martedì 31 maggio 2011

Il Papa: dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività

LA SACRA LITURGIA: LO SPECIALE DEL BLOG

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Benedetto XVI: lo sviluppo della musica sacra deve essere fedele alla tradizione e dare dignità alla liturgia (Radio Vaticana)

Il Papa: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa

LETTERA DEL SANTO PADRE AL GRAN CANCELLIERE DEL PONTIFICIO ISTITUTO DI MUSICA SACRA IN OCCASIONE DEL 100° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DELL’ISTITUTO, 31.05.2011

Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra, Em.mo Card. Zenon Grocholewski, in occasione delle celebrazioni del centenario di fondazione dell’Istituto e di cui il Cardinale ha dato lettura il 26 maggio scorso all’apertura del Congresso internazionale di musica sacra (26 maggio - 1° giugno), promosso nell’ambito delle manifestazioni celebrative:

LETTERA DEL SANTO PADRE

Al venerato Fratello
il Cardinale Zenon Grocholewski
Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra


Cento anni sono trascorsi da quando il mio santo predecessore Pio X fondò la Scuola Superiore di Musica Sacra, elevata a Pontificio Istituto dopo un ventennio dal Papa Pio XI. Questa importante ricorrenza è motivo di gioia per tutti i cultori della musica sacra, ma più in generale per quanti, a partire naturalmente dai Pastori della Chiesa, hanno a cuore la dignità della Liturgia, di cui il canto sacro è parte integrante (cfr Conc. Ecum. Vat II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 112). Sono dunque particolarmente lieto di esprimere le mie vive felicitazioni per tale traguardo e di formulare a Lei, venerato Fratello, al Preside e all’intera comunità del Pontificio Istituto di Musica Sacra i miei voti cordiali.

Codesto Istituto, che dipende dalla Santa Sede, fa parte della singolare realtà accademica costituita dalle Università Pontificie romane. In modo speciale esso è legato all’Ateneo Sant’Anselmo e all’Ordine benedettino, come attesta anche il fatto che la sua sede didattica sia stata posta, a partire dal 1983, nell’abbazia di San Girolamo in Urbe, mentre la sede legale e storica rimane presso Sant’Apollinare. Al compiersi del centenario, il pensiero va a tutti coloro – e solo il Signore li conosce perfettamente – che hanno in qualsiasi modo cooperato all’attività della Scuola Superiore, prima, e quindi del Pontificio Istituto di Musica Sacra: dai Superiori che si sono succeduti alla sua guida, agli illustri Docenti, alle generazioni di allievi. Al rendimento di grazie a Dio, per i molteplici doni elargiti, si accompagna la riconoscenza per quanto ciascuno ha dato alla Chiesa, coltivando l’arte musicale al servizio del culto divino.

Per cogliere chiaramente l’identità e la missione del Pontificio Istituto di Musica Sacra, occorre ricordare che il Papa san Pio X lo fondò otto anni dopo aver emanato il Motu proprio Tra le sollecitudini, del 22 novembre 1903, col quale operò una profonda riforma nel campo della musica sacra, rifacendosi alla grande tradizione della Chiesa contro gli influssi esercitati dalla musica profana, specie operistica. Tale intervento magisteriale aveva bisogno, per la sua attuazione nella Chiesa universale, di un centro di studio e di insegnamento che potesse trasmettere in modo fedele e qualificato le linee indicate dal Sommo Pontefice, secondo l’autentica e gloriosa tradizione risalente a san Gregorio Magno. Nell’arco degli ultimi cento anni, codesta Istituzione ha pertanto assimilato, elaborato e trasmesso i contenuti dottrinali e pastorali dei Documenti pontifici, come pure del Concilio Vaticano II, concernenti la musica sacra, affinché possano illuminare e guidare l’opera dei compositori, dei maestri di cappella, dei liturgisti, dei musicisti e di tutti i formatori in questo campo.

Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito: come, cioè, da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia.

In particolare, i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, alla luce della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè "la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli" (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali. Sono criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella Sacrosanctum Concilium, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità.

Ma dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, "vive di un corretto e costante rapporto tra sana traditio e legitima progressio", tenendo sempre ben presente che questi due concetti - che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano - si integrano a vicenda perché "la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso" (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011).

Tutto questo, venerato Fratello, forma, per così dire, il "pane quotidiano" della vita e del lavoro nel Pontificio Istituto di Musica Sacra. Sulla base di questi solidi e sicuri elementi, a cui si aggiunge un’esperienza ormai secolare, vi incoraggio a portare avanti con rinnovato slancio e impegno il vostro servizio nella formazione professionale degli studenti, perché acquisiscano una seria e profonda competenza nelle varie discipline della musica sacra. Così, codesto Pontificio Istituto continuerà ad offrire un valido contributo per la formazione, in questo campo, dei Pastori e dei fedeli laici nelle varie Chiese particolari, favorendo, anche, un adeguato discernimento della qualità delle composizioni musicali utilizzate nelle celebrazioni liturgiche. Per queste importanti finalità potete contare sulla mia costante sollecitudine, accompagnata dal particolare ricordo nella preghiera, che affido alla celeste intercessione della Beata Vergine Maria e di santa Cecilia, mentre, auspicando copiosi frutti dalle celebrazioni centenarie, di cuore imparto a Lei, al Preside, ai Docenti, al personale e a tutti gli allievi dell’Istituto, una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 13 maggio 2011

BENEDICTUS PP. XVI

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Il Papa ai vescovi indiani: Che i fedeli di Cristo in India continuino ad assistere tutti i bisognosi nelle comunità intorno a loro, indipendentemente dalla razza, dall'appartenenza etnica, dalla religione o dallo status sociale, convinti del fatto che tutti sono stati creati a immagine di Dio e tutti meritano uguale rispetto

VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" DEGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELL’INDIA (III GRUPPO), 30.05.2011

Alle ore 11.30 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Presuli della Conferenza Episcopale dell’India (III gruppo), ricevuti in questi giorni, in separate udienze, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum" e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli Vescovi,

vi porgo un affettuoso benvenuto in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum, un particolare momento di grazia e un segno della comunione che esiste fra la Chiesa in India e la Sede di Pietro. Desidero ringraziare l'Arcivescovo Maria Callist Soosa Pakiam per i sentimenti devoti e la promessa di preghiere che ha espresso a nome vostro e di quanti servite. Vi prego di trasmettere il mio saluto affettuoso ai sacerdoti, ai religiosi, uomini e donne, e ai laici affidati alla vostra sollecitudine pastorale.

Il Concilio Vaticano Secondo ci ricorda che, fra i doveri più importanti dei Vescovi, eccelle la predicazione del Vangelo (cfr. Lumen gentium, n. 25). Infatti, la Chiesa, il Corpo di Cristo, proclama la parola di Dio che è all'opera nei cuori di quanti credono (cfr. 1 Ts 2, 13) e cresce sempre ascoltando, celebrando e studiando quella Parola (cfr. Verbum Domini, n. 3). È motivo di soddisfazione il fatto che l'annuncio della Parola di Dio stia recando frutti spirituali abbondanti nelle vostre Chiese locali, in particolare tramite la diffusione di piccole comunità cristiane, nelle quali i fedeli si riuniscono per pregare, riflettere sulle Scritture e sostenersi fraternamente. Vi incoraggio, attraverso i vostri sacerdoti e con l'aiuto di responsabili laici qualificati, a garantire che la pienezza della Parola di Dio, che giunge a noi nelle Sacre Scritture e nella tradizione apostolica della Chiesa, sia resa prontamente disponibile a quanti cercano di approfondire la conoscenza e l'amore del Signore e la propria obbedienza alla sua volontà. Si dovrebbe fare di tutto per sottolineare che la preghiera individuale e collettiva, per sua stessa natura, deriva dalla sorgente di grazia che si trova nei sacramenti della Chiesa e in tutta la sua vita liturgica e ad essa riconduce. Né si può dimenticare che la Parola di Dio non solo conforta, ma anche sfida i credenti, come singoli individui e membri di comunità, a promuovere la giustizia, la riconciliazione e la pace fra loro e nella società nella sua interezza. Attraverso il vostro incoraggiamento e la vostra supervisione personali, che i semi della Parola di Dio piantati ora nelle vostre Chiese locali rechino frutti abbondanti per la salvezza delle anime e per la crescita del Regno di Dio.

In fedeltà al nuovo comandamento di amarci gli uni gli altri come Dio ci ha amato (cfr. Gv 13, 34), i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi hanno lottato per servire gli altri esseri umani, loro compagni, e per amarli con tutto il cuore. Dopo tutto, l'amore è il dono di Dio all'umanità, è la sua promessa e la nostra speranza (cfr. Caritas in veritate, n. 2). Questo amore generoso trova espressione concreta nel servizio agli altri e alla più ampia comunità. In questa luce, sono lieto di osservare i segni incisivi della carità della Chiesa in molti campi di attività sociale, un servizio scaturito, in particolare, dai suoi sacerdoti e religiosi. Attraverso la loro testimonianza della carità cristiana, le scuole della Chiesa preparano i giovani di tutte le fedi, o anche di nessuna, a edificare una società più giusta e pacifica. Gli organismi della Chiesa sono stati strumentali nella promozione del microcredito, aiutando i poveri ad aiutare se stessi. Inoltre, promuovono la missione ecclesiale relativa alla carità e alla salute attraverso cliniche, orfanotrofi, ospedali e altri innumerevoli progetti volti a promuovere la dignità e il benessere umani, assistendo i più poveri e deboli, le persone sole e anziane, abbandonate e sofferenti, aiutandole tutte in virtù della dignità che è loro dovuta in quanto esseri umani, e per nessun altro motivo che quello dell'amore di Cristo che ci spinge (cfr. 2 Cor 5, 14). Vi incoraggio a perseverare in questa testimonianza positiva e concreta, in fedeltà al comandamento del Signore e per il bene degli ultimi fra i nostri fratelli e sorelle. Che i fedeli di Cristo in India continuino ad assistere tutti i bisognosi nelle comunità intorno a loro, indipendentemente dalla razza, dall'appartenenza etnica, dalla religione o dallo status sociale, convinti del fatto che tutti sono stati creati a immagine di Dio e tutti meritano uguale rispetto.

