lunedì 28 febbraio 2011

Il Papa: La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza

Vedi anche:

Il gesuita Antonio Spadaro parla della trasmissione della fede nell'era digitale. Una rete intrecciata al mondo (Fabio Colagrande)

Magistrale intervento di Benedetto XVI "l'innovatore" sul tema "Linguaggio e comunicazione" (Matteo Orlando)

L’appello del Papa: «Nel mondo dei media i credenti sono chiamati ad aprire orizzonti di senso e di valore» (Liut)

Il Papa e le ambivalenze del linguaggio che muta (Massimo Introvigne)

Così comunicatori e testimoni. In questi giorni la plenaria del dicastero guidato da Celli: «I cristiani si distinguano per lo stile con cui usano i nuovi mezzi e linguaggi» (Mastrofini)

Abitare il digitale. Il Papa oggi: new media e contributo dei credenti (Sir)

Benedetto XVI si sofferma sui new media. Il Papa non vuole ammonire o prescrivere (Di Majo)

Il Papa: i media promuovano i valori spirituali, non la violenza. Matteo Ricci è stato un grande comunicatore (Izzo)

Mons. Celli: Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo (R.V.)

Il Papa: La riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente (Sir)

Il Papa: Il contributo dei credenti potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media

Benedetto XVI: la Chiesa impari i linguaggi dei nuovi media per innestare il Vangelo nella cultura digitale (Radio Vaticana)

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, 28.02.2011

Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, convocata a Roma da oggi a giovedì 3 marzo sul tema "Linguaggio e comunicazione".
Nel corso dell’incontro, dopo l’indirizzo di omaggio del Presidente del Dicastero, S.E. Mons. Claudio Maria Celli, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli e Sorelle,

sono lieto di accogliervi in occasione della Plenaria del Dicastero. Saluto il Presidente, Mons. Claudio Maria Celli, che ringrazio per le cortesi parole, i Segretari, gli Officiali, i Consultori e tutto il Personale.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, ho invitato a riflettere sul fatto che le nuove tecnologie non solamente cambiano il modo di comunicare, ma stanno operando una vasta trasformazione culturale.

Si va sviluppando un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e costruire comunione. Vorrei adesso soffermarmi sul fatto che il pensiero e la relazione avvengono sempre nella modalità del linguaggio, inteso naturalmente in senso lato, non solo verbale.

Il linguaggio non è un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole. L’uomo, dunque, non solo «usa» ma, in certo senso, «abita» il linguaggio.

In particolare oggi, quelle che il Concilio Vaticano II ha definito «meravigliose invenzioni tecniche» (Inter mirifica, 1) stanno trasformando l’ambiente culturale, e questo richiede un’attenzione specifica ai linguaggi che in esso si sviluppano. Le nuove tecnologie «hanno la capacità di pesare non solo sulle modalità, ma anche sui contenuti del pensiero» (Aetatis novae, 4).

I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano, tra l’altro, una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali.

La tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni.

Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente. Il punto di partenza è la stessa Rivelazione, che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini, «secondo la cultura propria di ogni epoca» (Gaudium et spes, 58), fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato. La fede sempre penetra, arricchisce, esalta e vivifica la cultura, e questa, a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi. È necessario quindi farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all’opera di Dio nel mondo.

In questo contesto, è importante il lavoro che svolge il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali nell’approfondire la "cultura digitale", stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile. Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo.

È l’impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il «nuovo linguaggio» dei media in funzione pastorale (cfr Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?

Il mondo della comunicazione interessa l’intero universo culturale, sociale e spirituale della persona umana. Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione.

La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza.

Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo.

È inoltre da considerare che la comunicazione ai tempi dei «nuovi media» comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine, dai computer ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni. Quali saranno gli effetti di questa relazione costante?

Già il Papa Paolo VI, riferendosi ai primi progetti di automazione dell’analisi linguistica del testo biblico, indicava una pista di riflessione quando si chiedeva: «Non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? È lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata ad eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio?» (Discorso al Centro di Automazione dell’Aloisianum di Gallarate, 19 giugno 1964). Si intuisce in queste parole il legame profondo con lo spirito a cui la tecnologia è chiamata per vocazione (cfr Enc. Caritas in veritate, 69).

È proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione.

Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravedere e rappresentare.

In conclusione mi piace ricordare, insieme a molte altre figure di comunicatori, quella di padre Matteo Ricci, protagonista dell’annuncio del Vangelo in Cina nell’era moderna, del quale abbiamo celebrato il IV centenario della morte. Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo.

Cari amici, vi ringrazio per il vostro servizio; lo affido alla protezione della Vergine Maria e, nell’assicurarvi la mia preghiera, vi imparto la Benedizione Apostolica.

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domenica 27 febbraio 2011

Il Papa: La fede nella Provvidenza non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani


ANGELUS DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Un altro stile. Benedetto XVI sul rapporto dell'uomo con Dio e con la ricchezza (Sir)

Il Papa: Impariamo a vivere secondo uno stile piu' semplice e sobrio. La fede è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo (Izzo)

Il Papa ricorda all’Angelus che non si possono servire due padroni: Dio e la ricchezza; invita quindi a vivere con semplicità e sobrietà (Radio Vaticana)

Il Papa: la fede nella Provvidenza non è fatalismo e non libera dalla necessità di impegnarsi (AsiaNews)

Il Papa: affidiamo alla Vergine Maria la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia (TMNews)

Il Papa: Impariamo a vivere con uno stile più semplice e sobrio

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 27.02.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nella Liturgia odierna riecheggia una delle parole più toccanti della Sacra Scrittura. Lo Spirito Santo ce l’ha donata mediante la penna del cosiddetto "secondo Isaia", il quale, per consolare Gerusalemme abbattuta dalle sventure, così si esprime: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai" (Is 49,15).
Questo invito alla fiducia nell’indefettibile amore di Dio viene accostato alla pagina, altrettanto suggestiva, del Vangelo di Matteo, in cui Gesù esorta i suoi discepoli a confidare nella provvidenza del Padre celeste, il quale nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo, e conosce ogni nostra necessità (cfr 6,24-34). Così si esprime il Maestro: "Non preoccupatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno".

Di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria, questo discorso di Gesù potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo. In realtà, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza. Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà. E ciò è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo. La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani.

E’ chiaro che questo insegnamento di Gesù, pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni: un frate francescano potrà seguirlo in maniera più radicale, mentre un padre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso la moglie e i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù. E’ proprio la relazione con Dio Padre che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione. Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio.

Cari amici, alla luce della Parola di Dio di questa domenica, vi invito ad invocare la Vergine Maria con il titolo di Madre della divina Provvidenza. A lei affidiamo la nostra vita, il cammino della Chiesa, le vicende della storia. In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia.

DOPO L’ANGELUS

Alors que la solitude est une épreuve pour de nombreuses personnes, la liturgie nous rappelle aujourd’hui, chers pèlerins francophones, que Dieu ne nous oublie pas et que nous avons du prix à ses yeux. Puissions-nous acquérir un regard capable de discerner sa présence au cœur de notre vie ! Car rechercher le Royaume de Dieu nous libère de la peur du lendemain et nous ouvre à la confiance et à l’espérance qui ne déçoit point. Je vous invite à être pour ceux qui vous entourent les témoins de l’amour de Dieu, plus tendre que celui d’une mère pour son enfant, et à prier pour que la justice et le dialogue l’emportent sur le profit et la violence. A tous, je souhaite un bon dimanche !

I welcome all the English-speaking pilgrims and visitors gathered for this Angelus prayer. In today’s Gospel Jesus invites us to trust in the provident care of our heavenly Father and to seek first his Kingdom and its righteousness. May his words inspire us to see all things in their true perspective and to live our lives in joyful faith and sure hope in God’s promises. Upon you and your families I invoke the Lord’s abundant blessings!

