domenica 26 febbraio 2012

Il Papa: La tentazione di rimuovere Dio, di mettere ordine da soli in se stessi e nel mondo contando solo sulle proprie capacità, è sempre presente nella storia dell’uomo


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Quando Dio è nel deserto. All'Angelus il Papa invita a vivere la Quaresima in spirito di conversione (O.R.)

La pazienza e l'umiltà. L'esperienza della tentazione nella riflessione all'Angelus del Papa (Sir)

Il Papa: Cristo ci esorta a fare penitenza e a cambiare vita. Benedetto XVI chiede preghiere per la la curia romana che inizia gli esercizi spirituali (Izzo)

Il Papa: Il tempo della Quaresima è il momento propizio per rinnovare e rendere più saldo il nostro rapporto con Dio

Il Papa ai fedeli: Vi affido la settimana di esercizi spirituali per la Quaresima

Il Papa: la Quaresima è momento propizio per rinnovare il nostro rapporto con Dio (Adnkronos)

Il Papa: Quaresima, la tentazione di rimuovere Dio da se stessi e dal mondo (AsiaNews)

Il Papa:la tentazione del nemico è rimuovere Dio (Ambrogetti)

Il Papa: "La maggiore tentazione dell'uomo è rimuovere Dio"

La Quaresima, momento propizio per rafforzare il nostro rapporto con Dio. Così il Papa all’Angelus (Radio Vaticana)

Il Papa: nessun uomo è esente dalla tentazione di rimuovere Dio. Il Signore si rivolge all'uomo in modo inaspettato (Izzo)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 26.02.2012

Alle ore 12 di oggi, I Domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questa prima domenica di Quaresima, incontriamo Gesù che, dopo aver ricevuto il battesimo nel fiume Giordano da Giovanni il Battista (cfr Mc 1,9), subisce la tentazione nel deserto (cfr Mc 1,12-13). La narrazione di san Marco è concisa, priva dei dettagli che leggiamo negli altri due Vangeli di Matteo e di Luca.
Il deserto di cui si parla ha diversi significati. Può indicare lo stato di abbandono e di solitudine, il “luogo” della debolezza dell’uomo dove non vi sono appoggi e sicurezze, dove la tentazione si fa più forte. Ma esso può indicare anche un luogo di rifugio e di riparo, come lo fu per il popolo di Israele scampato alla schiavitù egiziana, dove si può sperimentare in modo particolare la presenza di Dio. Gesù «nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana» ci dice san Luca. San Leone Magno commenta che «il Signore ha voluto subire l’attacco del tentatore per difenderci con il suo aiuto e per istruirci col suo esempio» (Tractatus XXXIX,3 De ieiunio quadragesimae: CCL 138/A, Turnholti 1973, 214-215).
Che cosa può insegnarci questo episodio? Come leggiamo nel Libro dell’Imitazione di Cristo, «l’uomo non è mai del tutto esente dalla tentazione finché vive… ma è con la pazienza e con la vera umiltà che diventeremo più forti di ogni nemico» (Liber I, c. XIII, Città del Vaticano 1982, 37), la pazienza e l’umiltà di seguire ogni giorno il Signore, imparando a costruire la nostra vita non al di fuori di Lui o come se non esistesse, ma in Lui e con Lui, perché è la fonte della vera vita. La tentazione di rimuovere Dio, di mettere ordine da soli in se stessi e nel mondo contando solo sulle proprie capacità, è sempre presente nella storia dell’uomo.
Gesù proclama che «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15), annuncia che in Lui accade qualcosa di nuovo: Dio si rivolge all’uomo in modo inaspettato, con una vicinanza unica concreta, piena di amore; Dio si incarna ed entra nel mondo dell’uomo per prendere su di sé il peccato, per vincere il male e riportare l’uomo nel mondo di Dio. Ma questo annuncio è accompagnato dalla richiesta di corrispondere ad un dono così grande.

Gesù, infatti, aggiunge: «convertitevi e credete nel vangelo» (Mc 1,15); è l’invito ad avere fede in Dio e a convertire ogni giorno la nostra vita alla sua volontà, orientando al bene ogni nostra azione e pensiero. Il tempo della Quaresima è il momento propizio per rinnovare e rendere più saldo il nostro rapporto con Dio, attraverso la preghiera quotidiana, i gesti di penitenza, le opere di fraternità.

Supplichiamo con fervore Maria Santissima perché accompagni il nostro cammino quaresimale con la sua protezione e ci aiuti ad imprimere nel nostro cuore e nella nostra vita le parole di Gesù Cristo, per convertirci a Lui. Affido, inoltre, alla vostra preghiera la settimana di Esercizi spirituali che questa sera inizierò con i miei Collaboratori della Curia Romana.

DOPO L'ANGELUS

En ce premier dimanche de Carême je suis heureux de vous accueillir, chers frères et sœurs francophones. Le temps du Carême est exigeant car il nous invite à revenir vers Dieu. Jésus après son baptême, au début de sa mission, est conduit au désert. Avec Lui, expérimentons ce temps de désert et de solitude. Sachons rejeter tout ce qui peut nous conduire loin de Dieu et profitons de ce Carême pour revenir vers Lui. Prenons avec courage les chemins de la prière. Redécouvrons l’importance de notre relation à Dieu et « faisons attention les uns aux autres pour nous stimuler dans la charité et les œuvres bonnes » (He 10,24). Que la Vierge Marie nous aide à faire totalement la volonté de notre Dieu ! Bon Carême à tous !

I am pleased to greet all the English-speaking visitors and pilgrims present for this moment of prayer. In these first days of Lent, I invite you to embrace the spirit of this holy season, through prayer, fasting and almsgiving. As we do so, may the Lord accompany us, so that, at the end of Lent, we may worthily celebrate his victory on the cross. God bless all of you abundantly!

Von Herzen heiße ich an diesem ersten Fastensonntag alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Die österliche Bußzeit ist eine Einladung zu Gebet und Umkehr, um zu einer tieferen Erkenntnis Jesu Christi zu gelangen. Sie will uns helfen, den Glauben mit neuem Schwung zu leben und vermehrt die Nächstenliebe zu üben. Dazu leitet uns auch das Wort aus dem Hebräerbrief an, das ich der diesjährigen Botschaft zur Fastenzeit vorangestellt habe: „Laßt uns aufeinander achten und uns zur Liebe und zu guten Taten anspornen" (Hebr 10,24). Gehen wir daher gemeinsam mit dem Herrn den Weg durch diese heiligen vierzig Tage. Er geleitet uns auf sicheren Pfaden.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de la Hermandad de La Virgen de la Victoria, de Huelva. En el Evangelio de este primer domingo de Cuaresma, Jesús es conducido por el Espíritu al desierto «para ser tentado por el diablo». Él supera la tentación y proclama con vigor el preludio de la gran sinfonía de la redención, invitando a la conversión y la fe. Al comenzar este santo tiempo, animo a todos a que, guiados por la fuerza de Dios, intensifiquen la oración, la penitencia y la práctica de la caridad, para así llegar victoriosos y purificados a las celebraciones pascuales. Confiemos a la Virgen María estas intenciones. Muchas gracias.

Słowo serdecznego pozdrowienia kieruję do wszystkich Polaków. „Bliskie jest królestwo Boże. Nawracajcie się i wierzcie w Ewangelię!" (Mk 1,15). Tymi słowami, Chrystus wzywa nas dzisiaj do pokuty i przemiany życia. Bądźmy dla świata ewangelicznym zaczynem prawdy przez gesty miłosierdzia, przebaczenia i pojednania. Życzę wszystkim obfitych owoców duchowych Wielkiego Postu i z serca błogosławię.

