mercoledì 30 maggio 2007

Tertulliano ed i teologi...


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

L’UDIENZA GENERALE , 30.05.2007

Tertulliano

Cari fratelli e sorelle,

con la catechesi di oggi riprendiamo il filo delle catechesi abbandonato in occasione del viaggio in Brasile e continuiamo a parlare delle grandi personalità della Chiesa antica: sono maestri della fede anche per noi oggi e testimoni della perenne attualità della fede cristiana. Oggi parliamo di un africano, Tertulliano, che tra la fine del secondo e l'inizio del terzo secolo inaugura la letteratura cristiana in lingua latina. Con lui comincia una teologia in tale lingua. La sua opera ha dato frutti decisivi, che sarebbe imperdonabile sottovalutare. Il suo influsso si sviluppa su diversi piani: da quelli del linguaggio e del recupero della cultura classica, a quelli dell'individuazione di una comune "anima cristiana" nel mondo e della formulazione di nuove proposte di convivenza umana. Non conosciamo con esattezza le date della sua nascita e della sua morte. Sappiamo invece che a Cartagine, verso la fine del II secolo, da genitori e da insegnanti pagani, ricevette una solida formazione retorica, filosofica, giuridica e storica. Si convertì poi al cristianesimo, attratto - come pare - dall'esempio dei martiri cristiani. Cominciò a pubblicare i suoi scritti più famosi nel 197. Ma una ricerca troppo individuale della verità insieme con le intemperanze del carattere — era un uomo rigoroso — lo condussero gradualmente a lasciare la comunione con la Chiesa e ad aderire alla setta del montanismo. Tuttavia, l’originalità del pensiero unita all’incisiva efficacia del linguaggio gli assicurano una posizione di spicco nella letteratura cristiana antica.

Sono famosi soprattutto i suoi scritti di carattere apologetico. Essi manifestano due intenti principali: quello di confutare le gravissime accuse che i pagani rivolgevano contro la nuova religione, e quello - più propositivo e missionario - di comunicare il messaggio del Vangelo in dialogo con la cultura del tempo. La sua opera più nota, l’Apologetico, denuncia il comportamento ingiusto delle autorità politiche verso la Chiesa; spiega e difende gli insegnamenti e i costumi dei cristiani; individua le differenze tra la nuova religione e le principali correnti filosofiche del tempo; manifesta il trionfo dello Spirito, che alla violenza dei persecutori oppone il sangue, la sofferenza e la pazienza dei martiri: "Per quanto raffinata - scrive l'Africano -, a nulla serve la vostra crudeltà: anzi, per la nostra comunità, essa è un invito. A ogni vostro colpo di falce diveniamo più numerosi: il sangue dei cristiani è una semina efficace! (semen est sanguis christianorum!)" (Apologetico 50,13). Il martirio, la sofferenza per la verità sono alla fine vittoriosi e più efficaci della crudeltà e della violenza dei regimi totalitari.

Ma Tertulliano, come ogni buon apologista, avverte nello stesso tempo l’esigenza di comunicare positivamente l’essenza del cristianesimo. Per questo egli adotta il metodo speculativo per illustrare i fondamenti razionali del dogma cristiano. Li approfondisce in maniera sistematica, a cominciare dalla descrizione del "Dio dei cristiani": "Quello che noi adoriamo - attesta l'Apologista - è un Dio unico". E prosegue, impiegando le antitesi e i paradossi caratteristici del suo linguaggio: "Egli è invisibile, anche se lo si vede; inafferrabile, anche se è presente attraverso la grazia; inconcepibile, anche se i sensi umani lo possono concepire; perciò è vero e grande!" (ibid., 17,1-2).

Tertulliano, inoltre, compie un passo enorme nello sviluppo del dogma trinitario; ci ha dato in latino il linguaggio adeguato per esprimere questo grande mistero, indrocucendo i termini "una sostanza" e "tre Persone". In modo simile, ha sviluppato molto anche il corretto linguaggio per esprimere il mistero di Cristo Figlio di Dio e vero Uomo.
L’Africano tratta anche dello Spirito Santo, dimostrandone il carattere personale e divino: "Crediamo che, secondo la sua promessa, Gesù Cristo inviò per mezzo del Padre lo Spirito Santo, il Paraclèto, il santificatore della fede di coloro che credono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito" (ibid., 2,1). Ancora, nelle opere dell’Africano si leggono numerosi testi sulla Chiesa, che Tertulliano riconosce sempre come ‘madre’. Anche dopo la sua adesione al montanismo, egli non ha dimenticato che la Chiesa è la Madre della nostra fede e della nostra vita cristiana. Egli si sofferma pure sulla condotta morale dei cristiani e sulla vita futura. I suoi scritti sono importanti anche per cogliere tendenze vive nelle comunità cristiane riguardo a Maria santissima, ai sacramenti dell’Eucaristia, del Matrimonio e della Riconciliazione, al primato petrino, alla preghiera... In modo speciale, in quei tempi di persecuzione in cui i cristiani sembravano una minoranza perduta, l’Apologista li esorta alla speranza, che - stando ai suoi scritti - non è semplicemente una virtù a sé stante, ma una modalità che investe ogni aspetto dell’esistenza cristiana. Abbiamo la speranza che il futuro è nostro perché il futuro è di Dio. Così la risurrezione del Signore viene presentata come il fondamento della nostra futura risurrezione, e rappresenta l’oggetto principale della fiducia dei cristiani: "La carne risorgerà - afferma categoricamente l'Africano -: tutta la carne, proprio la carne, e la carne tutta intera. Dovunque si trovi, essa è in deposito presso Dio, in virtù del fedelissimo mediatore tra Dio e gli uomini Gesù Cristo, che restituirà Dio all’uomo e l’uomo a Dio" (Sulla risurrezione dei morti 63,1).

Dal punto di vista umano si può parlare senz’altro di un dramma di Tertulliano. Con il passare degli anni egli diventò sempre più esigente nei confronti dei cristiani. Pretendeva da loro in ogni circostanza, e soprattutto nelle persecuzioni, un comportamento eroico. Rigido nelle sue posizioni, non risparmiava critiche pesanti e inevitabilmente finì per trovarsi isolato. Del resto, anche oggi restano aperte molte questioni, non solo sul pensiero teologico e filosofico di Tertulliano, ma anche sul suo atteggiamento nei confronti delle istituzioni politiche e della società pagana.

A me fa molto pensare questa grande personalità morale e intellettuale, quest'uomo che ha dato un così grande contributo al pensiero cristiano. Si vede che alla fine gli manca la semplicità, l'umiltà di inserirsi nella Chiesa, di accettare le sue debolezze, di essere tollerante con gli altri e con se stesso. Quando si vede solo il proprio pensiero nella sua grandezza, alla fine è proprio questa grandezza che si perde. La caratteristica essenziale di un grande teologo è l'umiltà di stare con la Chiesa, di accettare le sue e le proprie debolezze, perché solo Dio è realmente tutto santo. Noi invece abbiamo sempre bisogno del perdono.

In definitiva, l’Africano rimane un testimone interessante dei primi tempi della Chiesa, quando i cristiani si trovarono ad essere autentici soggetti di "nuova cultura" nel confronto ravvicinato tra eredità classica e messaggio evangelico. E’ sua la celebre affermazione secondo cui la nostra anima "è naturaliter cristiana" (Apologetico 17,6), dove Tertulliano evoca la perenne continuità tra gli autentici valori umani e quelli cristiani; e anche quell’altra sua riflessione, mutuata direttamente dal Vangelo, secondo cui "il cristiano non può odiare nemmeno i propri nemici" (cfr Apologetico 37), dove il risvolto morale, ineludibile, della scelta di fede, propone la "non violenza" come regola di vita: e non è chi non veda la drammatica attualità di questo insegnamento, anche alla luce dell’acceso dibattito sulle religioni.

Negli scritti dell’Africano, insomma, si rintracciano numerosi temi che ancor oggi siamo chiamati ad affrontare. Essi ci coinvolgono in una feconda ricerca interiore, alla quale esorto tutti i fedeli, perché sappiano esprimere in maniera sempre più convincente la Regola della fede, quella - per tornare ancora una volta a Tertulliano – "secondo la quale noi crediamo che esiste un solo Dio, e nessun altro al di fuori del Creatore del mondo: egli ha tratto ogni cosa dal nulla per mezzo del suo Verbo, generato prima di tutte le cose" (La prescrizione degli eretici 13,1).

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Tertulliano in "Monastero Virtuale"

martedì 29 maggio 2007

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2007


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2007 , 29.05.2007

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 81ª Giornata Missionaria Mondiale, che quest’anno si celebra domenica 21 ottobre sul tema: "Tutte le Chiese per tutto il mondo":

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della prossima Giornata Missionaria Mondiale vorrei invitare l’intero Popolo di Dio - Pastori, sacerdoti, religiosi, religiose e laici - ad una comune riflessione sull’urgenza e sull’importanza che riveste, anche in questo nostro tempo, l’azione missionaria della Chiesa. Non cessano infatti di risuonare, come universale richiamo e accorato appello, le parole con le quali Gesù Cristo, crocifisso e risorto, prima di ascendere al Cielo, affidò agli Apostoli il mandato missionario: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato". Ed aggiunse: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,19-20). Nell’impegnativa opera di evangelizzazione ci sostiene e ci accompagna la certezza che Egli, il padrone della messe, è con noi e guida senza sosta il suo popolo. E’ Cristo la fonte inesauribile della missione della Chiesa. Quest’anno, inoltre, un ulteriore motivo ci spinge a un rinnovato impegno missionario: ricorre infatti il 50° anniversario dell’Enciclica del Servo di Dio Pio XII Fidei donum, con la quale venne promossa e incoraggiata la cooperazione tra le Chiese per la missione ad gentes.

"Tutte le Chiese per tutto il mondo": questo è il tema scelto per la prossima Giornata Missionaria Mondiale. Esso invita le Chiese locali di ogni Continente a una condivisa consapevolezza circa l’urgente necessità di rilanciare l’azione missionaria di fronte alle molteplici e gravi sfide del nostro tempo. Sono certo mutate le condizioni in cui vive l’umanità, e in questi decenni un grande sforzo è stato compiuto per la diffusione del Vangelo, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II. Resta tuttavia ancora molto da fare per rispondere all’appello missionario che il Signore non si stanca di rivolgere ad ogni battezzato. Egli continua a chiamare, in primo luogo, le Chiese cosiddette di antica tradizione, che in passato hanno fornito alle missioni, oltre che mezzi materiali, anche un numero consistente di sacerdoti, religiosi, religiose e laici, dando vita a un’efficace cooperazione fra comunità cristiane. Da questa cooperazione sono scaturiti abbondanti frutti apostolici sia per le giovani Chiese in terra di missione, che per le realtà ecclesiali da cui provenivano i missionari. Dinanzi all’avanzata della cultura secolarizzata, che talora sembra penetrare sempre più nelle società occidentali, considerando inoltre la crisi della famiglia, la diminuzione delle vocazioni e il progressivo invecchiamento del clero, queste Chiese corrono il rischio di rinchiudersi in se stesse, di guardare con ridotta speranza al futuro e di rallentare il loro sforzo missionario. Ma è proprio questo il momento di aprirsi con fiducia alla Provvidenza di Dio, che mai abbandona il suo popolo e che, con la potenza dello Spirito Santo, lo guida verso il compimento del suo eterno disegno di salvezza.

A dedicarsi generosamente alla missio ad gentes il Buon Pastore invita pure le Chiese di recente evangelizzazione. Pur incontrando non poche difficoltà ed ostacoli nel loro sviluppo, queste comunità sono in crescita costante. Alcune abbondano fortunatamente di sacerdoti e di persone consacrate, non pochi dei quali, pur essendo tante le necessità in loco, vengono tuttavia inviati a svolgere il loro ministero pastorale e il loro servizio apostolico altrove, anche nelle terre di antica evangelizzazione. Si assiste in tal modo ad un provvidenziale "scambio di doni", che ridonda a beneficio dell’intero Corpo mistico di Cristo. Auspico vivamente che la cooperazione missionaria si intensifichi, valorizzando le potenzialità e i carismi di ciascuno. Auspico, inoltre, che la Giornata Missionaria Mondiale contribuisca a rendere sempre più consapevoli tutte le comunità cristiane e ogni battezzato che è universale la chiamata di Cristo a propagare il suo Regno sino agli estremi angoli del pianeta. "La Chiesa è missionaria per natura - scrive Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio -, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa. Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alle genti. Le stesse Chiese più giovani debbono partecipare quanto prima e di fatto alla missione universale della Chiesa, inviando anch’esse dei missionari a predicare dappertutto nel mondo l’evangelo, anche se soffrono di scarsezza di clero" (n. 61).

A cinquant’anni dallo storico appello del mio predecessore Pio XII con l’Enciclica Fidei donum per una cooperazione tra le Chiese a servizio della missione, vorrei ribadire che l’annuncio del Vangelo continua a rivestire i caratteri dell’attualità e dell’urgenza. Nella citata Enciclica Redemptoris missio, il Papa Giovanni Paolo II, da parte sua, riconosceva che "la missione della Chiesa è più vasta della «comunione tra le Chiese»; questa deve essere orientata anche e soprattutto nel senso della missionarietà specifica" (n. 65). L’impegno missionario resta pertanto, come più volte ribadito, il primo servizio che la Chiesa deve all’umanità di oggi, per orientare ed evangelizzare le trasformazioni culturali, sociali ed etiche; per offrire la salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo, in tante parti del mondo umiliato e oppresso a causa di povertà endemiche, di violenza, di negazione sistematica di diritti umani.

A questa missione universale la Chiesa non può sottrarsi; essa riveste per essa una forza obbligante. Avendo Cristo affidato in primo luogo a Pietro e agli Apostoli il mandato missionario, esso oggi compete anzitutto al Successore di Pietro, che la Provvidenza divina ha scelto come fondamento visibile dell’unità della Chiesa, ed ai Vescovi direttamente responsabili dell’evangelizzazione sia come membri del Collegio episcopale, che come Pastori delle Chiese particolari (cfr Redemptoris missio, 63). Mi rivolgo, pertanto, ai Pastori di tutte le Chiese posti dal Signore a guida dell’unico suo gregge, perché condividano l’assillo dell’annuncio e della diffusione del Vangelo. Fu proprio questa preoccupazione a spingere, cinquant’anni fa, il Servo di Dio Pio XII a rendere la cooperazione missionaria più rispondente alle esigenze dei tempi. Specialmente dinanzi alle prospettive dell’evangelizzazione egli chiese alle comunità di antica evangelizzazione di inviare sacerdoti a sostegno delle Chiese di recente fondazione. Dette vita così a un nuovo "soggetto missionario" che, dalle prime parole dell’Enciclica, trasse appunto il nome di "Fidei donum". Scrisse in proposito: "Considerando da un lato le schiere innumerevoli di nostri figli che, soprattutto nei Paesi di antica tradizione cristiana, sono partecipi del bene della fede, e dall’altro la massa ancor più numerosa di coloro che tuttora attendono il messaggio della salvezza, sentiamo l’ardente desiderio di esortarvi, Venerabili Fratelli, a sostenere con il vostro zelo la causa santa della espansione della Chiesa nel mondo". Ed aggiunse: "Voglia Iddio che in seguito al nostro appello lo spirito missionario penetri più a fondo nel cuore di tutti i sacerdoti e, attraverso il loro ministero, infiammi tutti i fedeli" (AAS XLIX 1957, 226).

