninive. Sono affettuosamente vicino alle comunità cristiane dell’intero Paese. Non stancatevi di essere fermento di bene per la patria a cui, da secoli, appartenete a pieno titolo!

Nella delicata fase politica che sta attraversando l’Iraq mi appello alle Autorità civili, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. Mi auguro che non si ceda alla tentazione di far prevalere gli interessi temporanei e di parte sull’incolumità e sui diritti fondamentali di ogni cittadino. Infine, mentre saluto gli iracheni presenti qui in Piazza, esorto la comunità internazionale a prodigarsi per dare agli Iracheni un futuro di riconciliazione e di giustizia, mentre invoco con fiducia da Dio onnipotente il dono prezioso della pace.

Il mio pensiero va inoltre al Cile e alle popolazioni colpite dal terremoto, che ha causato numerose perdite in vite umane e ingenti danni. Prego per le vittime e sono spiritualmente vicino alle persone provate da così grave calamità; per esse imploro da Dio sollievo nella sofferenza e coraggio in queste avversità. Sono sicuro che non verrà a mancare la solidarietà di tanti, in particolare delle organizzazioni ecclesiali.

Chers pèlerins francophones, le temps du carême est un temps idéal pour revenir vers Dieu et pour l’écouter nous parler. Chers jeunes, je m’adresse tout spécialement à vous. Vous n’êtes pas seulement l’avenir de l’Église mais vous en êtes déjà le présent. Aussi, je vous convie, pendant ce carême, à vous nourrir des Saintes Écritures et à laisser retentir en vous et dans vos cœurs la Parole du Christ. Il est le chemin, la vérité et la vie. Il désire être votre présent et votre avenir. Laissez-le transformer votre vie et l’orienter. Apprenez à reconnaître son visage dans le visage de tous nos frères et sœurs en humanité. Que la Vierge Marie vous entraîne à la suite de son Fils ! A tous, bon dimanche et bonne montée vers Pâques !

I am happy to greet all the English-speaking visitors present at today’s Angelus prayer, especially the group of priests from the Archdiocese of Galveston-Houston, accompanied by His Eminence Cardinal Daniel DiNardo. On this Second Sunday of Lent the voice of our Heavenly Father instructs us to listen to Jesus, the beloved Son of God. May our Lenten journey continue to dispose our hearts to Christ and to his saving truth. Upon all of you I invoke Almighty God’s abundant blessings of strength and peace!

Ganz herzlich grüße ich alle Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache hier auf dem Petersplatz wie auch alle, die über Rundfunk und Fernsehen mit uns verbunden sind. „Kehrt um und glaubt an das Evangelium" (Mk 1, 15) – diese Worte Jesu begleiten uns durch die Fastenzeit. Es geht um eine Umkehr, einen Blickwechsel: Wir wollen auf Christus schauen und in ihm das Antlitz des Himmlischen Vaters erkennen, der jedem Menschen seine Liebe und sein Erbarmen schenken will. Diesem guten und treuen Gott wollen wir entsprechen, wenn wir der göttlichen Liebe in der Welt Gestalt geben. Der Herr schenke euch dazu eine gesegnete Fastenzeit!

Como ya he dicho en italiano, me siento particularmente cercano a la querida población chilena afectada por un gran terremoto en su País. En un momento como éste, brota espontáneamente una plegaria al Señor por las víctimas y un mensaje de aliento a todos para superar esta gran prueba.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular los grupos de Ibiza y Formentera, acompañados por su Obispo diocesano, y a los de las Parroquias de Cañete de las Torres y de la Trinidad, así como a los participantes en la pastoral Universitaria de ETEA, de la diócesis de Córdoba. Que la Transfiguración del Señor, que nos relata el Evangelio de hoy, avive nuestra esperanza e ilumine el camino cuaresmal hacia la Pascua del Señor. Feliz domingo.

Pozdrawiam zgromadzonych na modlitwie „Anioł Pański" Polaków. Dzisiaj w Polsce przeżywacie Niedzielę „Ad gentes", wspierając dzieła misyjne Kościoła modlitwą, postem i jałmużną. Niech hasło: „Misje to sprawa miłości" będzie dla was zachętą do dobrych czynów i hojności serc. Misjonarzom, misjonarkom i tym, którzy wspierają ich ofiarną posługę, z serca błogosławię.

[Saluto tutti i Polacchi radunati per la preghiera dell’Angelus. Oggi in Polonia festeggiate la Domenica "Ad gentes", sostenendo le opere missionarie della Chiesa con la vostra preghiera, con il digiuno e con le offerte. Il tema "Le missioni sono questione di amore" sia per voi l’incoraggiamento per le buone opere e la generosità dei cuori. Benedico di cuore i missionari e le missionarie e tutti coloro che sostengono il loro fedele servizio.]

Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai rappresentanti della "Federazione Italiana Malattie Rare", agli alunni della scuola "Don Carlo Costamagna", di Busto Arsizio, ai fedeli della parrocchia "S. Maria Goretti" in Frigole e a quelli di Campese, in Bassano del Grappa. A tutti auguro una buona domenica!

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Gli auguri del Papa al Patriarca Bartolomeo I: "Scambio con Lei, Santità, un santo abbraccio..."


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

Gli auguri del Papa al Patriarca Bartolomeo per suo settantesimo compleanno

Ecco una nostra traduzione delle parole del Papa.

A Sua Santità Bartolomeo I
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico


La gioiosa occasione del suo settantesimo compleanno mi offre la gradita opportunità di rendere grazie a Dio, Padre di nostro Signore Gesù Cristo e Datore di ogni buon dono, per le abbondanti benedizioni che ha riversato su di Lei, Santità, e, nello stesso tempo, di trasmetterle i miei affettuosi buoni auguri.
Questi auspici ferventi e fraterni sono accompagnati dalle mie preghiere affinché il nostro unico Signore La sostenga con la sua forza e la sua grazia mentre svolge il suo alto ministero di Pastore, Predicatore del Vangelo e Maestro di vita spirituale.
Con piacevoli ricordi dei nostri incontri, in particolare della mia visita al Fanar per la festa dell'Apostolo Andrea, fratello di Pietro, scambio con Lei, Santità, un santo abbraccio, esprimendo la mia fiducia fervente nel fatto che lo Spirito di Dio continui a illuminare e a indicare il nostro comune cammino verso la piena comunione voluta da Cristo per tutti i suoi discepoli.

BENEDICTUS PP.XVI

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(©L'Osservatore Romano - 28 febbraio 2010)

sabato 27 febbraio 2010

Il Papa:L'uomo non è perfetto in sé, l'uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. Non è il suo cogito che può cogitare tutta la realtà


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

Vedi anche:

La «predica dei ricordi» di don Enrico dal Covolo (Osservatore Romano)

Il Papa: la parola di Dio può essere compresa solo stando nella Chiesa (Izzo)

Il Papa: Solo grazie alla relazione con Dio l'uomo conosce se stesso (Apcom)

Il Papa: la parola di Dio può essere compresa solo stando nella Chiesa (Izzo)

Conclusi gli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. Benedetto XVI: per conoscere se stesso l'uomo ha bisogno stare in ascolto di Dio

CONCLUSIONE DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI DELLA CURIA ROMANA, 27.02.2010

Alle ore 9 di questa mattina, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico Vaticano, con il canto delle Lodi e la Meditazione finale, si sono conclusi gli Esercizi Spirituali alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI.
Quest’anno le Meditazioni sono state proposte dal Rev.do Don Enrico dal Covolo, S.D.B., sul tema: "Lezioni" di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale.
Pubblichiamo di seguito le parole che il Santo Padre ha rivolto ai presenti a conclusione degli Esercizi Spirituali:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli,
Caro Don Enrico
,

A nome di tutti noi qui presenti vorrei di tutto cuore dire grazie a Lei, Don Enrico, per questi esercizi, per il modo appassionato e molto personale col quale ci ha guidato nel cammino verso Cristo, nel cammino di rinnovamento del nostro sacerdozio.

Lei ha scelto come punto di partenza, come sottofondo sempre presente, come punto di arrivo — lo abbiamo visto adesso — la preghiera di Salomone per «un cuore che ascolta». In realtà mi sembra che qui sia riassunta tutta la visione cristiana dell'uomo.

L'uomo non è perfetto in sé, l'uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione. Non è il suo cogito che può cogitare tutta la realtà. Ha bisogno dell'ascolto, dell'ascolto dell'altro, soprattutto dell'Altro con la maiuscola, di Dio. Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso.