In quanto dono di «amore incondizionato» che dà significato definitivo alla nostra vita (cfr. Spe salvi, n. 26), la carità viene prima vissuta dalla maggior parte di noi nella famiglia. Il recente Sinodo sulla Parola di Dio ha ricordato che la Chiesa, con il suo annuncio del Vangelo, rivela alle famiglie cristiane la loro identità autentica secondo il disegno di Dio (cfr. Verbum Domini, n. 85). Nelle vostre diocesi, le famiglie, che sono «Chiese domestiche», devono essere esempi di quell'amore, rispetto e sostegno reciproci che dovrebbero animare i rapporti umani a ogni livello. In quanto sono attente alla preghiera, alla meditazione delle Scritture e alla partecipazione piena alla vita sacramentale della Chiesa, contribuiranno ad alimentare «quell'amore incondizionato» fra loro e nella vita delle proprie parrocchie e saranno una fonte di grande bene per la più ampia comunità. Molti di voi mi hanno parlato delle sfide gravi che minacciano di minare l'unità, l'armonia e la santità della famiglia e dell'opera che dobbiamo compiere per creare una cultura di rispetto per il matrimonio e per la vita familiare. Una catechesi sana che si rivolga soprattutto a quanti si preparano al matrimonio farà molto per alimentare la fede delle famiglie cristiane e le aiuterà a rendere una testimonianza vibrante e viva della sapienza secolare della Chiesa a proposito del matrimonio, della famiglia e dell'uso responsabile della sessualità, che è un dono di Dio.

Con queste riflessioni, cari fratelli Vescovi, affido tutti voi all'intercessione dei Santi Apostoli, Pietro e Paolo, e di Maria, Madre della Chiesa. Assicurandovi delle mie preghiere costanti per voi e per quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale, imparto la mia Benedizione Apostolica quale pegno di grazia e di pace nel Signore risorto.

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lunedì 30 maggio 2011

Il Papa: Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità

Vedi anche:

«La missione è la stessa, le circostanze cambiano» (Massimo Introvigne)

Il Papa, il Vangelo e il dramma della frammentarietà. Il saluto di Mons. Fisichella (O.R.)

Il Papa: Nuova evangelizzazione. Annuncio e credibilità contro l’esclusione di Dio (AsiaNews)

Il Papa: La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell'esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica

Papa: Lo stile dei cristiani deve essere credibile (Giornale)

Il Papa: Il termine ‘nuova evangelizzazione’ richiama l’esigenza di una rinnovata modalità di annuncio

Annunciare Cristo in modo nuovo all'uomo secolarizzato di oggi: così il Papa al dicastero della nuova evangelizzazione (R.V.)

Il Papa: Viviamo una crisi che marginalizza il Cristianesimo nelle esistenze delle persone (Repubblica)

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE, 30.05.2011

Alle ore 12 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Fratelli e Sorelle,


quando lo scorso 28 giugno, ai Primi Vespri della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo annunciai di voler istituire un Dicastero per la promozione della nuova evangelizzazione, davo uno sbocco operativo alla riflessione che avevo condotto da lungo tempo sulla necessità di offrire una risposta particolare al momento di crisi della vita cristiana, che si sta verificando in tanti Paesi, soprattutto di antica tradizione cristiana. Oggi, con questo incontro, posso costatare con piacere che il nuovo Pontificio Consiglio è diventato una realtà. Ringrazio Mons. Salvatore Fisichella per le parole che mi ha rivolto, introducendomi ai lavori della vostra prima Plenaria. Un saluto cordiale a tutti voi con l’incoraggiamento per il contributo che darete al lavoro del nuovo Dicastero, soprattutto in vista della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che, nell’ottobre 2012, affronterà proprio il tema Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede cristiana.

Il termine "nuova evangelizzazione" richiama l’esigenza di una rinnovata modalità di annuncio, soprattutto per coloro che vivono in un contesto, come quello attuale, in cui gli sviluppi della secolarizzazione hanno lasciato pesanti tracce anche in Paesi di tradizione cristiana. Il Vangelo è il sempre nuovo annuncio della salvezza operata da Cristo per rendere l’umanità partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore e aprirla ad un futuro di speranza affidabile e forte.

Sottolineare che in questo momento della storia la Chiesa è chiamata a compiere una nuova evangelizzazione, vuol dire intensificare l’azione missionaria per corrispondere pienamente al mandato del Signore. Il Concilio Vaticano II ricordava che "i gruppi in mezzo ai quali la Chiesa si trova, spesso, per varie ragioni, cambiano radicalmente, così che possono scaturire situazioni del tutto nuove" (Decr. Ad Gentes, 6). Con sguardo lungimirante, i Padri conciliari videro all’orizzonte il cambiamento culturale che oggi è facilmente verificabile. Proprio questa mutata situazione, che ha creato una condizione inaspettata per i credenti, richiede una particolare attenzione per l’annuncio del Vangelo, per rendere ragione della propria fede in situazioni differenti dal passato.

La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell’esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica. Nei decenni passati era ancora possibile ritrovare un generale senso cristiano che unificava il comune sentire di intere generazioni, cresciute all’ombra della fede che aveva plasmato la cultura. Oggi, purtroppo, si assiste al dramma della frammentarietà che non consente più di avere un riferimento unificante; inoltre, si verifica spesso il fenomeno di persone che desiderano appartenere alla Chiesa, ma sono fortemente plasmate da una visione della vita in contrasto con la fede.

Annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo, oggi appare più complesso che nel passato; ma il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata, così come non devono mutare l’entusiasmo e il coraggio che mossero gli Apostoli e i primi discepoli.

Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr At 2,1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo. Sant’Agostino afferma che non si deve pensare che la grazia dell’evangelizzazione si sia estesa fino agli Apostoli e con loro quella sorgente di grazia si sia esaurita, ma "questa sorgente si palesa quando fluisce, non quando cessa di versare. E fu in tal modo che la grazia tramite gli Apostoli raggiunse anche altri, che vennero inviati ad annunciare il Vangelo… anzi, ha continuato a chiamare fino a questi ultimi giorni l’intero corpo del suo Figlio Unigenito, cioè la sua Chiesa diffusa su tutta la terra" (Sermo 239,1). La grazia della missione ha sempre bisogno di nuovi evangelizzatori capaci di accoglierla, perché l’annuncio salvifico della Parola di Dio non venga mai meno, nelle mutevoli condizioni della storia.

Esiste una continuità dinamica tra l’annuncio dei primi discepoli e il nostro. Nel corso dei secoli la Chiesa non ha mai smesso di proclamare il mistero salvifico della morte e risurrezione di Gesù Cristo, ma quello stesso annuncio ha bisogno oggi di un rinnovato vigore per convincere l’uomo contemporaneo, spesso distratto e insensibile.

La nuova evangelizzazione, per questo, dovrà farsi carico di trovare le vie per rendere maggiormente efficace l’annuncio della salvezza, senza del quale l’esistenza personale permane nella sua contraddittorietà e priva dell’essenziale.

Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità.

Mi auguro che nel lavoro di questi giorni possiate delineare un progetto in grado di aiutare tutta la Chiesa e le differenti Chiese particolari, nell’impegno della nuova evangelizzazione; un progetto dove l’urgenza per un rinnovato annuncio si faccia carico della formazione, in particolare per le nuove generazioni, e sia coniugato con la proposta di segni concreti in grado di rendere evidente la risposta che la Chiesa intende offrire in questo peculiare momento. Se, da una parte, l’intera comunità è chiamata a rinvigorire lo spirito missionario per dare l’annuncio nuovo che gli uomini del nostro tempo attendono, non si potrà dimenticare che lo stile di vita dei credenti ha bisogno di una genuina credibilità, tanto più convincente quanto più drammatica è la condizione di coloro a cui si rivolgono. E’ per questo che vogliamo fare nostre le parole del Servo di Dio Papa Paolo VI, quando, a proposito dell’evangelizzazione, affermava: "È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 41).

Cari amici, invocando l’intercessione di Maria, Stella dell’evangelizzazione, perché accompagni i portatori del Vangelo e apra i cuori di coloro che ascoltano, vi assicuro la mia preghiera per il vostro servizio ecclesiale e imparto su tutti voi la Benedizione Apostolica.

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domenica 29 maggio 2011

Il Papa al Sodalizio Mariano di Regensburg: Noi eravamo stati ammessi alla Congregazione, ma poco dopo iniziò la guerra contro la Russia; il seminario fu sciolto, e la Congregazione – prima che si fosse riunita, che riuscisse a radunarsi – era già stata dispersa ai quattro venti. Così ciò non è entrato come "data esteriore" della vita, ma è rimasto come "data interiore" della vita, perché da sempre è stato chiaro che la cattolicità non può esistere senza un atteggiamento mariano, che essere cattolici vuol dire essere mariani, che ciò significa l’amore per la Madre, che nella Madre e per la Madre troviamo il Signore

16 APRILE 1927 - 19 APRILE 2005: DA JOSEPH A BENEDETTO. LO SPECIALE DEL BLOG

Vedi anche:

Il Papa al Sodalizio Mariano di Ratisbona: l'affidamento a Maria è scelta sempre attuale (Izzo)

Il Papa: essere cattolici è essere mariani (Armin Schwibach)

Il Papa riceve il sodalizio di Ratisbona: video The Vatican

Il 28 maggio di 70 anni fa il 14enne Joseph Ratzinger entrava nella Congregazione mariana di Ratisbona, «in una epoca buia» a causa di Hitler, e «già segnata dalla guerra»

Il Papa ricorda il "periodo buio" instaurato da Hitler (Efe)

Nei ricordi giovanili di Benedetto XVI la scoperta del valore della devozione mariana (O.R.)