Rendiamo grazie al Signore per i frutti abbondanti ottenuti da questa cooperazione missionaria in Africa e in altre regioni della terra. Schiere di sacerdoti, dopo aver lasciato le comunità d’origine, hanno posto le loro energie apostoliche al servizio di comunità talora appena nate, in zone di povertà e in via di sviluppo. Tra loro ci sono non pochi martiri che, alla testimonianza della parola e alla dedizione apostolica, hanno unito il sacrificio della vita. Né possiamo dimenticare i molti religiosi, religiose e laici volontari che, insieme ai presbiteri, si sono prodigati per diffondere il Vangelo sino agli estremi confini del mondo. La Giornata Missionaria Mondiale sia occasione per ricordare nella preghiera questi nostri fratelli e sorelle nella fede e quanti continuano a prodigarsi nel vasto campo missionario. Domandiamo a Dio che il loro esempio susciti ovunque nuove vocazioni e una rinnovata consapevolezza missionaria nel popolo cristiano. In effetti, ogni comunità cristiana nasce missionaria, ed è proprio sulla base del coraggio di evangelizzare che si misura l’amore dei credenti verso il loro Signore. Potremmo così dire che, per i singoli fedeli, non si tratta più semplicemente di collaborare all’attività di evangelizzazione, ma di sentirsi essi stessi protagonisti e corresponsabili della missione della Chiesa. Questa corresponsabilità comporta che cresca la comunione tra le comunità e si incrementi l’aiuto reciproco per quanto concerne sia il personale (sacerdoti, religiosi, religiose e laici volontari) che l’utilizzo dei mezzi oggi necessari per evangelizzare.

Cari fratelli e sorelle, il mandato missionario affidato da Cristo agli Apostoli ci coinvolge veramente tutti. La Giornata Missionaria Mondiale sia pertanto occasione propizia per prenderne più profonda coscienza e per elaborare insieme appropriati itinerari spirituali e formativi che favoriscano la cooperazione fra le Chiese e la preparazione di nuovi missionari per la diffusione del Vangelo in questo nostro tempo. Non si dimentichi tuttavia che il primo e prioritario contributo, che siamo chiamati ad offrire all’azione missionaria della Chiesa, è la preghiera. "La messe è molta, ma gli operai sono pochi – dice il Signore -. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" (Lc 10,2). "In primo luogo - scriveva cinquant’anni or sono il Papa Pio XII di venerata memoria - pregate dunque, Venerabili Fratelli, pregate di più. Ricordatevi degli immensi bisogni spirituali di tanti popoli ancora così lontani dalla vera fede oppure così privi di soccorsi per perseverarvi" (AAS, cit., pag. 240). Ed esortava a moltiplicare le Messe celebrate per le Missioni, osservando che "ciò risponde ai desideri del Signore, che ama la sua Chiesa e la vuole estesa e fiorente in ogni angolo della terra" (ibid., pag. 239).

Cari fratelli e sorelle, rinnovo anch’io questo invito quanto mai attuale. Si estenda in ogni comunità la corale invocazione al "Padre nostro che è nei cieli", perché venga il suo regno sulla terra. Faccio appello particolarmente ai bambini e ai giovani, sempre pronti a generosi slanci missionari. Mi rivolgo agli ammalati e ai sofferenti, ricordando il valore della loro misteriosa e indispensabile collaborazione all’opera della salvezza. Chiedo alle persone consacrate e specialmente ai monasteri di clausura di intensificare la loro preghiera per le missioni. Grazie all’impegno di ogni credente, si allarghi in tutta la Chiesa la rete spirituale della preghiera a sostegno dell’evangelizzazione. La Vergine Maria, che ha accompagnato con materna sollecitudine il cammino della Chiesa nascente, guidi i nostri passi anche in questa nostra epoca e ci ottenga una nuova Pentecoste di amore. Ci renda, in particolare, consapevoli tutti di essere missionari, inviati cioè dal Signore ad essere suoi testimoni in ogni momento della nostra esistenza. Ai sacerdoti "Fidei donum", ai religiosi, alle religiose, ai laici volontari impegnati sulle frontiere dell’evangelizzazione, come pure a quanti in vario modo si dedicano all’annuncio del Vangelo assicuro un ricordo quotidiano nella mia preghiera, mentre imparto con affetto a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 27 Maggio 2007, Solennità di Pentecoste

BENEDICTUS PP. XVI

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domenica 27 maggio 2007

SOLENNITA' DI PENTECOSTE: LO SPECIALE DEL BLOG


OMELIE DEL CARDINALE JOSEPH RATZINGER

Card. Ratzinger: "Il Cristianesimo è fuoco, non una faccenda noiosa, un pio profluvio di parole grazie al quale possiamo attaccarci a qualsiasi treno, pur di esserci" (Omelia di Pentecoste, Monaco di Baviera, 14 maggio 1978)


Il Papa: "Tutti possiamo constatare come nel nostro mondo, anche se siamo sempre più vicini l’uno all’altro con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, e le distanze geografiche sembrano sparire, come tuttavia la comprensione e la comunione tra le persone è spesso superficiale e difficoltosa. Permangono squilibri che non di rado portano a conflitti; il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi. In questa situazione, possiamo veramente trovare e vivere quell’unità di cui abbiamo tanto bisogno?" (Omelia del Santo Padre nella Solennità di Pentecoste,  27 maggio 2012)


SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 12 GIUGNO 2011

Il Papa: "Lo Spirito Santo proviene da Dio come soffio della sua bocca e ha il potere di santificare, abolire le divisioni, dissolvere la confusione dovuta al peccato. Egli, incorporeo e immateriale, elargisce i beni divini, sostiene gli esseri viventi, perché agiscano in conformità al bene" (Parole del Santo Padre alla recita del Regina Coeli di Pentecoste, 12 giugno 2011)

Il Papa: "Lo Spirito Santo anima la Chiesa. Essa non deriva dalla volontà umana, dalla riflessione, dall’abilità dell’uomo e dalla sua capacità organizzativa, poiché se così fosse essa già da tempo si sarebbe estinta, così come passa ogni cosa umana. La Chiesa invece è il Corpo di Cristo, animato dallo Spirito Santo" (Omelia del Santo Padre nella Solennità di Pentecoste, 12 giugno 2011)

SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 23 MAGGIO 2010

Il Papa: "La Chiesa vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento" (Parole del Santo Padre alla recita del Regina Coeli di Pentecoste, 23 maggio 2010)

Il Papa: "La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane" (Omelia del Santo Padre nella Solennità di Pentecoste, 23 maggio 2010)

SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 31 MAGGIO 2009

Il Papa: "Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Senza di Lui a che cosa essa si ridurrebbe?" (Parole del Santo Padre alla recita del Regina Coeli di Pentecoste, 31 maggio 2009)

Il Papa: "Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale" (Omelia del Santo Padre nella Solennità di Pentecoste, 31 maggio 2009)

Il Papa: "La grande festa di Pentecoste ci invita a meditare sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria, un rapporto strettissimo, privilegiato, indissolubile" (Discorso del Santo Padre a conclusione del mese mariano nei Giardini Vaticani, 30 maggio 2009)

Benedetto XVI ai bambini: "A dire la verità, non avrei mai pensato di diventare Papa perchè sono stato un ragazzo abbastanza ingenuo..." (Trascrizione dello splendido dialogo del Papa con i bambini dell’Opera per l’Infanzia Missionaria, 30 maggio 2009)

SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 11 MAGGIO 2008

"A Pentecoste la Chiesa viene costituita non da una volontà umana, ma dalla forza dello Spirito di Dio che dà vita ad una comunità una e universale" (Omelia della Santa Messa di Pentecoste)

Il Papa: "Nella Pentecoste sono inseparabili la dimensione personale e quella comunitaria, l’"io" del discepolo e il "noi" della Chiesa" (Parole del Santo Padre alla recita del Regina Coeli. Appello per il Libano)

SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 27 MAGGIO 2007

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA COELI , 27.05.2007

Alle ore 12 di oggi, Solennità di Pentecoste, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano, per recitare il Regina Coeli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:


PRIMA DEL REGINA COELI

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi la grande festa della Pentecoste, in cui la liturgia ci fa rivivere la nascita della Chiesa, secondo quanto narra san Luca nel libro degli Atti degli Apostoli (2,1-13). Cinquanta giorni dopo la Pasqua, lo Spirito Santo scese sulla comunità dei discepoli - "assidui e concordi nella preghiera" - radunati "con Maria, la madre di Gesù" e con i dodici Apostoli (cfr At 1,14; 2,1). Possiamo quindi dire che la Chiesa ebbe il suo solenne inizio con la discesa dello Spirito Santo.

In questo straordinario avvenimento troviamo le note essenziali e qualificanti della Chiesa: la Chiesa è una, come la comunità di Pentecoste, che era unita nella preghiera e "concorde": "aveva un cuore solo e un’anima sola" (At 4,32).

La Chiesa è santa, non per i suoi meriti, ma perché, animata dallo Spirito Santo, tiene fisso lo sguardo su Cristo, per diventare conforme a Lui e al suo amore.

La Chiesa è cattolica, perché il Vangelo è destinato a tutti i popoli e per questo, già all’inizio, lo Spirito Santo fa sì che essa parli tutte le lingue.

La Chiesa è apostolica, perché, edificata sopra il fondamento degli Apostoli, custodisce fedelmente il loro insegnamento attraverso la catena ininterrotta della successione apostolica.

La Chiesa, inoltre, è per sua natura missionaria, e dal giorno di Pentecoste lo Spirito Santo non cessa di spingerla sulle strade del mondo, fino agli estremi confini della terra e fino alla fine dei tempi. Questa realtà che possiamo verificare in ogni epoca è già come anticipata nel Libro degli Atti, dove si descrive il passaggio del Vangelo dagli Ebrei ai pagani, da Gerusalemme a Roma.

Roma sta ad indicare il mondo dei pagani, e così tutti i popoli che sono al di fuori dell’antico popolo di Dio. In effetti, gli Atti si concludono con l’arrivo del Vangelo a Roma. Si può allora dire che Roma è il nome concreto della cattolicità e della missionarietà, esprime la fedeltà alle origini, alla Chiesa di tutti i tempi, a una Chiesa che parla tutte le lingue e va incontro a tutte le culture.

Cari fratelli e sorelle, la prima Pentecoste avvenne quando Maria Santissima era presente in mezzo ai discepoli nel Cenacolo di Gerusalemme e pregava. Anche oggi ci affidiamo alla sua materna intercessione, affinché lo Spirito Santo scenda in abbondanza sulla Chiesa del nostro tempo, riempia i cuori di tutti i fedeli e accenda in essi - in noi - il fuoco del suo amore.

DOPO LA RECITA DEL REGINA COELI

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi di Garda che hanno ricevuto il sacramento della Confermazione, l’Associazione "Insieme per la vita" di Mineo e il "Club 500" di Pescara. In questa giornata, che le autorità italiane hanno dedicato in modo speciale al "sollievo della sofferenza" dei malati gravi, assicuro la mia preghiera per i pazienti e per quanti si impegnano ad assicurare loro cure adeguate, ma anche speranza e sostegno.
A tutti auguro una buona domenica illuminata dallo Spirito Santo. Buona domenica e buona settimana!

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SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 4 GIUGNO 2006

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Sagrato della Basilica Vaticana

Cari fratelli e sorelle!

Il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo scese con potenza sugli Apostoli; ebbe così inizio la missione della Chiesa nel mondo. Gesù stesso aveva preparato gli Undici a questa missione apparendo loro più volte dopo la sua risurrezione (cfr At 1,3). Prima dell’ascensione al Cielo, ordinò di "non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre" (cfr At 1,4-5); chiese cioè che restassero insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14).

Restare insieme fu la condizione posta da Gesù per accogliere il dono dello Spirito Santo; presupposto della loro concordia fu una prolungata preghiera. Troviamo in tal modo delineata una formidabile lezione per ogni comunità cristiana. Si pensa talora che l’efficacia missionaria dipenda principalmente da un’attenta programmazione e dalla successiva intelligente messa in opera mediante un impegno concreto. Certo, il Signore chiede la nostra collaborazione, ma prima di qualsiasi nostra risposta è necessaria la sua iniziativa: è il suo Spirito il vero protagonista della Chiesa. Le radici del nostro essere e del nostro agire stanno nel silenzio sapiente e provvido di Dio.

Le immagini che usa san Luca per indicare l’irrompere dello Spirito Santo - il vento e il fuoco - ricordano il Sinai, dove Dio si era rivelato al popolo di Israele e gli aveva concesso la sua alleanza (cfr Es 19,3ss). La festa del Sinai, che Israele celebrava cinquanta giorni dopo la Pasqua, era la festa del Patto. Parlando di lingue di fuoco (cfr At 2,3), san Luca vuole rappresentare la Pentecoste come un nuovo Sinai, come la festa del nuovo Patto, in cui l’Alleanza con Israele è estesa a tutti i popoli della Terra. La Chiesa è cattolica e missionaria fin dal suo nascere. L’universalità della salvezza viene significativamente evidenziata dall’elenco delle numerose etnie a cui appartengono coloro che ascoltano il primo annuncio degli Apostoli (cfr At 2,9-11).

Il Popolo di Dio, che aveva trovato al Sinai la sua prima configurazione, viene quest’oggi ampliato fino a non conoscere più alcuna frontiera né di razza, né di cultura, né di spazio né di tempo. A differenza di quanto era avvenuto con la torre di Babele (cfr Gn 11,1-9), quando gli uomini, intenzionati a costruire con le loro mani una via verso il cielo, avevano finito per distruggere la loro stessa capacità di comprendersi reciprocamente, nella Pentecoste lo Spirito, con il dono delle lingue, mostra che la sua presenza unisce e trasforma la confusione in comunione. L’orgoglio e l’egoismo dell’uomo creano sempre divisioni, innalzano muri d’indifferenza, di odio e di violenza. Lo Spirito Santo, al contrario, rende i cuori capaci di comprendere le lingue di tutti, perché ristabilisce il ponte dell’autentica comunicazione fra la Terra e il Cielo. Lo Spirito Santo è l’Amore.