Dal mio posto qui ho sempre visto la Madre del Redentore, la Sedes Sapientiae, il trono vivente della saggezza, con la Sapienza incarnata sul grembo. E come abbiamo visto, san Luca presenta Maria proprio come donna dal cuore in ascolto, che è immersa nella Parola di Dio, che ascolta la Parola, la medita (synballein) la compone e la conserva, la custodisce nel suo cuore. I padri della Chiesa dicono che nel momento della concezione del Verbo eterno nel grembo della Vergine lo Spirito Santo è entrato in Maria tramite l'orecchio. Nell'ascolto ha concepito la Parola eterna, ha dato la sua carne a questa Parola. E così ci dice che cosa è avere un cuore in ascolto.

Maria è qui circondata dai padri e dalle madri della Chiesa, dalla comunione dei santi. E così vediamo e abbiamo capito proprio in questi giorni che non nell'io isolato possiamo realmente ascoltare la Parola: solo nel noi della Chiesa, nel noi della comunione dei santi.

E Lei, caro Don Enrico, ci ha mostrato, ha dato voce a cinque figure esemplari del sacerdozio, cominciando con Ignazio d'Antiochia fino al caro e venerabile Papa Giovanni Paolo II. Così abbiamo realmente di nuovo percepito che cosa vuol dire essere sacerdote, divenire sempre più sacerdoti.

Lei ha anche sottolineato che la consacrazione va verso la missione, è destinata a divenire missione. In questi giorni abbiamo approfondito con l'aiuto di Dio la nostra consacrazione. Così, con nuovo coraggio, vogliamo adesso affrontare la nostra missione. Il Signore ci aiuti. Grazie a Lei per il suo aiuto, Don Enrico.

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mercoledì 24 febbraio 2010

Ricordo che la schiavitù del denaro e l'ingiustizia hanno "origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male"


ANNO SACERDOTALE (19 GIUGNO 2009-19 GIUGNO 2010): LO SPECIALE DEL BLOG

OMELIE, DISCORSI, MESSAGGI E TESTI DEL SANTO PADRE SUI SACERDOTI E L'ANNO SACERDOTALE

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA CAMPAGNA DELLA FRATERNITÀ 2010, 24.02.2010

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato a S.E. Mons. Geraldo Lyrio Rocha, Presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) e Arcivescovo di Mariana, in occasione dell’annuale Campagna di Fraternità della Chiesa in Brasile:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Di seguito una nostra traduzione italiana del messaggio del Papa.

Al venerato Fratello
D. Geraldo Lyrio Rocha
Presidente della Cnbb
e Arcivescovo di Mariana (mg)


Con il mercoledì delle ceneri torna quel tempo favorevole di salvezza che è la Quaresima, con il suo appello insistente: "Lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5, 20); grido questo, che deve risuonare sulle labbra di coloro che annunciano la Parola di Dio: "Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita" (Lettera per la Proclamazione di un Anno Sacerdotale, 16/vi/2009).
Questi sentimenti divini furono affidati al Santo Curato d'Ars, che, nel suo tempo, seppe trasformare il cuore e la vita di molte persone, perché riuscì a far sentire loro l'amore misericordioso del Signore.
Auspico lo stesso successo alle Chiese e alle Comunità ecclesiali in Brasile che, in questo anno, hanno deciso di unire i loro sforzi per riconciliare le persone con Dio, aiutandole a liberarsi dalla schiavitù del denaro. Infatti, come ricorda la Campagna della Fraternità Ecumenica 2010 - citando le parole di Gesù - "non potete servire Dio e il denaro".
Rallegrandomi per questo proposito di conversione, ricordo che la schiavitù del denaro e l'ingiustizia hanno "origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male" (Messaggio per la Quaresima 2010, 30/x/2009). Per questo, vi incoraggio a perseverare nella testimonianza dell'amore di Dio, del Figlio di Dio che si è fatto uomo, dell'uomo che ha ricevuto la grazia delle vita di Dio, dell'unico Bene che può saziare il cuore della gente, poiché "come e più del pane, (l'uomo) ha infatti bisogno di Dio" (Ibidem).
Riuscirete così a far fronte al "deserto interiore" di cui ho parlato all'inizio del mio ministero petrino, invitando la Chiesa, nel suo insieme, a "mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l'amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza (...) Noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita" (Omelia, 24/iv/2005). Se "la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda" (Matteo 12, 34), potete conoscere il vostro cuore a partire dalle vostre parole. "Riconciliatevi con Dio", di modo che le vostre parole servano soprattutto per parlare di Dio e a Dio.
Nell'implorare le più grandi benedizioni di Dio sulla Campagna della Fraternità Ecumenica 2010, colgo l'occasione per inviare ai miei fratelli e amici del Brasile cordiali saluti, con voti di ogni bene in Gesù Cristo, unico Salvatore di tutti.
Dal Vaticano, 8 febbraio 2010

BENEDICTUS PP. XVI

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(©L'Osservatore Romano - 25 febbraio 2010)

domenica 21 febbraio 2010

Il Papa: La Quaresima è come un lungo "ritiro", un tempo, possiamo dire", di "agonismo" spirituale da vivere insieme con Gesù...


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Angelus del 21 febbraio 2010: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)

Vedi anche:

Con le parole della sua lingua, Papa Ratzinger ha infranto vecchi tabù richiamando la schiettezza evangelica (Accattoli)

Il Papa riflette sulla Quaresima: «Un ritiro per poter rientrare in se stessi ed ascoltare la voce di Dio»

Un tempo da vivere insieme con Gesù: sulle parole del Papa per la Quaresima, la riflessione del teologo Pierangelo Sequeri (Radio Vaticana)

Il Papa e la Curia Romana impegnati nella seconda giornata di esercizi spirituali della Quaresima, predicati dal teologo salesiano don Dal Covolo

Iniziati gli esercizi spirituali alla presenza del Papa (Asca e Apcom)

Il Papa ed il tempo di Quaresima: rientrare in se stessi (Fabio Zavattaro)

Il Papa: Il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita (Sir)

Il Papa dedica questa settimana alla preghiera. Sospese tutte le udienze e gli incontri pubblici (Zenit)

All'Angelus il Papa si è ispirato al Vangelo di Luca per denunciare le insidie di oggi (Il Tempo)

Il Papa: la Quaresima, “un tempo di 'agonismo' spirituale”. Nell'Angelus per la prima domenica di Quaresima (Zenit)

Il Papa: il tempo quaresimale è il periodo più adatto da dedicare all'«agonismo» contro il Maligno

Da oggi fino a sabato prossimo gli esercizi spirituali per la Curia Romana alla presenza del Santo Padre (Radio Vaticana)

Oggi pomeriggio iniziano in Vaticano gli esercizi spirituali per il Papa e la curia (Izzo)

Il Papa: Gesù antepone ai criteri umani, l'unico criterio autentico: l'obbedienza alla volontà di Dio (Apcom)

Il Papa: Quaresima, il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando con la grazia di Dio (AsiaNews)

Benedetto XVI: la Quaresima è tempo di agonismo spirituale (Apcom)

Il Papa: orgoglio e presunzione sono tentazioni diaboliche (Izzo)

Il Papa: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita (Radio Vaticana)

Il Papa: per Gesù le tentazioni non furono un incidente di percorso, ma la conseguenza della scelta di seguire la missione affidatagli dal Padre

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 21.02.2010

Alle ore 12 di oggi, prima Domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Mercoledì scorso, con il rito penitenziale delle Ceneri, abbiamo iniziato la Quaresima, tempo di rinnovamento spirituale che prepara alla celebrazione annuale della Pasqua.

Ma che cosa significa entrare nell’itinerario quaresimale?

Ce lo illustra il Vangelo di questa prima domenica, con il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Narra l’Evangelista san Luca che Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, "pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito Santo nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo" (Lc 4,1-2).

È evidente l’insistenza sul fatto che le tentazioni non furono un incidente di percorso, ma la conseguenza della scelta di Gesù di seguire la missione affidatagli dal Padre, di vivere fino in fondo la sua realtà di Figlio amato, che confida totalmente in Lui. Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di progettare la nostra vita a prescindere da Dio.

Egli l’ha fatto non con proclami altisonanti, ma lottando in prima persona contro il Tentatore, fino alla Croce. Questo esempio vale per tutti: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita.

Delle tre tentazioni cui Satana sottopone Gesù, la prima prende origine dalla fame, cioè dal bisogno materiale: "Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane". Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura: "Non di solo pane vivrà l’uomo" (Lc 4,3-4; cfr Dt 8,3).

Poi, il diavolo mostra a Gesù tutti i regni della terra e dice: tutto sarà tuo se, prostrandoti, mi adorerai. È l’inganno del potere, e Gesù smaschera questo tentativo e lo respinge: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto" (cfr Lc 4,5-8; Dt 6,13).