Papa Benedetto apre "il cassetto dei ricordi" e ricorda il suo ingresso in seminario (Asca)

Il Papa alla Congregazione mariana di Ratisbona: essere cattolici significa essere mariani. Le confidenze del Santo Padre sul suo legame con Maria ed il ricordo dei "tempi bui" della guerra

UDIENZA A UNA DELEGAZIONE DELLA "MARIANISCHE MÄNNER-CONGREGATION "MARIÄ VERKÜNDIGUNG" DI REGENSBURG, 28.05.2011

Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i Membri di una Delegazione della "Marianische Männer-Congregation ‘Mariä Verkündung’" (Sodalizio Mariano) di Regensburg.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto ai presenti:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Caro Signor Presidente,
cari sodali!


Un cordiale "Vergelt’s Gott" ["Dio ve ne renda merito"] per la vostra visita, per il dono, per il fatto di aver tirato fuori dal cassetto una data dimenticata della mia vita.

E’ una data, infatti, che non è semplicemente "passato": l’ammissione nella Congregazione mariana guarda al futuro, e non è mai semplicemente un fatto accaduto. Ecco che, ancora dopo 70 anni, questa data è una data dell’"oggi", una data che indica la via verso il "domani". Vi sono grato per avere "tirato fuori" questa data e ne sono contento.

Ringrazio di cuore Lei, caro Presidente, per le Sue gentili parole che sono venute dal cuore e al cuore vanno. A quell’epoca, allora, erano tempi bui – c’era la guerra.

Hitler aveva sottomesso uno dopo l’altro la Polonia, la Danimarca, gli Stati del Benelux, la Francia e nell’aprile del 1941 – proprio in questo periodo, 70 anni fa – aveva occupato la Jugoslavia e la Grecia. Sembrava che il Continente fosse nelle mani di questo potere che, allo stesso tempo, poneva in forse il futuro del cristianesimo.

Noi eravamo stati ammessi alla Congregazione, ma poco dopo iniziò la guerra contro la Russia; il seminario fu sciolto, e la Congregazione – prima che si fosse riunita, che riuscisse a radunarsi – era già stata dispersa ai quattro venti. Così ciò non è entrato come "data esteriore" della vita, ma è rimasto come "data interiore" della vita, perché da sempre è stato chiaro che la cattolicità non può esistere senza un atteggiamento mariano, che essere cattolici vuol dire essere mariani, che ciò significa l’amore per la Madre, che nella Madre e per la Madre troviamo il Signore.

Qui, attraverso le visite "ad limina" dei vescovi, sperimento costantemente come le persone – soprattutto in America Latina, ma anche negli altri continenti – possono affidarsi alla Madre, possono amare la Madre e, attraverso la Madre, poi, imparano a conoscere, a comprendere e ad amare Cristo; sperimento come la Madre continui a mettere al mondo il Signore, come Maria continui a dire "sì" e a portare Cristo nel mondo.

Quando studiavamo, dopo la guerra – e credo che oggi non sia cambiato molto, non credo che la situazione sia molto migliorata – la mariologia che si insegnava nelle università tedesche era un po’ austera e sobria. Credo però che vi abbiamo trovato l’essenziale.

A quel tempo, ci orientavamo a Guardini e al libro del suo amico, il parroco Josef Weiger, "Maria, Mutter der Glaubenden" (Maria, Madre dei credenti), il quale si rifà alle parole di Elisabetta: "Beata te che hai creduto!" (cfr. Lc 1,45). Maria è la grande credente. Ella ha raccolto la missione di Abramo di essere credente ed ha concretizzato la fede di Abramo nella fede in Gesù Cristo, indicando così a noi tutti la via della fede, il coraggio di affidarci a quel Dio che si dà nelle nostre mani, la gioia di essere suoi testimoni; e poi la sua determinazione a rimanere salda quando tutti sono fuggiti, il coraggio di stare dalla parte del Signore quando egli sembrava perduto, e di rendere proprio così quella testimonianza che ha portato alla Pasqua.

Sono dunque grato di sentire che in Baviera ci sono circa 40 mila sodali; che ancora oggi ci sono uomini che, insieme a Maria, amano il Signore, che attraverso Maria imparano a conoscere e ad amare il Signore, e, come Ella, rendono testimonianza al Signore nelle ore difficili e in quelle felici; che stanno con Lui, sotto la Croce e che continuano a vivere gioiosamente la Pasqua insieme a lui.

Ringrazio quindi voi tutti perché tenete alta questa testimonianza, perché sappiamo che ci sono uomini cattolici bavaresi che sono sodali, che percorrono questo cammino aperto dai Gesuiti nel XVI secolo, e che continuano a dimostrare che la fede non appartiene al passato, ma apre sempre ad un "oggi" e, soprattutto, ad un "domani".

"Vergelt’s Gott für alles" [Dio vi renda merito per tutto], e Dio benedica voi tutti! Grazie di cuore.

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Il Papa: E’ possibile che l’umanità conosca la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita; come un terreno arido che, irrigato dalla pioggia, subito rinverdisce


REGINA COELI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

La gioia del Vangelo. La riflessione del Papa oggi alla recita del Regina Cæli (Sir)

In Italia, la 10.ma Giornata del Sollievo. Con noi, il prof. Cellini del “Gemelli” (Radio Vaticana)

Il Papa: E' possibile che l'umanità conosca la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita (Izzo)

Il Papa: anche oggi la vocazione della Chiesa è l’evangelizzazione (AsiaNews)

Il Papa: Alcuni grandi Santi e Sante hanno portato speranza e pace ad intere città, pensiamo a san Carlo Borromeo a Milano, al tempo della peste (TMNews)

Il Papa: Wojtyla e Madre Teresa hanno portato speranza e pace (Izzo)

Il Papa al Regina Caeli: l’annuncio del Vangelo fa fiorire la vita, la vocazione della Chiesa è l’evangelizzazione (R.V.)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI, 29.05.2011

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

Nel libro degli Atti degli Apostoli si riferisce che, dopo una prima violenta persecuzione, la comunità cristiana di Gerusalemme, eccettuati gli apostoli, si disperse nelle regioni circostanti e Filippo, uno dei diaconi, raggiunse una città della Samaria.

Là predicò Cristo risorto, e il suo annuncio fu accompagnato da numerose guarigioni, così che la conclusione dell’episodio è molto significativa: “E vi fu grande gioia in quella città” (At 8,8). Ogni volta ci colpisce questa espressione, che nella sua essenzialità ci comunica un senso di speranza; come dicesse: è possibile!

E’ possibile che l’umanità conosca la vera gioia, perché là dove arriva il Vangelo, fiorisce la vita; come un terreno arido che, irrigato dalla pioggia, subito rinverdisce. Filippo e gli altri discepoli, con la forza dello Spirito Santo, fecero nei villaggi della Palestina ciò che aveva fatto Gesù: predicarono la Buona Notizia e operarono segni prodigiosi. Era il Signore che agiva per mezzo loro. Come Gesù annunciava la venuta del Regno di Dio, così i discepoli annunciarono Gesù risorto, professando che Egli è il Cristo, il Figlio di Dio, battezzando nel suo nome e scacciando ogni malattia del corpo e dello spirito.

“E vi fu grande gioia in quella città”. Leggendo questo brano, viene spontaneo pensare alla forza risanatrice del Vangelo, che nel corso dei secoli ha “irrigato”, come fiume benefico, tante popolazioni. Alcuni grandi Santi e Sante hanno portato speranza e pace ad intere città – pensiamo a san Carlo Borromeo a Milano, al tempo della peste; alla beata Madre Teresa a Calcutta; e a tanti missionari, il cui nome è noto a Dio, che hanno dato la vita per portare l’annuncio di Cristo e far fiorire tra gli uomini la gioia profonda. Mentre i potenti di questo mondo cercavano di conquistare nuovi territori per interessi politici ed economici, i messaggeri di Cristo andavano dappertutto con lo scopo di portare Cristo agli uomini e gli uomini a Cristo, sapendo che solo Lui può dare la vera libertà e la vita eterna. Anche oggi la vocazione della Chiesa è l’evangelizzazione: sia verso le popolazioni che non sono state ancora “irrigate” dall’acqua viva del Vangelo; sia verso quelle che, pur avendo antiche radici cristiane, hanno bisogno di nuova linfa per portare nuovi frutti, e riscoprire la bellezza e la gioia della fede.

Cari amici, il beato Giovanni Paolo II è stato un grande missionario, come documenta anche una mostra allestita in questo periodo a Roma. Egli ha rilanciato la missione ad gentes e, al tempo stesso, ha promosso la nuova evangelizzazione. Affidiamo l’una e l’altra all’intercessione di Maria Santissima. La Madre di Cristo accompagni sempre e dovunque l’annuncio del Vangelo, affinché si moltiplichino e si allarghino nel mondo gli spazi in cui gli uomini ritrovano la gioia di vivere come figli di Dio.

DOPO IL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle, ieri, a Cerreto Sannita, è stata proclamata Beata Suor Maria Serafina del Sacro Cuore di Gesù, al secolo Clotilde Micheli. Originaria del Trentino, fondò in Campania l’Istituto delle Suore della Carità degli Angeli. Mentre ricordiamo il centenario della sua nascita al Cielo, ci rallegriamo con le sue figlie spirituali e con tutti i suoi devoti.