Ma come entrare nel mistero dello Spirito Santo, come comprendere il segreto dell’Amore? La pagina evangelica ci conduce oggi nel Cenacolo dove, terminata l’ultima Cena, un senso di smarrimento rende tristi gli Apostoli. La ragione è che le parole di Gesù suscitano interrogativi inquietanti: Egli parla dell’odio del mondo verso di Lui e verso i suoi, parla di una sua misteriosa dipartita e ci sono molte altre cose ancora da dire, ma per il momento gli Apostoli non sono in grado di portarne il peso (cfr Gv 16,12). Per confortarli spiega il significato del suo distacco: se ne andrà, ma tornerà; nel frattempo non li abbandonerà, non li lascerà orfani. Manderà il Consolatore, lo Spirito del Padre, e sarà lo Spirito a far conoscere che l’opera di Cristo è opera di amore: amore di Lui che si è offerto, amore del Padre che lo ha dato.

Questo è il mistero della Pentecoste: lo Spirito Santo illumina lo spirito umano e, rivelando Cristo crocifisso e risorto, indica la via per diventare più simili a Lui, essere cioè "espressione e strumento dell’amore che da Lui promana" (Deus caritas est, 33). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa quest’oggi prega: "Veni Sancte Spiritus! - Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!". Amen.

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VEGLIA DI PENTECOSTE CON LA PARTECIPAZIONE DEI MOVIMENTI ECCLESIALI E DELLE NUOVE COMUNITÀ , 03.06.2006

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE 2006

REGINA COELI

Piazza San Pietro

Cari fratelli e sorelle!

L'odierna solennità di Pentecoste ci invita a tornare alle origini della Chiesa, che, come afferma il Concilio Vaticano II, "è stata manifestata dall'effusione dello Spirito" (Lumen gentium, 2). Nella Pentecoste la Chiesa si manifestò una, santa, cattolica e apostolica; si manifestò missionaria, con il dono di parlare tutte le lingue del mondo, perché a tutti i popoli è destinata la Buona Novella dell'amore di Dio. "Lo Spirito - insegna ancora il Concilio - guida la Chiesa verso la verità tutta intera, la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige e la abbellisce dei suoi frutti" (ivi, 4). Tra le realtà suscitate dallo Spirito nella Chiesa vi sono i Movimenti e le Comunità ecclesiali, che ieri ho avuto la gioia di incontrare in questa Piazza, in un grande raduno mondiale. Tutta la Chiesa, come amava dire il Papa Giovanni Paolo II, è un unico grande movimento animato dallo Spirito Santo, un fiume che attraversa la storia per irrigarla con la grazia di Dio e renderla feconda di vita, di bontà, di bellezza, di giustizia, di pace.

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SOLENNITA' DI PENTECOSTE, 15 MAGGIO 2005

SANTA MESSA CON ORDINAZIONI PRESBITERALI

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica di San Pietro

La prima lettura ed il Vangelo della Domenica di Pentecoste ci presentano due grandi immagini della missione dello Spirito Santo. La lettura degli Atti degli Apostoli narra come, il giorno di Pentecoste, lo Spirito Santo, sotto i segni di un vento potente e del fuoco, irrompe nella comunità orante dei discepoli di Gesù e dà così origine alla Chiesa. Per Israele, la Pentecoste, da festa della mietitura, era divenuta la festa che faceva memoria della conclusione dell’alleanza al Sinai. Dio aveva mostrato la sua presenza al popolo attraverso il vento e il fuoco e gli aveva poi fatto dono della sua legge, dei 10 Comandamenti. Soltanto così l’opera di liberazione, cominciata con l’esodo dall’Egitto, si era pienamente compiuta: la libertà umana è sempre una libertà condivisa, un insieme di libertà. Soltanto in un’ordinata armonia delle libertà, che dischiude a ciascuno il proprio ambito, può reggersi una libertà comune. Perciò il dono della legge sul Sinai non fu una restrizione o un’abolizione della libertà ma il fondamento della vera libertà. E poiché un giusto ordinamento umano può reggersi soltanto se proviene da Dio e se unisce gli uomini nella prospettiva di Dio, ad un ordinato assetto delle libertà umane non possono mancare i comandamenti che Dio stesso dona. Così Israele è divenuto pienamente popolo proprio attraverso l’alleanza con Dio al Sinai. L’incontro con Dio al Sinai potrebbe essere considerato come il fondamento e la garanzia della sua esistenza come popolo. Il vento ed il fuoco, che investirono la comunità dei discepoli di Cristo radunata nel cenacolo, costituirono un ulteriore sviluppo dell’evento del Sinai e gli diedero nuova ampiezza. Si trovavano in quel giorno a Gerusalemme, secondo quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli, “Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo” (At 2, 5). Ed ecco che si manifesta il dono caratteristico dello Spirito Santo: tutti costoro comprendono le parole degli apostoli: “Ciascuno li sentiva parlare la propria lingua” (At 2, 6). Lo Spirito Santo dona di comprendere. Supera la rottura iniziata a Babele - la confusione dei cuori, che ci mette gli uni contro gli altri - e apre le frontiere. Il popolo di Dio che aveva trovato al Sinai la sua prima configurazione, viene ora ampliato fino a non conoscere più alcuna frontiera. Il nuovo popolo di Dio, la Chiesa, è un popolo che proviene da tutti i popoli. La Chiesa fin dall’inizio è cattolica, questa è la sua essenza più profonda. San Paolo spiega e sottolinea questo nella seconda lettura, quando dice: “Ed in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” (1 Cor 12, 13). La Chiesa deve sempre nuovamente divenire ciò che essa già è: deve aprire le frontiere fra i popoli e infrangere le barriere fra le classi e le razze. In essa non vi possono essere né dimenticati né disprezzati. Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo. Vento e fuoco dello Spirito Santo devono senza sosta aprire quelle frontiere che noi uomini continuiamo ad innalzare fra di noi; dobbiamo sempre di nuovo passare da Babele, dalla chiusura in noi stessi, a Pentecoste. Dobbiamo perciò continuamente pregare che lo Spirito Santo ci apra, ci doni la grazia della comprensione, così da divenire il popolo di Dio proveniente da tutti i popoli – ancor più, ci dice San Paolo: in Cristo, che come unico pane nutre tutti noi nell’Eucaristia e ci attira a sé nel suo corpo straziato sulla croce, noi dobbiamo divenire un solo corpo e un solo spirito.

La seconda immagine dell’invio dello Spirito, che troviamo nel Vangelo, è molto più discreta. Ma proprio così fa percepire tutta la grandezza dell’evento della Pentecoste. Il Signore Risorto attraverso le porte chiuse entra nel luogo dove si trovavano i discepoli e li saluta due volte dicendo: la pace sia con voi! Noi, continuamente, chiudiamo le nostre porte; continuamente, vogliamo metterci al sicuro e non essere disturbati dagli altri e da Dio. Perciò possiamo continuamente supplicare il Signore soltanto per questo, perché egli venga a noi superando le nostre chiusure e ci porti il suo saluto. “La pace sia con voi”: questo saluto del Signore è un ponte, che egli getta fra cielo e terra. Egli discende su questo ponte fino a noi e noi possiamo salire, su questo ponte di pace, fino a lui. Su questo ponte, sempre insieme a Lui, anche noi dobbiamo arrivare fino al prossimo, fino a colui che ha bisogno di noi. Proprio abbassandoci insieme a Cristo, noi ci innalziamo fino a lui e fino a Dio: Dio è Amore e perciò la discesa, l’abbassamento, che l’amore ci chiede, è allo stesso tempo la vera ascesa. Proprio così, abbassandoci, noi raggiungiamo l’altezza di Gesù Cristo, la vera altezza dell’essere umano.

Al saluto di pace del Signore seguono due gesti decisivi per la Pentecoste: il Signore vuole che la sua missione continui nei discepoli: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20, 21). Dopo di che egli alita su di loro e dice: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 23). Il Signore alita sui discepoli, e così dona loro lo Spirito Santo, il suo Spirito. Il soffio di Gesù è lo Spirito Santo. Riconosciamo qui, anzitutto, un’allusione al racconto della creazione dell’uomo nella Genesi: “Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Gn 2, 7). L’uomo è questa creatura misteriosa, che proviene tutta dalla terra, ma in cui è stato posto il soffio di Dio. Gesù alita sugli apostoli e dona loro in modo nuovo, più grande, il soffio di Dio. Negli uomini, pur con tutti i loro limiti, vi è ora qualcosa di assolutamente nuovo – il soffio di Dio. La vita di Dio abita in noi. Il soffio del suo amore, della sua verità e della sua bontà. Così possiamo vedere qui anche un’allusione al battesimo ed alla cresima – a questa nuova appartenenza a Dio, che il Signore ci dona. Il testo del Vangelo ci invita a questo: a vivere sempre nello spazio del soffio di Gesù Cristo, a ricevere vita da Lui, così che egli inspiri in noi la vita autentica – la vita che nessuna morte può più togliere. Al suo soffio, al dono dello Spirito Santo, il Signore collega il potere di perdonare. Abbiamo udito in precedenza che lo Spirito Santo unisce, infrange le frontiere, conduce gli uni verso gli altri. La forza, che apre e fa superare Babele, è la forza del perdono. Gesù può donare il perdono ed il potere di perdonare, perché egli stesso ha sofferto le conseguenze della colpa e le ha dissolte nella fiamma del suo amore. Il perdono viene dalla croce; egli trasforma il mondo con l’amore che si dona. Il suo cuore aperto sulla croce è la porta attraverso cui entra nel mondo la grazia del perdono. E soltanto questa grazia può trasformare il mondo ed edificare la pace.

Se paragoniamo i due eventi di Pentecoste, il vento potente del 50° giorno e il lieve alitare di Gesù nella sera di Pasqua, ci può tornare in mente il contrasto fra due episodi, accaduti al Sinai, di cui ci parla l’Antico Testamento. Da una parte c’è il racconto del fuoco, del tuono e del vento, che precedono la promulgazione dei 10 Comandamenti e la conclusione dell’alleanza (Es 19 ss); dall’altra, il misterioso racconto di Elia sull’Oreb. Dopo i drammatici avvenimenti del Monte Carmelo, Elia era fuggito dall’ira di Acab e Gezabele. Quindi, seguendo il comando di Dio, aveva pellegrinato fino al Monte Oreb. Il dono dell’alleanza divina, della fede nel Dio unico, sembrava scomparso in Israele. Elia, in un certo qual modo, deve riaccendere la fiamma della fede sul monte di Dio e riportarla ad Israele. Egli sperimenta, in quel luogo, vento, terremoto e fuoco. Ma Dio non è presente in tutto questo. Allora egli percepisce un mormorio dolce e leggero. E Dio gli parla da questo soffio leggero (1 Re 19, 11 – 18). Non è forse proprio quel che accade la sera di Pasqua, quando Gesù compare ai suoi Apostoli ad insegnarci cosa qui si vuol dire? Non possiamo forse vedere qui una prefigurazione del servitore di Jahwé, del quale Isaia dice: “Egli non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce” (42, 2)? Non appare forse così l’umile figura di Gesù come la vera rivelazione nella quale Dio si manifesta a noi e ci parla? Non sono forse l’umiltà e la bontà di Gesù la vera epifania di Dio? Elia, sul Monte Carmelo, aveva cercato di combattere l’allontanamento da Dio con il fuoco e con la spada, uccidendo i profeti di Baal. Ma in questo modo non aveva potuto ristabilire la fede. Sull’Oreb egli deve apprendere che Dio non è nel vento, nel terremoto, nel fuoco; Elia deve imparare a percepire la voce leggera di Dio e, così, a riconoscere in anticipo colui che ha vinto il peccato non con la forza ma con la sua Passione; colui che, con il suo patire, ci ha donato il potere del perdono. Questo è il modo con cui Dio vince.

Cari ordinandi! In questo modo il messaggio di Pentecoste si rivolge ora direttamente a voi. La scena pentecostale del Vangelo di Giovanni parla di voi ed a voi. A ciascuno di voi, in modo personalissimo, il Signore dice: pace a voi – pace a te! Quando il Signore dice questo, non dona qualcosa ma dona se stesso. Infatti egli stesso è la pace (Ef 2, 14). In questo saluto del Signore, possiamo intravedere anche un richiamo al grande mistero della fede, alla Santa Eucaristia, nella quale egli continuamente ci dona se stesso e, in tal modo, la vera pace. Questo saluto si colloca così al centro della vostra missione sacerdotale: il Signore affida a voi il mistero di questo sacramento. Nel suo nome voi potete dire: questo è il mio corpo – questo è il mio sangue. Lasciatevi attirare sempre di nuovo nella Santa Eucaristia, nella comunione di vita con Cristo. Considerate come centro di ogni giornata il poterla celebrare in modo degno. Conducete gli uomini sempre di nuovo a questo mistero. Aiutateli, a partire da essa, a portare la pace di Cristo nel mondo.

Risuona poi, nel Vangelo appena udito, una seconda parola del Risorto: “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20, 21). Cristo dice questo, in modo molto personale, a ciascuno di voi. Con l’ordinazione sacerdotale voi vi inserite nella missione degli apostoli. Lo Spirito Santo è vento, ma non è amorfo. E’ uno Spirito ordinato. E si manifesta proprio ordinando la missione, nel sacramento del sacerdozio, con cui continua il ministero degli apostoli. Attraverso questo ministero, voi siete inseriti nella grande schiera di coloro che, a partire dalla Pentecoste, hanno ricevuto la missione apostolica. Voi siete inseriti nella comunione del presbiterio, nella comunione con il vescovo e con il Successore di San Pietro, che qui in Roma è anche il vostro vescovo. Tutti noi siamo inseriti nella rete dell’obbedienza alla parola di Cristo, alla parola di colui che ci dà la vera libertà, perché ci conduce negli spazi liberi e negli ampi orizzonti della verità. Proprio in questo comune legame col Signore noi possiamo e dobbiamo vivere il dinamismo dello Spirito. Come il Signore è uscito dal Padre e ci ha donato luce, vita ed amore, così la missione deve continuamente rimetterci in movimento, renderci inquieti, per portare a chi soffre, a chi è nel dubbio, ed anche a chi è riluttante, la gioia di Cristo.

Infine, vi è il potere del perdono. Il sacramento della penitenza è uno dei tesori preziosi della Chiesa, perché solo nel perdono si compie il vero rinnovamento del mondo. Nulla può migliorare nel mondo, se il male non è superato. E il male può essere superato solo con il perdono. Certamente, deve essere un perdono efficace. Ma questo perdono può darcelo solo il Signore. Un perdono che non allontana il male solo a parole, ma realmente lo distrugge. Ciò può avvenire solo con la sofferenza ed è realmente avvenuto con l’amore sofferente di Cristo, dal quale noi attingiamo il potere del perdono.