Gerne grüße ich die Pilger und Gäste aus den Ländern deutscher Sprache. Zur Grundhaltung des christlichen Lebens gehört das Vertrauen in Gottes Güte und Vorsehung. Bei aller notwendigen Sorge um die Dinge des täglichen Lebens darf das Eigentliche, das Wesentliche nicht aus dem Blick geraten, nämlich Gott selbst. „Euch muß es zuerst um das Reich Gottes und seine Gerechtigkeit gehen, dann wird euch alles andere dazugegeben" (vgl. Mt 6,33), mahnt uns der Herr im heutigen Evangelium. So wollen wir uns auch im Alltag ganz der Gegenwart Gottes öffnen. Er hilft uns, unsere Aufgaben zu meistern, und macht uns bereit, den Mitmenschen in Not beizustehen. Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag und eine gute Woche.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular al grupo de peregrinos de las parroquias de Santa Eulalia y de Santa Cruz, de la diócesis de Ibiza, acompañados de su Obispo, así como a los fieles provenientes de la parroquia de San Miguel Arcángel de Villanueva, de Córdoba. La liturgia de este día nos exhorta a confiar en la providencia divina; recordándonos que somos amados por Dios y asistidos por su auxilio. Os invito a corresponder a dicho amor, a imitación de la Virgen María, cuya existencia terrena se mostró siempre bajo el signo de la gratuidad y de la alabanza, para que así experimentéis la paz verdadera y la alegría auténtica. Feliz domingo.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Liturgia dzisiejszej niedzieli wzywa nas, abyśmy ufali Bożej Opatrzności i zawierzyli Jej wszystkie nasze troski, kłopoty i niepokoje o przyszłość. „Starajcie się naprzód o królestwo Boga i o Jego sprawiedliwość, a wszystko będzie wam dodane" – mówi Chrystus (Mt 6, 33). Niech nie gaśnie w nas ta ufność i niech budzi gotowość do pomocy tym, którzy ją tracą na skutek trudnych doświadczeń życiowych. Niech Bóg wam błogosławi.

[Rivolgo un cordiale saluto ai polacchi. La liturgia della domenica odierna ci invita ad avere fiducia nella Divina Provvidenza e ad affidarLe tutte le nostre angosce, difficoltà e preoccupazioni per il futuro: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Non si spenga in noi questa fiducia e susciti in noi la prontezza ad aiutare coloro che la perdono a causa delle difficili esperienze di vita. Dio vi benedica!]

Srdečne pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Cirkevného gymnázia Štefana Mišíka zo Spišskej Novej Vsi. Bratia a sestry, milí mladí, prajem vám, aby púť do Ríma posilnila vaše puto s Kristom a s jeho Cirkvou. Všetkých vás žehnám. Pochválený buď Ježiš Kristus!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli del Ginnasio Cattolico Štefan Mišík di Spišská Nová Ves. Fratelli e sorelle, cari giovani, vi auguro che il pellegrinaggio a Roma approfondisca il vostro legame con Cristo e con la sua Chiesa. A tutti la mia benedizione. Sia lodato Gesù Cristo!]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare la rappresentanza venuta in occasione della "Giornata per le malattie rare", con una preghiera speciale e un augurio per la ricerca in questo campo. Saluto i fedeli provenienti da Moncalvo e Ivrea, da Giussano, Cologno al Serio, Modena, Rimini e Cervia, Incisa Valdarno, Foligno e Spello, dalla diocesi di Concordia-Pordenone e dalla parrocchia romana di Santa Francesca Cabrini; i Salesiani Cooperatori di Latina, l’associazione culturale "L’Ottimista", il gruppo "Arcobaleno" di Modena, i ragazzi di Lodi e gli alunni della scuola "Don Carlo Costamagna" di Busto Arsizio. A tutti auguro una buona domenica.

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sabato 26 febbraio 2011

Lettera di Benedetto XVI al card. Nasrallah Pierre Sfeir nel momento in cui accetta la sua rinuncia all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti

LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A S.B. IL CARDINALE NASRALLAH PIERRE SFEIR AL TERMINE DEL SUO SERVIZIO COME PATRIARCA DI ANTIOCHIA DEI MARONITI, 26.02.2011

Pubblichiamo di seguito il testo della Lettera che il Santo Padre Benedetto XVI ha indirizzato a Sua Beatitudine il Cardinale Nasrallah Pierre Sfeir nel momento in cui accetta la sua rinuncia all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti:

LETTERA DEL SANTO PADRE

A Sua Beatitudine Eminentissima
il Cardinale Nasrallah Pierre Sfeir
Patriarca di Antiochia dei Maroniti


L'anno dedicato al milleseicentesimo della morte di san Marone giunge alla sua conclusione: durante questo giubileo eccezionale, alla Chiesa maronita è stato concesso un tempo di grazia. È anche il coronamento del suo servizio per la maggior gloria di Dio e il bene di tutti i suoi fedeli.

Dio, nel suo amore insondabile, l'ha modellata e contraddistinta con il proprio segno indelebile per una particolare elezione al suo servizio. Questa scelta segreta ha trovato un riscontro nella sua risposta libera ed entusiasta secondo l'esempio della Madre di Dio: «avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38).

Lo scorso anno lei ha potuto celebrare il sessantesimo di sacerdozio: testimonianza di fedeltà e di amore per Gesù Cristo, Sommo Sacerdote. Nel prossimo mese di luglio avrà di nuovo l'occasione di elevare un'azione di rendimento di grazie alla Santa Trinità per il compimento di cinquant'anni di episcopato.

Per quasi venticinque anni ha collaborato con i suoi due predecessori nella Sede di Antiochia, prima di essere scelto dal Sinodo come loro successore il 19 aprile 1986: un momento importante che la pone oggi alle soglie del giubileo d'argento in questo ufficio.

Ha iniziato il nobile ministero di Patriarca di Antiochia dei Maroniti nella tormenta della guerra che ha insanguinato il Libano per troppo tempo. È con l'ardente desiderio di pace per il suo Paese che ha guidato questa Chiesa e percorso il mondo per consolare il suo popolo costretto a emigrare. Infine, la pace è ritornata, sempre fragile, ma sempre attuale.

Papa Giovanni Paolo II, che avrò la gioia di beatificare il prossimo 1° maggio, l'ha chiamata a far parte del Collegio dei Cardinali il 26 novembre 1994, per inserirla in una comunione più profonda con la Chiesa Universale. La visita del mio venerabile predecessore a Beirut, nel 1997, per firmare l'Esortazione apostolica post-sinodale Una speranza nuova per il Libano ha segnato di nuovo il legame costante della sua Chiesa con il Successore di Pietro.

Quando ho convocato il Sinodo speciale per il Medio Oriente nel settembre del 2009, l'ho nominata Presidente delegato ad honorem per sottolineare l'importanza del servizio ecclesiale che lei ha svolto nel nome di Cristo.

Negli ultimi giorni ho benedetto la statua di san Marone, collocata in una nicchia della Basilica di San Pietro al termine dell'anno giubilare e ho quindi potuto salutare lei, come pure il Presidente della Repubblica del Libano e numerosi vescovi e fedeli.

Lei ha scelto di rinunciare all'ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti in questa circostanza molto particolare. Ora accetto la sua decisione libera e generosa, che è espressione di grande umiltà e profondo distacco. Sono certo che accompagnerà sempre il cammino della Chiesa maronita con la sua preghiera, il suo saggio consiglio e i sacrifici.

Chiedo a Dio Onnipotente, per intercessione di san Marone e di Nostra Signora del Libano, di colmarla delle sue benedizioni. Di tutto cuore imparto a lei la Benedizione Apostolica, come pure ai vescovi, ai sacerdoti e alle persone consacrate, nonché a tutti i fedeli della Chiesa maronita e all'amata Nazione Libanese.

Dal Vaticano, 26 febbraio 2011

BENEDICTUS PP XVI

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(Traduzione Osservatore Romano)

Il Papa: Nella coscienza morale Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità

Vedi anche:

Discorso del Papa all'Accademia per la Vita (Rome Reports)

Il discorso di Benedetto XVI sull'aborto. Per difendere la comune umanità (Lucetta Scaraffia)

Staminali dal cordone: il Papa fa scienza (Carlo Bellieni)

Discorso del Papa alla Pontifica Accademia per la Vita: il commento di Franca Giansoldati

A quanti vorrebbero negare l’esistenza della coscienza morale nell’uomo. Il commento di Michelangelo Nasca

Discorso del Papa alla Pontifica Accademia per la Vita: il commento di Giacomo Galeazzi

Discorso del Papa alla Pontifica Accademia per la Vita: il commento di Federica Mandelli

Il Papa: L’aborto è un dramma, le donne che lo hanno praticato vanno aiutate (Il Giornale)

Il Papa ha capito che nelle "banche della vita" c'è un bel po' di egoismo. Dubbi anche dalla comunità scientifica (Carlo Bellieni)

Il Papa: Nella coscienza morale il vero cuore dell’umano (Colombo)

Discorso del Papa alla Pontifica Accademia per la Vita: il commento di Carlo Marroni

L'Osservatore Romano segnala preventivamente il pericolo di leggere il discorso del Papa sull'aborto con i soliti stereotipi caricaturali

Il Papa: L'aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare (Izzo)

Lettera del Papa in occasione della rinuncia del cardinale Sfeir all'ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti

Il Papa: l'aborto lascia ferite profonde. Tanti padri dei bambini spesso lasciano sole le donne incinte. Cordone ombelicale, Benedetto XVI: donazione contro le speculazioni (Izzo)

Il Papa pone l'accento sui "condizionamenti" che inducono le donne ad abortire

Il Papa: E' necessario "porre l'attenzione sulla coscienza, talvolta offuscata, dei padri dei bambini, che spesso lasciano sole le donne incinte"

Benedetto XVI: l'aborto uccide il bambino e rovina la famiglia, i medici lo dicano con coraggio. Alle donne: Dio non abbandona chi sbaglia (Radio Vaticana)

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, 26.02.2011

Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla XVII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita. I membri della Pontificia Accademia, riuniti dal 24 febbraio, hanno affrontato quest’anno due temi: "Le banche di cordone ombelicale" e "Il trauma post-aborto".
Nel corso dell’incontro che conclude i lavori della plenaria, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Fratelli e Sorelle
,

vi accolgo con gioia in occasione dell’Assemblea annuale della Pontificia Accademia per la Vita. Saluto in particolare il Presidente, Mons. Ignacio Carrasco de Paula, e lo ringrazio per le sue cortesi parole. A ciascuno rivolgo il mio cordiale benvenuto! Nei lavori di questi giorni avete affrontato temi di rilevante attualità, che interrogano profondamente la società contemporanea e la sfidano a trovare risposte sempre più adeguate al bene della persona umana.