Non adorazione del potere, ma solo di Dio, della verità e dell’amore. Infine, il Tentatore propone a Gesù di compiere un miracolo spettacolare: gettarsi dalle alte mura del Tempio e farsi salvare dagli angeli, così che tutti avrebbero creduto in Lui. Ma Gesù risponde che Dio non va mai messo alla prova (cfr Dt 6,16).

Non possiamo "fare un esperimento" nel quale Dio deve rispondere e mostrarsi Dio: dobbiamo credere in Lui! Non dobbiamo fare di Dio "materiale" del "nostro esperimento"!

Riferendosi sempre alla Sacra Scrittura, Gesù antepone ai criteri umani l’unico criterio autentico: l’obbedienza, la conformità con la volontà di Dio, che è il fondamento del nostro essere. Anche questo è un insegnamento fondamentale per noi: se portiamo nella mente e nel cuore la Parola di Dio, se questa entra nella nostra vita, se abbiamo fiducia in Dio, possiamo respingere ogni genere di inganno del Tentatore. Inoltre, da tutto il racconto emerge chiaramente l’immagine di Cristo come nuovo Adamo, Figlio di Dio umile e obbediente al Padre, a differenza di Adamo ed Eva, che nel giardino dell’Eden avevano ceduto alle seduzioni dello spirito del male di essere immortali, senza Dio.

La Quaresima è come un lungo "ritiro", durante il quale rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni del Maligno e trovare la verità del nostro essere. Un tempo, possiamo dire", di "agonismo" spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza.

In questo modo potremo giungere a celebrare la Pasqua in verità, pronti a rinnovare le promesse del nostro Battesimo. Ci aiuti la Vergine Maria affinché, guidati dallo Spirito Santo, viviamo con gioia e con frutto questo tempo di grazia. Interceda in particolare per me e i miei collaboratori della Curia Romana, che questa sera inizieremo gli Esercizi Spirituali.

DOPO L’ANGELUS

J’accueille avec joie les pèlerins francophones, particulièrement les jeunes des collèges Charles Péguy de Paris et de Bobigny. En ce début du Carême nous sommes invités à faire de notre montée vers Pâques un combat spirituel, à la suite de Jésus conduit au désert, où pendant quarante jours il sera mis à l’épreuve par le démon. Au plus profond de lui-même, l’homme connaît la tentation du pouvoir, de l’ambition et de l’hédonisme. Demandons au Christ de nous entrainer dans le mystère de son obéissance au Père, afin que nous ne succombions pas à la tentation et que nous soyons délivrés du mal. Que la Vierge Marie nous aide à nous donner librement à son Fils et à suivre ses chemins ! Bon dimanche et bon Carême à tous!

I offer a warm greeting to all the English-speaking visitors present for this Angelus prayer, especially the boys and girls of the London Oratory Junior Choir. In today’s Gospel the Church invites us to contemplate Christ’s victory over temptation and to imitate his complete obedience to the Father’s will. May the Lenten season which we have now begun draw us closer to the Lord in prayer and prepare us to celebrate worthily his victory over sin and death at Easter. Upon all of you I invoke God’s abundant blessings!

An diesem ersten Fastensonntag grüße ich herzlich alle Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Fasten heißt verzichten und frei werden für das Gute. Es geht darum zu erkennen, was wichtig und wesentlich ist, was den Menschen wirklich ausmacht, und danach zu leben. Dieses neue Leben sehen wir in Jesus Christus. Er, der mit unserer menschlichen Schwachheit mitfühlen kann, da er wie wir in Versuchung geführt wurde, zeigt uns: Der Mensch lebt von Gott. Bitten wir in diesen Tagen der Vorbereitung auf Ostern den Herrn um die Gnade echter Erneuerung, damit wir nach seinem Willen und in seiner Liebe leben. Der Heilige Geist stärke euch mit seiner Gnade.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. En este inicio del itinerario cuaresmal, la liturgia nos va introduciendo poco a poco en un clima de mayor austeridad y recogimiento para propiciar en los fieles una reflexión profunda sobre el fin último de nuestra existencia y su dimensión eminentemente sobrenatural. Es Cristo el que se nos ofrece como única riqueza que perdura, como el verdadero alimento de vida eterna y la plenitud para nuestras almas. Confiemos a las manos maternas de María Santísima la vivencia humilde y fructífera de este tiempo de preparación para la Pascua. Muchas gracias y feliz domingo.

Drodzy Polacy, uczestnicy modlitwy „Anioł Pański"! W całym Kościele trwa Wielki Post: czas pokuty, modlitwy, jałmużny i nawrócenia. W jego przeżywaniu niech pomoże wam osobista refleksja, udział w rekolekcjach, Drodze krzyżowej i Gorzkich żalach. Waszym modlitwom polecam również rekolekcje, które w Watykanie zaczynamy już dzisiaj. Niech Bóg błogosławi nam wszystkim w tym świętym czasie duchowej odnowy.

[Cari Polacchi, che partecipate alla preghiera dell’Angelus! In tutta la Chiesa viene vissuta la Quaresima: tempo di penitenza, di preghiera, di opere di carità e di conversione. Nel vivere la Quaresima vi aiutino la riflessione personale, la partecipazione agli esercizi spirituali, alla Via Crucis e alle celebrazioni penitenziali. Alle vostre preghiere raccomando anche gli esercizi spirituali, che inizieremo già oggi in Vaticano. Dio ci benedica tutti in questo santo tempo di rinnovamento spirituale.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi di Seregno e di Lecco, venuti per la loro professione di fede, e i fedeli di Cento di Ferrara e di diverse città della Sicilia. Un pensiero speciale rivolgo alle Figlie di San Camillo, che si apprestano a celebrare il centenario della morte della loro Fondatrice, la beata Giuseppina Vannini. A tutti auguro una serena domenica e un buon cammino quaresimale.

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

sabato 20 febbraio 2010

INCONTRO CON I PARROCI E I SACERDOTI DELLA DIOCESI DI ROMA: "LECTIO DIVINA" DEL SANTO PADRE


ANNO SACERDOTALE (19 GIUGNO 2009-19 GIUGNO 2010): LO SPECIALE DEL BLOG

OMELIE, DISCORSI, MESSAGGI E TESTI DEL SANTO PADRE SUI SACERDOTI E L'ANNO SACERDOTALE

IL PAPA, INTERROGATO, RISPONDE "A BRACCIO"

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

INCONTRO DEL PAPA CON I PARROCI ROMANI: SERVIZIO DI STEFANO MARIA PACI

Benedetto XVI incontra il clero di Roma: il servizio (audio) di Radio Vaticana

INCONTRO CON I PARROCI: SERVIZIO DI THE VATICAN

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Il Papa: Noi sacerdoti non possiamo isolarci, siamo presenti nella passione di questo mondo per trasformarlo verso Dio

Il Papa: il vero uomo, e quindi il sacerdote, partecipa alle sofferenze degli essere umani, è uomo di compassione (Bandini)

Il Papa: Rubare o mentire non può essere giustificato come una debolezza umana (Ansa)

Il Papa: «Essere umani è invece essere generosi, essere a immagine di Dio. Il peccato non è mai solidarietà»

Benedetto XVI ai parroci: Sbagliato dire che rubare o mentire è umano (Apcom e Asca)

In corso l'incontro del Papa con i parroci ed i sacerdoti di Roma. Purtroppo non è stata prevista la diretta televisiva

INCONTRO CON I PARROCI E I SACERDOTI DELLA DIOCESI DI ROMA, 18.02.2010

Alle ore 11 di questa mattina, nell’Aula della Benedizione del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Parroci e i Sacerdoti della diocesi di Roma per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima. L’incontro si svolge sotto forma di "Lectio divina".

Lectio divina del Santo Padre al clero romano: i passi della Lettera agli Ebrei citati (Osservatore Romano)

"LECTIO DIVINA" DEL SANTO PADRE

Eminenza,
cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio
,

è una tradizione molto gioiosa e anche importante per me poter iniziare la Quaresima sempre con il mio Presbiterio, i Presbiteri di Roma. Così, come Chiesa locale di Roma, ma anche come Chiesa universale, possiamo intraprendere questo cammino essenziale con il Signore verso la Passione, verso la Croce, il cammino pasquale.

Quest’anno vogliamo meditare i passi della Lettera agli Ebrei ora letti. L’Autore di tale Lettera ha aperto una nuova strada per capire l’Antico Testamento come libro che parla su Cristo. La tradizione precedente aveva visto Cristo soprattutto, essenzialmente, nella chiave della promessa davidica, del vero Davide, del vero Salomone, del vero Re di Israele, vero Re perché uomo e Dio. E l’iscrizione sulla Croce aveva realmente annunciato al mondo questa realtà: adesso c’è il vero Re di Israele, che è il Re del mondo, il Re dei Giudei sta sulla Croce. E’ una proclamazione della regalità di Gesù, dell’adempimento dell’attesa messianica dell’Antico Testamento, la quale, nel fondo del cuore, è un’attesa di tutti gli uomini che aspettano il vero Re, che dà giustizia, amore e fraternità.