Infine, cari ordinandi, vi raccomando l’amore alla Madre del Signore. Fate come San Giovanni, che l’accolse nell’intimo del proprio cuore. Lasciatevi rinnovare continuamente dal suo amore materno. Imparate da lei ad amare Cristo. Il Signore benedica il vostro cammino sacerdotale! Amen.

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REGINA COELI

Piazza San Pietro
Domenica di Pentecoste, 15 maggio 2005


Cari fratelli e sorelle!

Nella Basilica di San Pietro si è da poco conclusa la Celebrazione eucaristica durante la quale ho avuto la gioia di ordinare 21 nuovi sacerdoti. E’ un evento che segna un momento di crescita importante per la nostra Comunità. Dai ministri ordinati, infatti, essa riceve vita, soprattutto mediante il servizio della Parola di Dio e dei Sacramenti. Questo, dunque, è un giorno di festa per la Chiesa di Roma. E per i sacerdoti novelli, questa è in modo speciale la loro Pentecoste: ad essi rinnovo il mio saluto e prego perché lo Spirito Santo accompagni sempre il loro ministero. Rendiamo grazie a Dio per il dono dei nuovi presbiteri, e preghiamo che a Roma come pure nel mondo intero fioriscano e maturino numerose e sante vocazioni sacerdotali.

La felice coincidenza tra la Pentecoste e le Ordinazioni presbiterali mi invita a sottolineare il legame indissolubile che esiste, nella Chiesa, tra lo Spirito e l’istituzione. Lo accennavo già sabato scorso, prendendo possesso della Cattedra di Vescovo di Roma, a San Giovanni in Laterano. La Cattedra e lo Spirito sono realtà intimamente unite, così come lo sono il carisma e il ministero ordinato. Senza lo Spirito Santo, la Chiesa si ridurrebbe a un’organizzazione meramente umana, appesantita dalle sue stesse strutture. Ma, a sua volta, nei piani di Dio lo Spirito si serve abitualmente delle mediazioni umane per agire nella storia. Proprio per questo Cristo, che ha costituito la sua Chiesa sul fondamento degli Apostoli stretti intorno a Pietro, l’ha anche arricchita del dono del suo Spirito, affinché nel corso dei secoli la conforti (cfr Gv 14,16) e la guidi alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Possa la Comunità ecclesiale restare sempre aperta e docile all’azione dello Spirito Santo per essere tra gli uomini segno credibile e strumento efficace dell’azione di Dio!

Affidiamo questo auspicio all’intercessione della Vergine Maria, che oggi contempliamo nel mistero glorioso della Pentecoste. Lo Spirito Santo, che a Nazaret era sceso su di Lei per renderLa Madre del Verbo incarnato (cfr Lc 1,35), è sceso oggi sulla Chiesa nascente riunita intorno a Lei nel Cenacolo (cfr At 1,14). Invochiamo con fiducia Maria Santissima, perché ottenga una rinnovata effusione dello Spirito sulla Chiesa dei nostri giorni.

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sabato 26 maggio 2007

Il Papa ai giovani imprenditori: salvaguardare l'occupazione


UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DAI GIOVANI IMPRENDITORI DI CONFINDUSTRIA , 26.05.2007

A fine mattinata, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i partecipanti all’Incontro promosso dai Giovani Imprenditori di Confindustria e ha loro rivolto il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici,

grazie per questa vostra visita che mi è particolarmente gradita: a ciascuno di voi rivolgo il mio cordiale saluto. In primo luogo saluto il vostro Presidente, il Dott. Matteo Colaninno, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha indirizzato a nome di tutti voi. Estendo il mio pensiero ai Responsabili nazionali, regionali e provinciali del Movimento Giovani Imprenditori come pure a tutti i membri del vostro Sodalizio, che si contraddistingue per il fatto di essere un movimento di persone e non semplicemente un’organizzazione di aziende. In tal modo si vuole mettere in risalto la responsabilità dell’imprenditore, chiamato a rendere un peculiare contributo allo sviluppo economico della società. In effetti, il tenore di benessere sociale di cui gode oggi l’Italia non sarebbe pensabile senza l’apporto degli imprenditori e dei dirigenti, "i cui ruoli", come ricorda il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, "rivestono un’importanza centrale dal punto di vista sociale, perché si collocano in quella rete di legami tecnici, commerciali, finanziari, culturali, che caratterizzano la moderna realtà di impresa" (n. 344).

In questo nostro incontro vorrei esporre qualche breve considerazione concernente il vostro ruolo negli ambiti della vita economica. Colgo lo spunto da un noto e spesso citato testo del Concilio Vaticano II: "Nelle imprese economiche – ricorda il Concilio - si uniscono delle persone, cioè uomini liberi ed autonomi, creati ad immagine di Dio. Perciò, avuto riguardo ai compiti di ciascuno – sia proprietari, sia imprenditori, sia dirigenti, sia lavoratori – e salva la necessaria unità di direzione dell’impresa, va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato, l’attiva partecipazione di tutti alla vita dell’impresa" (Cost. past. Gaudium et spes, 68). Ogni impresa è da considerarsi in primo luogo come un insieme di persone, da rispettare nei loro diritti e nella loro dignità. A questo proposito, ho appreso con piacere che il vostro Movimento, nel corso di questi anni, si è impegnato a sottolineare con vigore la centralità dell’uomo nel campo dell’economia. Significativo, al riguardo, è il vostro primo Convegno nazionale del 2006 sul tema: L’Economia dell’Uomo. In effetti è indispensabile che il riferimento ultimo di ogni intervento economico sia il bene comune e il soddisfacimento delle legittime attese dell’essere umano. In altri termini, la vita umana e i suoi valori devono sempre essere il principio e il fine dell’economia.

In quest’ottica assume il suo giusto valore la funzione del profitto, quale primo indicatore del buon andamento dell’azienda. Il Magistero sociale della Chiesa ne riconosce l’importanza, sottolineando al tempo stesso la necessità di tutelare la dignità delle persone che a vario titolo sono coinvolte nelle imprese. Anche nei momenti di maggiore crisi, il criterio che governa le scelte imprenditoriali non può essere la mera promozione di un maggior profitto. Afferma in merito il già citato Compendio: "Gli imprenditori e i dirigenti non possono tenere conto esclusivamente dell’obiettivo economico dell’impresa, dei criteri dell’efficienza economica, delle esigenze della cura del ‘capitale’ come insieme di mezzi di produzione: è loro preciso dovere anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell’impresa". "Questi ultimi - prosegue il testo - costituiscono il «patrimonio più prezioso dell’azienda», il fattore decisivo della produzione. Nelle grandi decisioni strategiche e finanziarie, di acquisto o di vendita, di ridimensionamento o di chiusura di impianti, nella politica delle fusioni, non ci si può limitare esclusivamente a criteri di natura finanziaria o commerciale" (n. 344). E’ necessario che l’attività lavorativa torni ad essere l’ambito nel quale l’uomo possa realizzare le proprie potenzialità ponendo a frutto capacità e ingegno personale, e dipende in gran parte da voi, imprenditori, creare le condizioni più favorevoli perché ciò accada. E’ vero, tutto questo non è facile essendo il mondo del lavoro segnato da una forte e persistente crisi, ma sono certo che non risparmierete i vostri sforzi per salvaguardare l’occupazione lavorativa, in particolar modo dei giovani. Per costruire il proprio avvenire con fiducia, essi debbono infatti poter contare su una fonte di sostentamento sicura per sé e per i propri cari.

Accanto alla centralità dell’uomo nell’economia, la vostra riflessione, nel corso di questi anni, ha affrontato altri argomenti di grande attualità, come ad esempio quello della famiglia nell’impresa italiana. A più riprese ho avuto modo di ribadire l’importanza della famiglia fondata sul matrimonio, quale elemento portante della vita e dello sviluppo di una società. Operare in favore delle famiglie significa contribuire a rinnovare il tessuto della società e assicurare le basi anche di un autentico sviluppo economico. Altro importante tema da voi sottolineato è il complesso fenomeno della globalizzazione. Fenomeno che, se da una parte alimenta la speranza di una più generale partecipazione allo sviluppo e alla diffusione del benessere grazie alla redistribuzione della produzione su scala mondiale, dall’altra presenta diversi rischi legati alle nuove dimensioni delle relazioni commerciali e finanziarie, che vanno nella direzione di un incremento del divario tra la ricchezza economica di pochi e la crescita della povertà di molti. E’ doveroso, come ebbe ad affermare in maniera incisiva il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, "assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, 3).

Cari amici, il Signore illumini le vostre menti e irrobustisca le vostre volontà, perché possiate compiere la vostra missione come un prezioso servizio alla società. Con questi sentimenti, mentre assicuro un particolare ricordo nella preghiera per ciascuno di voi e per le vostre attività, di cuore vi benedico insieme alle vostre famiglie e ai vostri cari.

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giovedì 24 maggio 2007

PAPA BENEDETTO: PROSEGUIAMO NOSTRO COMPITO ANCHE CON NON POCHE DIFFICOLTA'


Vedi anche:

Discorso del Santo Padre a Verona

"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA , 24.05.2007

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula del Sinodo in Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i partecipanti alla 57a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana ed ha loro rivolto il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi italiani,

abbiamo oggi, in occasione di questa vostra 57a Assemblea Generale, una nuova e felice opportunità di incontrarci e di vivere un momento di intensa comunione. Saluto il vostro nuovo Presidente, Mons. Angelo Bagnasco, e lo ringrazio di cuore per le gentili parole che mi ha rivolto a nome di voi tutti. Rinnovo l'espressione della mia gratitudine al Cardinale Camillo Ruini, che per tanti anni, in qualità di Presidente, ha servito la vostra Conferenza. Saluto i tre Vicepresidenti e il Segretario Generale. Saluto con affetto ciascuno di voi, rivivendo quei sentimenti di amicizia e di comunione che ho potuto manifestarvi personalmente in occasione della vostra Visita ad Limina. Per me è un bellissimo ricordo questo incontro con tutti i Pastori della Chiesa in Italia. Ho imparato così la geografia, diciamo, "esteriore", ma soprattutto la geografia "spirituale" della bella Italia. Ho potuto realmente entrare nell'intimo della vita della Chiesa, dove c'è ancora tanta ricchezza, tanta vitalità di fede; dove, in questo nostro difficile periodo, non mancano i problemi, ma si vede anche che la forza della fede è profondamente operante nelle anime. Anche laddove la fede appare spenta, una piccola fiamma rimane; e noi possiamo ravvivarla.

Proprio della Visita ad Limina che avete compiuto nei mesi scorsi desidero anzitutto parlarvi, perché essa è stata per me un grande conforto e un'esperienza di gioia, oltre che l'occasione per conoscere meglio le vostre persone e le vostre Diocesi e per condividere con voi le soddisfazioni e le preoccupazioni che accompagnano la sollecitudine pastorale. Dall'insieme di questi incontri con voi sono stato anzitutto confermato nella certezza che in Italia la fede è viva e profondamente radicata e che la Chiesa è una realtà di popolo, capillarmente vicina alle persone e alle famiglie. Vi sono indubbiamente situazioni differenziate, in questo Paese così ricco di storia, anche religiosa, e caratterizzato da molteplici eredità oltre che da diverse condizioni di vita, di lavoro e di reddito. La fede cattolica e la presenza della Chiesa rimangono però il grande fattore unificante di questa amata Nazione ed un prezioso serbatoio di energie morali per il suo futuro.

Naturalmente queste consolanti realtà positive non ci portano ad ignorare o sottovalutare le difficoltà già presenti e le insidie che possono crescere con il passare del tempo e delle generazioni. Avvertiamo quotidianamente, nelle immagini proposte dal dibattito pubblico e amplificate dal sistema delle comunicazioni, ma anche, sebbene in misura diversa, nella vita e nei comportamenti delle persone, il peso di una cultura improntata al relativismo morale, povera di certezze e ricca invece di rivendicazioni non di rado ingiustificate. Avvertiamo anche la necessità di un irrobustimento della formazione cristiana mediante una catechesi più sostanziosa, per la quale può rendere un grande servizio il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Necessario è anche l’impegno costante di mettere Dio sempre più al centro della vita delle nostre comunità, dando il primato alla preghiera, alla personale amicizia con Gesù e quindi alla chiamata alla santità. In particolare, deve essere grande la cura per le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, come anche la sollecitudine per la formazione permanente e per le condizioni in cui vivono e operano i sacerdoti: specialmente in alcune regioni, infatti, proprio il numero troppo esiguo di giovani sacerdoti rappresenta già adesso un serio problema per l’azione pastorale. Insieme a tutta la comunità cristiana, chiediamo con fiducia e con umile insistenza al Signore il dono di nuovi e santi operai per la sua messe (cfr Mt 9,37-38). Sappiamo che qualche volta il Signore ci fa aspettare, ma sappiamo anche che chi bussa non lo fa invano. E quindi continuiamo, con fiducia e con pazienza, a pregare il Signore affinché ci doni nuovi santi "operai".

Cari Fratelli Vescovi, poco prima dell'inizio della Visita ad Limina questi temi sono stati oggetto del Convegno che ha visto riunita la Chiesa italiana a Verona. Conservo nel mio cuore un grande e grato ricordo della giornata che ho trascorso con voi in quell'occasione e sono felice dei risultati che nel Convegno sono maturati. Fondamentalmente si tratta ora di proseguire il cammino, per rendere sempre più effettivo e concreto quel "grande sì" che Dio in Gesù Cristo ha detto all'uomo e alla sua vita, all'amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza: in quel "sì" si riassume il senso stesso del Convegno. Partire da questo fatto e farlo percepire a tutti — che, cioè, il cristianesimo è un grande "sì", un "sì" che viene da Dio stesso ed è concretizzato nella Incarnazione del Figlio — mi sembra di grandissima importanza. Solo se collochiamo la nostra esistenza cristiana all'interno di questo "sì", se penetriamo profondamente nella gioia di questo "sì", possiamo poi realizzare la vita cristiana in tutte le parti della nostra esistenza, anche in quelle difficili del vivere come cristiani oggi.

Sono lieto dunque che in questa Assemblea voi abbiate approvato la Nota pastorale che riprende e rilancia i frutti del lavoro compiuto nel Convegno. E' molto importante che quella speranza in Gesù risorto, quello spirito di comunione e quella volontà di testimonianza missionaria che hanno animato e sostenuto il cammino preparatorio e poi la celebrazione del Convegno continuino ad alimentare la vita e l'impegno multiforme della Chiesa in Italia.