La tematica della sindrome post-abortiva - vale a dire il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all’aborto volontario - rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogniqualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia. In questa riflessione sarebbe utile anche porre l’attenzione sulla coscienza, talvolta offuscata, dei padri dei bambini, che spesso lasciano sole le donne incinte.

La coscienza morale - insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica - è quel "giudizio della ragione, mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto" (n. 1778).

È infatti compito della coscienza morale discernere il bene dal male nelle diverse situazioni dell’esistenza, affinché, sulla base di questo giudizio, l’essere umano possa liberamente orientarsi al bene. A quanti vorrebbero negare l’esistenza della coscienza morale nell’uomo, riducendo la sua voce al risultato di condizionamenti esterni o ad un fenomeno puramente emotivo, è importante ribadire che la qualità morale dell’agire umano non è un valore estrinseco oppure opzionale e non è neppure una prerogativa dei cristiani o dei credenti, ma accomuna ogni essere umano.

Nella coscienza morale Dio parla a ciascuno e invita a difendere la vita umana in ogni momento. In questo legame personale con il Creatore sta la dignità profonda della coscienza morale e la ragione della sua inviolabilità.

Nella coscienza l’uomo tutto intero - intelligenza, emotività, volontà - realizza la propria vocazione al bene, cosicché la scelta del bene o del male nelle situazioni concrete dell’esistenza finisce per segnare profondamente la persona umana in ogni espressione del suo essere. Tutto l’uomo, infatti, rimane ferito quando il suo agire si svolge contrariamente al dettame della propria coscienza. Tuttavia, anche quando l’uomo rifiuta la verità e il bene che il Creatore gli propone, Dio non lo abbandona, ma, proprio attraverso la voce della coscienza, continua a cercarlo e a parlargli, affinché riconosca l’errore e si apra alla Misericordia divina, capace di sanare qualsiasi ferita.

I medici, in particolare, non possono venire meno al grave compito di difendere dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino. Specialmente in quest’ultima situazione, la donna viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto "terapeutico" per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia, e un "ingiusto" peso alla società. Su uno sfondo culturale caratterizzato dall’eclissi del senso della vita, in cui si è molto attenuata la comune percezione della gravità morale dell’aborto e di altre forme di attentati contro la vita umana, si richiede ai medici una speciale fortezza per continuare ad affermare che l’aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare.

Tale compito, tuttavia, non riguarda solo la professione medica e gli operatori sanitari. È necessario che la società tutta si ponga a difesa del diritto alla vita del concepito e del vero bene della donna, che mai, in nessuna circostanza, potrà trovare realizzazione nella scelta dell’aborto. Parimenti sarà necessario - come indicato dai vostri lavori - non far mancare gli aiuti necessari alle donne che, avendo purtroppo già fatto ricorso all’aborto, ne stanno ora sperimentando tutto il dramma morale ed esistenziale. Molteplici sono le iniziative, a livello diocesano o da parte di singoli enti di volontariato, che offrono sostegno psicologico e spirituale, per un recupero umano pieno. La solidarietà della comunità cristiana non può rinunciare a questo tipo di corresponsabilità. Vorrei richiamare a tale proposito l’invito rivolto dal Venerabile Giovanni Paolo II alle donne che hanno fatto ricorso all’aborto: "La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto.

Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita" (Enc. Evangelium vitae, 99).

La coscienza morale dei ricercatori e di tutta la società civile è intimamente implicata anche nel secondo tema oggetto dei vostri lavori: l’utilizzo delle banche del cordone ombelicale, a scopo clinico e di ricerca.

La ricerca medico-scientifica è un valore, e dunque un impegno, non solo per i ricercatori, ma per l’intera comunità civile. Ne scaturisce il dovere di promozione di ricerche eticamente valide da parte delle istituzioni e il valore della solidarietà dei singoli nella partecipazione a ricerche volte a promuovere il bene comune. Questo valore, e la necessità di questa solidarietà, si evidenziano molto bene nel caso dell’impiego delle cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale.

Si tratta di applicazioni cliniche importanti e di ricerche promettenti sul piano scientifico, ma che nella loro realizzazione molto dipendono dalla generosità nella donazione del sangue cordonale al momento del parto e dall’adeguamento delle strutture, per rendere attuativa la volontà di donazione da parte delle partorienti. Invito, pertanto, tutti voi a farvi promotori di una vera e consapevole solidarietà umana e cristiana. A tale proposito, molti ricercatori medici guardano giustamente con perplessità al crescente fiorire di banche private per la conservazione del sangue cordonale ad esclusivo uso autologo. Tale opzione - come dimostrano i lavori della vostra Assemblea - oltre ad essere priva di una reale superiorità scientifica rispetto alla donazione cordonale, indebolisce il genuino spirito solidaristico che deve costantemente animare la ricerca di quel bene comune a cui, in ultima analisi, la scienza e la ricerca mediche tendono.

Cari Fratelli e Sorelle, rinnovo l’espressione della mia riconoscenza al Presidente e a tutti i Membri della Pontificia Accademia per la Vita per il valore scientifico ed etico con cui realizzate il vostro impegno a servizio del bene della persona umana. Il mio augurio è che manteniate sempre vivo lo spirito di autentico servizio che rende le menti e i cuori sensibili a riconoscere i bisogni degli uomini nostri contemporanei. A ciascuno di voi e ai vostri cari imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

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mercoledì 23 febbraio 2011

Il Papa: San Roberto Bellarmino insegna con grande chiarezza e con l’esempio della vita che non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’è la nostra personale riforma e la conversione del nostro cuore

CICLO DI CATECHESI SUI DOTTORI DELLA CHIESA

BENEDIZIONE DELLA STATUA DI SAN MARONE E UDIENZA GENERALE: IL VIDEO

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Dove sta la vera riforma (Rodari)

La fiaccola benedettina all'udienza generale (Osservatore Romano)

Il Papa dedica l'udienza generale a San Roberto Bellarmino (Rome Reports)

Ciò che san Bellarmino dice alla Chiesa oggi (Tornielli)

Il Papa benedice la statua di San Marone (R.V.)

Ente Nazionale Sordi all'udienza generale, traduzione in Lis (Izzo)

Il Papa all’udienza generale parla di San Roberto Bellarmino: non c’è vera riforma della Chiesa senza una riforma personale e la conversione del cuore (R.V.)

Domani il Papa riceverà in udienza il presidente libanense, oggi presente alla benedizione della statua di San Marone

Il Papa: Alla fine del sedicesimo secolo "una grave crisi politica e religiosa provocò il distacco di intere Nazioni dalla Sede Apostolica". Saggezza è saper distinguere vero bene da vero male (Izzo)

Il Papa: Non c'è riforma della Chiesa senza conversione personale (TMNews)

Il Papa: non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’e riforma della propria vita (AsiaNews)

Sisma Nuova Zelanda, il Papa: "Chiediamo a Dio di alleviare le sofferenze"

Il Papa: la vera riforma è quella del cuore (Sir)

Il Papa: L’eredità di san Bellarmino “sta nel modo con cui concepì il suo lavoro" (Sir)

Il Papa: San Roberto Bellarmino ci porta con la memoria al tempo della dolorosa scissione della cristianità occidentale, quando una grave crisi politica e religiosa provocò il distacco di intere Nazioni dalla Sede apostolica

L’UDIENZA GENERALE, 23.02.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sulla figura di San Roberto Bellarmino, della Compagnia di Gesù, Cardinale, Vescovo e Dottore della Chiesa (1542-1621).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica
.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Roberto Bellarmino

Cari fratelli e sorelle,

San Roberto Bellarmino, del quale desidero parlarvi oggi, ci porta con la memoria al tempo della dolorosa scissione della cristianità occidentale, quando una grave crisi politica e religiosa provocò il distacco di intere Nazioni dalla Sede Apostolica.