Ma l’Autore della Lettera agli Ebrei ha scoperto una citazione che fino a quel momento non era stata notata: Salmo 110,4 - “tu sei sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek”.

Ciò significa che Gesù non solo adempie la promessa davidica, l’aspettativa del vero Re di Israele e del mondo, ma realizza anche la promessa del vero Sacerdote. In parte dell’Antico Testamento, soprattutto anche in Qumran, vi sono due linee separate di attesa: il Re e il Sacerdote. L’Autore della Lettera agli Ebrei, scoprendo questo versetto, ha capito che in Cristo sono unite le due promesse: Cristo è il vero Re, il Figlio di Dio – secondo il Salmo 2,7 che egli cita – ma è anche il vero Sacerdote.

Così tutto il mondo cultuale, tutta la realtà dei sacrifici, del sacerdozio, che è alla ricerca del vero sacerdozio, del vero sacrificio, trova in Cristo la sua chiave, il suo adempimento e, con questa chiave, può rileggere l’Antico Testamento e mostrare come proprio anche la legge cultuale, che dopo la distruzione del Tempio è abolita, in realtà andava verso Cristo; quindi, non è semplicemente abolita, ma rinnovata, trasformata, poiché in Cristo tutto trova il suo senso. Il sacerdozio appare allora nella sua purezza e nella sua verità profonda.

In questo modo, la Lettera agli Ebrei presenta il tema del sacerdozio di Cristo, Cristo sacerdote, su tre livelli: il sacerdozio di Aronne, quello del Tempio; Melchisedek; e Cristo stesso, come il vero sacerdote. Anche il sacerdozio di Aronne, pur essendo differente da quello di Cristo, pur essendo, per così dire, solo una ricerca, un camminare in direzione di Cristo, comunque è “via” verso Cristo, e già in questo sacerdozio si delineano gli elementi essenziali. Poi Melchisedek - ritorneremo su questo punto – che è un pagano. Il mondo pagano entra nell’Antico Testamento, entra in una figura misteriosa, senza padre, senza madre - dice la Lettera agli Ebrei -, appare semplicemente, e in lui appare la vera venerazione del Dio Altissimo, del Creatore del cielo e della terra. Così anche dal mondo pagano viene l’attesa e la prefigurazione profonda del mistero di Cristo. In Cristo stesso tutto è sintetizzato, purificato e guidato al suo termine, alla sua vera essenza.

Vediamo ora i singoli elementi, per quanto è possibile, circa il sacerdozio. Dalla Legge, dal sacerdozio di Aronne impariamo due cose, ci dice l’autore della Lettera agli Ebrei: un sacerdote per essere realmente mediatore tra Dio e l’uomo, deve essere uomo. Questo è fondamentale e il Figlio di Dio si è fatto uomo proprio per essere sacerdote, per poter realizzare la missione del sacerdote. Deve essere uomo – ritorneremo su questo punto –, ma non può da se stesso farsi mediatore verso Dio.

Il sacerdote ha bisogno di un’autorizzazione, di un’istituzione divina e solo appartenendo alle due sfere – quella di Dio e quella dell’uomo – può essere mediatore, può essere “ponte”.

Questa è la missione del sacerdote: combinare, collegare queste due realtà apparentemente così separate, cioè il mondo di Dio - lontano da noi, spesso sconosciuto all’uomo - e il nostro mondo umano. La missione del sacerdozio è di essere mediatore, ponte che collega, e così portare l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla sua vera vita.

Come primo punto, quindi, il sacerdote deve essere dalla parte di Dio, e solamente in Cristo questo bisogno, questa condizione della mediazione è realizzata pienamente. Perciò era necessario questo Mistero: il Figlio di Dio si fa uomo perché ci sia il vero ponte, ci sia la vera mediazione. Gli altri devono avere almeno un’autorizzazione da Dio o, nel caso della Chiesa, il Sacramento, cioè introdurre il nostro essere nell’essere di Cristo, nell’essere divino. Solo con il Sacramento, questo atto divino che ci crea sacerdoti nella comunione con Cristo, possiamo realizzare la nostra missione. E questo mi sembra un primo punto di meditazione per noi: l’importanza del Sacramento.

Nessuno si fa sacerdote da se stesso; solo Dio può attirarmi, può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipazione al mistero di Cristo; solo Dio può entrare nella mia vita e prendermi in mano.

Questo aspetto del dono, della precedenza divina, dell’azione divina, che noi non possiamo realizzare, questa nostra passività - essere eletti e presi per mano da Dio - è un punto fondamentale nel quale entrare. Dobbiamo ritornare sempre al Sacramento, ritornare a questo dono nel quale Dio mi dà quanto io non potrei mai dare: la partecipazione, la comunione con l’essere divino, col sacerdozio di Cristo.

Rendiamo questa realtà anche un fattore pratico della nostra vita: se è così, un sacerdote deve essere realmente un uomo di Dio, deve conoscere Dio da vicino, e lo conosce in comunione con Cristo.

Dobbiamo allora vivere questa comunione e la celebrazione della Santa Messa, la preghiera del Breviario, tutta la preghiera personale, sono elementi dell’essere con Dio, dell’essere uomini di Dio. Il nostro essere, la nostra vita, il nostro cuore devono essere fissati in Dio, in questo punto dal quale non dobbiamo uscire, e ciò si realizza, si rafforza giorno per giorno, anche con brevi preghiere nelle quali ci ricolleghiamo con Dio e diventiamo sempre più uomini di Dio, che vivono nella sua comunione e possono così parlare di Dio e guidare a Dio.

L’altro elemento è che il sacerdote deve essere uomo. Uomo in tutti i sensi, cioè deve vivere una vera umanità, un vero umanesimo; deve avere un’educazione, una formazione umana, delle virtù umane; deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore, del Redentore, perché sappiamo che l’essere umano è ferito e la questione di “che cosa sia l’uomo” è oscurata dal fatto del peccato, che ha leso la natura umana fino nelle sue profondità.

Così si dice: “ha mentito”, “è umano”; “ha rubato”, “è umano”; ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, è essere buono, è essere uomo della giustizia, della prudenza vera, della saggezza. Quindi uscire, con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura per giungere al vero essere umano ad immagine di Dio, è un processo di vita che deve cominciare nella formazione al sacerdozio, ma che deve realizzarsi poi e continuare in tutta la nostra esistenza. Penso che le due cose vadano fondamentalmente insieme: essere di Dio e con Dio ed essere realmente uomo, nel vero senso che ha voluto il Creatore plasmando questa creatura che siamo noi.

Essere uomo: la Lettera agli Ebrei fa una sottolineatura della nostra umanità che ci sorprende, perché dice: deve essere uno con “compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo rivestito di debolezza” (5,2) e poi - molto più forte ancora – “nei giorni della sua vita terrena, egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime a Dio che poteva salvarlo da morte e per il suo pieno abbandono a Lui, venne esaudito” (5,7).

Per la Lettera agli Ebrei elemento essenziale del nostro essere uomo è la compassione, è il soffrire con gli altri: questa è la vera umanità. Non è il peccato, perché il peccato non è mai solidarietà, ma è sempre desolidarizzazione, è un prendere la vita per me stesso, invece di donarla. La vera umanità è partecipare realmente alla sofferenza dell’essere umano, vuol dire essere un uomo di compassione – metriopathein, dice il testo greco – cioè essere nel centro della passione umana, portare realmente con gli altri le loro sofferenze, le tentazioni di questo tempo: “Dio dove sei tu in questo mondo?”.

Questa umanità del sacerdote non risponde all’ideale platonico e aristotelico, secondo il quale il vero uomo sarebbe colui che vive solo nella contemplazione della verità, e così è beato, felice, perché ha solo amicizia con le cose belle, con la bellezza divina, ma “i lavori” li fanno altri. Questa è una supposizione, mentre qui si suppone che il sacerdote entri come Cristo nella miseria umana, la porti con sé, vada alle persone sofferenti, se ne occupi, e non solo esteriormente, ma interiormente prenda su di sé, raccolga in se stesso la “passione” del suo tempo, della sua parrocchia, delle persone a lui affidate. Così Cristo ha mostrato il vero umanesimo.
Certo il suo cuore è sempre fisso in Dio, vede sempre Dio, intimamente è sempre in colloquio con Lui, ma Egli porta, nello stesso tempo, tutto l’essere, tutta la sofferenza umana entra nella Passione. Parlando, vedendo gli uomini che sono piccoli, senza pastore, Egli soffre con loro e noi sacerdoti non possiamo ritirarci in un Elysium, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo, con l’aiuto di Cristo e in comunione con Lui, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio.