Il tema principale della vostra Assemblea si collega, a sua volta, strettamente con gli obiettivi del Convegno di Verona. State riflettendo infatti su "Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo: la Chiesa in missione, ad gentes e tra noi". Abbracciate dunque, in una prospettiva di evangelizzazione articolata ma alla fine giustamente unitaria, perché si tratta sempre di annunciare e testimoniare il medesimo Gesù Cristo, sia i popoli che si stanno per la prima volta aprendo alla fede, sia i figli di quei popoli che ora vengono a vivere e a lavorare in Italia, sia anche la nostra gente, che a volte si è allontanata dalla fede ed è comunque sottoposta alla pressione di quelle tendenze secolarizzatrici che vorrebbero dominare la società e la cultura in questo Paese e in tutta l'Europa. A tutti e a ciascuno devono rivolgersi la missione della Chiesa e la nostra sollecitudine di Pastori: mi pare doveroso ricordarlo particolarmente in questo cinquantesimo anniversario dell'Enciclica Fidei donum di Pio XII.

Mi rallegro che abbiate voluto mettere alla base dell'impegno missionario la fondamentale verità che Gesù Cristo è l'unico Salvatore del mondo: la certezza di questa verità ha fornito infatti, fin dall'inizio, l'impulso decisivo per la missione cristiana. Anche oggi, come ha riaffermato la Dichiarazione Dominus Iesus, dobbiamo avere piena coscienza che dal mistero di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, vivo e presente nella Chiesa, scaturiscono l'unicità e l'universalità salvifica della rivelazione cristiana e quindi il compito irrinunciabile di annunciare a tutti, senza stancarsi o rassegnarsi, lo stesso Gesù Cristo, che è la via, la verità e la vita (Gv l 4,16). Mi sembra che, se vediamo il panorama della situazione del mondo di oggi, si può capire — direi anche umanamente, quasi senza necessità di ricorrere alla fede — che il Dio che si è dato un volto umano, il Dio che si è incarnato, che ha il nome di Gesù Cristo e che ha sofferto per noi, questo Dio è necessario per tutti, è l'unica risposta a tutte le sfide di questo tempo.

La stima e il rispetto verso le altre religioni e culture, con í semi di verità e di bontà che vi sono presenti e che rappresentano una preparazione al Vangelo, sono particolarmente necessari oggi, in un mondo che cresce sempre più assieme. Non può però diminuire la consapevolezza dell'originalità, pienezza e unicità della rivelazione del vero Dio che in Cristo ci è stata definitivamente donata, e nemmeno può attenuarsi o indebolirsi la vocazione missionaria della Chiesa. Il clima culturale relativistico che ci circonda rende sempre più importante e urgente radicare e far maturare in tutto il corpo ecclesiale la certezza che Cristo, il Dio dal volto umano, è il nostro vero e unico Salvatore. Il libro "Gesù di Nazaret" — un libro personalissimo, non del Papa ma di quest'uomo — è scritto con questa intenzione: che possiamo di nuovo, con il cuore e con la ragione, vedere che Cristo è realmente Colui che il cuore umano attende.

Cari Fratelli, come Vescovi italiani voi avete una precisa responsabilità non solo verso le Chiese a voi affidate ma anche verso l'intera Nazione. Nel pieno e cordiale rispetto della distinzione tra Chiesa e politica, tra ciò che appartiene a Cesare e ciò che appartiene a Dio (cfr. Mt 22,21), non possiamo non preoccuparci infatti di ciò che è buono per l'uomo, creatura e immagine di Dio: in concreto, del bene comune dell'Italia. Di questa attenzione al bene comune avete dato una chiara testimonianza con la Nota approvata dal Consiglio Episcopale Permanente riguardo alla famiglia fondata sul matrimonio e alle iniziative legislative in materia di unioni di fatto, muovendovi in piena consonanza con il costante insegnamento della Sede Apostolica.

In questo contesto, la recentissima manifestazione a favore della famiglia, svoltasi per iniziativa del laicato cattolico ma condivisa anche da molti non cattolici, è stata una grande e straordinaria festa di popolo, che ha confermato come la famiglia stessa sia profondamente radicata nel cuore e nella vita degli italiani. Questo evento ha certamente contribuito a rendere visibile a tutti quel significato e quel ruolo della famiglia nella società che ha particolarmente bisogno di essere compreso e riconosciuto oggi, di fronte a una cultura che si illude di favorire la felicità delle persone insistendo unilateralmente sulla libertà dei singoli individui. Pertanto ogni iniziativa dello Stato a favore della famiglia come tale non può che essere apprezzata e incoraggiata.

La medesima attenzione ai veri bisogni della gente si esprime nel servizio quotidiano alle molte povertà, antiche e nuove, visibili o nascoste; è un servizio nel quale si prodigano tante realtà ecclesiali, a cominciare dalle vostre Diocesi, dalle parrocchie, dalla Caritas e da molte altre organizzazioni di volontariato. Insistete, cari Fratelli Vescovi, nel promuovere e animare questo servizio, affinché in esso risplenda sempre l'autentico amore di Cristo e tutti possano toccare con mano che non esiste separazione alcuna tra la Chiesa custode della legge morale, scritta da Dio nel cuore dell'uomo, e la Chiesa che invita i fedeli a farsi buoni samaritani, riconoscendo in ciascuna persona sofferente il proprio prossimo.

Desidero, infine, ricordare l'appuntamento che ci vedrà di nuovo insieme a Loreto, agli inizi di settembre, per quel pellegrinaggio e incontro che porta il nome di "Agorà dei giovani italiani" e che intende inserire più profondamente i giovani nel cammino della Chiesa dopo il Convegno di Verona e prepararli alla Giornata Mondiale della Gioventù del prossimo anno a Sydney. Sappiamo bene che la formazione cristiana delle nuove generazioni è il compito forse più difficile, ma sommamente importante che sta davanti alla Chiesa. Andremo, pertanto, a Loreto insieme ai nostri giovani perché la Vergine Maria li aiuti ad innamorarsi sempre più di Gesù Cristo, a stare dentro alla Chiesa riconosciuta come compagnia affidabile e a comunicare ai fratelli la gioiosa certezza di essere amati da Dio.

Carissimi Vescovi italiani, nell'esercizio del nostro ministero incontriamo, oggi come sempre, non poche difficoltà, ma anche ben più abbondanti consolazioni del Signore, trasmesse anche attraverso le testimonianze di affetto del nostro popolo. Ringraziamo Dio per tutto questo e proseguiamo il nostro cammino fortificati dalla comunione che ci unisce e che oggi abbiamo di nuovo sperimentato. Con questo animo vi assicuro la mia preghiera per voi, per le vostre Chiese e per l'Italia e imparto di cuore a voi e a tutti i vostri fedeli la Benedizione Apostolica.


PAPA/ VESCOVI ITALIANI IN PIEDI PER APPLAUDIRE BENEDETTO XVI
Ratzinger prega "per le vostre Chiese e per l'Italia"

Città del Vaticano, 24 mag. (Apcom) - Vescovi italiani tutti in piedi ad applaudire Benedetto XVI: si è conclusa così l'udienza riservata dal Papa all'assemblea generale della Cei svoltasi oggi in Vaticano.

Il Papa ha concluso il suo discorso con una "preghiera per voi, per le vostre Chiese e per l'Italia".

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mercoledì 23 maggio 2007

Il Papa ripercorre le tappe del viaggio in Brasile


Vedi anche:

VIAGGIO APOSTOLICO IN BRASILE (9-14 MAGGIO 2007)


PAPA: 50 MILA FEDELI LO ACCLAMANO IN PIAZZA SAN PIETRO

Una folla grandissima e imprevista ha accolto questa mattina Benedetto XVI in piazza San Pietro per l'Udienza Generale. La Prefettura della Casa Pontificia aveva distribuito nei giorni scorsi "solo" 25 mila biglietti per l'appuntamento di oggi, ma sono presenti almeno 50 mila fedeli, come mostrano le riprese dall'alto della Piazza, gremita e festante. Al suo arrivo il Pontefice ha girato i diversi settori con la jeep bianca scoperta, salutando e benedicendo la folla.
Repubblica.it

Mi aspetto che domani i giornali riportino il dato dell'affluenza all'udienza come hanno fatto per il viaggio in Brasile!
Raffaella


L’UDIENZA GENERALE , 23.05.2007

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha ripercorso le tappe fondamentali del Suo recente Viaggio Apostolico in Brasile.

Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Papa ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.

L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e del Regina Caeli e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.



CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA


Cari fratelli e sorelle,

in questa Udienza generale vorrei soffermarmi sul Viaggio apostolico che ho compiuto in Brasile, dal 9 al 14 di questo mese. Dopo due anni di Pontificato, ho avuto finalmente la gioia di recarmi nell’America Latina, che tanto amo e dove vive, di fatto, una gran parte dei cattolici del mondo. La meta è stata il Brasile, ma ho inteso abbracciare tutto il grande subcontinente latinoamericano, anche perché l’evento ecclesiale che mi ha chiamato là è stato la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi. Desidero rinnovare l’espressione della mia profonda gratitudine per l’accoglienza ricevuta ai cari fratelli Vescovi, in particolare a quelli di San Paolo e di Aparecida. Ringrazio il Presidente del Brasile e le altre Autorità civili, per la loro cordiale e generosa collaborazione; con grande affetto ringrazio il popolo brasiliano per il calore con cui mi ha accolto – era veramente grande e commovente - e per l’attenzione che ha prestato alle mie parole.

Il mio Viaggio ha avuto anzitutto il valore di un atto di lode a Dio per le "meraviglie" operate nei popoli dell’America Latina, per la fede che ha animato la loro vita e la loro cultura durante più di cinquecento anni. In questo senso è stato un pellegrinaggio, che ha avuto il suo culmine nel Santuario della Madonna Aparecida, Patrona principale del Brasile. Il tema del rapporto tra fede e cultura è stato sempre molto a cuore ai miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ho voluto riprenderlo confermando la Chiesa che è in America Latina e nei Caraibi nel cammino di una fede che si è fatta e si fa storia vissuta, pietà popolare, arte, in dialogo con le ricche tradizioni precolombiane e poi con le molteplici influenze europee e di altri continenti. Certo, il ricordo di un passato glorioso non può ignorare le ombre che accompagnarono l’opera di evangelizzazione del continente latinoamericano: non è possibile infatti dimenticare le sofferenze e le ingiustizie inflitte dai colonizzatori alle popolazioni indigene, spesso calpestate nei loro diritti umani fondamentali. Ma la doverosa menzione di tali crimini ingiustificabili - crimini peraltro già allora condannati da missionari come Bartolomeo de Las Casas e da teologi come Francesco da Vitoria dell’Università di Salamanca - non deve impedire di prender atto con gratitudine dell’opera meravigliosa compiuta dalla grazia divina tra quelle popolazioni nel corso di questi secoli. Il Vangelo è diventato così nel Continente l’elemento portante di una sintesi dinamica che, con varie sfaccettature a seconda delle diverse nazioni, esprime comunque l’identità dei popoli latinoamericani. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, questa identità cattolica si presenta ancora come la risposta più adeguata, purché animata da una seria formazione spirituale e dai principi della dottrina sociale della Chiesa.

Il Brasile è un grande Paese che custodisce valori cristiani profondamente radicati, ma vive anche enormi problemi sociali ed economici. Per contribuire alla loro soluzione la Chiesa deve mobilitare tutte le forze spirituali e morali delle sue comunità, cercando opportune convergenze con le altre energie sane del Paese. Tra gli elementi positivi sono certo da indicare la creatività e la fecondità di quella Chiesa, in cui nascono in continuazione nuovi Movimenti e nuovi Istituti di vita consacrata. Non meno lodevole è la dedizione generosa di tanti fedeli laici, che si dimostrano molto attivi nelle varie iniziative promosse dalla Chiesa.

Il Brasile è anche un Paese che può offrire al mondo la testimonianza di un nuovo modello di sviluppo: la cultura cristiana infatti può animarvi una "riconciliazione" tra gli uomini e il creato, a partire dal recupero della dignità personale nella relazione con Dio Padre. In questo senso, un esempio eloquente è la "Fazenda da Esperança", una rete di comunità di recupero per giovani che vogliono uscire dal tunnel tenebroso della droga. In quella che ho visitato, traendone una profonda impressione di cui conservo vivo il ricordo nel cuore, è significativa la presenza di un monastero di Suore Clarisse. Questo mi è parso emblematico per il mondo d’oggi, che ha bisogno di un "recupero" certamente psicologico e sociale, ma ancor più profondamente spirituale. Ed emblematica è stata pure la canonizzazione, celebrata nella gioia, del primo Santo nativo del Paese: Fra Antonio di Sant’Anna Galvão. Questo sacerdote francescano del secolo XVIII, devotissimo della Vergine Maria, apostolo dell’Eucaristia e della Confessione, fu chiamato, ancora vivente, "uomo di pace e di carità". La sua testimonianza è un’ulteriore conferma che la santità è la vera rivoluzione, che può promuovere l’autentica riforma della Chiesa e della società.

Nella Cattedrale di San Paolo ho incontrato i Vescovi del Brasile, la Conferenza episcopale più numerosa del mondo. Testimoniare loro il sostegno del Successore di Pietro era uno degli scopi principali della mia missione, perché conosco le grandi sfide che l’annuncio del Vangelo deve affrontare in quel Paese. Ho incoraggiato i miei Confratelli a portare avanti e rafforzare l’impegno della nuova evangelizzazione, esortandoli a sviluppare in modo capillare e metodico, la diffusione della Parola di Dio, affinché la religiosità innata e diffusa delle popolazioni possa approfondirsi e diventare fede matura, adesione personale e comunitaria al Dio di Gesù Cristo. Li ho animati a recuperare ovunque lo stile della primitiva comunità cristiana, descritta nel Libro degli Atti degli Apostoli: assidua nella catechesi, nella vita sacramentale e nella carità operosa. Conosco la dedizione di questi fedeli servitori del Vangelo, che vogliono presentare senza riduzioni e confusioni, vigilando sul deposito della fede con discernimento; è pure loro costante preoccupazione quella di promuovere lo sviluppo sociale principalmente mediante la formazione dei laici, chiamati ad assumere responsabilità nel campo della politica e dell’economia. Ringrazio Dio di avermi permesso di approfondire la comunione con i Vescovi brasiliani, e continuo a portarli sempre nella mia preghiera.

Altro momento qualificante del Viaggio è stato senza dubbio l’incontro con i giovani, speranza non solo per il futuro, ma forza vitale anche per il presente della Chiesa e della società. Per questo la veglia animata da loro a San Paolo del Brasile è stata una festa della speranza, illuminata dalle parole di Cristo rivolte al "giovane ricco", che gli aveva chiesto: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" (Mt 19,16). Gesù gli indicò prima di tutto "i comandamenti" come la via della vita, e poi lo invitò a lasciare tutto per seguirlo. Anche oggi la Chiesa fa lo stesso: prima di tutto ripropone i comandamenti, vero cammino di educazione della libertà al bene personale e sociale; e soprattutto propone il "primo comandamento", quello dell’amore, perché senza l’amore anche i comandamenti non possono dare senso pieno alla vita e procurare la vera felicità. Solo chi incontra in Gesù l’amore di Dio e si mette su questa via per praticarlo tra gli uomini, diventa suo discepolo e missionario. Ho invitato i giovani ad essere apostoli dei loro coetanei; e per questo a curare sempre la formazione umana e spirituale; ad avere grande stima del matrimonio e del cammino che conduce ad esso, nella castità e nella responsabilità; ad essere aperti anche alla chiamata alla vita consacrata per il Regno di Dio. In sintesi, li ho incoraggiati a mettere a frutto la grande "ricchezza" della loro gioventù, per essere il volto giovane della Chiesa.