Chers pèlerins francophones, les lectures d’aujourd’hui nous rapportent le zèle des Apôtres, après la Résurrection de Jésus. Ils parcourent le pays et visitent les communautés. Les malades sont guéris, beaucoup se convertissent. A leur suite, nous sommes appelés à annoncer sans relâche la bonne nouvelle du Salut donné à tous! Jésus Lui-même nous enseigne à aimer comme Lui. N’ayez pas peur de parler de Lui autour de vous et de faire découvrir la beauté de l’Evangile. Que Marie nous apprenne à chanter le Magnificat!

I greet the English-speaking visitors and pilgrims at today’s Regina Cæli, especially those from Sioux Falls, South Dakota. In the Gospel today, our Lord declares: “I will not leave you orphans”, promising that the gift of the Holy Spirit will make us adopted children of God. Let us pray that we may be faithful to that gift and live fully the new life that Christ offers us. May God bless you all!

Von Herzen grüße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher. Die liturgischen Lesungen des heutigen Sonntags lenken unser Augenmerk auf den Heiligen Geist. Die Menschen, die uns in der Apostelgeschichte begegnen, zeigen den Willen und die Bereitschaft, Gottes Wort zu hören. Aber um es zu beherzigen, um es im Herzen aufgehen und Frucht bringen zu lassen, brauchen sie den Geist der Wahrheit und der Stärke, den Jesus den Seinen versprochen hat. Bitten wir in diesen österlichen Tagen den Auferstandenen um seine Gabe: Herr, schenke uns den Heiligen Geist, daß wir dich immer besser verstehen und dich wirklich lieben. – Euch allen wünsche ich einen gesegneten Sonntag und eine gute Woche.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana. La liturgia de hoy nos invita a no sentirnos huérfanos de Dios en el mundo, porque Cristo vive y, por su Espíritu, el Espíritu de la verdad, sigue siendo nuestro consuelo, nuestra defensa y nuestra guía. Invito a todos a renovar con gozo la esperanza cristiana que nace del misterio pascual, para afrontar las dificultades, ahuyentar el desánimo y los esfuerzos por construir un mundo más digno del hombre, según los deseos de Dios. Que la Santísima Virgen María nos acompañe en este camino. Feliz domingo.

Słowo pozdrowienia przekazuję wszystkim Polakom. Wczoraj przypadała trzydziesta rocznica śmierci, kardynała Stefana Wyszyńskiego, Prymasa Tysiąclecia. Wypraszając dar jego beatyfikacji, uczmy się od niego zawierzenia swego życia Matce Bożej. Niech jego ufność wyrażona w słowach: „Wszystko postawiłem na Maryję” będzie dla nas szczególnym wzorem. Pamiętajmy o tym kończąc miesiąc maj, szczególnie poświęcony Matce Najświętszej. Z serca wam błogosławię.

[Rivolgo il mio saluto a tutti i Polacchi. Ieri ricorreva il 30° anniversario della morte del cardinale Stefan Wyszyński, il Primate del Millennio. Invocando il dono della sua beatificazione, impariamo da lui il totale abbandono alla Madre di Dio. La sua fiducia espressa con le parole: “Tutto ho posto su Maria” sia per noi un particolare modello. Ricordiamo questo al termine del mese di maggio dedicato in modo particolare alla Madonna. Vi benedico di cuore.]

Sono lieto di salutare i docenti e gli studenti del Pontificio Istituto di Musica Sacra, di cui si celebra il centenario di fondazione. Cari amici, rinnovo per voi l’assicurazione del mio ricordo nella preghiera.

E infine saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli di Piacenza, Pontassieve, Prato, Carmignano, Ascoli Piceno, Teramo e Montesilvano Colle, l’associazione “Apostoli della Divina Misericordia con Maria Regina della Pace”, la Corale “S. Roberto Bellarmino” di Davoli, i bambini della Prima Comunione della parrocchia di San Tommaso Apostolo in Roma, la scuola “Figlie di Gesù” di Carrara e la Federazione Italiana Hockey, che stamani ha organizzato una manifestazione sportiva presso Piazza S. Pietro. Saluto con particolare affetto i bambini colpiti da ernia diaframmatica e i loro genitori, e ricordo che oggi ricorre la Giornata Nazionale del Sollievo, dedicata alla solidarietà con i malati. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie per la vostra attenzione. Buona domenica a tutti voi.

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DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE IN CROAZIA

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE IN CROAZIA (4 - 5 GIUGNO 2011): LO SPECIALE DEL BLOG

IL PAPA IN CROAZIA: I VIDEO, LE FOTO, I PODCAST

INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE AI GIORNALISTI SUL VOLO PER ZAGABRIA SUI RAPPORTI FRA LA SANTA SEDE E LA CROAZIA, SULL'INGRESSO DELLA CROAZIA NELLA UE E SULLA FIGURA DEL CARDINALE STEPINAC

Il Papa ripercorre il viaggio in Croazia: "Guardare all’Europa dal punto di vista di una Nazione di antica e solida tradizione cristiana, che della civiltà europea è parte integrante, mentre si appresta ad entrare nell’Unione politica, ha fatto sentire nuovamente l’urgenza della sfida che interpella oggi i popoli di questo Continente: quella, cioè – di non avere paura di Dio, del Dio di Gesù Cristo, che è Amore e Verità, e non toglie nulla alla libertà ma la restituisce a se stessa e le dona l’orizzonte di una speranza affidabile" (Catechesi udienza generale, 8 giugno 2011)

I telegrammi del Papa al Presidente della Bosnia ed Erzegovina e al Presidente Napolitano. La risposta del Capo dello Stato

Il Papa si congeda dalla Croazia: "È stato per me motivo di gioia constatare quanto sia ancora viva nell’oggi l’antica tradizione cristiana del vostro popolo" (Discorso, non pronunciato a causa del maltempo, in occasione della Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale Pleso di Zagreb, 5 giugno 2011)

Il Papa ai vescovi: "La comunità ecclesiale presenta al proprio interno legittime diversità, tuttavia essa non può rendere una testimonianza fedele al Signore se non nella comunione dei suoi membri. Questo richiede da voi il servizio della vigilanza, da offrire nel dialogo e con grande amore, ma anche con chiarezza e fermezza" (Discorso del Santo Padre in occasione della Celebrazione dei Vespri con Vescovi, Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Seminaristi, e preghiera presso la tomba del Beato Alojzije Viktor Stepinac nella Cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e di Santo Stefano, Zagreb, 5 giugno 2011)

Il Papa: "Oggi io sono qui per confermarvi nella fede; è questo il dono che vi porto: la fede di Pietro, la fede della Chiesa! Ma, al tempo stesso, voi donate a me questa stessa fede, arricchita dalla vostra esperienza, dalle gioie e dalle sofferenze" (Parole del Santo Padre alla Recita del Regina Cæli nell’Ippodromo di Zagreb, 5 giugno 2011)

Il Papa: "Care famiglie, siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vita che è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisogna aver timore di impegnarsi per un’altra persona! Care famiglie, gioite per la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di apertura al futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale naturale libera la persona, anziché mortificarla!" (Omelia della Santa Messa in occasione della Giornata Nazionale delle famiglie cattoliche croate nell’Ippodromo di Zagreb, 5 giugno 2011)

Il Papa ai giovani croati: "Gesù vi parla oggi: mediante il Vangelo e lo Spirito Santo, Egli è vostro contemporaneo. È Lui che cerca voi, prima ancora che voi lo cerchiate! Rispettando pienamente la vostra libertà, Egli si avvicina a ciascuno di voi e si propone come la risposta autentica e decisiva a quell’anelito che abita il vostro essere, al desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta. Lasciate che vi prenda per mano! Lasciate che entri sempre di più come amico e compagno del vostro cammino! DateGli fiducia, non vi deluderà mai!" (Discorso del Papa in occasione della Veglia di preghiera con i giovani nella piazza del Bano Josip Jelačič, Zagreb, 4 giugno 2011)

Il Papa: "Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell’occidente non ha rimedio e l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c’è speranza per il futuro" (Discorso del Papa in occasione dell'Incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i leaders religiosi nel Teatro Nazionale Croato, Zagreb, 4 giugno 2011)

Il Papa arriva in Croazia: "Possa così questa cara Nazione, forte della sua ricca tradizione, contribuire a far sì che l’Unione Europea valorizzi appieno tale ricchezza spirituale e culturale" (Discorso del Papa in occasione della Cerimonia di benvenuto nell'Aeroporto Internazionale di Zagreb Pleso, 4 giugno 2011)

Il Papa in Croazia. Telegramma al Presidente Napolitano e risposta del Capo dello Stato

DISCORSI E MESSAGGI PRECEDENTI IL VIAGGIO IN CROAZIA

Il Papa ai pellegrini croati: "Cari amici, sabato e domenica prossima mi recherò a Zagabria in Croazia per celebrare con voi la Giornata delle famiglie cattoliche croate" (Udienza generale, 1° giugno 2011)

Il Papa all'Ambasciatore della Croazia: "Alcune voci amareggianti contestano con sorprendente regolarità la realtà delle radici religiose europee. Affermare che l'Europa non ha radici cristiane equivale a pretendere che un uomo possa vivere senza ossigeno e senza cibo. Non bisogna vergognarsi di ricordare e di sostenere la verità rifiutando, se necessario, ciò che è contrario ad essa" (Discorso al nuovo Ambasciatore di Croazia presso la Santa Sede, 11 aprile 2011)

L'omelia pronunciata nel 1998 da Joseph Ratzinger nel centenario della nascita del cardinale Alojzije Stepinac: Difese le cose di Dio contro la falsa onnipotenza dell'uomo (O.R.)

sabato 28 maggio 2011

Il Papa sull'esecuzione del Salmo 13 di Liszt: Il grande musicista ungherese l’ha più pregato che composto, o meglio l’ha pregato prima di comporlo

Vedi anche:

Dio non ci abbandona mai: così il Papa al concerto in Vaticano offerto dal presidente dell'Ungheria (Radio Vaticana)

L'Ungheria offre un concerto a Papa Benedetto (Rome Reports)

Il Papa al concerto offerto dal Presidente ungherese: "Dio non abbandona" (Sir)

CONCERTO IN ONORE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI OFFERTO DAL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI UNGHERIA, 27.05.2011

Questo pomeriggio alle ore 18, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, ha luogo un Concerto offerto dal Presidente della Repubblica di Ungheria, S.E. il Sig. Pál Schmitt, al Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della Presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea e del 200° anniversario della nascita di Ferenc Liszt.
L’Orchestra Filarmonica Nazionale e il Gruppo Corale Nazionale della Repubblica d’Ungheria, diretti dal Maestro Zoltán Kocsis, eseguono musiche di Ferenc Liszt.
Prima del Concerto, il Presidente della Repubblica d’Ungheria rivolge un indirizzo di omaggio al Santo Padre.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti al termine dell’esecuzione musicale:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Presidente della Repubblica,
Signori Cardinali,
Onorevoli Ministri e Autorità,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,

Gentili Signori e Signore!