Nato il 4 ottobre 1542 a Montepulciano, presso Siena, era nipote, per parte di madre, del Papa Marcello II. Ebbe un’eccellente formazione umanistica prima di entrare nella Compagnia di Gesù il 20 settembre 1560. Gli studi di filosofia e teologia, che compì tra il Collegio Romano, Padova e Lovanio, incentrati su san Tommaso e i Padri della Chiesa, furono decisivi per il suo orientamento teologico. Ordinato sacerdote il 25 marzo 1570, fu per alcuni anni professore di teologia a Lovanio. Successivamente, chiamato a Roma come professore al Collegio Romano, gli fu affidata la cattedra di “Apologetica”; nel decennio in cui ricoprì tale incarico (1576 – 1586) elaborò un corso di lezioni che confluirono poi nelle Controversiae, opera divenuta subito celebre per la chiarezza e la ricchezza di contenuti e per il taglio prevalentemente storico. Si era concluso da poco il Concilio di Trento e per la Chiesa Cattolica era necessario rinsaldare e confermare la propria identità anche rispetto alla Riforma protestante. L’azione del Bellarmino si inserì in questo contesto. Dal 1588 al 1594 fu prima padre spirituale degli studenti gesuiti del Collegio Romano, tra i quali incontrò e diresse san Luigi Gonzaga e poi superiore religioso. Il Papa Clemente VIII lo nominò teologo pontificio, consultore del Sant’Uffizio e rettore del Collegio dei Penitenzieri della Basilica di san Pietro. Al biennio 1597 – 1598 risale il suo catechismo, Dottrina cristiana breve, che fu il suo lavoro più popolare.

Il 3 marzo 1599 fu creato cardinale dal Papa Clemente VIII e, il 18 marzo 1602, fu nominato arcivescovo di Capua. Ricevette l’ordinazione episcopale il 21 aprile dello stesso anno. Nei tre anni in cui fu vescovo diocesano, si distinse per lo zelo di predicatore nella sua cattedrale, per la visita che realizzava settimanalmente alle parrocchie, per i tre Sinodi diocesani e un Concilio provinciale cui diede vita. Dopo aver partecipato ai conclavi che elessero Papi Leone XI e Paolo V, fu richiamato a Roma, dove fu membro delle Congregazioni del Sant’Uffizio, dell’Indice, dei Riti, dei Vescovi e della Propagazione della Fede. Ebbe anche incarichi diplomatici, presso la Repubblica di Venezia e l’Inghilterra, a difesa dei diritti della Sede Apostolica. Nei suoi ultimi anni compose vari libri di spiritualità, nei quali condensò il frutto dei suoi esercizi spirituali annuali. Dalla lettura di essi il popolo cristiano trae ancora oggi grande edificazione. Morì a Roma il 17 settembre 1621. Il Papa Pio XI lo beatificò nel 1923, lo canonizzò nel 1930 e lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1931.

San Roberto Bellarmino svolse un ruolo importante nella Chiesa degli ultimi decenni del secolo XVI e dei primi del secolo successivo.

Le sue Controversiae costituirono un punto di riferimento ancora valido per l’ecclesiologia cattolica sulle questioni circa la Rivelazione, la natura della Chiesa, i Sacramenti e l’antropologia teologica. In esse appare accentuato l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni. Tuttavia Bellarmino chiarì gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo Mistico e li illustrò con l’analogia del corpo e dell’anima, al fine di descrivere il rapporto tra le ricchezze interiori della Chiesa e gli aspetti esteriori che la rendono percepibile.

In questa monumentale opera, che tenta di sistematizzare le varie controversie teologiche dell’epoca, egli evita ogni taglio polemico e aggressivo nei confronti delle idee della Riforma, ma utilizzando gli argomenti della ragione e della Tradizione della Chiesa, illustra in modo chiaro ed efficace la dottrina cattolica.

Tuttavia, la sua eredità sta nel modo con cui concepì il suo lavoro. I gravosi uffici di governo non gli impedirono, infatti, di tendere quotidianamente verso la santità con la fedeltà alle esigenze del proprio stato di religioso, sacerdote e vescovo. Da questa fedeltà discende il suo impegno nella predicazione. Essendo, come sacerdote e vescovo, innanzitutto un pastore d’anime, sentì il dovere di predicare assiduamente.

Sono centinaia i sermones – le omelie – tenuti nelle Fiandre, a Roma, a Napoli e a Capua in occasione di celebrazioni liturgiche. Non meno abbondanti sono le expositiones e le explanationes ai parroci, alle religiose, agli studenti del Collegio Romano, che hanno spesso per oggetto la sacra Scrittura, specialmente le Lettere di san Paolo. La sua predicazione e le sue catechesi presentano quel medesimo carattere di essenzialità che aveva appreso dall’educazione ignaziana, tutta rivolta a concentrare le forze dell’anima sul Signore Gesù intensamente conosciuto, amato e imitato.

Negli scritti di quest’uomo di governo si avverte in modo molto chiaro, pur nella riservatezza dietro la quale cela i suoi sentimenti, il primato che egli assegna agli insegnamenti del Signore. San Bellarmino offre così un modello di preghiera, anima di ogni attività: una preghiera che ascolta la Parola del Signore, che è appagata nel contemplarne la grandezza, che non si ripiega su se stessa, ma è lieta di abbandonarsi a Dio. Un segno distintivo della spiritualità del Bellarmino è la percezione viva e personale dell’immensa bontà di Dio, per cui il nostro Santo si sentiva veramente figlio amato da Lui ed era fonte di grande gioia il raccogliersi, con serenità e semplicità, in preghiera, in contemplazione di Dio. Nel suo libro De ascensione mentis in Deum - Elevazione della mente a Dio - composto sullo schema dell’Itinerarium di san Bonaventura, esclama: «O anima, il tuo esemplare è Dio, bellezza infinita, luce senza ombre, splendore che supera quello della luna e del sole. Alza gli occhi a Dio nel quale si trovano gli archetipi di tutte le cose, e dal quale, come da una fonte di infinita fecondità, deriva questa varietà quasi infinita delle cose. Pertanto devi concludere: chi trova Dio trova ogni cosa, chi perde Dio perde ogni cosa».

In questo testo si sente l’eco della celebre contemplatio ad amorem obtineundum – contemplazione per ottenere l’amore - degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio. Il Bellarmino, che vive nella fastosa e spesso malsana società dell’ultimo Cinquecento e del primo Seicento, da questa contemplazione ricava applicazioni pratiche e vi proietta la situazione della Chiesa del suo tempo con vivace afflato pastorale. Nel De arte bene moriendi – l’arte di morire bene - ad esempio, indica come norma sicura del buon vivere, e anche del buon morire, il meditare spesso e seriamente che si dovrà rendere conto a Dio delle proprie azioni e del proprio modo di vivere e cercare di non accumulare ricchezze in questa terra, ma di vivere semplicemente e con carità in modo da accumulare beni in Cielo. Nel De gemitu columbae - Il gemito della colomba, dove la colomba rappresenta la Chiesa - richiama con forza clero e fedeli tutti ad una riforma personale e concreta della propria vita seguendo quello che insegnano la Scrittura e i Santi, tra i quali cita in particolare san Gregorio Nazianzeno, san Giovanni Crisostomo, san Girolamo e sant’Agostino, oltre ai grandi Fondatori di Ordini religiosi quali san Benedetto, san Domenico e san Francesco.

Il Bellarmino insegna con grande chiarezza e con l’esempio della vita che non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’è la nostra personale riforma e la conversione del nostro cuore.

Agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, il Bellarmino attingeva consigli per comunicare in modo profondo, anche ai più semplici, le bellezze dei misteri della fede: “Se hai saggezza, comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Perciò stima vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa mancare. Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e povertà, salute e malattia, onori e oltraggi, vita e morte, il sapiente non deve né cercarli, né fuggirli per se stesso. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio e alla tua felicità eterna, sono cattivi e da fuggire se la ostacolano” (De ascensione mentis in Deum, grad. 1).

Non sono parole passate di moda, ma da meditare a lungo per orientare il nostro cammino su questa terra. Ci ricordano che il fine della nostra vita è il Signore, il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, nel quale Egli continua a chiamarci e a prometterci la comunione con Lui. Ci ricordano l’importanza di confidare nel Signore, di spenderci in una vita fedele al Vangelo, di accettare e illuminare con la fede e con la preghiera ogni circostanza e ogni azione della nostra vita, sempre protesi all’unione con Lui. Amen.