Culmine del Viaggio è stata l’inaugurazione della Quinta Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, nel Santuario di Nostra Signora Aparecida. Il tema di questa grande e importante assemblea, che si concluderà alla fine del mese, è "Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché i nostri popoli in Lui abbiano vita – Io sono la via, la Verità e la Vita". Il binomio "discepoli e missionari" corrisponde a quello che il Vangelo di Marco dice a proposito della chiamata degli Apostoli: "(Gesù) ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare" (Mc 3,14-15). La parola "discepoli" richiama, quindi, la dimensione formativa e della sequela, della comunione e dell’amicizia con Gesù; il termine "missionari" esprime il frutto del discepolato, cioè la testimonianza e la comunicazione dell’esperienza vissuta, della verità e dell’amore conosciuti e assimilati. Essere discepoli e missionari comporta un vincolo stretto con la Parola di Dio, con l’Eucaristia e gli altri Sacramenti, il vivere nella Chiesa in ascolto obbediente dei suoi insegnamenti. Rinnovare con gioia la volontà di essere discepoli di Gesù, di "stare con Lui", è la condizione fondamentale per esserne missionari "ripartendo da Cristo", secondo la consegna del Papa Giovanni Paolo II a tutta la Chiesa dopo il Giubileo del 2000. Il mio venerato Predecessore ha sempre insistito su una evangelizzazione "nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nella sua espressione", come affermò proprio parlando all’Assemblea del CELAM, il 9 marzo 1983, ad Haiti (cfr Insegnamenti VI/1 [1983], 698). Con il mio Viaggio apostolico, ho voluto esortare a proseguire su questa strada, offrendo come prospettiva unificante quella dell’Enciclica Deus caritas est, una prospettiva inseparabilmente teologica e sociale, riassumibile in questa espressione: è l’amore che dona la vita. "La presenza di Dio, l’amicizia col Figlio di Dio incarnato, la luce della sua Parola, sono sempre condizioni fondamentali per la presenza ed efficacia della giustizia e dell’amore nelle nostre società" (Discorso inaugurale della V Conf. Gen. dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, 4: L’Osservatore Romano, 14-15 maggio 2007, p. 14).

Alla materna intercessione della Vergine Maria, venerata col titolo di Nostra Signora di Guadalupe quale patrona dell’intera America Latina, e al nuovo santo brasiliano, Fra Antonio di Sant’Anna Galvão, affido i frutti di questo indimenticabile Viaggio apostolico.

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lunedì 21 maggio 2007

Attivita' del Santo Padre e del Vaticano


Israele-Vaticano: Progressi Nei Negoziati Economici

(AGI) - CdV, 21 mag . - "Importanti progressi" sono stati realizzati dall'odierna riunione della Commissione mista permanente tra Santa Sede ed Israele, tenuta stamattina in Vaticano, e si attendono "ulteriori sviluppi nei prossimi mesi". Lo afferma un comunicato congiunto, che parla di "atmosfera di grande cordialita', mutua comprensione e buona volonta'". Il comunicato ricorda che oggetto dell'incontro e' "il progresso dei negoziati sull'art.10 - 2 dell'Accordo fondamentale tra Santa Sede ed Israele del 30 dicembre 1993". In concreto, scrive oggi AsiaNews, l'agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere, "l'esame riguarda la sicurezza delle proprieta' religiose della Chiesa Cattolica in Israele e la riconferma delle storiche esenzioni fiscali, che la Chiesa gia' possedeva al momento della nascita dello Stato di Israele, e che le Nazioni Uniti avevano deciso dovessero essere onorate dallo Stato ebraico". La prossima riunione della Commissione avra' luogo "nella prima meta' di dicembre" in Israele. Nel frattempo gli incontri proseguiranno a livello di gruppi di lavoro. Le due delegazioni presenti all'incontro di oggi, che avrebbe dovuto svolgersi a marzo ed era stato rinviato all'ultimo momento dagli israeliani, erano guidate per la Santa Sede da mons. Pietro Parolin,sottosegretario ai rapporti con gli Stati, e per lo Stato di Israele da Aaron Abramovich, direttore generale del Ministero degli esteri. -


Rwanda: Papa, a 13 Anni Genocidio Favorire Riconciliazione Nazionale

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 21 mag - La fede cristiana aiuti il popolo del Rwanda a ''superare un passato di errori e di morte'' e a costruire un ''Paese nuovo'' fondato sull'unita' fraterna e la pace . L'auspicio e' contenuto in una lettera inviata dal Papa al presidente del Rwanda, Paul Kagame, in occasione del 13.mo anniversario dell'inizio del genocidio, evento commemorato lo scorso 7 aprile. Nel messaggio, reso noto oggi, il Papa si unisce in preghiera ai famigliari delle vittime del genocidio e assicura la sua vicinanza spirituale a quanti hanno sofferto a causa di quel terribile massacro, che ha provocato la morte di centinaia di migliaia di innocenti. Benedetto XVI invita tutti a un maggior impegno per la riconciliazione nazionale.


Timor Est: Papa Ratzinger, Serve Solidarieta' Non Scontro Politico

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 21 mag - La ''cultura della solidarieta''' opposta allo scontro politico ad oltranza per aprire il Paese a un reale orizzonte di democrazia rimane la via migliore per Timor Est, il Paese divenuto indipendente nel 2001. LO ha detto il papa oggi ricevendo le credenziali del nuovo ambasciatore presso la S.Sede, Justino Maria Aparicio Guterrez . La memoria di quei giorni tragici - e' stato l'auspicio di Benedetto XVI - renda governo e opposizione di Timor Est particolarmente solleciti a ''intraprendere la strada del dialogo e della collaborazione, evitando la tentazione di abbandonarsi'' allo scontro politico con l'avversario, ''non solo perche' e' moralmente inaccettabile, ma anche perche' questo atteggiamento si rivela sempre nocivo per il consolidamento di una corretta dialettica democratica e per lo sviluppo integrale di tutti i cittadini del Paese''. Le ''numerose esigenze'' di ordine abitativo, sanitario, educativo e lavorativo, ha riconosciuto il Pontefice, si scontrano con gli interessi di chi non e' disposto a sacrificare al bene comune gli interessi di partito. E dunque, ha indicato il Papa, sono i 400 anni di fede nel Vangelo a dover aiutare la popolazione timorese - cattolica al 98% - a farsi promotrice di una ''cultura della solidarieta' e di una convivenza pacifica nella giustizia''. ''Mi sia permesso - ha aggiunto poi Benedetto XVI - rivolgere un veemente appello alle persone investite dell'autorita' pubblica perche' facciano di tutto per restaurare un ordine pubblico efficiente con mezzi legali e restituire ai cittadini la sicurezza nella vita quotidiana, grazie a una ritrovata fiducia nelle legittime istituzioni dello Stato''. Un grazie poi alle Nazioni Unite per la ''solidarieta''' dimostratra verso la popolazione timorese. Nel suo indirizzo di saluto, il nuovo ambasciatore di Timor est ha rinnovato, tra l'altro, a Benedetto XVI l'invito a visitare Timor Est lanciato venti giorni fa dal presidente uscente, Guterres. Sarebbe, ha detto l'ambasciatore, ''una gioia incommensurabile per il nostro popolo''.

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Prolusione di Mons. Angelo Bagnasco


Chiaramente la prolusione del Presidente della CEI non fa parte del Magistero di Papa Benedetto, ma mi pare sia importante leggere attentamente il testo visto che domani i giornali ne parleranno...non e' dato sapere come :-)
Raffaella


Conferenza Episcopale Italiana
57a ASSEMBLEA GENERALE
Roma, 21-25 maggio 2007


PROLUSIONE DEL PRESIDENTE

Venerati e cari Confratelli!

1. Potete facilmente immaginare i sentimenti che mi animano nel momento in cui prendo per la prima volta la parola dinanzi a tutti voi come presidente della nostra Conferenza episcopale: sono sentimenti di umiltà e di trepidazione, perché l’incarico inaspettatamente ricevuto dalla benevolenza del Santo Padre supera di molto non solo i meriti ma le attitudini che posso mettere in campo. Questo tuttavia è un motivo in più per confidare nella solidarietà concreta che ciascuno di Voi vorrà donarmi, nell’amicizia e nella stima reciproca. I due mesi e mezzo trascorsi dalla nomina altro non hanno fatto che rafforzare in me la consapevolezza che il munus episcopale è segnato dalla croce del Signore, e che questa è il fondamento da una parte della nostra fraternità apostolica e dall’altra della nostra missione come della gioia evangelica che l’accompagna.
Il cammino compiuto insieme a Voi nei nove anni del mio episcopato, le relazioni che ho intrecciato, i contatti che ho avuto, mi rendono desideroso di avere uno spazio nei vostri cuori: insieme serviremo il ministero della gioia, la gioia dell’Exsultet pasquale, la gioia suscitata dallo Spirito Paraclito, che a Pentecoste fu effuso sugli Apostoli, come domenica prossima la liturgia della Chiesa ci farà rivivere.

2. Come da tradizione, vogliamo anzitutto accogliere ufficialmente nella nostra Conferenza i nuovi Confratelli che nel corso degli ultimi dodici mesi la Provvidenza ci ha donato:
- Mons. Vincenzo Bertolone, Vescovo di Cassano all’Jonio;
- Mons. Carlo Chenis, Vescovo di Civitavecchia - Tarquinia;
- Mons. Claudio Giuliodori, Vescovo di Macerata - Tolentino - Recanati - Cingoli - Treia;
- Mons. Mosè Marcia, Vescovo ausiliare di Cagliari;
- Mons. Domenico Mogavero, Vescovo di Mazara del Vallo;
- Mons. Sergio Pintor, Vescovo di Ozieri;
- Mons. Angelo Spina, Vescovo eletto di Sulmona - Valva;
- Mons. Giuseppe Versaldi, Vescovo eletto di Alessandria;
- Mons. Salvatore Visco, Vescovo eletto di Isernia - Venafro;
- Mons. Giovanni Paolo Zedda, Vescovo di Iglesias;
- Mons. Alberto Silvani, Vescovo eletto di Volterra.

Sono entrati a far parte della CEI:
- Card. Crescenzio Sepe, già Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Arcivescovo di Napoli;
- Mons. Paolo Romeo, già Nunzio Apostolico in Italia, Arcivescovo di Palermo.
In sua vece – com’è noto – è stato nominato l’Arcivescovo Giuseppe Bertello, al quale rivolgiamo l’augurio più sentito per la sua alta e delicata missione insieme al “benvenuto” più cordiale ai lavori della nostra Assemblea.

Rivolgo un cordiale fraterno saluto ai vescovi delle altre Conferenze Episcopali d’Europa che hanno accolto il nostro invito e partecipano ai nostri lavori.

Hanno lasciato la CEI per passare al servizio della Santa Sede:
- Card. Tarcisio Bertone, già Arcivescovo di Genova, Segretario di Stato;
- Mons. Francesco Coccopalmerio, già Vescovo ausiliare di Milano, Presidente del Pontificio Consiglio dei Testi Legislativi.

Ma ricordiamo anche con grande affetto i Vescovi che per i raggiunti limiti di età hanno lasciato il governo delle rispettive diocesi, e che continuano con noi ad amare e a servire la Chiesa:
- Mons. Flavio Roberto Carraro, Vescovo emerito di Verona;
- Mons. Fernando Charrier, Vescovo emerito di Alessandria;
- Card. Salvatore De Giorgi, Arcivescovo emerito di Palermo;
- Mons. Giuseppe Di Falco, Vescovo emerito di Sulmona - Valva;
- Mons. Andrea Gemma, Vescovo emerito di Isernia - Venafro;
- Card. Michele Giordano, Arcivescovo emerito di Napoli;
- Mons. Girolamo Grillo, Vescovo emerito di Civitavecchia - Tarquinia;
- Mons. Alessandro Maggiolini, Vescovo emerito di Como;
- Mons. Giovanni Marra, Arcivescovo emerito di Messina - Lipari - Santa Lucia del Mela;
- Dom Tarcisio Giovanni Nazzaro, Abate Ordinario emerito di Montevergine;
- Mons. Tarcisio Pillolla, Vescovo emerito di Iglesias;
- Mons. Simone Scatizzi, Vescovo emerito di Pistoia;
- Mons. Antonio Vacca, Vescovo emerito di Alghero - Bosa.

Una memoria speciale vogliamo qui fare dei confratelli Vescovi che hanno raggiunto la Casa del Padre e oggi godono i frutti del loro sacrificio d’amore:
- Mons. Mario Ismaele Castellano, Arcivescovo emerito di Siena - Colle Val d’Elsa - Montalcino, già Vicepresidente della CEI;
- Mons. Ettore Di Filippo, Arcivescovo emerito di Campobasso - Boiano;
- Mons. Daniele Ferrari, Vescovo emerito di Chiavari;
- Mons. Antonio Forte, Vescovo emerito di Avellino;
- Mons. Pietro Giachetti, Vescovo emerito di Pinerolo;
- Dom Paolo Giannini, Archimandrita Esarca emerito di Santa Maria di Grottaferrata;
- Mons. Ovidio Lari, Vescovo emerito di Aosta;
- Mons. Cataldo Naro, Arcivescovo di Monreale;
- Card. Salvatore Pappalardo, Arcivescovo emerito di Palermo, già Vicepresidente della CEI;
- Mons. Oscar Serfilippi, Vescovo emerito di Jesi;
- Mons. Salvatore Sorrentino, Vescovo emerito di Pozzuoli;
- Mons. Francesco Saverio Toppi, Arcivescovo Prelato emerito di Pompei;
- Mons. Marcello Morgante, Vescovo emerito di Ascoli Piceno.

In questo contesto di famiglia amo salutare insieme a tutti Voi il cardinale Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma, che dopo sedici anni ha lasciato la guida della nostra Conferenza episcopale. Noi più di tutti siamo testimoni di quanto il Papa ha voluto pubblicamente scrivergli, ossia che “il suo coraggio e la sua tenacia nel sostenere l’impegno della Chiesa hanno certamente reso un servizio non solo al popolo di Dio ma all’intera Nazione italiana” (in Osservatore Romano, 28 marzo 2007). Il nostro grazie, Eminenza carissima, è non solo sincero e grande ma anche commosso, una commozione che si attenua per la consapevolezza che lei continua a lavorare con noi e a riversare nella nostra Conferenza sapienza e lungimiranza.