Proprio questo va detto, con il seguente testo realmente stimolante: “preghiere e suppliche offrì con forti grida e lacrime” (Eb 5,7). Questo non è solo un accenno all’ora dell’angoscia sul Monte degli Ulivi, ma è un riassunto di tutta la storia della passione, che abbraccia l’intera vita di Gesù. Lacrime: Gesù piangeva davanti alla tomba di Lazzaro, era realmente toccato interiormente dal mistero della morte, dal terrore della morte.

Persone perdono il fratello, come in questo caso, la mamma e il figlio, l’amico: tutta la terribilità della morte, che distrugge l’amore, che distrugge le relazioni, che è un segno della nostra finitezza, della nostra povertà. Gesù è messo alla prova e si confronta fino nel profondo della sua anima con questo mistero, con questa tristezza che è la morte, e piange. Piange davanti a Gerusalemme, vedendo la distruzione della bella città a causa della disobbedienza; piange vedendo tutte le distruzioni della storia nel mondo; piange vedendo come gli uomini distruggono se stessi e le loro città nella violenza, nella disobbedienza.

Gesù piange, con forti grida. Sappiamo dai Vangeli che Gesù ha gridato dalla Croce, ha gridato: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; cfr Mt 27,46), e ha gridato ancora una volta alla fine. E questo grido risponde ad una dimensione fondamentale dei Salmi: nei momenti terribili della vita umana, molti Salmi sono un forte grido a Dio: “Aiutaci, ascoltaci!”. Proprio oggi, nel Breviario, abbiamo pregato in questo senso: Dove sei tu Dio? “Siamo venduti come pecore da macello” (Sal 44,12). Un grido dell’umanità sofferente! E Gesù, che è il vero soggetto dei Salmi, porta realmente questo grido dell’umanità a Dio, alle orecchie di Dio: “Aiutaci e ascoltaci!”. Egli trasforma tutta la sofferenza umana, prendendola in se stesso, in un grido alle orecchie di Dio.

E così vediamo che proprio in questo modo realizza il sacerdozio, la funzione del mediatore, trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione.

In realtà la Lettera agli Ebrei dice che “offrì preghiere e suppliche”, “grida e lacrime” (5,7). E’ una traduzione giusta del verbo prospherein, che è una parola cultuale ed esprime l’atto dell’offerta dei doni umani a Dio, esprime proprio l’atto dell’offertorio, del sacrificio. Così, con questo termine cultuale applicato alle preghiere e lacrime di Cristo, dimostra che le lacrime di Cristo, l’angoscia del Monte degli Ulivi, il grido della Croce, tutta la sua sofferenza non sono una cosa accanto alla sua grande missione. Proprio in questo modo Egli offre il sacrificio, fa il sacerdote. La Lettera agli Ebrei con questo “offrì”, prospherein, ci dice: questa è la realizzazione del suo sacerdozio, così porta l’umanità a Dio, così si fa mediatore, così si fa sacerdote.

Diciamo, giustamente, che Gesù non ha offerto a Dio qualcosa, ma ha offerto se stesso e questo offrire se stesso si realizza proprio in questa compassione, che trasforma in preghiera e in grido al Padre la sofferenza del mondo. In questo senso anche il nostro sacerdozio non si limita all’atto cultuale della Santa Messa, nel quale tutto viene messo nelle mani di Cristo, ma tutta la nostra compassione verso la sofferenza di questo mondo così lontano da Dio, è atto sacerdotale, è prospherein, è offrire.

In questo senso mi sembra che dobbiamo capire ed imparare ad accettare più profondamente le sofferenze della vita pastorale, perché proprio questo è azione sacerdotale, è mediazione, è entrare nel mistero di Cristo, è comunicazione col mistero di Cristo, molto reale ed essenziale, esistenziale e poi sacramentale.

Una seconda parola in questo contesto è importante. Viene detto che Cristo così – tramite questa obbedienza – è reso perfetto, in greco teleiotheis (cfr Eb 5,8-9). Sappiamo che in tutta la Torah, cioè in tutta la legislazione cultuale, la parola teleion, qui usata, indica l’ordinazione sacerdotale. Cioè la Lettera agli Ebrei ci dice che proprio facendo questo Gesù è stato fatto sacerdote, si è realizzato il suo sacerdozio. La nostra ordinazione sacerdotale sacramentale va realizzata e concretizzata esistenzialmente, ma anche in modo cristologico, proprio in questo portare il mondo con Cristo e a Cristo e, con Cristo, a Dio: così diventiamo realmente sacerdoti, teleiotheis.
Quindi il sacerdozio non è una cosa per alcune ore, ma si realizza proprio nella vita pastorale, nelle sue sofferenze e nelle sue debolezze, nelle sue tristezze ed anche nelle gioie, naturalmente. Così diventiamo sempre più sacerdoti in comunione con Cristo.
La Lettera agli Ebrei riassume, infine, tutta questa compassione nella parola hupakoen, obbedienza: tutto questo è obbedienza.

E’ una parola che non piace a noi, nel nostro tempo. Obbedienza appare come un’alienazione, come un atteggiamento servile. Uno non usa la sua libertà, la sua libertà si sottomette ad un’altra volontà, quindi uno non è più libero, ma è determinato da un altro, mentre l’autodeterminazione, l’emancipazione sarebbe la vera esistenza umana.

Invece della parola “obbedienza”, noi vogliamo come parola chiave antropologica quella di “libertà”. Ma considerando da vicino questo problema, vediamo che le due cose vanno insieme: l’obbedienza di Cristo è conformità della sua volontà con la volontà del Padre; è un portare la volontà umana alla volontà divina, alla conformazione della nostra volontà con la volontà di Dio.

San Massimo il Confessore, nella sua interpretazione del Monte degli Ulivi, dell’angoscia espressa proprio nella preghiera di Gesù, “non la mia, ma la tua volontà”, ha descritto questo processo, che Cristo porta in sé come vero uomo, con la natura, la volontà umana; in questo atto - “non la mia, ma la tua volontà” – Gesù riassume tutto il processo della sua vita, del portare, cioè, la vita naturale umana alla vita divina e in questo modo trasformare l’uomo: divinizzazione dell’uomo e così redenzione dell’uomo, perché la volontà di Dio non è una volontà tirannica, non è una volontà che sta fuori del nostro essere, ma è proprio la volontà creatrice, è proprio il luogo dove troviamo la nostra vera identità.

Dio ci ha creati e siamo noi stessi se siamo conformi con la sua volontà; solo così entriamo nella verità del nostro essere e non siamo alienati. Al contrario, l’alienazione si attua proprio uscendo dalla volontà di Dio, perché in questo modo usciamo dal disegno del nostro essere, non siamo più noi stessi e cadiamo nel vuoto.

In verità, l’obbedienza a Dio, cioè la conformità, la verità del nostro essere, è la vera libertà, perché è la divinizzazione. Gesù, portando l’uomo, l’essere uomo, in sé e con sé, nella conformità con Dio, nella perfetta obbedienza, cioè nella perfetta conformazione tra le due volontà, ci ha redenti e la redenzione è sempre questo processo di portare la volontà umana nella comunione con la volontà divina. E’ un processo sul quale preghiamo ogni giorno: “sia fatta la tua volontà”.

E vogliamo pregare realmente il Signore, perché ci aiuti a vedere intimamente che questa è la libertà, e ad entrare, così, con gioia in questa obbedienza e a “raccogliere” l’essere umano per portarlo – con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra azione pastorale – nella comunione con Dio.

Continuando la lettura, segue una frase difficile da interpretare. L’Autore della Lettera agli Ebrei dice che Gesù ha pregato fortemente, con grida e lacrime, Dio che poteva salvarlo dalla morte, e, per il suo pieno abbandono, venne esaudito (cfr 5,7). Qui vorremmo dire: “No, non è vero, non è stato esaudito, è morto”. Gesù ha pregato di essere liberato dalla morte, ma non è stato liberato, è morto in modo molto crudele. Perciò il grande teologo liberale Harnack ha detto: “Qui manca un no”, deve essere scritto: “Non è stato esaudito” e Bultmann ha accettato questa interpretazione. Però questa è una soluzione che non è esegesi, ma è una violenza al testo. In nessuno dei manoscritti appare “non”, ma “è stato esaudito”; quindi dobbiamo imparare a capire che cosa significhi questo “essere esaudito”, nonostante la Croce.

