mercoledì 8 agosto 2007

Il Papa: per Gregorio la teologia non è una riflessione puramente umana, ma deriva da una vita di preghiera e santità


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

Hai un compito, anima: trovare la vera altezza della tua vita. E la tua vita è incontrarti con Dio, che ha sete della nostra sete (Seconda parte della catechesi su Gregorio di Nazianzo)

L’UDIENZA GENERALE , 08.08.2007

Gregorio di Nazianzo

Cari fratelli e sorelle!

Mercoledì scorso ho parlato di un grande maestro della fede, il Padre della Chiesa San Basilio. Oggi vorrei parlare del suo amico Gregorio di Nazianzo, anche lui, come Basilio, originario della Cappadocia. Illustre teologo, oratore e difensore della fede cristiana nel IV secolo, fu celebre per la sua eloquenza, ed ebbe anche, come poeta, un'anima raffinata e sensibile.

Gregorio nacque da una nobile famiglia. La madre lo consacrò a Dio fin dalla nascita, avvenuta intorno al 330. Dopo la prima educazione familiare, frequentò le più celebri scuole della sua epoca: fu dapprima a Cesarea di Cappadocia, dove strinse amicizia con Basilio, futuro Vescovo di quella città, e sostò poi in altre metropoli del mondo antico, come Alessandria d'Egitto e soprattutto Atene, dove incontrò di nuovo Basilio (cfr Oratio 43,14-24: SC 384,146-180). Rievocandone l'amicizia, Gregorio scriverà più tardi: «Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi, ma inducevo a fare altrettanto anche altri, che ancora non lo conoscevano... Ci guidava la stessa ansia di sapere... Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all'altro di esserlo. Sembrava che avessimo un'unica anima in due corpi» (Oratio 43,16.20: SC 384154-156.164). Sono parole che rappresentano un po’ l'autoritratto di quest’anima nobile. Ma si può anche immaginare che quest'uomo, che era fortemente proiettato oltre i valori terreni, abbia sofferto molto per le cose di questo mondo.

Tornato a casa, Gregorio ricevette il Battesimo e si orientò verso la vita monastica: la solitudine, la meditazione filosofica e spirituale lo affascinavano. Egli stesso scriverà: «Nulla mi sembra più grande di questo: far tacere i propri sensi, uscire dalla carne del mondo, raccogliersi in se stesso, non occuparsi più delle cose umane, se non di quelle strettamente necessarie; parlare con se stesso e con Dio, condurre una vita che trascende le cose visibili; portare nell'anima immagini divine sempre pure, senza mescolanza di forme terrene ed erronee; essere veramente uno specchio immacolato di Dio e delle cose divine, e divenirlo sempre più, prendendo luce da luce...; godere, nella speranza presente, il bene futuro, e conversare con gli angeli; avere già lasciato la terra, pur stando in terra, trasportati in alto con lo spirito» (Oratio 2,7: SC 247,96).

Come confida nella sua autobiografia (cfr Carmina [historica] 2,1,11 de vita sua 340-349: PG 37,1053), ricevette l’ordinazione presbiterale con una certa riluttanza, perché sapeva che poi avrebbe dovuto fare il Pastore, occuparsi degli altri, delle loro cose, quindi non più così raccolto nella pura meditazione: Tuttavia egli poi accettò questa vocazione e assunse il ministero pastorale in piena obbedienza, accettando, come spesso gli accadde nella vita, di essere portato dalla Provvidenza là dove non voleva andare (cfr Gv 21,18). Nel 371 il suo amico Basilio, Vescovo di Cesarea, contro il desiderio dello stesso Gregorio, lo volle consacrare Vescovo di Sasima, un paese strategicamente importante della Cappadocia. Egli però, per varie difficoltà, non ne prese mai possesso, e rimase invece nella città di Nazianzo.