3. E come il cardinale Ruini ha esemplarmente proposto in ogni nostro appuntamento, vogliamo agli inizi di questa assemblea guardare anzitutto al Papa. La nostra comunione infatti ha il suo centro nella persona e nel ministero del Successore di Pietro. Abbiamo celebrato, nelle settimane scorse, il suo 80° genetliaco e il 2° anniversario della sua elezione a quel soglio cui egli sta dando nuova freschezza: “L’ombra di Pietro – egli ha detto − mediante la comunità della Chiesa cattolica, ha coperto la mia vita fin dall’inizio, e ho appreso che essa è un’ombra buona, un’ombra risanatrice, perché, appunto, proviene in definitiva da Cristo stesso” (Omelia della Messa in occasione dell’80° genetliaco, 15 aprile 2007). Queste ricorrenze sono state sentite in modo particolare dal popolo cristiano, che vi ha partecipato con l’intensità dell’affetto e una più corale preghiera.
Anche da questa sede, come Vescovi d’Italia desideriamo rinnovargli gli auguri più sentiti, avvalorati da una piena e aperta adesione e una fattiva e costante collaborazione. Ci muove a questo anche l’esperienza dell’incontro personale che ciascuno di noi ha avuto nella visita ad limina, la premura e la delicatezza che ci ha testimoniato, insieme al sostegno e all’incoraggiamento. Nel corso di questa assemblea avremo ancora il dono della sua presenza: la parola che egli ci rivolgerà sarà suggello al ciclo ormai completato delle visite ad limina, essendo ad un tempo indicazione provvidenziale e benedetta per il cammino pastorale delle singole nostre Chiese.

4. Un’anticipazione preziosa l’abbiamo raccolta dal viaggio pastorale che Benedetto XVI ha compiuto il 21 e 22 aprile a Vigevano e Pavia. Viaggio col quale – precisava – “ho voluto dare inizio al mio pellegrinaggio pastorale in Italia”. Si è così intenzionalmente posto sulle tracce del Predecessore, andando a visitare per prima la diocesi della Lombardia – Vigevano – non visitata da Giovanni Paolo II, come per riprendere “il cammino da lui percorso per continuare a proclamare agli uomini e alle donne dell’amata Italia l’annuncio, antico e sempre nuovo… Cristo è risorto” (Saluto iniziale dal Balcone del Vescovado, 21 aprile 2007). Se nelle due Celebrazioni Eucaristiche, presiedute dapprima in Piazza Ducale, a Vigevano, quindi agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo, a Pavia, sono da rintracciare i “momenti culminanti” di questa visita – con omelie quanto mai ricche sotto il profilo teologico e pastorale – essa ha ad un certo punto acquistato “la forma del pellegrinaggio” al sepolcro che accoglie le spoglie mortali di sant’Agostino, “per esprimere sia l’omaggio di tutta la Chiesa cattolica ad uno dei suoi “padri” più grandi, sia la mia personale devozione e riconoscenza verso colui che tanta parte ha avuto nella mia vita di teologo e di pastore” (Omelia alla Celebrazione dei Vespri, nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, 22 aprile 2007). Davanti alla tomba di sant’Agostino, Benedetto XVI ha voluto “idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo” la sua prima encliclica, Deus caritas est, che soprattutto nella prima parte – ha precisato – è “largamente debitrice al pensiero di sant’Agostino, che è stato un innamorato dell’Amore di Dio, e lo ha cantato, meditato, predicato in tutti i suoi scritti, e soprattutto testimoniato nel suo ministero pastorale” (ibid).
Anche noi, Vescovi italiani, desideriamo porci insieme al Papa alla scuola di Agostino, immedesimarci nel suo sguardo che ardentemente fissava il mistero per trovare “la Verità che tanto cercava: Gesù Cristo, Verbo incarnato” (ibid).

5. Il viaggio pastorale in Brasile che Benedetto XVI ha concluso una settimana fa è stato un forte richiamo all’essenziale dell’annuncio cristiano. “Oggi è in gioco l’identità cattolica” dell’America Latina, ha detto aprendo i lavori della Quinta Conferenza del Celam, con un discorso che rappresentava il culmine di quell’intenso viaggio. Ma tutta la sua predicazione, dal primo momento in cui ha messo piede in Brasile, è stata una scuola di cristianesimo: “Ripartire da Cristo in tutti gli ambiti della missione”. Questo, non altro, il compito della Chiesa, la quale può svolgere un grande ruolo nella società se si mantiene fedele a tale ispirazione. Benedetto XVI non ha esitato a chiamare per nome i grandi problemi che assillano l’America Latina, le ingiustizie, la fame, la povertà, la diffusione delle droghe, la corruzione della vita pubblica. “Ma se la Chiesa – ha precisato − cominciasse a trasformarsi in soggetto politico non farebbe di più per i poveri, semmai farebbe di meno, perché perderebbe la sua indipendenza e la sua autorità morale” (Discorso alla Sessione inaugurale dei Lavori della V Conferenza generale del Celam, 12 maggio 2007).
Il rinnovamento profondo della Chiesa è, per il Papa, ciò che potrà permettere la rinascita del “continente della speranza”. La Chiesa difende l’identità del popolo, rispettando “la sana laicità” ma suggerendo “i grandi criteri e i valori inderogabili, orientando le coscienze e offrendo un’opzione di vita”.

In questo contesto si collocano i numerosi richiami al rispetto della vita e alla difesa della famiglia, con il chiaro invito a contrastare quello che – sia a livello mediatico che legislativo – irride e minaccia quei valori fondamentali. È interessante notare che proprio su questi temi più sensibili, Benedetto XVI ha stabilito una grande sintonia con i giovani che, nell’incontro gioioso e commovente allo stadio di San Paolo, manifestavano il loro consenso ogni volta che il Papa avanzava le esigenze “dure” – come le hanno definite i giornali – quali la castità, l’indissolubilità del matrimonio, l’unità della famiglia.


6. Per il suo compleanno Benedetto XVI ha fatto dono, alla Chiesa e a tutti gli uomini che cercano, del libro “Gesù di Nazaret”. Sappiamo che è l’approdo a cui è “giunto dopo un lungo cammino interiore”, facendovi qui rifluire le ricerche e la sintesi di una vita spesa nello studio e nel servizio alla verità. Di più, spesa nell’ “intima amicizia con Gesù”, quell’amicizia da cui “tutto dipende” (Introduzione, pag. 8). Non c’è bisogno che io insista qui sulla provvidenzialità di questo libro in cui parla il credente Joseph Ratzinger, il quale con semplicità riesce a proporsi innanzi ai cercatori del vero Dio. Egli mostra come nei Vangeli si trovano tutti gli elementi per asserire che la persona storica di Gesù è anche realmente il Figlio di Dio venuto sulla terra per salvare l’umanità. E pagina dopo pagina, Joseph Ratzinger - Benedetto XVI accompagna il lettore nella ricerca e nella scoperta del vero volto di Dio.
È noto come il proposito che ha mosso il Papa nello scrivere questo libro sia superare lo “strappo... sempre più ampio” tra il Gesù storico e il Gesù della fede. Come, allora, non vedere qui l’esito di tanto dibattito tra esperti, ma che ha avuto talora riverberi non proprio insignificanti anche nelle nostre comunità?
L’intenzione era generalmente buona, nel senso di voler rendere abbordabile la figura di Gesù anche alla mentalità odierna. Ma una progressiva astrazione della figura storica di Gesù, anziché più convincente per la fede, si è rivelata più rischiosa. Nel senso che, come dice il Papa, la figura di Gesù si è piuttosto allontanata, diventando più indefinita: una “situazione drammatica per la fede – scrive – perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento” (ibid.), rende incerto quel punto di leva reale, storico, su cui invece poggia la credibilità del Gesù della fede. La rarefazione di Cristo rende vago il volto di Dio che rischia di diventare una realtà astratta e lontana: “Il tema fondamentale – diceva il Papa in un’intervista alla televisione tedesca (13 agosto 2006) – è che noi dobbiamo riscoprire Dio e non un Dio qualsiasi, ma il Dio con un volto umano, poiché quando vediamo Gesù vediamo Dio”.
Non cogliere l’occasione di questo libro, e di ciò che questo libro può rappresentare in termini di conoscenza vera, di ricerca sicura, di “visione affidabile”, sarebbe una grave occasione mancata. Non solo la ricerca intellettuale e il dibattito pubblico hanno qui un testo importante che segna traguardo, ma anche il movimento catechistico e l’intero filone formativo delle nostre diocesi, trovano in questo libro un polmone a cui ossigenarsi.


7. La spinta a identificarsi in Gesù Cristo, che sottende al libro e a tanti interventi del Santo Padre, sollecita e sostiene in noi Vescovi il desiderio di una continua purificazione a livello personale come in ambito comunitario. Le nostre Chiese hanno in Gesù Cristo il loro unico e fondamentale, ma anche concreto ed efficace, punto di riferimento. Concentrati in Lui, siamo obbedienti alla sua Parola e alla tradizione che questa ha suscitato lungo il tempo, per cui accettiamo di buon grado di essere a nostra volta segno di contraddizione: il discepolo, infatti, non è di più del Maestro (cfr Matteo 10,24).
Il Convegno ecclesiale di Verona, del quale abbiamo in mano la Nota Pastorale per la discussione e l’approvazione, ha invitato la comunità cristiana a veleggiare generosamente verso il largo dell’annuncio evangelico. Mi è caro insistere come la dimensione missionaria è insita nella pastorale ordinaria delle nostre parrocchie e aggregazioni: la vita articolata di queste realtà, infatti, pone continuamente in contatto con persone anche non credenti o non praticanti, alle quali, nell’immediatezza dei rapporti con il pastore, viene annunciato il Signore. D’altronde, il Vangelo ci esorta a seminare a larghe mani con generosità, senza selezionare i terreni che appaiono più adatti, e con grande fiducia nella forza della grazia. Inoltre, Verona ha riaffermato che premessa e condizione vitale per comunicare la speranza cristiana è la santità. Questa è “appartenenza radicale a Cristo”, appartenenza d’amore: è “trasfigurazione” dell’uomo perché risplenda in lui il volto di Gesù, volto che il battesimo ha sigillato nel nostro cuore ma che deve progressivamente emergere e risplendere. È Lui l’uomo nuovo per eccellenza, la novità di Dio, la primizia della nuova creazione, l’assoluta e definitiva speranza. Ciò è affidato alla responsabilità di ciascuno, ma innanzitutto è opera dello Spirito Santo. Per questo – nell’intreccio di libertà e grazia – la fiducia non può mai venir meno.
Se questo compito è proprio di ogni battezzato, a maggior ragione lo è per noi Pastori che siamo posti come guide ed esempio delle comunità cristiane. Responsabilità grande e grave, ma anche grazia straordinaria.
Mi è caro fare un accenno alla santità nella luce del Mistero eucaristico che il Santo Padre ha richiamato all’attenzione orante e alla cura pastorale della Chiesa nell’Esortazione post sinodale Sacramentum caritatis.
Come nel Mistero eucaristico, siamo chiamati a diventare “dono”, dono di vita per tutti, seguendo la via della Croce e il paradigma del Risorto sulla via di Emmaus: si affianca, domanda e ascolta, non si scoraggia di fronte alla rudezza sgarbata dei discepoli, illumina con le Scritture, spezza il Pane della vita, riaccende la speranza e la comunità. Nella luce dell’Eucaristia, il cristiano è chiamato a diventare “benedizione”. Cristo è la benedizione sul mondo. Inviando il suo Figlio per la nostra salvezza, Dio dichiara che l’uomo è il suo bene, la gioia del suo cuore; attesta che non può rassegnarsi di perderlo. Dice bene di lui e l’Eucaristia continua questa benedizione fino alla fine del tempo. Siamo quindi chiamati ad essere benedizione per i nostri fratelli nella fede e per l’umanità intera nella luce liberante della carità e della verità.

8. Annunciando il Signore Gesù, la Chiesa ricorda l’affermazione del Concilio Vaticano II: “Cristo Signore, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22). Sta in questa convinzione – presente sin dagli inizi del Cristianesimo – il motivo più profondo del Progetto culturale della Chiesa Italiana che ha messo a tema la questione antropologica: questione che – ben lungi dall’essere astratta e lontana – è fondamentale per valutare le questioni concrete della vita personale e sociale. Fondamentale e urgente!
La concezione della persona, com’è noto, è un’acquisizione della teologia cristiana che trova delle anticipazioni nella filosofia greca. Ne viene colta tutta la bellezza e dignità fino a far affermare a San Tommaso che la persona è ciò che vi è di più perfetto in tutta la natura (cfr Summa T. I, q.29 a.3). Nella luce della fede, l’uomo è creato come “immagine e somiglianza di Dio”; amato a tal punto che il Creatore si volge contro se stesso per donarsi a lui e salvarlo (cfr Deus caritas est, nn. 9-10 e 12). Ecco la redenzione.
Se la fede può accedere alla Rivelazione sull’uomo, anche la ragione ha la presa sulla verità umana della persona. È la forza della ragione senza preconcetti, è la luce del buon senso comune: e questo nonostante lentezze ed errori nel corso della storia. La persona non è una fase della vita umana, ma è – possiamo dire – la “forma” in cui l’uomo è uomo. Per questo, anche quando la persona non ha ancora sviluppato e attuato le sue capacità o perde coscienza di sé, resta persona degna di rispetto e di diritto. La sua dignità è dunque intrinseca e incancellabile qualunque siano le circostanze di vita. L’uomo non è riducibile ad un agglomerato di pulsioni e desideri, ma è un soggetto ricco e unitario; non è né una macchina corporea né un pensare disincarnato. È sempre “qualcuno”, non è e non diventa mai “qualcosa”, un “mezzo” per raggiungere altro. La sua ragione non solo è capace di autocoscienza, di ragionamenti formali, di applicazione alla realtà empirica, ma si apre anche ai significati e alla questione del bene e del male. Essa supera i limiti della sequenza dei fatti, della mera cronaca, e l’interpreta cercandone i perché, le direzioni future. In questo dinamismo si pone l’universale questione del senso del vivere e del morire da cui la storia umana è attraversata, come da un sigillo bruciante, a testimonianza della capacità dell’uomo a trascendersi, della radicale apertura della sua anima sull’infinito, del richiamo ontologico della persona verso la Trascendenza, cioè verso Dio.
Il suo costitutivo essere in relazione con il mondo e con gli altri, inoltre, getta una decisiva luce sul pensarsi dell’individuo, ed è denso di conseguenze e di stimoli per le società, nonché per la costruzione di un mondo più giusto e quindi più umano. La libertà stessa ne beneficia, libertà che è premessa e condizione dell’amore senza il quale vi è solitudine e morte. Essa non è un valore individualistico e assoluto, ma ha sempre a che fare con altro da noi, uomini e cose. Soprattutto è in relazione con dei contenuti veritativi che sono oggetto della scelta personale e la specificano nella sua eticità.
A questo riguardo, la storia umana ci attesta un altro elemento di fondamentale importanza: la natura umana. Senza bisogno di particolari statistiche, infatti, l’umanità conosce ciò di cui l’uomo ha strutturalmente bisogno per essere all’altezza del suo destino. E questo nonostante le più diverse situazioni di epoca e di luogo, nonostante le più disparate condizioni sociali e culturali, politiche ed economiche.