[Rivolgo il mio cordiale saluto a tutti i Polacchi. "Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). Con tali parole, Cristo ci esorta a fare penitenza e a cambiare vita. Bisogna che diventiamo per il mondo lievito evangelico della verità attraverso i gesti della misericordia, del perdono e della riconciliazione. Auguro a ciascuno di voi abbondanti frutti spirituali nella Quaresima e di cuore vi benedico.]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli venuti da Cento di Ferrara e dalla Diocesi di Bologna, da Vicenza, Bari e Modugno. Saluto i ragazzi di alcune Parrocchie della Diocesi di Milano che si stanno preparando alla professione di fede, come pure la delegazione dei "Consigli Comunali dei Ragazzi" della Provincia di Catania. A tutti auguro una buona domenica e una buona Quaresima.

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sabato 25 febbraio 2012

Il Papa: Vorrei ricordare agli sposi che vivono la condizione dell’infertilità, che non per questo la loro vocazione matrimoniale viene frustrata. I coniugi, per la loro stessa vocazione battesimale e matrimoniale, sono sempre chiamati a collaborare con Dio nella creazione di un’umanità nuova. La vocazione all’amore, infatti, è vocazione al dono di sé e questa è una possibilità che nessuna condizione organica può impedire. Dove, dunque, la scienza non trova una risposta, la risposta che dona luce viene da Cristo

Vedi anche:

Dal Papa un richiamo forte alla dignità della procreazione, che non vede i figli come un mero «prodotto» ma come un dono (Acali)

Il Papa: il matrimonio costituisce l'unico 'luogo' degno per la chiamata all'esistenza di un nuovo essere umano. Logica del profitto e scientismo condizionano la ricerca medica (Izzo)

Dignità umana e cristiana della procreazione. Benedetto XVI all’assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita (O.R.)

L'unico luogo. Udienza alla Pontificia Accademia per la vita a conclusione dell'assemblea sull'infertilità (Sir)

Il Papa sull'infertilità: L'indifferenza al bene e al vero è una minaccia al progresso scientifico (AsiaNews)

Il Papa: La dignità umana e cristiana della procreazione ma si realizza "nel suo legame con l'atto coniugale, espressione dell'amore dei coniugi (Ansa)

Il Papa alla Pontificia Accademia per la Vita: «Anche i coniugi non fertili chiamati a collaborare per umanità nuova» (Corriere)

Il Papa sull’infertilità di coppia: no alla logica del profitto, prevalga scienza orientata alla dignità dell’uomo

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA, 25.02.2012

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza, a conclusione dei lavori, i partecipanti alla XVIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, che si è svolta nell’Aula nuova del Sinodo in Vaticano dal 23 al 25 febbraio, sul tema: "Diagnosi e terapia dell’infertilità".
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’incontro:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle,


sono lieto di incontrarvi in occasione dei lavori della XVIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita. Saluto e ringrazio voi tutti per il generoso servizio in difesa e a favore della vita, in particolare il Presidente, Mons. Ignacio Carrasco de Paula, per le parole che mi ha rivolto anche a nome vostro. L’impostazione che avete dato ai vostri lavori manifesta la fiducia che la Chiesa ha sempre riposto nelle possibilità della ragione umana e in un lavoro scientifico rigorosamente condotto, che tengano sempre presente l’aspetto morale. Il tema da voi scelto quest’anno, "Diagnosi e terapia dell’infertilità", oltre che avere una rilevanza umana e sociale, possiede un peculiare valore scientifico ed esprime la possibilità concreta di un fecondo dialogo tra dimensione etica e ricerca biomedica.

Davanti al problema dell’infertilità della coppia, infatti, avete scelto di richiamare e considerare attentamente la dimensione morale, ricercando le vie per una corretta valutazione diagnostica ed una terapia che corregga le cause dell’infertilità.

Questo approccio muove dal desiderio non solo di donare un figlio alla coppia, ma di restituire agli sposi la loro fertilità e tutta la dignità di essere responsabili delle proprie scelte procreative, per essere collaboratori di Dio nella generazione di un nuovo essere umano.

La ricerca di una diagnosi e di una terapia rappresenta l’approccio scientificamente più corretto alla questione dell’infertilità, ma anche quello maggiormente rispettoso dell’umanità integrale dei soggetti coinvolti. Infatti, l’unione dell’uomo e della donna in quella comunità di amore e di vita che è il matrimonio, costituisce l’unico "luogo" degno per la chiamata all’esistenza di un nuovo essere umano, che è sempre un dono.

È mio desiderio, pertanto, incoraggiare l’onestà intellettuale del vostro lavoro, espressione di una scienza che mantiene desto il suo spirito di ricerca della verità, a servizio dell’autentico bene dell’uomo, e che evita il rischio di essere una pratica meramente funzionale. La dignità umana e cristiana della procreazione, infatti, non consiste in un "prodotto", ma nel suo legame con l’atto coniugale, espressione dell’amore dei coniugi, della loro unione non solo biologica, ma anche spirituale.

L’Istruzione Donum vitae ci ricorda, a questo proposito, che "per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna" (n. 126). Le legittime aspirazioni genitoriali della coppia che si trova in una condizione di infertilità devono pertanto trovare, con l’aiuto della scienza, una risposta che rispetti pienamente la loro dignità di persone e di sposi. L’umiltà e la precisione con cui approfondite queste problematiche, ritenute da alcuni vostri colleghi desuete dinanzi al fascino della tecnologia della fecondazione artificiale, merita incoraggiamento e sostegno. In occasione del X anniversario dell’Enciclica Fides et ratio, ricordavo come "il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. È questa una forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità" (Discorso ai Partecipanti al Congresso Internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, 18 ottobre 2008: AAS 100 [2008], 788-789). Effettivamente lo scientismo e la logica del profitto sembrano oggi dominare il campo dell’infertilità e della procreazione umana, giungendo a limitare anche molte altre aree di ricerca.

La Chiesa presta molta attenzione alla sofferenza delle coppie con infertilità, ha cura di esse e, proprio per questo, incoraggia la ricerca medica. La scienza, tuttavia, non sempre è in grado di rispondere ai desideri di tante coppie.

Vorrei allora ricordare agli sposi che vivono la condizione dell’infertilità, che non per questo la loro vocazione matrimoniale viene frustrata. I coniugi, per la loro stessa vocazione battesimale e matrimoniale, sono sempre chiamati a collaborare con Dio nella creazione di un’umanità nuova. La vocazione all’amore, infatti, è vocazione al dono di sé e questa è una possibilità che nessuna condizione organica può impedire. Dove, dunque, la scienza non trova una risposta, la risposta che dona luce viene da Cristo.

Desidero incoraggiare tutti voi qui convenuti per queste giornate di studio e che talora lavorate in un contesto medico-scientifico dove la dimensione della verità risulta offuscata: proseguite il cammino intrapreso di una scienza intellettualmente onesta e affascinata dalla ricerca continua del bene dell’uomo. Nel vostro percorso intellettuale non disdegnate il dialogo con la fede. Rivolgo a voi l’accorato appello espresso nell’Enciclica Deus caritas est: "Per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell'interesse e del potere che l'abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile. […] La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio" (n. 28). D’altro canto proprio la matrice culturale creata dal cristianesimo – radicata nell’affermazione dell’esistenza della Verità e dell’intelligibilità del reale alla luce della Somma Verità – ha reso possibile nell’Europa del Medioevo lo sviluppo del sapere scientifico moderno, sapere che nelle culture precedenti era rimasto solo in germe.