Io vedo tre livelli per capire questa espressione. In un primo livello si può tradurre il testo greco così: “è stato redento dalla sua angoscia” e in questo senso, Gesù è esaudito. Sarebbe, quindi, un accenno a quanto ci racconta san Luca che “un angelo ha rafforzato Gesù” (cfr Lc 22,43), in modo che, dopo il momento dell’angoscia, potesse andare diritto e senza timore verso la sua ora, come ci descrivono i Vangeli, soprattutto quello di san Giovanni. Sarebbe l’esaudimento, nel senso che Dio gli dà la forza di portare tutto questo peso e così è esaudito. Ma a me sembra che sia una risposta non del tutto sufficiente. Esaudito in senso più profondo – Padre Vanhoye l’ha sottolineato – vuol dire: “è stato redento dalla morte”, ma non per il momento, per quel momento, ma per sempre, nella Risurrezione: la vera risposta di Dio alla preghiera di essere redento dalla morte è la Risurrezione e l’umanità viene redenta dalla morte proprio nella Risurrezione, che è la vera guarigione delle nostre sofferenze, del mistero terribile della morte.

Qui è già presente un terzo livello di comprensione: la Risurrezione di Gesù non è solo un avvenimento personale. Mi sembra che sia di aiuto tenere presente il breve testo nel quale san Giovanni, nel Capitolo 12 del suo Vangelo, presenta e racconta, in modo molto riassuntivo, il fatto del Monte degli Ulivi. Gesù dice: “La mia anima è turbata” (Gv 12, 27), e, in tutta l’angoscia del Monte degli Ulivi, che cosa dirò?: “O salvami da questa ora, o glorifica il tuo nome” (cfr Gv 12,27-28). E’ la stessa preghiera che troviamo nei Sinottici: “Se possibile salvami, ma sia fatta la tua volontà” (cfr Mt 26,42; Mc 14,36; Lc 22,42), che nel linguaggio giovanneo appare appunto: “O salvami, o glorifica”. E Dio risponde: “Ti ho glorificato e ti glorificherò in futuro” (cfr Gv 12,28). Questa è la risposta, l’esaudire divino: glorificherò la Croce; è la presenza della gloria divina, perché è l’atto supremo dell’amore. Nella Croce, Gesù è elevato su tutta la terra e attira la terra a sé; nella Croce appare adesso il “Kabod”, la vera gloria divina del Dio che ama fino alla Croce e così trasforma la morte e crea la Resurrezione.

La preghiera di Gesù è stata esaudita, nel senso che realmente la sua morte diventa vita, diventa il luogo da dove redime l’uomo, da dove attira l’uomo a sé. Se la risposta divina in Giovanni dice: “ti glorificherò”, significa che questa gloria trascende e attraversa tutta la storia sempre e di nuovo: dalla tua Croce, presente nell’Eucaristia, trasforma la morte in gloria. Questa è la grande promessa che si realizza nella Santa Eucaristia, che apre sempre di nuovo il cielo. Essere servitore dell’Eucaristia è, quindi, profondità del mistero sacerdotale.

Ancora una breve parola, almeno su Melchisedek. E’ una figura misteriosa che entra in Genesi 14 nella storia sacra: dopo la vittoria di Abramo su alcuni Re, appare il Re di Salem, di Gerusalemme, Melchisedek, e porta pane e vino. Una storia non commentata e un po’ incomprensibile, che appare nuovamente solo nel salmo 110, come già detto, ma si capisce che poi l’Ebraismo, lo Gnosticismo e il Cristianesimo abbiano voluto riflettere profondamente su questa parola e abbiano creato le loro interpretazioni. La Lettera agli Ebrei non fa speculazione, ma riporta soltanto quanto dice la Scrittura e sono diversi elementi: è Re di giustizia, abita nella pace, è Re da dove è la pace, venera e adora il Dio Altissimo, il Creatore del cielo e della terra, e porta pane e vino (cfr Eb 7,1-3; Gen 14,18-20). Non viene commentato che qui appare il Sommo Sacerdote del Dio Altissimo, Re della pace, che adora con pane e vino il Dio Creatore del cielo e della terra.

I Padri hanno sottolineato che è uno dei santi pagani dell’Antico Testamento e ciò mostra che anche dal paganesimo c’è una strada verso Cristo e i criteri sono: adorare il Dio Altissimo, il Creatore, coltivare giustizia e pace, e venerare Dio in modo puro. Così, con questi elementi fondamentali, anche il paganesimo è in cammino verso Cristo, rende, in un certo modo, presente la luce di Cristo.

Nel canone romano, dopo la Consacrazione, abbiamo la preghiera supra quae, che menziona alcune prefigurazioni di Cristo, del suo sacerdozio e del suo sacrificio: Abele, il primo martire, con il suo agnello; Abramo, che sacrifica nell’intenzione il figlio Isacco, sostituito dall’agnello dato da Dio; e Melchisedek, Sommo Sacerdote del Dio Altissimo, che porta pane e vino. Questo vuol dire che Cristo è la novità assoluta di Dio e, nello stesso tempo, è presente in tutta la storia, attraverso la storia, e la storia va incontro a Cristo. E non solo la storia del popolo eletto, che è la vera preparazione voluta da Dio, nella quale si rivela il mistero di Cristo, ma anche dal paganesimo si prepara il mistero di Cristo, vi sono vie verso Cristo, il quale porta tutto in sé.

Questo mi sembra importante nella celebrazione dell’Eucaristia: qui è raccolta tutta la preghiera umana, tutto il desiderio umano, tutta la vera devozione umana, la vera ricerca di Dio, che si trova finalmente realizzata in Cristo. Infine va detto che adesso è aperto il cielo, il culto non è più enigmatico, in segni relativi, ma è vero, perché il cielo è aperto e non si offre qualcosa, ma l’uomo diventa uno con Dio e questo è il vero culto. Così dice la Lettera agli Ebrei: “il nostro sacerdote sta alla destra del trono, del santuario, della vera tenda, che il Signore Dio stesso ha costruito” (cfr 8,1-2).

Ritorniamo al punto che Melchisedek è Re di Salem. Tutta la tradizione davidica si è richiamata a questo, dicendo: “Qui è il luogo, Gerusalemme è il luogo del vero culto, la concentrazione del culto a Gerusalemme viene già dai tempi abramici, Gerusalemme è il vero luogo della venerazione giusta di Dio”.

Facciamo un nuovo passo: la vera Gerusalemme, il Salem di Dio, è il Corpo di Cristo, l’Eucaristia è la pace di Dio con l’uomo.

Sappiamo che san Giovanni, nel Prologo, chiama l’umanità di Gesù “la tenda di Dio”, eskenosen en hemin (Gv 1,14). Qui Dio stesso ha creato la sua tenda nel mondo e questa tenda, questa nuova, vera Gerusalemme è, nello stesso tempo sulla terra e in cielo, perché questo Sacramento, questo sacrificio si realizza sempre tra di noi e arriva sempre fino al trono della Grazia, alla presenza di Dio. Qui è la vera Gerusalemme, al medesimo tempo, celeste e terrestre, la tenda, che è il Corpo di Dio, che come Corpo risorto rimane sempre Corpo e abbraccia l’umanità e, nello stesso tempo, essendo Corpo risorto, ci unisce con Dio. Tutto questo si realizza sempre di nuovo nell’Eucaristia. E noi da sacerdoti siamo chiamati ad essere ministri di questo grande Mistero, nel Sacramento e nella vita. Preghiamo il Signore che ci faccia capire sempre meglio questo Mistero, di vivere sempre meglio questo Mistero e così offrire il nostro aiuto affinché il mondo si apra a Dio, affinché il mondo sia redento. Grazie

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Il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini

Un impulso spirituale al nostro cammino

All'inizio dell'incontro, il cardinale vicario Agostino Vallini ha rivolto al Pontefice il seguente indirizzo di saluto.