9. C’è un’altra dimensione intimamente legata all’annuncio della speranza cristiana, nonché all’essere della Chiesa e alla sua missione nella storia, una dimensione che vorrei far emergere in questa occasione, perché sembra a me che essa ci interpelli in maniera crescente. Mi riferisco a quella carità, su cui Benedetto XVI si è soffermato nella seconda parte dell’enciclica Deus caritas est. In particolare, vorrei dire una parola sul servizio della carità a cui le nostre comunità sono chiamate per andare concretamente incontro alle sofferenze e alle necessità dei fratelli. Questa carità esige anzitutto una conoscenza reale delle condizioni di vita delle gente, conoscenza che la Chiesa ha in forma capillare e concreta vivendo tra la gente e con la gente, grazie soprattutto ai sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali, le innumerevoli opere e istituzioni che costituiscono una grande e vitale rete di riferimento a servizio di tutti. Vorrei insieme a voi, cari Confratelli, rinnovare la stima e la più ampia gratitudine verso i sacerdoti – nostri primi collaboratori – per la fedeltà generosa con la quale ogni giorno spendono umilmente la vita per le comunità loro affidate. Per questa presenza quotidiana e attenta all’ascolto, alla comprensione, all’accoglienza e al servizio, la Chiesa italiana è veramente Chiesa di popolo.
La nostra esperienza diretta, confermata dalla Caritas e dalla stessa Fondazione Zancàn, registra una progressiva crescita del disagio economico sia di una larga fascia di persone sole e pensionate, sia delle famiglie che fino a ieri si sarebbero catalogate nel ceto medio. E proporzionalmente, c’è un ulteriore schiacciamento delle famiglie che avremmo già definito povere.
Dalle segnalazioni che giungono ai nostri “centri di ascolto” parrocchiali, vicariali e diocesani distribuiti sul territorio nazionale, la situazione attualmente più esposta sembra essere quella della famiglia monoreddito con più figli a carico. Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese. È da questa tipologia di famiglie che viene oggi alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto – anche con i “pacchi viveri” che parevano definitivamente superati – per lo più mascherata e nascosta per dignità. Con alcune sottolineature: la disoccupazione di lunga durata, quando colpisce i genitori di oltre 40 anni, diventa terreno fertile per l’alcolismo e dipendenze varie, portando a situazioni di degrado progressivo; le donne, gravate da tassi di disoccupazione più alti degli uomini, hanno livelli retributivi più bassi, e quando sono madri sole con figli a carico e con la difficoltà di asili nido, non ce la fanno senza un ricorso ai vecchi genitori; i giovani si trovano oggi in un mercato immobiliare fuori dalla loro portata, e il loro bilancio familiare deve dall’inizio scontare un costo dell’affitto troppo elevato per gli stipendi correnti, specialmente quando il lavoro è ancora precario. Questo incide non poco anche nel progettare il loro futuro. Situazioni varie, dunque, che ci stanno dinanzi e che ci interpellano per intensificare la testimonianza della carità evangelica e per far crescere la sensibilizzazione generale.
Come cittadini e come cristiani, è sbagliato pensare alla collettività di cui si fa parte senza tener conto che ci sono sempre delle persone che stanno peggio di noi. Senza avvertire il vincolo di solidarietà che ci lega agli altri e il dovere che tutti abbiamo – con responsabilità specifiche − in ordine alla costruzione del bene comune. C’è, per questo, un’accortezza nello spendere che va salvaguardata sempre, sia per rispetto di chi non ha nulla, sia per poter dare qualcosa del nostro agli altri. Nelle nostre comunità va promossa, con garbo e costanza, l’attitudine al dono, specie nei tempi forti dell’anno. Esse possono infatti sopperire alle crescenti richieste solo se c’è alle spalle una dinamica comunitaria capace di rifornire con sufficiente continuità gli sportelli aperti all’aiuto.
In questo orizzonte, un pensiero particolare va ai Confratelli del nostro Sud che da anni si stanno prodigando attraverso intelligenti azioni di formazione e talora anche di sostegno concreto per garantire ai giovani un futuro nelle loro terre. Tali iniziative – com’è noto − sono sostenute con convinzione dalla nostra Conferenza Episcopale tramite il “Progetto Policoro”. Siamo certi che le devastazioni e le intimidazioni che vengono inflitte dalla malavita locale non ostacoleranno il processo di sviluppo nella legalità, e che non verrà a mancare il sostegno e la solidarietà di tutti.
Mi è caro esprimere inoltre la fraterna vicinanza di questa Assemblea a tutte le famiglie colpite dalla morte sul lavoro di un loro caro. Chiediamo alle parti sociali e alle istituzioni le iniziative necessarie perché si rimuovano per quanto è possibile le cause di tanti incidenti; emerga il lavoro nero ed irregolare; si rendano trasparenti gli appalti, affinché la vita di ogni lavoratore sia sempre tutelata e rispettata nella sua piena dignità.
Il 40° anniversario dell’Enciclica di Paolo VI Populorum progressio ci stimola e ci conferma nell’attenzione lucida, concreta e determinata anche su questi versanti del bene comune.

10. Un fatto molto importante e, per noi Vescovi consolante, è stata l’ottima riuscita della manifestazione nota col nome Family Day che sabato 12 maggio si è svolta a Roma, in piazza San Giovanni in Laterano, e che da lì si è espansa nelle zone vicine, tanto è stato elevato – oltre certamente il milione − il numero dei partecipanti. A promuoverla, com’è noto, sono state le principali aggregazioni laicali della Chiesa che è in Italia, alle quali si sono prontamente unite tutte le altre, e soprattutto moltissime parrocchie. Non possiamo non vedere qui riflessa quella maturità dei laici che è stata uno degli obiettivi tenacemente perseguiti nel Concilio Vaticano II, e che proprio nel matrimonio e nella famiglia ha il suo ambito privilegiato di espressione (cfr. GS 46-52, ma anche AA 11). Concepita come un’autentica festa di popolo, questa manifestazione ha colpito per freschezza e serenità, e per quel senso civico di rispetto degli altri, di proposta e di inclusione che l’ha interamente attraversata. Voleva essere ed è stata una testimonianza forte e corale a favore del matrimonio quale nucleo fondante e ineguagliabile per la società. Importante in ordine al felice esito dell’incontro è stata la sinergia sperimentata con i media cattolici, a partire da Sat2000. Molto interessante è stata inoltre la convergenza riscontrata con settori qualificati dell’area laico, oltre che con taluni esponenti Evangelici, delle Comunità Ebraiche e di settori del mondo islamico.
Se a livello di media laici non c’è stata sempre prontezza nel cogliere la novità e la portata di questo evento, non di meno esso rimarrà come un segno forte nell’opinione pubblica e come un appello decisamente non trascurabile per la politica. È la società civile infatti che si è espressa in maniera inequivocabile e che ora attende un’interlocuzione istituzionale commisurata alla gravità dei problemi segnalati.
E così la Nota emessa, in data 28 marzo 2007, dal nostro Consiglio Permanente “a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto”, ha trovato nella manifestazione pubblica del laicato il commento attendibile e l’eco più adeguata. Quel pronunciamento, che dà doveroso riscontro al magistero del Papa nella situazione italiana, resta valido e attuale come gesto di premura episcopale verso il nostro popolo.

11. Sempre a proposito di segnali positivi che investono la famiglia, vorrei citare i risultati emersi dal Congresso su “Diritti e responsabilità della famiglia” che si è svolto a Roma nel mese di marzo, e che ha visto riuniti sotto l’egida dell’Onu i rappresentanti di 44 Paesi e quasi cento organizzazioni non governative. La “dichiarazione” che da questo incontro è scaturita chiede infatti alla comunità internazionale “la più ampia protezione della famiglia da ogni forma di discriminazione”. Non si teme qui di parlare di stabilità della famiglia, quale risorsa preziosa, anzi “insostituibile”, in ordine allo sviluppo educativo, alla coesione sociale e alla stessa crescita economica. È rilevabile in effetti che i fallimenti scolastici, la dipendenza dalle droghe e le violenze diminuiscono nella misura in cui si sviluppano politiche di sostegno economico e sociale della famiglia. Per questo è del tutto conveniente che si rimuovano gli ostacoli che impediscono di avere il numero di figli desiderati, e di conciliare il lavoro con la famiglia. “In questo contesto – prosegue la dichiarazione – la famiglia si sta mostrando, in tutti i Paesi e in tutte le culture, come l’elemento fondamentale per la coesione sociale delle diverse generazioni”.
Queste acquisizioni tuttavia non appaiono per ora sufficienti ad arrestare i travisamenti che il concetto di famiglia sta subendo. Spiace rilevare anche che si levano a volte accuse di omofobia alla Chiesa e ai suoi esponenti. Diciamo serenamente che la critica è semplicemente ideologica e calunniosa, e contrasta con lo spirito e la prassi di totale e cordiale accoglienza verso tutte le persone.
Questo, tra l’altro, spiega perché il Segretario vaticano dei Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, di recente criticava quell’intolleranza prevaricatrice che ha indotto il Parlamento europeo ad avanzare fino ad oggi ben 30 richiami censorii nei confronti della Chiesa cattolica. Di qui anche “il pericoloso individualismo, disattento alle conseguenze per il futuro” denunciato da Benedetto XVI, e che vede l’Europa “su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia”, ad una “forma di apostasia da se stessa” (Discorso ai Partecipanti al Congresso promosso dalla Comece, 24 marzo 2007).

12. Desidero esprimere a Papa Benedetto XVI la più sentita e partecipe vicinanza della Conferenza Episcopale Italiana per le sorprendenti esternazioni – tanto superficiali, quanto inopportune – con le quali si è inteso da taluni criticare il suo alto magistero. Rivolgo inoltre al Santo Padre, con sentimenti filiali, uno speciale ringraziamento per le sue affettuose espressioni di vicinanza e di incoraggiamento a seguito dei noti episodi di cronaca che mi hanno direttamente coinvolto. Episodi, peraltro, costruiti su interpretazioni distorte e su attribuzioni di pensieri mai pensati, e che neppure le immediate smentite e precisazioni sono servite a chiarire.
Rispetto a tali episodi, pur di diversa natura e rilevanza, la maggiore preoccupazione riguarda il rischio di una contrapposizione forzosa e strumentale tra laici e cattolici. Questa contrapposizione in realtà non trova riscontro nel sentire della stragrande maggioranza del nostro popolo, né può desumersi dalla legittima diversità di posizioni su alcune pur rilevanti tematiche, che deve potersi esprimere con serenità e chiarezza, in un clima di rispettoso dialogo.
La Chiesa offre alla libertà e alla riflessione di tutti il proprio magistero, senza sottrarsi alla responsabilità di concorrere alla promozione dell’uomo e al bene comune. Questo peculiare contributo favorisce la concreta attuazione del principio di libertà religiosa, per il quale è riconosciuto un ruolo attivo alle Istituzioni religiose, in relazione alle esigenze della persona e all’etica delle comunità.
Sotto questo profilo, risultano significative e apprezzabili le recenti affermazioni del Presidente della Repubblica, volte a riaffermare “il più pacato, responsabile e costruttivo dialogo tra la Chiesa cattolica, la politica e la società civile, in linea con gli ottimi rapporti che intercorrono tra la Santa Sede e lo Stato Italiano”.

13. Vorrei anche dire, però, che noi Vescovi sentiamo la vicinanza che la gente ci esprime quasi con accenti particolari. Il rapporto della Chiesa con la società italiana resta significativo e rilevante, perché basato sulla reciproca conoscenza e su un ascolto autentico da entrambe le parti. La gente di tutti i giorni, quella della strada – cioè della vita semplice, quotidiana, spesso dura – sa che le nostre porte sono sempre aperte per chiunque, sa che accogliamo tutti, che non portiamo rancore, che siamo sempre pronti a ricominciare.
Permettete che io vi ringrazi, cari Confratelli, per i segni innumerevoli di vicinanza, di sostegno e di preghiera che mi avete manifestato insieme alle vostre Comunità. E così quanti si sono resi vicini da tutta l’Italia e da Paesi esteri: Istituzioni politiche, civili, militari, parrocchie, associazioni e gruppi, nonché innumerevoli persone: sacerdoti e laici, bambini, giovani e adulti.
La nostra fraterna comunione si manifesterà anche nel comunicato finale che – come ho già detto nel Consiglio Permanente di marzo – è resoconto del qualificato incontro collegiale della nostra Conferenza.
Guardo al nostro amato Paese e ripeto a tutti che i Vescovi rinnovano il gesto semplice e vero dell’amicizia. Non parliamo dall’alto, né vogliamo fare in alcunché da padroni. Ci preme Cristo e il suo Vangelo, null’altro. Lo annunciamo come misura piena dell’umanesimo, non per rilevare debolezze o segnare sconfitte, ma per un’obbedienza che è esigente prima di tutto verso di noi, e che è promozione di autentica libertà per tutti. Quando ci appelliamo alle coscienze, non è per essere intrusivi, ma per richiamare quei contenuti pregnanti senza i quali cessa il presidio ultimo di ogni persona, anzitutto per i meno fortunati. La distinzione “tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio”, come struttura fondamentale non solo del cristianesimo ma anche delle moderne democrazie, ci trova decisamente persuasi che dobbiamo insieme, ciascuno a proprio modo, cercare il progresso delle nostre comunità, risvegliando anche quelle forze spirituali e morali senza le quali un popolo non può svettare.
Se come Vescovi rileviamo, magari più spesso di quanto sarebbe gradito, i fondamenti etici e spirituali radicati nella grande tradizione del nostro Paese, non è perché vogliamo attentare alla laicità della vita pubblica, sfigurandola, ma per innervare questa delle inquietudini che possono garantire il futuro. La nostra parola non ha mai doppiezze. Con trasparenza, siamo a servizio della gioia. Nel nostro orizzonte non c’è un popolo triste, svuotato dal nichilismo e tentato dalla decadenza. C’è un popolo vivo, capace di rinnovarsi grazie alle proprie risorse e alla propria inevitabile disciplina, capace di non tradire i suoi giovani, capace di parole credibili nel consesso internazionale.
I Vescovi sono con il loro popolo, e per questo popolo come sui lavori di questa assemblea invocano − oranti − l’aiuto onnipotente del Signore, per intercessione della Vergine, in ogni nostra contrada amata e invocata.

Angelo Bagnasco