Illustri scienziati e voi tutti membri dell’Accademia impegnati a promuovere la vita e la dignità della persona umana, tenete sempre presente anche il fondamentale ruolo culturale che svolgete nella società e l’influenza che avete nel formare l’opinione pubblica. Il mio predecessore, il beato Giovanni Paolo II ricordava che gli scienziati, "proprio perché sanno di più, sono chiamati a servire di più" (Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 11 novembre 2002: AAS 95 [2003], 206). La gente ha fiducia in voi che servite la vita, ha fiducia nel vostro impegno a sostegno di chi ha bisogno di conforto e di speranza. Non cedete mai alla tentazione di trattare il bene delle persone riducendolo ad un mero problema tecnico! L’indifferenza della coscienza nei confronti del vero e del bene rappresenta una pericolosa minaccia per un autentico progresso scientifico.

Vorrei concludere rinnovando l’augurio che il Concilio Vaticano II rivolse agli uomini di pensiero e di scienza: "Felici sono coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare, per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri" (Messaggio agli uomini di pensiero e di scienza, 8 dicembre 1965: AAS 58 [1966], 12). È con questi auspici che imparto a voi tutti qui presenti e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.

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venerdì 24 febbraio 2012

Il Papa al Circolo di San Pietro: Cari amici, oggi come ieri, la testimonianza della carità tocca in modo particolare il cuore degli uomini; la nuova evangelizzazione, specialmente in una città cosmopolita come Roma, richiede grande apertura di spirito e sapiente disponibilità verso tutti

UDIENZA AI SOCI DEL CIRCOLO SAN PIETRO, 24.02.2012

Alle ore 12.15 di oggi, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico, il Santo Padre riceve in Udienza una delegazione dei soci del Circolo San Pietro, in occasione della Festa della Cattedra di San Pietro, celebrata quest’anno domenica 19 febbraio.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’incontro:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Soci del Circolo di San Pietro!

Sono lieto di accogliervi in questo incontro che ha luogo in prossimità della Festa della Cattedra di San Pietro, circostanza questa che vi offre l’occasione di manifestare la peculiare fedeltà alla Sede Apostolica che, da sempre, contraddistingue il vostro benemerito Circolo. Vi saluto tutti con viva cordialità. Saluto il Presidente Generale, il Duca Leopoldo Torlonia, ringraziandolo per le affettuose e devote parole che ha voluto rivolgermi, interpretando i sentimenti di voi tutti, e saluto l’Assistente ecclesiastico.

Abbiamo appena iniziato il cammino quaresimale e, come ho ricordato nel mio recente Messaggio (cfr L’Osservatore Romano, 8 febbraio 2012, p. 8), questo Tempo liturgico ci invita a riflettere sul cuore della vita cristiana: la carità. La Quaresima è un tempo propizio affinché, con l’aiuto della Parola di Dio e dei Sacramenti, ci rinnoviamo nella fede e nell’amore, a livello sia personale che comunitario. E’ un percorso segnato dalla preghiera e dalla condivisione, dal silenzio e dal digiuno, in attesa di vivere la gioia pasquale. La Lettera agli Ebrei ci esorta con queste parole: "Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone" (Eb 10,24).

Cari amici, oggi come ieri, la testimonianza della carità tocca in modo particolare il cuore degli uomini; la nuova evangelizzazione, specialmente in una città cosmopolita come Roma, richiede grande apertura di spirito e sapiente disponibilità verso tutti. In tale senso, bene si pone la rete di interventi assistenziali che voi, ogni giorno, realizzate a favore di quanti si trovano nel bisogno. Mi piace ricordare la generosa opera che svolgete nelle Cucine, nell’Asilo notturno, nella Casa famiglia, nel Centro polifunzionale, come pure la testimonianza silenziosa, ma quanto mai eloquente che offrite a sostegno dei malati e dei loro familiari nell’Hospice Fondazione Roma, senza dimenticare l’impegno missionario in Laos e le adozioni a distanza.

Noi sappiamo che l’autenticità della nostra fedeltà al Vangelo si verifica anche in base all’attenzione e alla sollecitudine concreta che ci sforziamo di manifestare verso il prossimo, specialmente verso i più deboli ed emarginati. L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. Anche se la cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince. La responsabilità verso il prossimo significa allora volere e fare il bene dell’altro, desiderando che egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello significa aprire gli occhi sulle sue necessità, superando la durezza di cuore che rende ciechi alle sofferenze altrui. Così il servizio caritativo diventa una forma privilegiata di evangelizzazione, alla luce dell’insegnamento di Gesù, il quale riterrà come fatto a se stesso quanto avremo fatto ai nostri fratelli, specialmente a chi tra loro è piccolo e trascurato (cfr Mt 25,40). Occorre armonizzare il nostro cuore con il cuore di Cristo, affinché il sostegno amorevole offerto agli altri si traduca in partecipazione e consapevole condivisione delle loro sofferenze e delle loro speranze, rendendo così visibile, da una parte la misericordia infinita di Dio verso ogni uomo, che brilla sul volto di Cristo, e dall’altra la nostra fede in Lui. L’incontro con l’altro e l’aprire il cuore al suo bisogno sono occasione di salvezza e di beatitudine.

Cari componenti del Circolo di San Pietro, come ogni anno, siete venuti quest’oggi a consegnarmi l’obolo per la carità del Papa, che avete raccolto nelle parrocchie di Roma. Esso rappresenta un concreto aiuto offerto al Successore di Pietro, perché possa rispondere alle innumerevoli richieste che gli provengono da ogni parte del mondo, specialmente dai Paesi più poveri. Vi ringrazio di cuore per tutta l’attività che svolgete generosamente e con spirito di sacrificio e che nasce dalla vostra fede, dal rapporto con il Signore coltivato ogni giorno. Fede, carità e testimonianza continuino ad essere le linee-guida del vostro apostolato. E come, poi, non ricordare la vostra presenza durante le Celebrazioni liturgiche nella Basilica di San Pietro? Essa torna tanto maggiormente a vostro onore, in quanto manifestate con essa la costante dedizione e la devota fedeltà che vi uniscono alla Sede dell’Apostolo Pietro. Il Signore ve ne renda merito e ricolmi di benedizioni il vostro Circolo; aiuti ciascuno di voi a realizzare la propria vocazione cristiana in famiglia, nel lavoro e all’interno della vostra Associazione.

Cari amici, nel rinnovare il mio apprezzamento per il servizio che rendete alla Chiesa, vi affido, insieme alle vostre famiglie, all’aiuto materno della Vergine Maria Salus Populi Romani e dei Santi vostri Protettori. Da parte mia, assicuro il ricordo nella preghiera per voi, per quanti vi affiancano nelle varie iniziative e per coloro che incontrate nel vostro apostolato quotidiano, mentre con affetto imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.

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Lectio divina del Santo Padre ai parroci romani: Se sono arrogante, se sono superbo, vorrei sempre piacere e se non ci riesco sono misero, sono infelice e devo sempre cercare questo piacere. Quando invece sono umile ho la libertà anche di essere in contrasto con un’opinione prevalente, con pensieri di altri, perché l’umiltà mi dà la capacità, la libertà della verità

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

INCONTRO DEL PAPA CON I PARROCI DI ROMA: VIDEO INTEGRALE

Il libro regalato dal Papa ai parroci di Roma

Vedi anche:

Lectio divina del Papa ai parroci romani. Intervista al card. Vallini (Mazza)

Regola di vita per i preti (Osservatore Romano)

Il Papa: Il grande problema della Chiesa, anche di quella di Roma, è «l'analfabetismo religioso dilagante» (Giansoldati)

Il Papa al clero di Roma: «Siate umili e liberi dalle opinioni del mondo» (Cardinale)

Il Papa incontra il clero di Roma (Rome Reports)

Papa, Chiesa, sporcizia, umiltà (Tosatti)

La lectio divina del Papa ai parroci e l'intervista al corvo nel servizio di Lucio Brunelli

Repubblica ed il concetto che il Papa non ha mai espresso (Casotto)

Lectio divina del Santo Padre: il commento di Ansaldo

Il Papa: basta carrierismo ed autosufficienza, il 2012 sia anno del Catechismo (Izzo)

"La mancanza di umiltà distrugge unità della chiesa" (Speciale)

Il Papa: i Cristiani sono non violenti, la verità si impone da sola. Ci sono teologi anche buoni che dicono che Dio non sarebbe onnipotente. Manteniamo fede e celibato anche se siamo pastori poveri (Izzo)

Umili e liberi dalla vanagloria del mondo. L’incontro di Benedetto XVI con il clero della diocesi di Roma (O.R.)