Tisztelettel üdvözlöm a Magyar Köztársaság elnökét, Schmitt Pál urat, kedves feleségét és a magyar delegációt. Megköszönöm hozzám intézett szavait és azt, hogy rendkívüli szívélyességgel felajánlotta számunkra ezt a csodálatos hangversenyt, az Európai Unió Tanácsának magyar elnöksége és a valóban európai művész, Liszt Ferenc születésének kétszázadik évfordulója alkalmából.

[Desidero rivolgere un deferente saluto al Presidente della Repubblica di Ungheria, Sig. Pál Schmitt, alla gentile consorte e alla Delegazione ungherese. Lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto e per averci offerto, con squisita cortesia, questo splendido concerto, in occasione della Presidenza ungherese del Consiglio dell’Unione Europea e del bicentenario della nascita di Ferenc Liszt, artista veramente europeo.]

Saluto le altre Autorità, i Signori Ambasciatori, le varie Personalità, e voi tutti. Un grazie speciale al Direttore, al Tenore, all’Orchestra Filarmonica Nazionale e al Gruppo Corale Nazionale Ungheresi per l’esecuzione di altissimo livello, e agli organizzatori.

Liszt, uno dei maggiori pianisti di tutti i tempi, è stato un compositore geniale non solo di musiche per pianoforte, ma anche di musica sinfonica e sacra, come abbiamo ascoltato. Vorrei proporvi un pensiero che mi ha suscitato l’ascolto dei primi tre brani: il Festmarsch zur Goethejubiläumsfeier, la Vallée d’Obermann e l’Ave Maria-Die Glocken von Rom, il primo nella rielaborazione e gli altri due nella trascrizione dal pianoforte del Maestro Kotschisch secondo il più genuino spirito lisztiano. In queste tre composizioni sono messi in evidenza tutti i colori dell’orchestra; perciò, abbiamo potuto sentire con chiarezza la voce particolare delle varie sezioni che formano una compagine orchestrale: gli archi, i fiati, i legni, gli ottoni, le percussioni. Timbri molto caratteristici e diversi tra loro. Eppure non abbiamo sentito un ammasso di suoni slegati tra loro: tutti questi colori orchestrali hanno espresso armoniosamente un unico progetto musicale. E per questo ci hanno donato la bellezza e la gioia dell’ascolto, hanno suscitato in noi una vasta gamma di sentimenti: dalla gioia e festosità della marcia, alla pensosità del secondo pezzo con una ricorrente e struggente melodia, fino all’atteggiamento orante a cui ci ha invitato l’accorata Ave Maria.

Una parola anche sul bellissimo Salmo XIII. Risale agli anni in cui Liszt soggiornò a Tivoli e a Roma; è il periodo in cui il compositore vive in modo intenso la sua fede tanto da produrre quasi esclusivamente musica sacra; ricordiamo che ricevette gli ordini minori. Il brano che abbiamo ascoltato ci ha dato l’idea della qualità e della profondità di questa fede. E’ un Salmo in cui l’orante si trova in difficoltà, il nemico lo circonda, lo assedia, e Dio sembra assente, sembra averlo dimenticato.

E la preghiera si fa angosciosa davanti a questa situazione di abbandono: "Fino a quando, Signore?", ripete per quattro volte il Salmista. "Herr, wie lange?", ripetono in modo quasi martellante il tenore e il coro nel brano ascoltato: è il grido dell’uomo e dell’umanità, che sente il peso del male che c’è nel mondo; e la musica di Liszt ci ha trasmesso questo senso di peso, di angoscia. Ma Dio non abbandona. Il Salmista lo sa e anche Liszt, da uomo di fede, lo sa.

Dall’angoscia nasce una supplica piena di fiducia che sfocia nella gioia: "Esulterà il mio cuore nella tua salvezza … canterò al Signore, che mi ha beneficato". E qui la musica di Liszt si trasforma: tenore, coro e orchestra innalzano un inno di pieno affidamento a Dio, che mai tradisce, mai si dimentica, mai ci lascia soli. Liszt, a proposito della sua Missa Solemnis, scriveva: "Posso veramente dire che ho più pregato questa Messa di quanto l’abbia composta".

Penso che lo stesso possiamo dire di questo Salmo: il grande musicista ungherese l’ha più pregato che composto, o meglio l’ha pregato prima di comporlo.

Ismételten kifejezem hálámat a köztársasági elnök úrnak, a karmester úrnak, a tenor-énekesnek, a Filharmonikus Zenekarnak és Énekkarnak, minden szervezőnek, hogy megajándékoztak bennünket ezzel a szép estével, amelyben szívünk arra kapott meghívást, hogy Istenhez emelkedjék.

[Rinnovo la mia gratitudine al Signor Presidente della Repubblica, al Direttore, al Tenore, all’Orchestra Filarmonica e al Coro, a tutti gli organizzatori, per averci donato questo momento in cui il nostro cuore è stato invitato ad innalzarsi all’altezza di Dio.]

Il Signore continui a benedire la vostra vita. Grazie a tutti.

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venerdì 27 maggio 2011

Il Papa: Dal momento che Caritas Internationalis ha un profilo universale ed è dotata di personalità giuridica canonica pubblica, la Santa Sede ha il compito di seguire la sua attività e di vigilare affinché tanto la sua azione umanitaria e di carità, come il contenuto dei documenti diffusi, siano in piena sintonia con la Sede Apostolica e con il Magistero della Chiesa, e affinché essa sia amministrata con competenza ed in modo trasparente

Vedi anche:

Il Papa: Caritas internationalis, sintonia con il Magistero (Cardinale e Mastrofini)

Benedetto XVI scioglie il «nodo Caritas» (Galeazzi)

Il discorso del Papa a Caritas Internationalis nel commento di Armin Schwibach

Una rivoluzione in Vaticano che la dice lunga sul Pontificato di Benedetto XVI. Jean-Marie Guénois commenta il discorso alla Caritas Internationalis: il Papa vuole rendere la Chiesa Cattolica...cattolica

Il Papa: La Caritas Internationalis è un organismo ecclesiale e non una agenzia sociale come le altre. Nella sfera politica i fedeli laici godono di un'ampia libertà di azione. Promuovere valori non negoziabili (Izzo)

Il Papa: Senza un fondamento trascendente, senza un riferimento a Dio Creatore, senza la considerazione del nostro destino eterno, rischiamo di cadere in preda ad ideologie dannose (Asca)

Il Papa richiama la Caritas internazionale a rimanere "in piena sintonia con la Sede Apostolica e con il Magistero della Chiesa"

Il Papa alla “Caritas Internationalis”: la carità non è mera filantropia né ideologia ma dono totale di sé sull'esempio di Cristo (R.V.)

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CARITAS INTERNATIONALIS, 27.05.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla 19.ma Assemblea Generale della Caritas Internationalis in occasione del 60° anniversario della fondazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari Fratelli e Sorelle
,

sono lieto di avere questa opportunità di incontrarvi , in occasione della vostra Assemblea Generale. Ringrazio il Cardinale Oscar Rodríguez Maradiaga, Presidente di Caritas Internationalis, per le cortesi parole che mi ha indirizzato anche a nome vostro, e rivolgo un cordiale saluto a tutti voi e all’intera famiglia delle Caritas. Vi assicuro, inoltre, la mia gratitudine e formulo nella preghiera i migliori auspici per le opere di carità cristiana che realizzate in Paesi di tutto il mondo.

Il primo motivo del nostro incontro odierno è quello di ringraziare Dio per le numerose grazie che ha elargito alla Chiesa nei sessant’anni trascorsi dalla fondazione di Caritas Internationalis.

Dopo gli orrori e le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, il Venerabile Pio XII volle mostrare la solidarietà e la preoccupazione della Chiesa intera di fronte alle tante situazioni di conflitto e di emergenza nel mondo. E lo fece dando vita ad un organismo che, a livello della Chiesa universale, promuovesse maggiore comunicazione, coordinamento e collaborazione fra le numerose organizzazioni caritative della Chiesa nei vari continenti (cfr Chirografo Durante l’Ultima Cena, 16 settembre 2004, 1).

Il Beato Giovanni Paolo II, poi, rafforzò ulteriormente i legami esistenti tra le singole agenzie nazionali di Caritas e tra di esse e la Santa Sede, conferendo a Caritas Internationalis la personalità giuridica canonica pubblica (ibid., 3).