Padre Santo,

con grande gioia siamo venuti - vescovi, parroci, viceparroci, sacerdoti collaboratori - a questo tradizionale appuntamento quaresimale che, proprio per essere tradizionale, manifesta il privilegio concesso ai sacerdoti di Roma di poter incontrare ogni anno il Papa, il nostro Vescovo. La ringraziamo di cuore e desideriamo esprimerLe il nostro affetto sincero e i sentimenti di piena comunione e di filiale obbedienza alla Sua cara persona, al Suo magistero e agli indirizzi pastorali per il cammino ecclesiale della nostra Chiesa.
Stiamo vivendo l'Anno sacerdotale, che Vostra Santità ha indetto per ricordare il millecinquecentesimo della morte del santo curato d'Ars. Lo scorso 19 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, entrando nell'Anno sacerdotale - eravamo presenti anche noi nella basilica di San Pietro - Ella, Padre Santo, ci incoraggiava a contemplare il Cuore trafitto del Crocifisso e ad accogliere l'invito di Gesù a "rimanere nel suo amore" (cfr. Giovanni, 15, 9), aggiungendo che la nostra missione per la Chiesa e per il mondo "domanda fedeltà piena a Cristo e incessante unione con Lui"; un'unione che si traduce nel tendere costantemente alla santità, a crescere nell'intimità con il Signore, lasciandoci conquistare da Lui, come ha fatto san Giovanni Maria Vianney.
All'inizio dell'itinerario quaresimale, tempo favorevole - come ci ricorda san Paolo - per attingere ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova e per progredire in quella che Ella, Padre Santo, ha chiamato "scienza dell'amore", che si apprende solo rimanendo "cuore a cuore" con Cristo, ci apprestiamo a farci guidare da lei, maestro della fede, in una lectio divina sul mistero del sacerdozio, che - siamo certi - darà un forte impulso spirituale al nostro cammino quaresimale. Grazie, Padre Santo, per quello che ci dirà.

(©L'Osservatore Romano - 22-23 febbraio 2010)

Il Papa: I cieli rappresentano oggi in maniera crescente quelle che potremmo chiamare le "autostrade" della viabilità moderna


Il Papa "pilota": fotogallery di Repubblica.it :-)

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Il Papa: Negli ultimi decenni anche per il successore di Pietro l' aereo è diventato un insostituibile strumento di evangelizzazione (Ansaldo)

Il Papa: Anche in una situazione di minaccia terroristica, va sempre rispettato il primato della persona (Galeazzi)

Sicurezza, il Papa: negli aeroporti si rispetti la dignità della persona. Gli aeroporti accoglienti con i pellegrini e chi cerca Dio (Izzo)

Il Papa: «Negli aeroporti resti il valore delle persone» (Corriere)

Benedetto XVI all’Aviazione civile italiana: negli affollati crocevia degli aeroporti, prima di tutto il rispetto della persona (R.V.)

Il Papa interviene sulla sicurezza nei voli: "Va rispettata l'integrità della persona" (Repubblica)

Il Papa ai vertici dell'Enac: la persona è il primo capitale da salvaguardare (Apcom)

UDIENZA AI DIRIGENTI E AL PERSONALE DELL’ENAC (ENTE NAZIONALE PER L’AVIAZIONE CIVILE) E DELL’ENAV (ENTE NAZIONALE PER L’ASSISTENZA AL VOLO), 20.02.2010

Alle ore 12.15 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Dirigenti e il Personale dell’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile Italiana) e dell’ENAV (Ente Nazionale per l’Assistenza al Volo) e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli e Sorelle,

sono lieto di accogliervi e di rivolgere il mio cordiale benvenuto a tutti voi, che rappresentate il variegato mondo dell’aviazione civile italiana. Saluto con deferenza le Autorità civili e militari, con un pensiero speciale per il Signor Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Senatore Altero Matteoli, e il Prof. Vito Riggio, presidente dell’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), che ringrazio per le cortesi parole che mi hanno rivolto. Saluto il Dott. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha voluto presenziare a questo importante incontro. Rivolgo infine il mio pensiero ai dirigenti e a tutti gli operatori dell’ENAC, dell’ENAV (Società Nazionale per l’Assistenza al Volo) e delle altre realtà che compongono il sistema dell’aviazione civile.

Durante l’ultimo secolo, le frontiere della mobilità si sono enormemente ampliate con l’utilizzazione sempre più frequente dell’aereo.

I cieli rappresentano oggi in maniera crescente quelle che potremmo chiamare le "autostrade" della viabilità moderna e, di conseguenza, gli aeroporti sono diventati crocevia privilegiati del villaggio globale; in essi, ogni giorno, come è stato ricordato, transitano milioni di persone.

A voi e alla realtà che rappresentate è affidata la gestione e l’organizzazione sempre più complessa di questo snodo della vita contemporanea e della comunicazione tra persone e popoli. Si tratta di un lavoro spesso discreto e poco conosciuto, che non sempre viene notato dagli utenti, ma che non sfugge agli occhi di Dio, il quale vede la fatica dell'uomo, anche quella nascosta (cfr Mt 6,6).

I compiti a voi affidati sono veramente notevoli! Siete chiamati a regolare e controllare il traffico aereo e a provvedere all'efficienza del sistema nazionale dei trasporti, nel rispetto degli impegni internazionali del Paese; a garantire agli utenti ed alle imprese la sicurezza dei voli, la tutela dei diritti, la qualità dei servizi negli scali e l'equa competitività nel rispetto dell'ambiente. In tali molteplici impegni, è importante ricordare che, in ogni progetto e attività, il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona, nella sua integrità (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, n. 25). Essa, infatti, deve rappresentare il fine e non il mezzo a cui tendere incessantemente. Sant’Ambrogio ci ricorda che "l’uomo è il culmine e quasi il compendio dell’universo, e la suprema bellezza della creazione" (Exameron IX, 75). Il rispetto di tali principi può apparire particolarmente complesso e difficile nell’attuale contesto, a motivo della crisi economica, che provoca problematici effetti nel settore dell’aviazione civile, e della minaccia del terrorismo internazionale, che prende di mira pure gli aeroporti e gli aerei per attuare le proprie trame eversive.

Anche in questa situazione occorre non perdere mai di vista che il rispetto del primato della persona e l’attenzione alle sue necessità, non solo non rendono meno efficace il servizio e non penalizzano la gestione economica, ma, al contrario, rappresentano importanti garanzie di vera efficienza e di autentica qualità.

L’odierno aeroporto appare sempre più specchio del mondo e "luogo" di umanità, dove s’incontrano persone di varie nazionalità, culture e religioni. Nelle aerostazioni passano ogni anno milioni di passeggeri per recarsi nei luoghi di vacanza o di lavoro, per raggiungere i familiari con cui condividere momenti felici o dolorosi. Molti utilizzano l’aereo per compiere un pellegrinaggio alla ricerca di momenti di spiritualità e di esperienza di Dio. In questi anni, poi, l’aeroporto è diventato luogo dove migranti e profughi vivono vicende di attesa, di speranza e di timori per il loro futuro. Inoltre, si rivela sempre più consistente la presenza di bambini e anziani, handicappati e malati, bisognosi di cure e di attenzioni speciali. Negli ultimi decenni, anche per il Successore di Pietro, l’aereo è diventato un insostituibile strumento di evangelizzazione. Come non ricordare qui lo spazio che hanno avuto gli aeroporti e gli aerei nei Viaggi apostolici compiuti da me e dai miei Venerati Predecessori? Di questo prezioso servizio non posso che ringraziare voi tutti!

La Chiesa, inoltre, riserva per il mondo dell’Aviazione civile una particolare cura pastorale. Infatti, come ricordava il Venerabile Papa Giovanni Paolo II pensando proprio al vostro ambiente così vario e complesso: "quanto si desidera… incontrare un volto amico, ascoltare una parola serena, ricevere un gesto di cortesia e di concreta comprensione!" (Omelia all’Aeroporto di Fiumicinio, 10 dicembre 1991). A tali esigenze la Comunità cristiana risponde con il servizio delle Cappelle e dei Cappellani degli Aeroporti, rivolto principalmente al personale di volo e di terra, a quello di polizia, dogana e sicurezza, e a quello medico e paramedico, ma anche a tutti coloro che passano negli aeroporti. Questa presenza ricorda che ogni persona ha una dimensione trascendente, spirituale, e aiuta a riconoscersi una sola famiglia, composta da soggetti che non sono semplicemente uno accanto all’altro, ma che, ponendosi in relazione con gli altri e con Dio, realizzano una solidarietà fraterna fondata sulla giustizia e sulla pace (cfr Lett. enc. Caritas in veritate, nn. 53-54).

Cari amici, il 24 marzo 1920 il mio predecessore Benedetto XV, di venerata memoria, coronando il desiderio di alcuni pionieri dell’aviazione, proclamava la Beata Vergine di Loreto Patrona di tutti gli aeronaviganti, con riferimento all’"arcangelo Gabriele, che dal cielo è sceso per portare a Maria ‘il lieto annuncio’ della Divina Maternità" (Lc 1,26-38) e alla devota tradizione legata alla Santa Casa. Alla Vergine Lauretana affido il vostro lavoro e ogni vostra iniziativa. Ella vi aiuti a cercare sempre e in ogni cosa "il regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33). Vi accompagni la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a ciascuno di voi ed ai vostri cari.