Alla fine la luce. Essere ''adulti nella fede'' per vincere ''la sporcizia del male''. Il Papa incontra i parroci romani (Sir)

Il Papa: fede adulta non vuol dire emanciparsi dal Magistero, ma esser conviti e competenti (Ambrogetti)

Il Papa: nella Chiesa bisogna saper accettare anche piccoli ruoli. Analfabetismo religioso e crisi di vocazioni sono i primi problemi della Chiesa. Benedetto XVI spiega il concetto di "cattolico adulto" (Izzo)

Lectio divina del Papa ai parroci romani: la prima virtù del sacerdote è l'umiltà

Benedetto XVI ai parroci romani: siate umili e non cedete alle opinioni del mondo (Radio Vaticana)

Il Papa: in Chiesa serve umiltà di accettare piccoli ruoli, non vanagloria (Asca)

Il Papa ha consegnato ai parroci di Roma la "regola di vita"

Straordinaria lectio divina del Santo Padre ai parroci romani. Ringraziamo Radio Vaticana ed il CTV per la diretta. Iscritte agli "abbonati assenti" le televisioni cattoliche

INCONTRO CON I PARROCI E I SACERDOTI DELLA DIOCESI DI ROMA, 23.02.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato il Clero della diocesi di Roma per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima.
Dopo il saluto del Cardinale Vicario Agostino Vallini, il Santo Padre ha proposto una Lectio divina incentrata su un passo della Lettera agli Efesini (4, 1-16).
Pubblichiamo di seguito la trascrizione delle parole del Papa al clero della Sua diocesi:


LECTIO DIVINA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli,

è per me una grande gioia vedere ogni anno, all’inizio della Quaresima, il mio clero, il clero di Roma, ed è bello per me vedere oggi come siamo numerosi. Io pensavo che in questa grande aula saremmo stati un gruppo quasi perso, ma vedo che siamo un forte esercito di Dio e possiamo con forza entrare in questo nostro tempo, nelle battaglie necessarie per promuovere, per far andare avanti il Regno di Dio. Siamo entrati ieri per la porta della Quaresima, rinnovamento annuale del nostro Battesimo; ripetiamo quasi il nostro catecumenato, andando di nuovo nella profondità del nostro essere battezzati, riprendendo, ritornando al nostro essere battezzati e così incorporati in Cristo. In questo modo, possiamo anche cercare di guidare le nostre comunità nuovamente in questa comunione intima con la morte e risurrezione di Cristo, divenire sempre più conformi a Cristo, divenire sempre più realmente cristiani.

Il brano della Lettera di san Paolo agli Efesini che abbiamo ascoltato (4,1-16) è uno dei grandi testi ecclesiali del Nuovo Testamento.

Comincia con l’autopresentazione dell’autore: «Io Paolo, prigioniero a motivo del Signore» (v. 1). La parola greca desmios dice «incatenato»: Paolo, come un criminale, è in catene, incatenato per Cristo e così inizia nella comunione con la passione di Cristo.

Questo è il primo elemento dell’autopresentazione: egli parla incatenato, parla nella comunione della passione di Cristo e così sta in comunione anche con la risurrezione di Cristo, con la sua nuova vita.

Sempre noi, quando parliamo, dobbiamo parlare in comunione con la sua passione e anche accettare le nostre passioni, le nostre sofferenze e prove, in questo senso: sono proprio prove della presenza di Cristo, che Lui è con noi e che andiamo, in comunione alla sua passione, verso la novità della vita, verso la risurrezione. «Incatenato», quindi, è prima una parola della teologia della croce, della comunione necessaria di ogni evangelizzatore, di ogni Pastore con il Pastore supremo, che ci ha redenti «dandosi», soffrendo per noi. L’amore è sofferenza, è un darsi, è un perdersi, e proprio in questo modo è fecondo. Ma così, nell’elemento esteriore delle catene, della libertà non più presente, appare e traspare anche un altro aspetto: la vera catena che lega Paolo a Cristo è la catena dell’amore. «Incatenato per amore»: un amore che dà libertà, un amore che lo fa capace di rendere presente il Messaggio di Cristo e Cristo stesso. E questo dovrebbe essere, anche per noi tutti, l’ultima catena che ci libera, collegati con la catena dell’amore a Cristo. Così troviamo la libertà e la vera strada della vita, e possiamo, con l’amore di Cristo, guidare a questo amore, che è la gioia, la libertà, anche gli uomini affidatici.

E poi dice «Esorto» (Ef 4,1): è il suo compito quello di esortare, ma non è un ammonimento moralistico. Esorto dalla comunione con Cristo; è Cristo stesso, ultimamente, che esorta, che invita con l’amore di un padre e di una madre. «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto» (v. 1); cioè, primo elemento: abbiamo ricevuto una chiamata. Io non sono anonimo o senza senso nel mondo: c’è una chiamata, c’è una voce che mi ha chiamato, una voce che seguo. E la mia vita dovrebbe essere un entrare sempre più profondamente nel cammino della chiamata, seguire questa voce e così trovare la vera strada e guidare gli altri su questa strada.

Sono «chiamato con una chiamata». Direi che abbiamo la grande prima chiamata del Battesimo, di essere con Cristo; la seconda grande chiamata di essere Pastori al suo servizio, e dobbiamo essere sempre più in ascolto di questa chiamata, in modo da poter chiamare o meglio aiutare anche altri affinché sentano la voce del Signore che chiama. La grande sofferenza della Chiesa di oggi nell’Europa e nell’Occidente è la mancanza di vocazioni sacerdotali, ma il Signore chiama sempre, manca l’ascolto. Noi abbiamo ascoltato la sua voce e dobbiamo essere attenti alla voce del Signore anche per altri, aiutare perché ci sia ascolto, e così sia accettata la chiamata, si apra una strada della vocazione ad essere Pastori con Cristo. San Paolo ritorna su questa parola «chiamata» alla fine di questo primo capoverso, e parla di una vocazione, di una chiamata che è alla speranza - la chiamata stessa è una speranza – e così dimostra le dimensioni della chiamata: non è solo individuale, la chiamata è già un fenomeno dialogico, un fenomeno nel «noi»; nell’«io e tu» e nel «noi». «Chiamata alla speranza». Vediamo così le dimensioni della chiamata; esse sono tre. Chiamata, ultimamente, secondo questo testo, verso Dio. Dio è la fine; alla fine arriviamo semplicemente in Dio e tutto il cammino è un cammino verso Dio. Ma questo cammino verso Dio non è mai isolato, un cammino solo nell’«io», è un cammino verso il futuro, verso il rinnovamento del mondo, e un cammino nel «noi» dei chiamati che chiama altri, fa ascoltare loro questa chiamata. Perciò la chiamata è sempre anche una vocazione ecclesiale. Essere fedeli alla chiamata del Signore implica scoprire questo «noi» nel quale e per il quale siamo chiamati, come pure andare insieme e realizzare le virtù necessarie. La «chiamata» implica l’ecclesialità, implica quindi la dimensione verticale e orizzontale, che vanno inscindibilmente insieme, implica ecclesialità nel senso di lasciarci aiutare per il «noi» e di costruire questo «noi» della Chiesa. In tale senso, san Paolo illustra la chiamata con questa finalità: un Dio unico, solo, ma con questa direzione verso il futuro; la speranza è nel «noi» di quelli che hanno la speranza, che amano all’interno della speranza, con alcune virtù che sono proprio gli elementi dell’andare insieme.