In conseguenza di ciò, Caritas internationalis ha acquisito un ruolo particolare nel cuore della comunità ecclesiale, ed è stata chiamata a condividere, in collaborazione con la Gerarchia ecclesiastica, la missione della Chiesa di manifestare, attraverso la carità vissuta, quell’amore che è Dio stesso. In tal modo, entro i limiti delle finalità proprie ad essa assegnate, Caritas Internationalis adempie a nome della Chiesa ad un compito specifico in favore del bene comune (cfr CIC, can. 116 §1).

Essere nel cuore della Chiesa; essere in grado, in certo qual modo, di parlare e agire in suo nome, in favore del bene comune, comporta particolari responsabilità in termini di vita cristiana, sia personale che comunitaria. Solo sulle basi di un quotidiano impegno ad accogliere e vivere pienamente l’amore di Dio, si può promuovere la dignità di ogni singolo essere umano. Nella mia prima Enciclica, Deus Caritas est, ho voluto riaffermare quanto sia centrale la testimonianza della carità per la Chiesa del nostro tempo. Attraverso tale testimonianza, resa visibile nella vita quotidiana dei suoi membri, la Chiesa raggiunge milioni di uomini e donne e rende loro possibile riconoscere e percepire l’amore di Dio, che è sempre vicino ad ogni persona che si trovi nel bisogno.

Per noi cristiani, Dio stesso è la fonte della carità, e la carità è intesa non solo come una generica filantropia, ma come dono di sé, anche fino al sacrificio della propria vita in favore degli altri, ad imitazione dell’esempio di Gesù Cristo. La Chiesa prolunga nel tempo e nello spazio la missione salvifica di Cristo: essa vuole raggiungere ogni essere umano, mossa dal desiderio che ciascun individuo giunga a conoscere che nulla può separarci dall’amore di Cristo (cfr Rm 8,35).

Caritas Internationalis è diversa da altre agenzie sociali perché è un organismo ecclesiale, che condivide la missione della Chiesa.

Questo è ciò che i Pontefici hanno sempre voluto e questo è ciò che la vostra Assemblea Generale è chiamata a riaffermare con forza. A tale riguardo, si deve osservare che Caritas Internationalis è costituita fondamentalmente dalle varie Caritas nazionali. A differenza di tante istituzioni e associazioni ecclesiali dedite alla carità, le Caritas hanno un tratto distintivo: pur nella varietà delle forme canoniche assunte dalle Caritas nazionali, tutte costituiscono un aiuto privilegiato per i Vescovi nel loro esercizio pastorale della carità. Ciò comporta una speciale responsabilità ecclesiale: quella di lasciarsi guidare dai Pastori della Chiesa.

Dal momento poi che Caritas Internationalis ha un profilo universale ed è dotata di personalità giuridica canonica pubblica, la Santa Sede ha il compito di seguire la sua attività e di vigilare affinché tanto la sua azione umanitaria e di carità, come il contenuto dei documenti diffusi, siano in piena sintonia con la Sede Apostolica e con il Magistero della Chiesa, e affinché essa sia amministrata con competenza ed in modo trasparente.

Questa identità distintiva è la forza di Caritas Internationalis, ed è ciò che rende la sua opera particolarmente efficace.

Vorrei inoltre sottolineare che la vostra missione vi porta a svolgere un importante ruolo sul piano internazionale. L’esperienza che avete raccolto in questi anni vi ha insegnato a farvi portavoce, nella comunità internazionale, di una sana visione antropologica, alimentata dalla dottrina cattolica e impegnata a difendere la dignità di ogni vita umana.

Senza un fondamento trascendente, senza un riferimento a Dio Creatore, senza la considerazione del nostro destino eterno, rischiamo di cadere in preda ad ideologie dannose. Tutto ciò che dite e fate, la testimonianza della vostra vita e delle vostre attività, sono importanti e contribuiscono a promuovere il bene integrale della persona umana.

Caritas Internationalis è un’organizzazione a cui spetta il ruolo di favorire la comunione tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, come pure la comunione tra tutti i fedeli nell’esercizio della carità. Al tempo stesso, essa è chiamata ad offrire il proprio contributo per portare il messaggio della Chiesa nella vita politica e sociale sul piano internazionale. Nella sfera politica – e in tutte quelle aree che toccano direttamente la vita dei poveri – i fedeli, specialmente i laici, godono di un’ampia libertà di azione. Nessuno può, in materie aperte alla libera discussione, pretendere di parlare "ufficialmente" a nome dell’intero laicato o di tutti i cattolici (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes, 43; 88). D’altro canto, ciascun cattolico, anzi, in verità, ogni uomo, è chiamato ad agire con coscienza purificata e con cuore generoso per promuovere in maniera decisa quei valori che spesso ho definito come "non negoziabili". Caritas Internationalis è chiamata, perciò, ad operare per convertire i cuori all’apertura verso tutti i nostri fratelli e sorelle, affinché ognuno, nel pieno rispetto della propria libertà e nella piena assunzione delle proprie responsabilità personali, possa agire sempre ed ovunque in favore del bene comune, offrendo generosamente il meglio di sé al servizio dei fratelli e delle sorelle, in particolare dei più bisognosi.

E’ in questa ampia prospettiva, quindi, e in stretta collaborazione con i Pastori della Chiesa, responsabili ultimi della testimonianza della carità (cfr Deus Caritas est, 32), che le Caritas nazionali sono chiamate a continuare la loro fondamentale testimonianza al mistero dell’amore vivificante e trasformante di Dio manifestatosi in Gesù Cristo. Lo stesso vale anche per Caritas Internationalis, che, nell’impegno per svolgere la propria missione, può contare sull’assistenza e sull’appoggio della Santa Sede, particolarmente attraverso il Dicastero competente, il Pontificio Consiglio Cor Unum.

Cari amici, affidando questi pensieri alla vostra riflessione, vi ringrazio di nuovo per il vostro generoso impegno al servizio dei nostri fratelli bisognosi. A voi, ai vostri collaboratori e a tutti coloro che sono coinvolti nel vasto mondo delle opere di carità cattoliche, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica, quale pegno di forza e di pace nel Signore.

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giovedì 26 maggio 2011

IL TESTO DELL'ATTO DI AFFIDAMENTO DELLA NAZIONE ITALIANA ALLA VERGINE MARIA

Il Papa: "La fede non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità" (Discorso)

PREGHIERA DEL SANTO PADRE PER L'ITALIA

PREGHIERA DI AFFIDAMENTO A MARIA

Vergine Maria,
Mater Unitatis,

questa sera intendiamo specchiarci in te
e porre sotto il manto della tua protezione
l’amato popolo italiano.

Vergine del Fiat,
la tua vita celebra il primato di Dio:
alimenta in noi lo stupore della fede,
insegnaci a custodire nella preghiera
quest’opera che restituisce unità alla vita.

Vergine del servizio,
donaci di comprendere a quale libertà
tende un’esistenza donata,
quale segreto di bellezza
è racchiuso nella verità di un incontro.

Vergine della Croce,
concedici di contemplare
la vittoria di Cristo sul mistero del male,
capaci di esprimere ragioni di speranza
e presenza d’amore nelle contraddizioni del tempo.

Vergine del Cenacolo,
sollecita le nostre Chiese a cooperare tra loro,
nella comunione con il Vescovo di Roma.
Rendi tutti noi partecipi del destino di questo Paese,
bisognoso di concordia e di sviluppo.

Vergine del Magnificat,
liberaci dalla rassegnazione,
donaci un cuore riconciliato,
suscita in noi la lode e la riconoscenza.
E saremo perseveranti nella fedeltà sino alla fine.

Amen.

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Il Papa: La fede non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità

IL TESTO DELL'ATTO DI AFFIDAMENTO DELLA NAZIONE ITALIANA ALLA VERGINE MARIA

PREGHIERA DEL SANTO PADRE PER L'ITALIA

Il Papa al Presidente Napolitano: "Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività artistica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica" (Messaggio del Santo Padre in occasione dei 150 anni dell’Unità politica d’Italia, 16 marzo 2011)

ATTO DI AFFIDAMENTO E CONSACRAZIONE DEI SACERDOTI AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA: LA PREGHIERA DEL SANTO PADRE (Atto di Affidamento e Consacrazione dei Sacerdoti al Cuore Immacolato di Maria, Chiesa della SS.ma Trinità - Fátima, 12 maggio 2010)

Il testo dell'indirizzo di saluto del card. Bagnasco a Benedetto XVI

Vedi anche:

Forte richiamo del Papa all’unità del Paese in nome di «una fede che non è alienazione», mentre «sono altre le esperienze che inquinano la convivenza sociale» (Galeazzi)

Il Papa e l'Italia. Riflessione di Giovanni Maria Vian

Il Papa affida l'Italia alla Madonna (Massimo Introvigne)

Il Papa invita al dialogo per superare le divisioni (Giansoldati)

Appello del Papa al superamento delle contrapposizioni (Marroni)

Cardini: «È la Madonna il nostro simbolo di libertà»

Il Papa: I politici e gli imprenditori devono compiere ogni sforzo per superare la situazione di precariato oggi troppo diffusa (Adnkronos)

L'Affidamento dell'Italia alla Vergine nel commento di Vecchi

Affidamento dell'Italia a Maria. Una luce sul presente (Matino)

Rosario per l'Italia. Il servizio video di Tg2000

Il Papa prega per l'Italia (Bobbio)

Il Papa ed i vescovi italiani si sono ritrovati per affidare l'Italia alla Madonna e rinnovare l'impegno per il bene comune, la giustizia e la pace (Chirri)

La bellissima iniziativa dei vescovi americani per festeggiare il 60° anniversario di ordinazione di Papa Benedetto: 60 ore di adorazione eucaristica per le vocazioni