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martedì 22 febbraio 2011

Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2011: "Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti"

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2011

TRADUZIONE DEL MESSAGGIO NELLE VARIE LINGUE

Vedi anche:

La prossima Quaresima è sulla via per Damasco. Nel messaggio per i quaranta giorni di preparazione alla Pasqua, Benedetto XVI chiama tutti a conversione e a vita nuova (Magister)

Cor Unum, ecco l’impegno concreto della Chiesa al fianco degli ultimi (Mazza)

Il Papa: La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte (Il Tempo)

Il cardinale Sarah: con il Messaggio per la Quaresima, il Papa invita a scegliere la logica dell'amore verso i più poveri (R.V.)

Il Battesimo "dono di Dio", al centro del Messaggio del Papa per la Quaresima 2011: l'elemosina è all'opposto dell'idolatria dei beni (Radio Vaticana)

Il Papa: Privo della luce della fede l'universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza. Il diavolo e' all'opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l'uomo che vuole avvicinarsi al Signore (Izzo)

Il Papa: Quaresima occasione per rinunciare a bramosia del possesso (TMNews)

Il Papa: l'avidità provoca violenza, prevaricazione e morte (Izzo)

Il Papa: Il digiuno aiuta a "superare l'egoismo per vivere nella logica del dono e dell'amore" (Asca)

Il Papa: Quaresima; digiuno, elemosina e preghiera per ridare il suo posto a Dio (AsiaNews)

Superare l’egoismo. Il messaggio di Benedetto XVI per la Quaresima 2011

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2011, 22.02.2011

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2011 sul tema: "Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti" (cfr Col 2,12):

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

"Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche risorti" (cfr Col 2,12)

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con il suo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I di Quaresima).

1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostro Battesimo, quando, "divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo", è iniziata per noi "l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo" (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.

L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che "io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.

Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole per sperimentare la Grazia che salva. I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare "più abbondantemente gli elementi battesimali propri della liturgia quaresimale" (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.

2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui.

La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta "contro i dominatori di questo mondo tenebroso" (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.

Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, "in disparte, su un alto monte" (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: "Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo" (v. 5). E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire il Signore.

La domanda di Gesù alla Samaritana: "Dammi da bere" (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ "acqua che zampilla per la vita eterna" (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani "veri adoratori" in grado di pregare il Padre "in spirito e verità" (v. 23). Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta, "finché non riposa in Dio", secondo le celebri parole di sant’Agostino.

La "domenica del cieco nato" presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: "Tu, credi nel Figlio dell’uomo?". "Credo, Signore!" (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l’uomo a vivere da "figlio della luce".

Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: "Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?" (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo" (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.

Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati "dall’acqua e dallo Spirito Santo", e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoi discepoli.

3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la "terra", che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la "parola della Croce" manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa - e non solo di superfluo - impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro "io", per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31).

Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: "Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…". Conosciamo il giudizio del Signore: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…" (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.

In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile di preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo per Dio, per conoscere che "le sue parole non passeranno" (cfr Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui "che nessuno potrà toglierci" (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna.

In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è "farsi conformi alla morte di Cristo" (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia che Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere la vita eterna.

Dal Vaticano, 4 novembre 2010

BENEDICTUS PP XVI

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domenica 20 febbraio 2011

Il Papa: La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà...Esorto tutti i Pastori ad «assimilare quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli»


ANGELUS DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il Papa: i Pastori devono assimilare un nuovo stile di vita. Se subiamo ingiustizie evitiamo la rivincita e la vendetta. La perfezione è amare i nemici, l'amore rende leggere ogni peso (Izzo)

Il Papa: i cristiani devono vivere come figli di Dio. All'Angelus domenicale spiega il significato della perfezione cristiana (Zenit)

Come diventare perfetti? Il pensiero all'Angelus di oggi: "grande cosa è l’amore" (Sir)

Anche se si soffre per ingiustizie, evitare rivincita e odio: così il Papa all’Angelus (Radio Vaticana)

Il Papa: Quando si soffre per il male, la persecuzione, l'ingiustizia, evitiamo la rivincita, la vendetta e l'odio, e preghiamo per i persecutori (Tg1)

Il Papa: "No odio e vendetta" (Galeazzi)

Il Papa: la perfezione è vivere secondo la volontà di Dio (AsiaNews)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 20.02.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa settima domenica del Tempo Ordinario, le letture bibliche ci parlano della volontà di Dio di rendere partecipi gli uomini della sua vita: «Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» - si legge nel Libro del Levitico (19,1). Con queste parole, e i precetti che ne conseguono, il Signore invitava il popolo che si era scelto ad essere fedele all’alleanza con Lui camminando sulle sue vie e fondava la legislazione sociale sul comandamento «amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18).

Se ascoltiamo, poi, Gesù, nel quale Dio ha assunto un corpo mortale per farsi prossimo di ogni uomo e rivelare il suo amore infinito per noi, ritroviamo quella stessa chiamata, quello stesso audace obiettivo. Dice, infatti, il Signore: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).

Ma chi potrebbe diventare perfetto? La nostra perfezione è vivere con umiltà come figli di Dio compiendo concretamente la sua volontà.

San Cipriano scriveva che «alla paternità di Dio deve corrispondere un comportamento da figli di Dio, perché Dio sia glorificato e lodato dalla buona condotta dell’uomo» (De zelo et livore, 15: CCL 3a, 83).

In che modo possiamo imitare Gesù? Gesù stesso dice: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44-45). Chi accoglie il Signore nella propria vita e lo ama con tutto il cuore è capace di un nuovo inizio. Riesce a compiere la volontà di Dio: realizzare una nuova forma di esistenza animata dall’amore e destinata all’eternità. L’apostolo Paolo aggiunge: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?» (1 Cor 3,16). Se siamo veramente consapevoli di questa realtà, e la nostra vita ne viene profondamente plasmata, allora la nostra testimonianza diventa chiara, eloquente ed efficace.

Un autore medievale ha scritto: «Quando l’intero essere dell’uomo si è, per così dire, mescolato all’amore di Dio, allora lo splendore della sua anima si riflette anche nell’aspetto esteriore» (GIOVANNI CLIMACO, Scala Paradisi, XXX: PG 88, 1157 B), nella totalità della vita. «Grande cosa è l’amore – leggiamo nel libro dell’Imitazione di Cristo –, un bene che rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Nasce da Dio e soltanto in Dio può trovare riposo» (III, V, 3).

Cari amici, dopodomani, 22 febbraio, celebreremo la festa della Cattedra di San Pietro. A lui, primo degli Apostoli, Cristo ha affidato il compito di Maestro e di Pastore per la guida spirituale del Popolo di Dio, affinché esso possa innalzarsi fino al Cielo.

Esorto, pertanto, tutti i Pastori ad «assimilare quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli» (Lettera Indizione Anno Sacerdotale). Invochiamo la Vergine Maria, Madre di Dio e della Chiesa, affinché ci insegni ad amarci gli uni gli altri e ad accoglierci come fratelli, figli dello stesso Padre celeste.

DOPO L’ANGELUS

Je salue cordialement les pèlerins francophones et particulièrement les élèves de troisième du collège Charles-Péguy de Bobigny. Chers amis, les lectures de ce dimanche nous orientent vers la joie de la réconciliation. Le Seigneur nous invite à poser résolument des actes concrets de pardon : cet amour effectif du prochain est capable de changer l’ordre du monde en refusant sa fausse sagesse et les idoles qu’il nous propose. Que l’Esprit Saint qui habite en nous soit source de discernement, de force et de générosité pour témoigner de la vérité de l’Evangile dans notre vie quotidienne ! Je souhaite à tous un bon séjour !

I offer heartfelt greetings to all the English-speaking visitors present at today’s Angelus! In particular I greet the young singers from the Cardinal Vaughan Memorial School in London. The Cardinal’s motto, "Amare et Servire", is a beautiful expression of the Christian way of life. We are all called to love unconditionally, as today’s Gospel reminds us, and to place ourselves generously at the service of our neighbour. Upon everyone here today, and upon your families and loved ones at home, I invoke God’s abundant blessings.

Mit Freude heiße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Im heutigen Evangelium sagt der Herr seinen Jüngern: „Liebt eure Feinde und betet für die, die euch verfolgen" (Mt 5,44). So werden wir zu Söhnen des himmlischen Vaters und machen ihn für die Menschen sichtbar: durch unsere Großherzigkeit, die in ihrem Maß über das normalerweise Erfahrene hinausgeht, und durch jene reine Aufrichtigkeit, die den Blick für Gott öffnet. Der Herr will, daß wir der sich verschenkenden Liebe nichts in den Weg stellen. Er hat uns selbst ein Beispiel gegeben, weil er die Seinen mit einer äußersten Liebe geliebt hat, die grenzenlos war und bis zum äußersten ging und geht. In dieser Liebe möge er uns alle stärken, euch und eure Familien mit seiner Gnade erfüllen.