La prima è: «con ogni umiltà» (Ef 4,2). Vorrei soffermarmi un po’ di più su questa perché è una virtù che nel catalogo delle virtù precristiane non appare; è una virtù nuova, la virtù della sequela di Cristo.

Pensiamo alla Lettera ai Filippesi, al capitolo due: Cristo, essendo uguale a Dio, si è umiliato, accettando forma di servo e obbedendo fino alla croce (cfr Fil 2,6-8). Questo è il cammino dell’umiltà del Figlio che noi dobbiamo imitare. Seguire Cristo vuol dire entrare in questo cammino dell’umiltà. Il testo greco dice tapeinophrosyne (cfr Ef 4,2): non pensare in grande di se stessi, avere la misura giusta.

Umiltà. Il contrario dell’umiltà è la superbia, come la radice di tutti i peccati. La superbia che è arroganza, che vuole soprattutto potere, apparenza, apparire agli occhi degli altri, essere qualcuno o qualcosa, non ha l’intenzione di piacere a Dio, ma di piacere a se stessi, di essere accettati dagli altri e – diciamo – venerati dagli altri. L’«io» al centro del mondo: si tratta del mio io superbo, che sa tutto.

Essere cristiano vuol dire superare questa tentazione originaria, che è anche il nucleo del peccato originale: essere come Dio, ma senza Dio; essere cristiano è essere vero, sincero, realista.

L’umiltà è soprattutto verità, vivere nella verità, imparare la verità, imparare che la mia piccolezza è proprio la grandezza, perché così sono importante per il grande tessuto della storia di Dio con l’umanità. Proprio riconoscendo che io sono un pensiero di Dio, della costruzione del suo mondo, e sono insostituibile, proprio così, nella mia piccolezza, e solo in questo modo, sono grande. Questo è l’inizio dell’essere cristiano: è vivere la verità. E solo vivendo la verità, il realismo della mia vocazione per gli altri, con gli altri, nel corpo di Cristo, vivo bene.

Vivere contro la verità è sempre vivere male. Viviamo la verità! Impariamo questo realismo: non voler apparire, ma voler piacere a Dio e fare quanto Dio ha pensato di me e per me, e così accettare anche l’altro. L’accettare l’altro, che forse è più grande di me, suppone proprio questo realismo e l’amore della verità; suppone accettare me stesso come «pensiero di Dio», così come sono, nei miei limiti e, in questo modo, nella mia grandezza. Accettare me stesso e accettare l’altro vanno insieme: solo accettando me stesso nel grande tessuto divino posso accettare anche gli altri, che formano con me la grande sinfonia della Chiesa e della creazione.

Io penso che le piccole umiliazioni, che giorno per giorno dobbiamo vivere, sono salubri, perché aiutano ognuno a riconoscere la propria verità ed essere così liberi da questa vanagloria che è contro la verità e non mi può rendere felice e buono. Accettare e imparare questo, e così imparare ad accettare la mia posizione nella Chiesa, il mio piccolo servizio come grande agli occhi di Dio. E proprio questa umiltà, questo realismo, rende liberi.

Se sono arrogante, se sono superbo, vorrei sempre piacere e se non ci riesco sono misero, sono infelice e devo sempre cercare questo piacere. Quando invece sono umile ho la libertà anche di essere in contrasto con un’opinione prevalente, con pensieri di altri, perché l’umiltà mi dà la capacità, la libertà della verità.

E così, direi, preghiamo il Signore perché ci aiuti, ci aiuti ad essere realmente costruttori della comunità della Chiesa; che cresca, che noi stessi cresciamo nella grande visione di Dio, del «noi», e siamo membra del Corpo di Cristo, appartenente così, in unità, al Figlio di Dio.

La seconda virtù - ma siamo più brevi – è la «dolcezza», dice la traduzione italiana (Ef 4,2), in greco è praus, cioè «mite, mansueto»; e anche questa è una virtù cristologica come l’umiltà, che è seguire Cristo su questa strada della umiltà. Così anche praus, essere mite, essere mansueto, è sequela di Cristo che dice: Venite da me, io sono mite di cuore (cfr Mt 11,29).

Questo non vuol dire debolezza. Cristo può essere anche duro, se necessario, ma sempre con un cuore buono, rimane sempre visibile la bontà, la mansuetudine.

Nella Sacra Scrittura, qualche volta, «i mansueti» è semplicemente il nome dei credenti, del piccolo gregge dei poveri che, in tutte le prove, rimangono umili e fermi nella comunione del Signore: cercare questa mitezza, che è il contrario della violenza. La terza beatitudine. Il Vangelo di san Matteo dice: felici i mansueti, perché possederanno la terra (cfr Mt 5,5).

Non i violenti possiedono la terra, alla fine rimangono i mansueti: essi hanno la grande promessa, e così noi dobbiamo essere proprio sicuri della promessa di Dio, della mitezza che è più forte della violenza. In questa parola della mansuetudine si nasconde il contrasto con la violenza: i cristiani sono i non violenti, sono gli oppositori della violenza.

E san Paolo prosegue: «con magnanimità» (Ef 4,2): Dio è magnanimo.

Nonostante le nostre debolezze e i nostri peccati, sempre di nuovo comincia con noi. Mi perdona, anche se sa che domani cadrò di nuovo nel peccato; distribuisce i suoi doni, anche se sa che siamo spesso amministratori insufficienti. Dio è magnanimo, di grande cuore, ci affida la sua bontà. E questa magnanimità, questa generosità fa parte proprio della sequela di Cristo, di nuovo.

Infine, «sopportandovi a vicenda nell’amore» (Ef 4,2); mi sembra che proprio dall’umiltà segua questa capacità di accettare l’altro. L’alterità dell’altro è sempre un peso. Perché l’altro è diverso? Ma proprio questa diversità, questa alterità è necessaria per la bellezza della sinfonia di Dio. E dobbiamo, proprio con l’umiltà nella quale riconosco i miei limiti, la mia alterità nel confronto con l’altro, il peso che io sono per l’altro, divenire capaci non solo di sopportare l’altro, ma, con amore, trovare proprio nell’alterità anche la ricchezza del suo essere e delle idee e della fantasia di Dio.

Tutto questo, quindi, serve come virtù ecclesiale alla costruzione del Corpo di Cristo, che è lo Spirito di Cristo, perché divenga di nuovo esempio, di nuovo corpo, e cresca. Paolo lo dice poi in concreto, affermando che tutta questa varietà dei doni, dei temperamenti, dell’essere uomo, serve per l’unità (cfr Ef 4,11-13). Tutte queste virtù sono anche virtù dell’unità. Per esempio, per me è molto significativo che la prima Lettera dopo il Nuovo Testamento, la Prima Lettera di Clemente, sia indirizzata ad una comunità, quella dei Corinzi, divisa e sofferente per la divisione (cfr PG 1, 201-328). In questa Lettera, proprio la parola «umiltà» è una parola chiave: sono divisi perché manca l’umiltà, l’assenza dell’umiltà distrugge l’unità. L’umiltà è una fondamentale virtù dell’unità e solo così cresce l’unità del Corpo di Cristo, diventiamo realmente uniti e riceviamo la ricchezza e la bellezza dell’unità. Perciò è logico che l’elenco di queste virtù, che sono virtù ecclesiali, cristologiche, virtù dell’unità, vada verso l’unità esplicita: «un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti» (Ef 4,5). Una sola fede e un solo Battesimo, come realtà concreta della Chiesa che sta sotto l’unico Signore.