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mercoledì 17 febbraio 2010

Il Papa: Sono, una creatura fragile, fatta di terra e destinata alla terra, ma anche fatta ad immagine di Dio e destinata a Lui. Polvere, sì, ma amata


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Santa Messa, benedizione e imposizione delle Ceneri: Libretto della Celebrazione

IL PAPA ALL'AVENTINO: SERVIZIO DI ROME REPORTS

Vedi anche:

Il Papa nel Mercoledì delle Ceneri: il primo atto di giustizia è riconoscere la propria iniquità. Solo in Cristo l'uomo torna ad essere giusto

Il Papa: La giustizia dell’amore, dono che cambia il mondo (Cardinale)

Il Papa: Dio è Onnipontente, per questo perdona i nostri peccati (Izzo)

Il Papa: siamo polvere sì, ma amata e libera (Asca)

Il Papa: la conversione personale e comunitaria è l’unica via per formare società più giuste (AsiaNews)

Il Papa: un mondo più giusto è possibile malgrado le delusioni. Benedetto XVI sull'Aventino per il rito delle Ceneri (Izzo)

La Messa delle Ceneri presieduta nel pomeriggio dal Papa nella Basilica di Santa Sabina: intervista con il rettore, padre Francesco Ricci

STAZIONE QUARESIMALE PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE NELLA BASILICA DI SANTA SABINA ALL’AVENTINO, 17.02.2010

Questo pomeriggio - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima - ha luogo un’assemblea di preghiera nella forma delle "Stazioni" romane, presieduta dal Santo Padre Benedetto XVI.
Alle ore 16.30, nella Chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si tiene un momento di preghiera cui fa seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione prendono parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.
Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica con il rito di benedizione e di imposizione delle Ceneri
.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell’episcopato,
cari fratelli e sorelle
!

Con questa commovente invocazione, tratta dal Libro della Sapienza (cfr 11,23-26), la liturgia introduce la celebrazione eucaristica del Mercoledì delle Ceneri. Sono parole che, in qualche modo, aprono l’intero itinerario quaresimale, ponendo a suo fondamento l’onnipotenza d’amore di Dio, la sua assoluta signoria su ogni creatura, che si traduce in indulgenza infinita, animata da costante e universale volontà di vita. In effetti, perdonare qualcuno equivale a dirgli: non voglio che tu muoia, ma che tu viva; voglio sempre e soltanto il tuo bene.
Questa assoluta certezza ha sostenuto Gesù durante i quaranta giorni trascorsi nel deserto della Giudea, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni nel Giordano. Quel lungo tempo di silenzio e di digiuno fu per Lui un abbandonarsi completamente al Padre e al suo disegno d’amore; fu esso stesso un “battesimo”, cioè un’“immersione” nella sua volontà, e in questo senso un anticipo della Passione e della Croce. Inoltrarsi nel deserto e rimanervi a lungo, da solo, significava esporsi volontariamente agli assalti del nemico, il tentatore che ha fatto cadere Adamo e per la cui invidia la morte è entrata nel mondo (cfr Sap 2,24); significava ingaggiare con lui la battaglia in campo aperto, sfidarlo senza altre armi che la fiducia sconfinata nell’amore onnipotente del Padre. Mi basta il tuo amore, mi cibo della tua volontà (cfr Gv 4,34): questa convinzione abitava la mente e il cuore di Gesù durante quella sua “quaresima”.

Non fu un atto di orgoglio, un’impresa titanica, ma una scelta di umiltà, coerente con l’Incarnazione ed il Battesimo nel Giordano, nella stessa linea di obbedienza all’amore misericordioso del Padre, che ha “tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16).

Tutto questo il Signore Gesù lo ha fatto per noi. Lo ha fatto per salvarci, e al tempo stesso per mostrarci la via per seguirlo. La salvezza, infatti, è dono, è grazia di Dio, ma per avere effetto nella mia esistenza richiede il mio assenso, un’accoglienza dimostrata nei fatti, cioè nella volontà di vivere come Gesù, di camminare dietro a Lui. Seguire Gesù nel deserto quaresimale è dunque condizione necessaria per partecipare alla sua Pasqua, al suo “esodo”.

Adamo fu cacciato dal Paradiso terrestre, simbolo della comunione con Dio; ora, per ritornare a questa comunione e dunque alla vera vita la vita eterna, bisogna attraversare il deserto, la prova della fede.

Non da soli, ma con Gesù! Lui – come sempre – ci ha preceduto e ha già vinto il combattimento contro lo spirito del male. Ecco il senso della Quaresima, tempo liturgico che ogni anno ci invita a rinnovare la scelta di seguire Cristo sulla via dell’umiltà per partecipare alla sua vittoria sul peccato e sulla morte.

In questa prospettiva si comprende anche il segno penitenziale delle Ceneri, che vengono imposte sul capo di quanti iniziano con buona volontà l’itinerario quaresimale.

E’ essenzialmente un gesto di umiltà, che significa: mi riconosco per quello che sono, una creatura fragile, fatta di terra e destinata alla terra, ma anche fatta ad immagine di Dio e destinata a Lui. Polvere, sì, ma amata, plasmata dal suo amore, animata dal suo soffio vitale, capace di riconoscere la sua voce e di rispondergli; libera e, per questo, capace anche di disobbedirgli, cedendo alla tentazione dell’orgoglio e dell’autosufficienza.

Ecco il peccato, malattia mortale entrata ben presto ad inquinare la terra benedetta che è l’essere umano. Creato ad immagine del Santo e del Giusto, l’uomo ha perduto la propria innocenza ed ora può ritornare ad essere giusto solo grazie alla giustizia di Dio, la giustizia dell’amore che – come scrive san Paolo – “si è manifestata per mezzo della fede in Cristo” (Rm 3,22). Da queste parole dell’Apostolo ho tratto lo spunto per il mio Messaggio, rivolto a tutti i fedeli in occasione di questa Quaresima: una riflessione sul tema della giustizia alla luce delle Sacre Scritture e del loro compimento in Cristo.
Anche nelle letture bibliche del Mercoledì delle Ceneri è ben presente il tema della giustizia. Innanzitutto, la pagina del profeta Gioele e il Salmo responsoriale – il Miserere – formano un dittico penitenziale, che mette in risalto come all’origine di ogni ingiustizia materiale e sociale vi sia quella che la Bibbia chiama “iniquità”, cioè il peccato, che consiste fondamentalmente in una disobbedienza a Dio, vale a dire una mancanza d’amore. “Sì – confessa il Salmista – le mie iniquità io le riconosco, / il mio peccato mi sta sempre dinanzi. / Contro te, contro te solo ho peccato, / quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (Sal 50/51,5-6). Il primo atto di giustizia è dunque riconoscere la propria iniquità, e riconoscere che questa è radicata nel “cuore”, nel centro stesso della persona umana.

I “digiuni”, i “pianti”, i “lamenti” (cfr Gl 2,12) ed ogni espressione penitenziale hanno valore agli occhi di Dio solo se sono segno di cuori sinceramente pentiti. Anche il Vangelo, tratto dal “discorso della montagna”, insiste sull’esigenza di praticare la propria “giustizia” – elemosina, preghiera, digiuno – non davanti agli uomini, ma solo agli occhi di Dio, che “vede nel segreto” (cfr Mt 6,1-6.16-18).

La vera “ricompensa” non è l’ammirazione degli altri, ma l’amicizia con Dio e la grazia che ne deriva, una grazia che dona pace e forza di compiere il bene, di amare anche chi non lo merita, di perdonare chi ci ha offeso.


La seconda lettura, l’appello di Paolo a lasciarsi riconciliare con Dio (cfr 2 Cor 5,20), contiene uno dei celebri paradossi paolini, che riconduce tutta la riflessione sulla giustizia al mistero di Cristo. Scrive San Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato – cioè il suo Figlio fatto uomo –, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Cor 5,21). Nel cuore di Cristo, cioè nel centro della sua Persona divino-umana, si è giocato in termini decisivi e definitivi tutto il dramma della libertà. Dio ha portato alle estreme conseguenze il proprio disegno di salvezza, rimanendo fedele al suo amore anche a costo di consegnare il Figlio unigenito alla morte, e alla morte di croce. Come ho scritto nel Messaggio quaresimale, “qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana … Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia «più grande», che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10)”.
Cari fratelli e sorelle, la Quaresima allarga il nostro orizzonte, ci orienta verso la vita eterna. In questa terra siamo in pellegrinaggio, non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura dice la lettera agli ebrei. La Quaresima fa capire la relatività dei beni di questa terra e così ci rende capaci per le rinunce necessarie, liberi per fare il bene. Apriamo la terra per la luce del cielo, per la presenza di Dio in mezzo a noi. Amen

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