Saludo a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana, en particular a los fieles de la Parroquia de Santa Eulalia, de Murcia. La liturgia nos invita hoy a la plenitud de la vida cristiana y a la perfección de la caridad, mediante el perdón de los enemigos y la oración por los perseguidores, fuente de la reconciliación duradera. Un mensaje oportuno también para el pueblo colombiano, al que deseo hacer llegar mi cercanía y afecto con motivo de las diferentes iniciativas que se están llevan a cabo para conmemorar que, hace veinticinco años, mi venerado predecesor, el Papa Juan Pablo II, se puso en marcha "con la paz de Cristo, por los caminos de Colombia". Que Santa María la Virgen, Madre del Amor hermoso, acompañe los esfuerzos que en aquella querida Nación latinoamericana, y en otras partes del mundo, se realizan para promover la fraternidad y la concordia entre todas las personas sin excepción alguna. Feliz domingo.

Pozdrawiam serdecznie Polaków, uczestników modlitwy „Anioł Pański". W dzisiejszej Ewangelii Chrystus przypomina: „Miłujcie waszych nieprzyjaciół" (Mt 5, 44). W obliczu zła, prześladowań, niesprawiedliwości, strzeżmy się chęci odwetu, zemsty i nienawiści, módlmy się za prześladowców. Zło dobrem zwyciężajmy (por. Rz 12, 21). Wszystkie przeciwności zawierzmy Bogu, by zyskać wolność i duchowy pokój. Niech Bóg wam błogosławi.

[Saluto cordialmente i Polacchi partecipanti alla preghiera dell’Angelus. Nel Vangelo odierno il Cristo ci fa ricordare: "Amate i vostri nemici" (Mt 5,44). Quando si soffre per il male, la persecuzione, l’ingiustizia, evitiamo la rivincita, la vendetta e l’odio, e preghiamo per i persecutori. "Vinciamo il male col bene" (cfr. Rm 12,21). Affidiamo a Dio tutte queste avversità per raggiungere la libertà e la pace spirituale. Dio vi benedica.]

Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli venuti da Poggiomarino, Modica, Cento di Ferrara e dalla parrocchia di Sant’Igino Papa in Roma, come pure alla Fondazione Petroniana di Bologna. Saluto volentieri le Figlie di San Camillo, nel centenario della nascita al Cielo della loro Fondatrice, la Beata Giuseppina Vannini. A tutti auguro una buona domenica.

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sabato 19 febbraio 2011

Il Papa: Esorto tutti voi a ritornare nelle Filippine con affetto incrollabile per il Successore di Pietro e con il desiderio di rafforzare e conservare la comunione che unisce la Chiesa intorno a lui nella carità

UDIENZA ALLA COMUNITÀ DEL PONTIFICIO COLLEGIO FILIPPINO IN ROMA, 19.02.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza la Comunità del Pontificio Collegio Filippino in Roma, in occasione del 50° anniversario di istituzione.
Pubblichiamo di seguito le parole che il Papa rivolge ai presenti:


PAROLE DEL SANTO PADRE

Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi e Sacerdoti
,

Sono lieto di salutarvi, studenti e docenti del Pontificio Collegio Filippino, in quest'anno in cui ricorre il cinquantesimo anniversario della sua istituzione da parte del mio predecessore, il beato Giovanni XXIII. Mi unisco a voi nel rendere grazie a Dio per il contributo che il vostro Collegio ha dato alla vita dei vostri concittadini filippini sia in patria sia all'estero negli ultimi cinque decenni.

Come casa di formazione situata qui, presso le tombe dei grandi Apostoli Pietro e Paolo, il Collegio Filippino ha svolto la missione che gli è stata affidata in diversi modi. Il suo primo e più importante compito resta quello di assistere gli studenti nella loro formazione nelle scienze sacre. Il Collegio lo ha svolto bene, poiché centinaia di sacerdoti sono ritornati a casa con titoli di studio superiori ottenuti nelle diverse università e negli istituti pontifici della città e sono andati a servire la Chiesa nel mondo, alcuni distinguendosi. Permettetemi d'incoraggiarvi, voi che siete l'attuale generazione di studenti del Collegio, a crescere nella fede, a cercare l'eccellenza negli studi e a cogliere ogni opportunità che vi viene offerta per raggiungere la maturità spirituale e teologica, al fine di essere equipaggiati, preparati e intrepidi per qualunque cosa vi attenda in futuro.

Come sapete, una formazione sacerdotale completa non comprende solo l'aspetto accademico: al di là e al di sopra della componente intellettuale che viene loro offerta, gli studenti del Collegio Filippino vengono formati anche spiritualmente attraverso la storia vivente della Chiesa di Roma e il radioso esempio dei suoi martiri, il cui sacrificio li configura perfettamente alla persona di Gesù Cristo stesso.

Sono fiducioso che ognuno di voi verrà ispirato dalla loro unione con il mistero di Cristo e accoglierà la chiamata del Signore alla santità che, da voi come sacerdoti, esige niente di meno che il dono totale a Dio della vostra vita e del vostro lavoro. Facendo ciò in compagnia di altri giovani sacerdoti e seminaristi riuniti qui da tutto il mondo, ritornerete a casa, come quelli prima di voi, con un senso permanente e grato della storia della Chiesa di Roma, delle sue radici nel mistero pasquale di Cristo e della sua meravigliosa universalità.

Nel periodo della vostra permanenza a Roma, i bisogni pastorali non devono essere trascurati e quindi è giusto, anche per i sacerdoti che stanno studiando, tener conto delle necessità delle persone che li circondano, compresi i membri della comunità filippina che vive a Roma e nei dintorni. Nel dedicarvi a questo, fate in modo che nell'uso del vostro tempo vi sia sempre un sano equilibrio tra le preoccupazioni pastorali locali e le esigenze accademiche del vostro soggiorno, a beneficio di tutti.

Infine, non dimenticate l'affetto che il Papa nutre per voi e per la vostra terra natale.
Esorto tutti voi a ritornare nelle Filippine con affetto incrollabile per il Successore di Pietro e con il desiderio di rafforzare e conservare la comunione che unisce la Chiesa intorno a lui nella carità. In tal modo, dopo aver completato gli studi, certamente sarete un lievito del Vangelo nella vita della vostra amata nazione.

Invocando l'intercessione di Nostra Signora della Pace e del Buon Viaggio, come pegno di grazia e pace nel Signore, imparto volentieri a tutti voi la mia benedizione apostolica.

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(Traduzione Osservatore Romano)

venerdì 18 febbraio 2011

Il Papa: La Chiesa nelle Filippine è fortunata ad avere numerose organizzazioni laiche che continuano ad attirare persone verso il Signore. Al fine di rispondere alle domande del nostro tempo, i laici devono ascoltare il messaggio del Vangelo nella sua pienezza

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLE FILIPPINE (II GRUPPO), 18.02.2011

Alle ore 11.45 di oggi, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale delle Filippine, ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai Vescovi presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,

Sono lieto di ricevervi oggi, in occasione della vostra visita ad Limina, e vi offro i miei sinceri e buoni auspici e le mie preghiere per voi e per tutti coloro che sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale. La vostra presenza presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo rafforza la profonda unità già esistente tra la Chiesa nelle Filippine e la Santa Sede. Poiché i profondi legami tra i cattolici e il Successore di Pietro sono sempre stati una caratteristica importante della fede nel vostro Paese, prego affinché questa comunione continui a crescere e a prosperare mentre affrontate le sfide presenti del vostro apostolato.

Mentre le Filippine continuano ad affrontare molte sfide nell'ambito dello sviluppo economico, dobbiamo riconoscere che questi ostacoli a una vita di gioia e di realizzazione non sono gli unici sassi d'inciampo che la Chiesa deve fronteggiare. La cultura filippina deve anche confrontarsi con le questioni più complesse relative al secolarismo, al materialismo e al consumismo dei nostri tempi. Quando l'autosufficienza e la libertà vengono separate dalla loro dipendenza da Dio e dal loro compimento in Lui, la persona umana crea per se stessa un falso destino e perde di vista la gioia eterna per la quale è stata creata. Il cammino verso la riscoperta del destino autentico dell'umanità può essere trovato solo ristabilendo la priorità di Dio nel cuore e nella mente di ogni persona.