Battesimo e fede sono inseparabili. Il Battesimo è il Sacramento della fede e la fede ha un duplice aspetto.

E’ un atto profondamente personale: io conosco Cristo, mi incontro con Cristo e do fiducia a Lui. Pensiamo alla donna che tocca il suo vestito nella speranza di essere salvata (cfr Mt 9, 20-21); si affida a Lui totalmente e il Signore dice: Sei salva, perché hai creduto (cfr Mt 9, 22). Anche ai lebbrosi, all’unico che ritorna, dice: La tua fede ti ha salvato (cfr Lc 17, 19). Quindi la fede inizialmente è soprattutto un incontro personale, un toccare il vestito di Cristo, un essere toccato da Cristo, essere in contatto con Cristo, affidarsi al Signore, avere e trovare l’amore di Cristo e, nell’amore di Cristo, la chiave anche della verità, dell’universalità. Ma proprio per questo, perché chiave dell’universalità dell’unico Signore, tale fede non è solo un atto personale di fiducia, ma un atto che ha un contenuto. La fides qua esige la fides quae, il contenuto della fede, e il Battesimo esprime questo contenuto: la formula trinitaria è l’elemento sostanziale del credo dei cristiani. Esso, di per sé, è un «sì» a Cristo, e così al Dio Trinitario, con questa realtà, con questo contenuto che mi unisce a questo Signore, a questo Dio, che ha questo Volto: vive come Figlio del Padre nell’unità dello Spirito Santo e nella comunione del Corpo di Cristo. Quindi, questo mi sembra molto importante: la fede ha un contenuto e non è sufficiente, non è un elemento di unificazione se non c’è e non viene vissuto e confessato questo contenuto della unica fede.

Perciò, «Anno della Fede», Anno del Catechismo - per essere molto pratico - sono collegati imprescindibilmente. Rinnoveremo il Concilio solo rinnovando il contenuto - condensato poi di nuovo - del Catechismo della Chiesa Cattolica.

E un grande problema della Chiesa attuale è la mancanza di conoscenza della fede, è l’«analfabetismo religioso», come hanno detto i Cardinali venerdì scorso circa questa realtà. «Analfabetismo religioso»; e con questo analfabetismo non possiamo crescere, non può crescere l’unità. Perciò dobbiamo noi stessi appropriarci di nuovo di questo contenuto, come ricchezza dell’unità e non come un pacchetto di dogmi e di comandamenti, ma come una realtà unica che si rivela nella sua profondità e bellezza. Dobbiamo fare il possibile per un rinnovamento catechistico, perché la fede sia conosciuta e così Dio sia conosciuto, Cristo sia conosciuto, la verità sia conosciuta e cresca l’unità nella verità.

Poi tutte queste unità finiscono nel: «un solo Dio e Padre di tutti». Tutto quanto non è umiltà, tutto quanto non è fede comune, distrugge l’unità, distrugge la speranza e rende invisibile il Volto di Dio. Dio è Uno e Unico. Il monoteismo era il grande privilegio di Israele, che ha conosciuto l’unico Dio, e rimane elemento costitutivo della fede cristiana. Il Dio Trinitario - lo sappiamo - non sono tre divinità, ma è un unico Dio; e vediamo meglio che cosa voglia dire unità: unità è unità dell’amore. E’ così: proprio perché è il circolo di amore, Dio è Uno e Unico.

Per Paolo, come abbiamo visto, l’unità di Dio si identifica con la nostra speranza. Perché? In che modo? Perché l’unità di Dio è speranza, perché questa ci garantisce che, alla fine, non ci sono diversi poteri, alla fine non c’è dualismo tra poteri diversi e contrastanti, alla fine non rimane il capo del drago che si potrebbe levare contro Dio, non rimane la sporcizia del male e del peccato.

Alla fine rimane solo la luce! Dio è unico ed è l’unico Dio: non c’è altro potere contro di Lui! Sappiamo che oggi, con i mali che viviamo nel mondo sempre più crescenti, molti dubitano dell’Onnipotenza di Dio; anzi diversi teologi – anche buoni – dicono che Dio non sarebbe Onnipotente, perché non sarebbe compatibile con l’onnipotenza quanto vediamo nel mondo; e così essi vogliono creare una nuova apologia, scusare Dio e «discolpare» Dio da questi mali. Ma questo non è il modo giusto, perché se Dio non è Onnipotente, se ci sono e rimangono altri poteri, non è veramente Dio e non è speranza, perché alla fine rimarrebbe il politeismo, alla fine rimarrebbe la lotta, il potere del male. Dio è Onnipotente, l’unico Dio. Certo, nella storia si è dato un limite alla sua onnipotenza, riconoscendo la nostra libertà. Ma alla fine tutto ritorna e non rimane altro potere; questa è la speranza: che la luce vince, l’amore vince! Alla fine non rimane la forza del male, rimane solo Dio! E così siamo nel cammino della speranza, camminando verso l’unità dell’unico Dio, rivelatosi per lo Spirito Santo, nell’Unico Signore, Cristo.

Poi da questa grande visione, san Paolo scende un po’ ai dettagli e dice di Cristo: «Asceso in alto ha portato con sé i prigionieri, ha distribuito doni agli uomini» (Ef 4,8). L’Apostolo cita il Salmo 68, che descrive in modo poetico la salita di Dio con l’Arca dell’Alleanza verso le altezze, verso la cima del Monte Sion, verso il tempio: Dio come vincitore che ha superato gli altri, che sono prigionieri, e, come un vero vincitore, distribuisce doni. Il Giudaismo ha visto in questo piuttosto un’immagine di Mosé, che sale verso il Monte Sinai per ricevere nell’altezza la volontà di Dio, i Comandamenti, non considerati come peso, ma come il dono di conoscere il Volto di Dio, la volontà di Dio. Paolo, alla fine, vede qui un’immagine dell’ascesa di Cristo che sale in alto dopo essere sceso; sale e tira l’umanità verso Dio, fà posto per la carne e il sangue in Dio stesso; ci tira verso l’altezza del suo essere Figlio e ci libera dalla prigionia del peccato, ci rende liberi perché vincitore. Essendo vincitore, Egli distribuisce i doni. E così siamo arrivati dall’ascesa di Cristo alla Chiesa. I doni sono la charis come tale, la grazia: essere nella grazia, nell’amore di Dio. E poi i carismi che concretizzano la charis nelle singole funzioni e missioni: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri per edificare così il Corpo di Cristo (cfr Ef 4,11).

Non vorrei entrare adesso in un’esegesi dettagliata. E’ molto discusso qui che cosa voglia dire apostoli, profeti… In ogni caso, possiamo dire che la Chiesa è costruita sul fondamento della fede apostolica, che rimane sempre presente: gli Apostoli, nella successione apostolica, sono presenti nei Pastori, che siamo noi, per la grazia di Dio e nonostante tutta la nostra povertà.