Verso il 379, Gregorio fu chiamato a Costantinopoli, la capitale, per guidare la piccola comunità cattolica fedele al Concilio di Nicea e alla fede trinitaria. La maggioranza aderiva invece all'arianesimo, che era "politicamente corretto" e considerato politicamente utile dagli imperatori. Così egli si trovò in condizioni di minoranza, circondato da ostilità. Nella chiesetta dell'Anastasis pronunciò cinque Discorsi teologici (Orationes 27-31: SC 250,70-343) proprio per difendere e rendere anche intelligibile la fede trinitaria. Sono discorsi rimasti celebri per la sicurezza della dottrina, l'abilità del ragionamento, che fa realmente capire che questa è la logica divina. E anche lo splendore della forma li rende oggi affascinanti. Gregorio ricevette, a motivo di questi discorsi, l'appellativo di "teologo". Così viene chiamato nella Chiesa ortodossa: il "teologo". E questo perché la teologia per lui non è una riflessione puramente umana, o ancor meno frutto soltanto di complicate speculazioni, ma deriva da una vita di preghiera e di santità, da un dialogo assiduo con Dio. E proprio così fa apparire alla nostra ragione la realtà di Dio, il mistero trinitario. Nel silenzio contemplativo, intriso di stupore davanti alle meraviglie del mistero rivelato, l'anima accoglie la bellezza e la gloria divina.

Mentre partecipava al secondo Concilio Ecumenico del 381, Gregorio fu eletto Vescovo di Costantinopoli, e assunse la presidenza del Concilio. Ma subito si scatenò contro di lui una forte opposizione, finché la situazione divenne insostenibile. Per un'anima così sensibile queste inimicizie erano insopportabili. Si ripeteva quello che Gregorio aveva già lamentato precedentemente con parole accorate: «Abbiamo diviso Cristo, noi che tanto amavamo Dio e Cristo! Abbiamo mentito gli uni agli altri a motivo della Verità, abbiamo nutrito sentimenti di odio a causa dell'Amore, ci siamo divisi l'uno dall'altro!» (Oratio 6,3: SC 405,128). Si giunse così, in un clima di tensione, alle sue dimissioni. Nella cattedrale affollatissima Gregorio pronunciò un discorso di addio di grande effetto e dignità (cfr Oratio 42: SC 384,48-114). Concludeva il suo accorato intervento con queste parole: «Addio, grande città, amata da Cristo... Figli miei, vi supplico, custodite il deposito [della fede] che vi è stato affidato (cfr 1 Tm 6,20), ricordatevi delle mie sofferenze (cfr Col 4,18). Che la grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi» (cfr Oratio 42,27: SC 384,112-114).

Ritornò a Nazianzo, e per circa due anni si dedicò alla cura pastorale di quella comunità cristiana. Poi si ritirò definitivamente in solitudine nella vicina Arianzo, la sua terra natale, dedicandosi allo studio e alla vita ascetica. In questo periodo compose la maggior parte della sua opera poetica, soprattutto autobiografica: il De vita sua, una rilettura in versi del proprio cammino umano e spirituale, un cammino esemplare di un cristiano sofferente, di un uomo di grande interiorità in un mondo pieno di conflitti. È un uomo che ci fa sentire il primato di Dio e perciò parla anche a noi, a questo nostro mondo: senza Dio l'uomo perde la sua grandezza, senza Dio non c'è vero umanesimo. Ascoltiamo perciò questa voce e cerchiamo di conoscere anche noi il volto di Dio. In una delle sue poesie aveva scritto, rivolgendosi a Dio: «Sii benigno, Tu, l'Aldilà di tutto» (Carmina [dogmatica] 1,1,29: PG 37,508). E nel 390 Dio accoglieva tra le sue braccia questo servo fedele, che con acuta intelligenza l’aveva difeso negli scritti, e che con tanto amore l’aveva cantato nelle sue poesie.

© Copyright Libreria Editrice Vaticana 2007

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