Soprattutto, per mantenere Dio al centro della vita dei fedeli, la vostra predicazione e quella del vostro clero devono essere mirate, affinché ogni cattolico comprenda nel profondo il fatto, capace di trasformare la vita, che Dio esiste, che ci ama e che in Cristo risponde alle domande più profonde della nostra vita. Il vostro grande compito nell'evangelizzazione è quindi di proporre un rapporto personale con Cristo come chiave per la completa realizzazione. In questo contesto, il secondo Concilio Plenario delle Filippine continua ad avere effetti benefici, facendo sì che molte diocesi abbiano realizzato programmi pastorali incentrati sulla trasmissione della buona novella della salvezza. Allo stesso tempo, occorre riconoscere che le nuove iniziative nell'ambito dell'evangelizzazione saranno feconde solo se, per grazia di Dio, coloro che le propongono sono persone che credono veramente nel messaggio del Vangelo e lo vivono personalmente.

Questo è certamente uno dei motivi per cui le comunità ecclesiali di base hanno avuto un impatto tanto positivo in tutto il Paese. Laddove sono state costituite e guidate da persone motivate dalla forza dell'amore di Cristo, tali comunità si sono dimostrate degni strumenti di evangelizzazione operando insieme alle parrocchie locali. In modo analogo, la Chiesa nelle Filippine è fortunata ad avere numerose organizzazioni laiche che continuano ad attirare persone verso il Signore. Al fine di rispondere alle domande del nostro tempo, i laici devono ascoltare il messaggio del Vangelo nella sua pienezza, comprenderne le implicazioni per la loro vita personale e per la società in generale, e quindi essere costantemente convertiti al Signore. Vi esorto, pertanto, ad avere particolare cura nel guidare tali gruppi, affinché il primato di Dio possa rimanere in primo piano.

Questo primato è particolarmente importante quando si tratta di evangelizzare i giovani. Sono lieto di constatare che nel vostro Paese la fede svolge un ruolo molto importante nella vita di molti giovani, fatto dovuto in larga parte al paziente lavoro della Chiesa locale per avvicinarsi ai giovani a tutti i livelli. Vi incoraggio a continuare a ricordare ai giovani che le seduzioni di questo mondo non soddisferanno il loro desiderio naturale di felicità. Solo la vera amicizia con Dio spezzerà le catene della solitudine della quale soffre la nostra fragile umanità e creerà una comunione autentica e duratura con gli altri, un legame spirituale che prontamente susciterà in noi il desiderio di servire i bisogni di coloro che amiamo in Cristo. Occorre anche preoccuparsi di mostrare ai giovani l'importanza dei sacramenti come strumenti della grazia e dell'aiuto di Dio. Ciò vale in modo particolare per il sacramento del matrimonio, che santifica la vita coniugale sin dai suoi inizi, affinché la presenza di Dio possa sostenere le giovani coppie nelle loro difficoltà.

La cura pastorale dei giovani volta a stabilire il primato di Dio nel loro cuore tende, per sua natura, a produrre non solo vocazioni al matrimonio cristiano, ma anche numerose altre chiamate. Sono lieto di constatare il successo di iniziative locali atte a promuovere numerose vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Tuttavia, il bisogno di servitori di Cristo sempre più impegnati sia in patria sia all'estero è ancora pressante. Dai vostri resoconti quinquennali emerge che in molte diocesi il numero di sacerdoti e il corrispondente numero di parrocchie non sono ancora sufficienti a rispondere ai bisogni spirituali della grande e crescente popolazione cattolica. Insieme a voi, dunque, prego affinché i giovani filippini che si sentono chiamati al sacerdozio e alla vita religiosa rispondano con generosità ai suggerimenti dello Spirito. Possa la missione evangelizzatrice della Chiesa essere sostenuta dai meravigliosi doni che il Signore offre a coloro che chiama! Da parte vostra, come Pastori desidererete offrire a queste giovani vocazioni un piano di formazione integrale ben sviluppato e attentamente applicato, di modo che la loro inclinazione iniziale verso una vita di servizio a Cristo e ai suoi fedeli possa giungere a una piena maturazione spirituale e umana.

Cari Fratelli nell'Episcopato, con queste riflessioni vi assicuro delle mie preghiere e vi affido all'intercessione di san Lorenzo Ruiz. Possa il suo esempio d'incrollabile fedeltà a Cristo essere per voi un incoraggiamento nel vostro impegno apostolico. A voi, al clero e ai religiosi e a tutti i fedeli affidati alle vostre cure imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica come pegno di grazia e pace.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

(Traduzione Osservatore Romano)

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Papa: Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno

CICLO DI CATECHESI SUI DOTTORI DELLA CHIESA

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Quella luce nel buio di Giovanni della Croce (Massimo Introvigne)

Il Papa: eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose (Sir)

Il Papa: il cammino per la santità non è un peso, ma un aiuto a portare il fardello della vita (AsiaNews)

Il Papa: "Lo sforzo umano è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle abitudini cattive della persona e può solo frenarle ma non sradicarle completamente" (Izzo)

Il Papa sottolinea come il credente non possa sradicare da solo le "abitudini cattive" ma debba permettere a Dio di purificare la sua anima tramite l'azione dello Spirito Santo, che agisce come "fiamma di fuoco che consuma ogni impurità" (TmNews)

Il Papa: la fede è l’unica fonte donata all'uomo per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino (Sir)

L’UDIENZA GENERALE, 16.02.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sulla figura di San Giovanni della Croce, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi e dottore della Chiesa (1542-1591).
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Giovanni della Croce

Cari fratelli e sorelle,

due settimane fa ho presentato la figura della grande mistica spagnola Teresa di Gesù.

Oggi vorrei parlare di un altro importante Santo di quelle terre, amico spirituale di santa Teresa, riformatore, insieme a lei, della famiglia religiosa carmelitana: san Giovanni della Croce, proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Pio XI, nel 1926, e soprannominato nella tradizione Doctor mysticus, "Dottore mistico".

Giovanni della Croce nacque nel 1542 nel piccolo villaggio di Fontiveros, vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia, da Gonzalo de Yepes e Catalina Alvarez. La famiglia era poverissima, perché il padre, di nobile origine toledana, era stato cacciato di casa e diseredato per aver sposato Catalina, un'umile tessitrice di seta. Orfano di padre in tenera età, Giovanni, a nove anni, si trasferì, con la madre e il fratello Francisco, a Medina del Campo, vicino a Valladolid, centro commerciale e culturale. Qui frequentò il Colegio de los Doctrinos, svolgendo anche alcuni umili lavori per le suore della chiesa-convento della Maddalena. Successivamente, date le sue qualità umane e i suoi risultati negli studi, venne ammesso prima come infermiere nell'Ospedale della Concezione, poi nel Collegio dei Gesuiti, appena fondato a Medina del Campo: qui Giovanni entrò diciottenne e studiò per tre anni scienze umane, retorica e lingue classiche. Alla fine della formazione, egli aveva ben chiara la propria vocazione: la vita religiosa e, tra i tanti ordini presenti a Medina, si sentì chiamato al Carmelo.

Nell’estate del 1563 iniziò il noviziato presso i Carmelitani della città, assumendo il nome religioso di Mattia. L’anno seguente venne destinato alla prestigiosa Università di Salamanca, dove studiò per un triennio arti e filosofia. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e ritornò a Medina del Campo per celebrare la sua Prima Messa circondato dall'affetto dei famigliari. Proprio qui avvenne il primo incontro tra Giovanni e Teresa di Gesù. L’incontro fu decisivo per entrambi: Teresa gli espose il suo piano di riforma del Carmelo anche nel ramo maschile dell'Ordine e propose a Giovanni di aderirvi "per maggior gloria di Dio"; il giovane sacerdote fu affascinato dalle idee di Teresa, tanto da diventare un grande sostenitore del progetto. I due lavorarono insieme alcuni mesi, condividendo ideali e proposte per inaugurare al più presto possibile la prima casa di Carmelitani Scalzi: l’apertura avvenne il 28 dicembre 1568 a Duruelo, luogo solitario della provincia di Avila. Con Giovanni formavano questa prima comunità maschile riformata altri tre compagni.

Nel rinnovare la loro professione religiosa secondo la Regola primitiva, i quattro adottarono un nuovo nome: Giovanni si chiamò allora "della Croce", come sarà poi universalmente conosciuto. Alla fine del 1572, su richiesta di santa Teresa, divenne confessore e vicario del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove la Santa era priora. Furono anni di stretta collaborazione e amicizia spirituale, che arricchì entrambi. ! quel periodo risalgono anche le più importanti opere teresiane e i primi scritti di Giovanni.