E siamo grati a Dio che ci ha voluto chiamare per stare nella successione apostolica e continuare ad edificare il Corpo di Cristo. Qui appare un elemento che mi sembra importante: i ministeri – i cosiddetti ministeri – sono chiamati «doni di Cristo», sono carismi; cioè, non c’è questa opposizione: da una parte il ministero, come una cosa giuridica, e dall’altra i carismi, come dono profetico, vivace, spirituale, come presenza dello Spirito e la sua novità. No! Proprio i ministeri sono dono del Risorto e sono carismi, sono articolazioni della sua grazia; uno non può essere sacerdote senza essere carismatico. E’ un carisma essere sacerdote. Questo - mi sembra - dobbiamo tenerlo presente: essere chiamato al sacerdozio, essere chiamato con un dono del Signore, con un carisma del Signore. E così, ispirati dal suo Spirito, dobbiamo cercare di vivere questo nostro carisma. Solo in questo modo penso si possa capire che la Chiesa in Occidente ha collegato inscindibilmente sacerdozio e celibato: essere in un’esistenza escatologica verso l’ultima destinazione della nostra speranza, verso Dio.

Proprio perché il sacerdozio è un carisma e deve essere anche collegato con un carisma: se non fosse questo e fosse solamente una cosa giuridica, sarebbe assurdo imporre un carisma, che è un vero carisma; ma se il sacerdozio stesso è carisma, è normale che conviva con il carisma, con lo stato carismatico della vita escatologica.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a capire sempre di più questo, a vivere sempre più nel carisma dello Spirito Santo e a vivere così anche questo segno escatologico della fedeltà al Signore Unico, che proprio per il nostro tempo è necessario, con la decomposizione del matrimonio e della famiglia, che possono comporsi solo nella luce di questa fedeltà all’unica chiamata del Signore.

Un ultimo punto. San Paolo parla della crescita dell’uomo perfetto, che raggiunge la misura della pienezza di Cristo: non saremo più fanciulli in balia delle onde, trasportati da qualsiasi vento di dottrina (cfr Ef 4,13-14). «Al contrario, agendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa, tendendo a Lui» (Ef 4,15). Non si può vivere in una fanciullezza spirituale, in una fanciullezza di fede: purtroppo, in questo nostro mondo, vediamo questa fanciullezza. Molti, oltre la prima catechesi, non sono più andati avanti; forse è rimasto questo nucleo, forse si è anche distrutto. E del resto, essi sono sulle onde del mondo e nient’altro; non possono, come adulti, con competenza e con convinzione profonda, esporre e rendere presente la filosofia della fede - per così dire - la grande saggezza, la razionalità della fede, che apre gli occhi anche degli altri, che apre gli occhi proprio su quanto è buono e vero nel mondo. Manca questo essere adulti nella fede e rimane la fanciullezza nella fede.

Certo, in questi ultimi decenni, abbiamo vissuto anche un altro uso della parola «fede adulta». Si parla di «fede adulta», cioè emancipata dal Magistero della Chiesa. Fino a quando sono sotto la madre, sono fanciullo, devo emanciparmi; emancipato dal Magistero, sono finalmente adulto. Ma il risultato non è una fede adulta, il risultato è la dipendenza dalle onde del mondo, dalle opinioni del mondo, dalla dittatura dei mezzi di comunicazione, dall’opinione che tutti pensano e vogliono. Non è vera emancipazione, l’emancipazione dalla comunione del Corpo di Cristo! Al contrario, è cadere sotto la dittatura delle onde, del vento del mondo. La vera emancipazione è proprio liberarsi da questa dittatura, nella libertà dei figli di Dio che credono insieme nel Corpo di Cristo, con il Cristo Risorto, e vedono così la realtà, e sono capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.

Mi sembra che dobbiamo pregare molto il Signore, perché ci aiuti ad essere emancipati in questo senso, liberi in questo senso, con una fede realmente adulta, che vede, fa vedere e può aiutare anche gli altri ad arrivare alla vera perfezione, alla vera età adulta, in comunione con Cristo.

In questo contesto c’è la bella espressione dell’aletheuein en te agape, essere veri nella carità, vivere la verità, essere verità nella carità: i due concetti vanno insieme. Oggi il concetto di verità è un po’ sotto sospetto perché si combina verità con violenza. Purtroppo nella storia ci sono stati anche episodi dove si cercava di difendere la verità con la violenza. Ma le due sono contrarie. La verità non si impone con altri mezzi, se non da se stessa! La verità può arrivare solo tramite se stessa, la propria luce. Ma abbiamo bisogno della verità; senza verità non conosciamo i veri valori e come potremo ordinare il kosmos dei valori? Senza verità siamo ciechi nel mondo, non abbiamo strada.

Il grande dono di Cristo è proprio che vediamo il Volto di Dio e, anche se in modo enigmatico, molto insufficiente, conosciamo il fondo, l’essenziale della verità in Cristo, nel suo Corpo. E conoscendo questa verità, cresciamo anche nella carità che è la legittimazione della verità e ci mostra che è verità. Direi proprio che la carità è il frutto della verità - l’albero si conosce dai frutti – e se non c’è carità, anche la verità non è propriamente appropriata, vissuta; e dove è la verità, nasce la carità. Grazie a Dio, lo vediamo in tutti i secoli: nonostante i fatti negativi, il frutto della carità è sempre stato presente nella cristianità e lo è oggi! Lo vediamo nei martiri, lo vediamo in tante suore, frati e sacerdoti che servono umilmente i poveri, i malati, che sono presenza della carità di Cristo. E così sono il grande segno che qui è la verità.

Preghiamo il Signore perché ci aiuti a portare il frutto della carità ed essere così testimoni della sua verità. Grazie.

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mercoledì 22 febbraio 2012

Il Papa: La possibilità per noi del perdono divino dipende essenzialmente dal fatto che Dio stesso, nella persona del suo Figlio, ha voluto condividere la nostra condizione, ma non la corruzione del peccato

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

SANTA MESSA: VIDEO INTEGRALE

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La Santa Messa delle Ceneri e la causa di beatificazione di Don Giussani (Brunelli)

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“Polvere sei e polvere tornerai”: un invito a tenere presente la condizione mortale per accogliere l’impensabile vicinanza di Dio. Così il Papa nel Mercoledì delle Ceneri

Il Papa ha partecipato alla processione sull'Avventino su una macchina elettrica. A Santa Sabina una preghiera per chiedere decisioni sagge sul lavoro (Izzo)

Papa Ratzinger in processione all'Aventino a bordo della "mini papa mobile"

Il Papa: la consapevolezza di dover morire non spinga alla disperazione. Mettiamo la cenere sul capo ma non vestiamo più di stracci (Izzo)

«La quaresima è un'occasione, anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l'acqua viva» (Frigerio)

Il Papa prega per i disoccupati (Galeazzi)

L'impensabile vicinanza. Dio e l'uomo nell'omelia di Benedetto XVI oggi a Santa Sabina (Sir)

Il Papa: Ceneri sono invito a penitenza e umiltà, non a disperazione

Il Papa: le ceneri portano il cosmo nella liturgia e ci indicano la salvezza attraverso l'incarnazione (Ambrogetti)

Per la prima volta il Papa presiede la processione sull'Aventino a bordo di un'auto elettrica (TMNews). Se penso alle "battute" sulla pedana mobile...(R.)

Il Papa: le Ceneri, in "polvere ritornerai" non porti disperazione, ma spernza del paradiso (AsiaNews)

SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!


Con questo giorno di penitenza e di digiuno – il Mercoledì delle Ceneri – iniziamo un nuovo cammino verso la Pasqua di Risurrezione: il cammino della Quaresima.

Vorrei soffermarmi brevemente a riflettere sul segno liturgico della cenere, un segno materiale, un elemento della natura, che diventa nella Liturgia un simbolo sacro, molto importante in questa giornata che dà inizio all’itinerario quaresimale. Anticamente, nella cultura ebraica, l’uso di cospargersi il capo di cenere come segno di penitenza era comune, abbinato spesso al vestirsi di sacco o di stracci. Per noi cristiani, invece, vi è quest’unico momento, che ha peraltro una notevole rilevanza rituale e spirituale.