Il Papa recita il Rosario per affidare l'Italia alla Vergine (Rome Reports)

Benedetto XVI: la politica superi contrapposizioni pregiudiziali (Messaggero)

Il Papa implora dalla Vergine unità e pace per l'Italia, e più lavoro (Izzo)

Il Papa parla dei lavoratori precari (Andrea Tornielli)

Il Papa: Partecipare alla vita pubblica. Recita del Rosario e affidamento dell'Italia a Maria (Sir)

Il Papa: A 150 anni dall'Unità, Nord e Sud rinnovino "occasioni di incontro, nel segno della reciprocità" (Tgcom)

“Una società più giusta, matura e responsabile”. Così il Papa nella Basilica di Santa Maria Maggiore nell’affidare l’Italia al cuore di Maria (Radio Vaticana)

Il Papa: Sforzi per superare precariato, danneggia i giovani (Bandini)

Il Papa: la fede non è alienazione

Il Papa: Maria, modello del compito essenziale della Chiesa (Sir)

Il Papa: "O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito Maria Madre del tuo diletto Figlio, concedi al popolo italiano, che confida nella sua materna protezione, di godere sempre i doni dell'unità e della pace"

Maria Salus Populi Romani: In quell'immagine la «salvezza» di Roma (Rocchi)

Padre Silvano Maggiani: «Maria, una madre nel cuore dell'Italia» (Liut)

Domani il Papa rinnoverà l'affidamento dell'Italia alla Vergine (Izzo)

SANTO ROSARIO CON I VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA E AFFIDAMENTO DELL’ITALIA ALLA VERGINE MARIA IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ POLITICA DEL PAESE, 26.05.2011

Accogliendo l’invito del Card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, alle ore 17.30 di questo pomeriggio il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, la recita del Santo Rosario insieme con i Vescovi Italiani riuniti in Assemblea Generale. Con tale preghiera i Vescovi Italiani intendono ribadire il vincolo particolare con l’Italia, rinnovandone l’affidamento alla Vergine Madre nel 150° dell’unità politica del Paese.
Dopo la recita dei misteri della luce, il Papa rivolge ai Presuli italiani il seguente discorso:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Venerati e cari Confratelli,

siete convenuti in questa splendida Basilica - luogo nel quale spiritualità e arte si fondono in un connubio secolare - per condividere un intenso momento di preghiera, con il quale affidare alla protezione materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano, a centocinquant’anni dall’unità politica del Paese. È significativo che questa iniziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi: anche in questo modo esprimete la premura della Chiesa nel farsi prossima alle sorti di questa amata Nazione. A nostra volta, ci sentiamo in comunione con ogni comunità, anche con la più piccola, in cui rimane viva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione mariana. Essa trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opere d’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Popolo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Signore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplica per le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo vertice nella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione della Chiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende partecipi della storia della salvezza. Questa sera, in particolare, alla scuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: a scendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi in noi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per ricevere da Lui il “vino buono” della festa; ad entrare nella sinagoga di Nazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regno di Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella luce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eterno sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigenera tutta la creazione.

Questa Basilica è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madre di Dio. Nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’anno 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, affidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino di quanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia.

Noi stessi oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia di quella “Porta” Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla Vergine Maria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quanto Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda, la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compromessa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostra vita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà alla sua, a fare “qualsiasi cosa ci dica” (Gv 2,5), certi della sua fedeltà. Questo è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata quale mistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absidale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio, in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è un appello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza della Parola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al quale l’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbedienza filiale: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Maria si è fidata: lei è la “benedetta” (cfr Lc 1,42), che è tale per aver creduto (cfr Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel “settimo giorno”, partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suo cuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa – corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano la vita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimono ciò che Dio attende da lei.

Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigurazione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo originario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’anno 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinvia al mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della natura umana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesù di Nazaret a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria. In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testamenti.

Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un intero popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’interno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partire da quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rappresentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche le stesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il “resto santo”, segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trova corrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senza nulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Maria ne è l’espressione più alta. Su di lei, vergine, discende la potenza creatrice dello Spirito Santo, lo stesso che “in principio” aleggiava sull’abisso informe (cfr Gen 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dal nulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla sua azione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitare la storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità per ogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quindi di realizzarsi pienamente.

La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità.

A ragione l’Italia, celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essere orgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa. Essa non persegue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzioni politiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a sostenere i diritti fondamentali dell’uomo.

Fra questi vi sono anzitutto le istanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituiscono valori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella natura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – forte di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio – continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene comune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vita umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia; questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescere persone libere e responsabili, formate a quei valori profondi che aprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avversità della vita. Non ultima fra queste, c’è oggi la difficoltà ad accedere ad una piena e dignitosa occupazione: mi unisco, perciò, a quanti chiedono alla politica e al mondo imprenditoriale di compiere ogni sforzo per superare il diffuso precariato lavorativo, che nei giovani compromette la serenità di un progetto di vita familiare, con grave danno per uno sviluppo autentico e armonico della società.

Cari Confratelli, l’anniversario dell’evento fondativo dello Stato unitario vi ha trovati puntuali nel richiamare i tasselli di una memoria condivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futura. Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiusura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dottrina sociale della Chiesa, affinché chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfruttare la propria posizione per interessi personali o per sete di potere. Sostenete la vasta rete di aggregazioni e di associazioni che promuovono opere di carattere culturale, sociale e caritativo.

Rinnovate le occasioni di incontro, nel segno della reciprocità, tra Settentrione e Mezzogiorno. Aiutate il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quel vasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è stato animatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico. Similmente, provocate il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti, le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e di ospitalità che lo caratterizzano. Continuate a coltivare uno spirito di sincera e leale collaborazione con lo Stato, sapendo che tale relazione è benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero.

La vostra parola e la vostra azione siano di incoraggiamento e di sprone per quanti sono chiamati a gestire la complessità che caratterizza il tempo presente. In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza la richiesta di solidi riferimenti spirituali, sappiate porgere a tutti ciò che è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male e sulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul presente. Assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pastorale di questo decennio, avete voluto esprimere la certezza che l’esistenza cristiana – la vita buona del Vangelo – è proprio la dimostrazione di una vita realizzata. Su questa strada voi assicurate un servizio non solo religioso o ecclesiale, ma anche sociale, contribuendo a costruire la città dell’uomo. Coraggio, dunque! Nonostante tutte le difficoltà, “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37), a Colui che continua a fare “grandi cose” (Lc 1,49) attraverso quanti, come Maria, sanno consegnarsi a lui con disponibilità incondizionata.

Sotto la protezione della Mater unitatis poniamo tutto il popolo italiano, perché il Signore gli conceda i doni inestimabili della pace e della fraternità e, quindi, dello sviluppo solidale. Aiuti le forze politiche a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsaldare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizione: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possano ricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che veramente giova al bene del Paese.

L’esempio di Maria apra la via a una società più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valori profondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, sostenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rinnovata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire anche in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché è la vita stessa.

Di cuore benedico voi e le vostre comunità.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

PREGHIERA DEL SANTO PADRE PER L'ITALIA

Il Papa: "La fede non è alienazione: sono altre le esperienze che inquinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! In ogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Vangelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha arricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nelle arti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità" (Discorso)

IL TESTO DELL'ATTO DI AFFIDAMENTO DELLA NAZIONE ITALIANA ALLA VERGINE MARIA

Nel corso della recita del Santo Rosario, nel corso del quale il Papa ha voluto affidare il popolo italiano alla Vergine Maria, "Salus Populi Romani, Mater Unitatis", è stata letta all'inizio del rito, questa Monizione introduttiva:

Fratelli e sorelle, in occasione dei centocinquant’anni dello Stato unitario, la Chiesa che vive in Italia desidera affidare l’intera Nazione a Maria, invocata con i titoli di Salus Populi Romani e di Mater Unitatis. In comunione con tutte le Chiese, qui rappresentate dai loro Pastori uniti attorno al Santo Padre, celebreremo i misteri della luce.

Tutto il mistero di Cristo è luce! Questa verità emerge particolarmente negli anni della vita pubblica di Gesù, quando Egli annuncia il Vangelo del Regno.

A Maria, che conosce le necessità dei suoi figli e la loro apertura alla vita buona del Vangelo, chiediamo di intercedere presso il Signore Gesù, perché questo nostro popolo possa godere di pace e prosperità e ritrovare nel patrimonio di tradizione e di fede cristiana un’interiore unità.

Poi, Benedetto XVI ha recitato quest'orazione di Affidamento:

Preghiamo.

O Dio onnipotente ed eterno,
che hai costituito Maria Madre del tuo diletto Figlio,
concedi al popolo italiano,
che confida nella sua materna protezione,
di godere sempre i doni dell’unità e della pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio,
che è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.

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mercoledì 25 maggio 2011

Il Papa: La notte di Giacobbe al guado dello Yabboq diventa per il credente un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione. La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibile

Eugène Delacroix, "Lotta di Giacobbe con l'Angelo"
CICLO DI CATECHESI DEDICATO ALLA PREGHIERA NELL'ANTICO TESTAMENTO

UDIENZA GENERALE: VIDEO INTEGRALE

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

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Comunicato stampa: Gli esuli giuliano-dalmati a piazza San Pietro all'udienza generale del 25 maggio 2011

Il Papa: "Dio non è nemico o avversario" dell'uomo che "vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio" (Izzo)

Il Papa: la vita, una “lunga notte di lotta e di preghiera”. Nell'Udienza parla della lotta di Giacobbe con Dio al guado dello Yabboq (Zenit)

La lunga notte di Giacobbe. L'episodio della lotta al guado dello Yabboq nella catechesi di Benedetto XVI sulla preghiera (O.R.)