L’adesione alla riforma carmelitana non fu facile e costò a Giovanni anche gravi sofferenze. L’episodio più traumatico fu, nel 1577, il suo rapimento e la sua incarcerazione nel convento dei Carmelitani dell'Antica Osservanza di Toledo, a seguito di una ingiusta accusa. Il Santo rimase imprigionato per mesi, sottoposto a privazioni e costrizioni fisiche e morali. Qui compose, insieme ad altre poesie, il celebre Cantico spirituale.

Finalmente, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1578, riuscì a fuggire in modo avventuroso, riparandosi nel monastero delle Carmelitane Scalze della città. Santa Teresa e i compagni riformati celebrarono con immensa gioia la sua liberazione e, dopo un breve tempo di recupero delle forze, Giovanni fu destinato in Andalusia, dove trascorse dieci anni in vari conventi, specialmente a Granada. Assunse incarichi sempre più importanti nell'Ordine, fino a diventare Vicario Provinciale, e completò la stesura dei suoi trattati spirituali. Tornò poi nella sua terra natale, come membro del governo generale della famiglia religiosa teresiana, che godeva ormai di piena autonomia giuridica. Abitò nel Carmelo di Segovia, svolgendo l'ufficio di superiore di quella comunità. Nel 1591 fu sollevato da ogni responsabilità e destinato alla nuova Provincia religiosa del Messico. Mentre si preparava per il lungo viaggio con altri dieci compagni, si ritirò in un convento solitario vicino a Jaén, dove si ammalò gravemente. Giovanni affrontò con esemplare serenità e pazienza enormi sofferenze. Morì nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591, mentre i confratelli recitavano l'Ufficio mattutino. Si congedò da essi dicendo: "Oggi vado a cantare l'Ufficio in cielo". I suoi resti mortali furono traslati a Segovia. Venne beatificato da Clemente X nel 1675 e canonizzato da Benedetto XIII nel 1726.

Giovanni è considerato uno dei più importanti poeti lirici della letteratura spagnola. Le opere maggiori sono quattro: Ascesa al Monte Carmelo, Notte oscura, Cantico spirituale e Fiamma d'amor viva.

Nel Cantico spirituale, san Giovanni presenta il cammino di purificazione dell’anima, e cioè il progressivo possesso gioioso di Dio, finché l’anima perviene a sentire che ama Dio con lo stesso amore con cui è amata da Lui. La Fiamma d'amor viva prosegue in questa prospettiva, descrivendo più in dettaglio lo stato di unione trasformante con Dio. Il paragone utilizzato da Giovanni è sempre quello del fuoco: come il fuoco quanto più arde e consuma il legno, tanto più si fa incandescente fino a diventare fiamma, così lo Spirito Santo, che durante la notte oscura purifica e "pulisce" l'anima, col tempo la illumina e la scalda come se fosse una fiamma. La vita dell'anima è una continua festa dello Spirito Santo, che lascia intravedere la gloria dell'unione con Dio nell'eternità.

L’Ascesa al Monte Carmelo presenta l'itinerario spirituale dal punto di vista della purificazione progressiva dell'anima, necessaria per scalare la vetta della perfezione cristiana, simboleggiata dalla cima del Monte Carmelo.

Tale purificazione è proposta come un cammino che l’uomo intraprende, collaborando con l'azione divina, per liberare l'anima da ogni attaccamento o affetto contrario alla volontà di Dio. La purificazione, che per giungere all'unione d’amore con Dio dev’essere totale, inizia da quella della vita dei sensi e prosegue con quella che si ottiene per mezzo delle tre virtù teologali: fede, speranza e carità, che purificano l'intenzione, la memoria e la volontà.

La Notte oscura descrive l'aspetto "passivo", ossia l'intervento di Dio in questo processo di "purificazione" dell'anima. Lo sforzo umano, infatti, è incapace da solo di arrivare fino alle radici profonde delle inclinazioni e delle abitudini cattive della persona: le può solo frenare, ma non sradicarle completamente. Per farlo, è necessaria l’azione speciale di Dio che purifica radicalmente lo spirito e lo dispone all'unione d'amore con Lui. San Giovanni definisce "passiva" tale purificazione, proprio perché, pur accettata dall'anima, è realizzata dall’azione misteriosa dello Spirito Santo che, come fiamma di fuoco, consuma ogni impurità. In questo stato, l’anima è sottoposta ad ogni genere di prove, come se si trovasse in una notte oscura.

Queste indicazioni sulle opere principali del Santo ci aiutano ad avvicinarci ai punti salienti della sua vasta e profonda dottrina mistica, il cui scopo è descrivere un cammino sicuro per giungere alla santità, lo stato di perfezione cui Dio chiama tutti noi. Secondo Giovanni della Croce, tutto quello che esiste, creato da Dio, è buono.

Attraverso le creature, noi possiamo pervenire alla scoperta di Colui che in esse ha lasciato una traccia di sé. La fede, comunque, è l’unica fonte donata all'uomo per conoscere Dio così come Egli è in se stesso, come Dio Uno e Trino. Tutto quello che Dio voleva comunicare all'uomo, lo ha detto in Gesù Cristo, la sua Parola fatta carne. Gesù Cristo è l’unica e definitiva via al Padre (cfr Gv 14,6).

Qualsiasi cosa creata è nulla in confronto a Dio e nulla vale al di fuori di Lui: di conseguenza, per giungere all'amore perfetto di Dio, ogni altro amore deve conformarsi in Cristo all’amore divino. Da qui deriva l'insistenza di san Giovanni della Croce sulla necessità della purificazione e dello svuotamento interiore per trasformarsi in Dio, che è la meta unica della perfezione. Questa "purificazione" non consiste nella semplice mancanza fisica delle cose o del loro uso; quello che rende l'anima pura e libera, invece, è eliminare ogni dipendenza disordinata dalle cose. Tutto va collocato in Dio come centro e fine della vita. Il lungo e faticoso processo di purificazione esige certo lo sforzo personale, ma il vero protagonista è Dio: tutto quello che l'uomo può fare è "disporsi", essere aperto all'azione divina e non porle ostacoli. Vivendo le virtù teologali, l’uomo si eleva e dà valore al proprio impegno. Il ritmo di crescita della fede, della speranza e della carità va di pari passo con l’opera di purificazione e con la progressiva unione con Dio fino a trasformarsi in Lui. Quando si giunge a questa meta, l'anima si immerge nella stessa vita trinitaria, così che san Giovanni afferma che essa giunge ad amare Dio con il medesimo amore con cui Egli la ama, perché la ama nello Spirito Santo. Ecco perché il Dottore Mistico sostiene che non esiste vera unione d’amore con Dio se non culmina nell’unione trinitaria. In questo stato supremo l'anima santa conosce tutto in Dio e non deve più passare attraverso le creature per arrivare a Lui. L’anima si sente ormai inondata dall'amore divino e si rallegra completamente in esso.

Cari fratelli e sorelle, alla fine rimane la questione: questo santo con la sua alta mistica, con questo arduo cammino verso la cima della perfezione ha da dire qualcosa anche a noi, al cristiano normale che vive nelle circostanze di questa vita di oggi, o è un esempio, un modello solo per poche anime elette che possono realmente intraprendere questa via della purificazione, dell'ascesa mistica?

Per trovare la risposta dobbiamo innanzitutto tenere presente che la vita di san Giovanni della Croce non è stata un "volare sulle nuvole mistiche", ma è stata una vita molto dura, molto pratica e concreta, sia da riformatore dell'ordine, dove incontrò tante opposizioni, sia da superiore provinciale, sia nel carcere dei suoi confratelli, dove era esposto a insulti incredibili e a maltrattamenti fisici. E’ stata una vita dura, ma proprio nei mesi passati in carcere egli ha scritto una delle sue opere più belle.

E così possiamo capire che il cammino con Cristo, l'andare con Cristo, "la Via", non è un peso aggiunto al già sufficientemente duro fardello della nostra vita, non è qualcosa che renderebbe ancora più pesante questo fardello, ma è una cosa del tutto diversa, è una luce, una forza, che ci aiuta a portare questo fardello.

Se un uomo reca in sé un grande amore, questo amore gli dà quasi ali, e sopporta più facilmente tutte le molestie della vita, perché porta in sé questa grande luce; questa è la fede: essere amato da Dio e lasciarsi amare da Dio in Cristo Gesù. Questo lasciarsi amare è la luce che ci aiuta a portare il fardello di ogni giorno. E la santità non è un'opera nostra, molto difficile, ma è proprio questa "apertura": aprire e finestre della nostra anima perché la luce di Dio possa entrare, non dimenticare Dio perché proprio nell'apertura alla sua luce si trova forza, si trova la gioia dei redenti.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a trovare questa santità, lasciarsi amare da Dio, che è la vocazione di noi tutti e la vera redenzione.
Grazie.

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