Il Papa all'udienza generale: la preghiera è una lotta con Dio che si vince quando ci si arrende al suo amore (R.V.)

Il Papa: La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente (TMNews)

Il Papa: Tutta la nostra vita è come questa lunga notte di lotta e di preghiera, da consumare nel desiderio e nella richiesta di una benedizione di Dio (Asca)

Il Papa: Dio non è avversario o nemico dell’uomo, cerchiamo la sua benedizione (AsiaNews)

La lotta di Giacobbe con Dio ed il significato di questo episodio della Bibbia per la fede (Schwibach)

Il Papa: la tradizione spirituale della Chiesa ha visto nel racconto della lotta allo Yabboq il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza

Il Papa: il racconto della lotta del patriarca Giacobbe con Dio al guado dello Yabboq è importante per la nostra vita di fede e di preghiera

Comunicato stampa: Gli esuli giuliano-dalmati a piazza San Pietro per l'udienza generale

L’UDIENZA GENERALE, 25.05.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha incentrato la sua meditazione sulla figura di Giacobbe, nel Libro della Genesi.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La lotta di Giacobbe con Dio al guado dello Yabboq

Cari fratelli e sorelle!

oggi vorrei riflettere con voi su un testo del Libro della Genesi che narra un episodio un po’ particolare della storia del Patriarca Giacobbe.

È un brano di non facile interpretazione, ma importante per la nostra vita di fede e di preghiera; si tratta del racconto della lotta con Dio al guado dello Yabboq, del quale abbiamo ascoltato un brano.

Come ricorderete, Giacobbe aveva sottratto al suo gemello Esaù la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie e aveva poi carpito con l’inganno la benedizione del padre Isacco, ormai molto anziano, approfittando della sua cecità. Sfuggito all’ira di Esaù, si era rifugiato presso un parente, Labano; si era sposato, si era arricchito e ora stava tornando nella terra natale, pronto ad affrontare il fratello dopo aver messo in opera alcuni prudenti accorgimenti. Ma quando è tutto pronto per questo incontro, dopo aver fatto attraversare a coloro che erano con lui il guado del torrente che delimitava il territorio di Esaù, Giacobbe, rimasto solo, viene aggredito improvvisamente da uno sconosciuto con il quale lotta per tutta una notte. Proprio questo combattimento corpo a corpo - che troviamo nel capitolo 32 del Libro della Genesi - diventa per lui una singolare esperienza di Dio.

La notte è il tempo favorevole per agire nel nascondimento, il tempo migliore, dunque, per Giacobbe, per entrare nel territorio del fratello senza essere visto e forse con l’illusione di prendere Esaù alla sprovvista.

Ma è invece lui che viene sorpreso da un attacco imprevisto, per il quale non era preparato. Aveva usato la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo, e invece si trova ora ad affrontare una lotta misteriosa che lo coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare una difesa adeguata. Inerme, nella notte, il Patriarca Giacobbe combatte con qualcuno.

Il testo non specifica l’identità dell’aggressore; usa un termine ebraico che indica “un uomo” in modo generico, “uno, qualcuno”; si tratta quindi di una definizione vaga, indeterminata, che volutamente mantiene l’assalitore nel mistero. È buio, Giacobbe non riesce a vedere distintamente il suo contendente e anche per il lettore, per noi, esso rimane ignoto; qualcuno sta opponendosi al Patriarca, è questo l’unico dato certo fornito dal narratore. Solo alla fine, quando la lotta sarà ormai terminata e quel “qualcuno” sarà sparito, solo allora Giacobbe lo nominerà e potrà dire di aver lottato con Dio.
L’episodio si svolge dunque nell’oscurità ed è difficile percepire non solo l’identità dell’assalitore di Giacobbe, ma anche quale sia l’andamento della lotta. Leggendo il brano, risulta difficoltoso stabilire chi dei due contendenti riesca ad avere la meglio; i verbi utilizzati sono spesso senza soggetto esplicito, e le azioni si svolgono in modo quasi contraddittorio, così che quando si pensa che sia uno dei due a prevalere, l’azione successiva subito smentisce e presenta l’altro come vincitore. All’inizio infatti Giacobbe sembra essere il più forte, e l’avversario – dice il testo – «non riusciva a vincerlo» (v. 26); eppure colpisce Giacobbe all’articolazione del femore, provocandone la slogatura. Si dovrebbe allora pensare che Giacobbe debba soccombere, ma invece è l’altro a chiedergli di lasciarlo andare; e il Patriarca rifiuta, ponendo una condizione: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto» (v. 27). Colui che con l’inganno aveva defraudato il fratello della benedizione del primogenito, ora la pretende dallo sconosciuto, di cui forse comincia a intravedere i connotati divini, ma senza poterlo ancora veramente riconoscere.

Il rivale, che sembrava trattenuto e dunque sconfitto da Giacobbe, invece di piegarsi alla richiesta del Patriarca, gli chiede il nome: “Come ti chiami?”. E il patriarca risponde: “Giacobbe” (v. 28). Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona, perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più profonda dell’individuo, ne svela il segreto e il destino.

Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell’altro e questo consente di poterlo dominare. Quando dunque, alla richiesta dello sconosciuto, Giacobbe rivela il proprio nome, si sta mettendo nelle mani del suo oppositore, è una forma di resa, di consegna totale di sé all’altro.

Ma in questo gesto di arrendersi anche Giacobbe paradossalmente risulta vincitore, perché riceve un nome nuovo, insieme al riconoscimento di vittoria da parte dell’avversario, che gli dice: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto» (v. 29).

“Giacobbe” era un nome che richiamava l’origine problematica del Patriarca; in ebraico, infatti, ricorda il termine “calcagno”, e rimanda il lettore al momento della nascita di Giacobbe, quando, uscendo dal grembo materno, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello (cfr Gen 25,26), quasi prefigurando lo scavalcamento ai danni del fratello che avrebbe consumato in età adulta; ma il nome Giacobbe richiama anche il verbo “ingannare, soppiantare”. Ebbene, ora, nella lotta, il Patriarca rivela al suo oppositore, in un gesto di consegna e di resa, la propria realtà di ingannatore, di soppiantatore; ma l’altro, che è Dio, trasforma questa realtà negativa in positiva: Giacobbe l’ingannatore diventa Israele, gli viene dato un nome nuovo che segna una nuova identità. Ma anche qui, il racconto mantiene la sua voluta duplicità, perché il significato più probabile del nome Israele è “Dio è forte, Dio vince”.

Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto - è l’avversario stesso ad affermarlo - ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente, questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile, donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca aveva chiesto all’inizio della lotta gli viene ora concessa. E non è la benedizione ghermita con inganno, ma quella gratuitamente donata da Dio, che Giacobbe può ricevere perché ormai solo, senza protezione, senza astuzie e raggiri, si consegna inerme, accetta di arrendersi e confessa la verità su se stesso.

Così, al termine della lotta, ricevuta la benedizione, il Patriarca può finalmente riconoscere l’altro, il Dio della benedizione: «Davvero – disse – ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva» (v. 31), e può ora attraversare il guado, portatore di un nome nuovo ma “vinto” da Dio e segnato per sempre, zoppicante per la ferita ricevuta.
Le spiegazioni che l’esegesi biblica può dare riguardo a questo brano sono molteplici; in particolare, gli studiosi riconoscono in esso intenti e componenti letterari di vario genere, come pure riferimenti a qualche racconto popolare. Ma quando questi elementi vengono assunti dagli autori sacri e inglobati nel racconto biblico, essi cambiano di significato e il testo si apre a dimensioni più ampie. L’episodio della lotta allo Yabboq si offre così al credente come testo paradigmatico in cui il popolo di Israele parla della propria origine e delinea i tratti di una particolare relazione tra Dio e l’uomo. Per questo, come affermato anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, «la tradizione spirituale della Chiesa ha visto in questo racconto il simbolo della preghiera come combattimento della fede e vittoria della perseveranza» (n. 2573). Il testo biblico ci parla della lunga notte della ricerca di Dio, della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto di conversione e di perdono.

La notte di Giacobbe al guado dello Yabboq diventa così per il credente un punto di riferimento per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova la sua massima espressione. La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibile. Per questo l’autore sacro utilizza il simbolo della lotta, che implica forza d’animo, perseveranza, tenacia nel raggiungere ciò che si desidera. E se l’oggetto del desiderio è il rapporto con Dio, la sua benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza, che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani misericordiose di Dio.

Cari fratelli e sorelle, tutta la nostra vita è come questa lunga notte di lotta e di preghiera, da consumare nel desiderio e nella richiesta di una benedizione di Dio che non può essere strappata o vinta contando sulle nostre forze, ma deve essere ricevuta con umiltà da Lui, come dono gratuito che permette, infine, di riconoscere il volto del Signore.

E quando questo avviene, tutta la nostra realtà cambia, riceviamo un nome nuovo e la benedizione di Dio. Ma ancora di più: Giacobbe, che riceve un nome nuovo, diventa Israele, dà un nome nuovo anche al luogo in cui ha lottato con Dio, lo ha pregato, lo rinomina Penuel, che significa “Volto di Dio”. Con questo nome riconosce quel luogo colmo della presenza del Signore, rende sacra quella terra imprimendovi quasi la memoria di quel misterioso incontro con Dio. Colui che si lascia benedire da Dio, si abbandona a Lui, si lascia trasformare da Lui, rende benedetto il mondo. Che il Signore ci aiuti a combattere la buona battaglia della fede (cfr 1Tm 6,12; 2Tm 4,7) e a chiedere, nella nostra preghiera, la sua benedizione, perché ci rinnovi nell’attesa di vedere il suo Volto.
Grazie!

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