Anzitutto, la cenere è uno di quei segni materiali che portano il cosmo all’interno della Liturgia. I principali sono evidentemente quelli dei Sacramenti: l’acqua, l’olio, il pane e il vino, che diventano vera e propria materia sacramentale, strumento attraverso cui si comunica la grazia di Cristo che giunge fino a noi. Nel caso della cenere si tratta invece di un segno non sacramentale, ma pur sempre legato alla preghiera e alla santificazione del Popolo cristiano: è prevista infatti, prima dell’imposizione individuale sul capo, una specifica benedizione delle ceneri – che faremo tra poco -, con due possibili formule. Nella prima esse sono definite «austero simbolo»; nella seconda si invoca direttamente su di esse la benedizione e si fa riferimento al testo del Libro della Genesi, che può anche accompagnare il gesto dell’imposizione: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai» (cfr Gen 3,19).

Fermiamoci un momento su questo passo della Genesi. Esso conclude il giudizio pronunciato da Dio dopo il peccato originale: Dio maledice il serpente, che ha fatto cadere nel peccato l’uomo e la donna; poi punisce la donna annunciandole i dolori del parto e una relazione sbilanciata con il marito; infine punisce l’uomo, gli annuncia la fatica nel lavorare e maledice il suolo. «Maledetto il suolo per causa tua!» (Gen 3,17), a causa del tuo peccato. Dunque, l’uomo e la donna non sono maledetti direttamente come lo è invece il serpente, ma, a causa del peccato di Adamo, è maledetto il suolo, da cui egli era stato tratto. Rileggiamo il magnifico racconto della creazione dell’uomo dalla terra: «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gen 2,7-8); così nel Libro della Genesi.

Ecco dunque che il segno della cenere ci riporta al grande affresco della creazione, in cui si dice che l’essere umano è una singolare unità di materia e di soffio divino, attraverso l’immagine della polvere del suolo plasmata da Dio e animata dal suo respiro insufflato nelle narici della nuova creatura. Possiamo osservare come nel racconto della Genesi il simbolo della polvere subisca una trasformazione negativa a causa del peccato.

Mentre prima della caduta il suolo è una potenzialità totalmente buona, irrigata da una polla d’acqua (Gen 2,6) e capace, per l’opera di Dio, di germinare «ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare» (Gen 2,9), dopo la caduta e la conseguente maledizione divina esso produrrà «spine e cardi» e solo in cambio di «dolore» e «sudore del volto» concederà all’uomo i suoi frutti (cfr Gen 3,17-18). La polvere della terra non richiama più solo il gesto creatore di Dio, tutto aperto alla vita, ma diventa segno di un inesorabile destino di morte: «Polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Gen 3,19).

E’ evidente nel testo biblico che la terra partecipa della sorte dell’uomo. Dice in proposito san Giovanni Crisostomo in una sua omelia: «Vedi come dopo la sua disobbedienza tutto viene imposto su di lui [l’uomo] in un modo contrario al suo precedente stile di vita» (Omelie sulla Genesi 17, 9: PG 53, 146). Questa maledizione del suolo ha una funzione medicinale per l’uomo, che dalle «resistenze» della terra dovrebbe essere aiutato a mantenersi nei suoi limiti e riconoscere la propria natura (cfr ibid.). Così, con una bella sintesi, si esprime un altro antico commento, che dice: «Adamo fu creato puro da Dio per il suo servizio. Tutte le creature gli furono concesse per servirlo. Egli era destinato ad essere il signore e re di tutte le creature. Ma quando il male giunse a lui e conversò con lui, egli lo ricevette per mezzo di un ascolto esterno. Poi penetrò nel suo cuore e si impadronì del suo intero essere. Quando così fu catturato, la creazione, che lo aveva assistito e servito, fu catturata con lui» (Pseudo-Macario, Omelie 11, 5: PG 34, 547).

Dicevamo poco fa, citando san Giovanni Crisostomo, che la maledizione del suolo ha una funzione «medicinale». Ciò significa che l’intenzione di Dio, che è sempre benefica, è più profonda della maledizione. Questa, infatti, è dovuta non a Dio ma al peccato, però Dio non può non infliggerla, perché rispetta la libertà dell’uomo e le sue conseguenze, anche negative. Dunque, all’interno della punizione, e anche all’interno della maledizione del suolo, permane una intenzione buona che viene da Dio. Quando Egli dice all’uomo: «Polvere tu sei e in polvere ritornerai!», insieme con la giusta punizione intende anche annunciare una via di salvezza, che passerà proprio attraverso la terra, attraverso quella «polvere», quella «carne» che sarà assunta dal Verbo.

E’ in questa prospettiva salvifica che la parola della Genesi viene ripresa dalla Liturgia del Mercoledì delle Ceneri: come invito alla penitenza, all’umiltà, ad avere presente la propria condizione mortale, ma non per finire nella disperazione, bensì per accogliere, proprio in questa nostra mortalità, l’impensabile vicinanza di Dio, che, oltre la morte, apre il passaggio alla risurrezione, al paradiso finalmente ritrovato. In questo senso ci orienta un testo di Origene, che dice: «Ciò che inizialmente era carne, dalla terra, un uomo di polvere (cfr 1 Cor 15,47), e fu dissolto attraverso la morte e di nuovo reso polvere e cenere – infatti è scritto: sei polvere, e nella polvere ritornerai – viene fatto risorgere di nuovo dalla terra. In seguito, secondo i meriti dell’anima che abita il corpo, la persona avanza verso la gloria di un corpo spirituale» (Sui Princìpi 3, 6, 5: Sch, 268, 248).

I «meriti dell’anima», di cui parla Origene, sono necessari; ma fondamentali sono i meriti di Cristo, l’efficacia del suo Mistero pasquale. San Paolo ce ne ha offerto una formulazione sintetica nella Seconda Lettera ai Corinzi, oggi seconda Lettura: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2 Cor 5,21).

La possibilità per noi del perdono divino dipende essenzialmente dal fatto che Dio stesso, nella persona del suo Figlio, ha voluto condividere la nostra condizione, ma non la corruzione del peccato. E il Padre lo ha risuscitato con la potenza del suo Santo Spirito e Gesù, il nuovo Adamo, è diventato, come dice san Paolo, «spirito datore di vita» (1 Cor 15,45), la primizia della nuova creazione.

Lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti può trasformare i nostri cuori da cuori di pietra in cuori di carne (cfr Ez 36,26). Lo abbiamo invocato poco fa con il Salmo Miserere: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, / rinnova in me uno spirito saldo. / Non scacciarmi dalla tua presenza / e non privarmi del tuo santo spirito» (Sal 50,12-13). Quel Dio che scacciò i progenitori dall’Eden, ha mandato il proprio Figlio nella nostra terra devastata dal peccato, non lo ha risparmiato, affinché noi, figli prodighi, possiamo ritornare, pentiti e redenti dalla sua misericordia, nella nostra vera patria. Così sia, per ciascuno di noi, per tutti i credenti, per ogni uomo che umilmente si riconosce bisognoso di salvezza. Amen.

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Messaggio del Papa per la campagna di fraternità in Brasile: Ai Cristiani, in modo particolare, il motto biblico ricorda che la salute va molto al di là di un semplice benessere fisico. Nell’episodio della guarigione di un paralitico, Gesù, prima di far sì che questi tornasse a camminare, gli perdona i peccati, insegnando che la guarigione perfetta è il perdono dei peccati e la salute per eccellenza è quella dell’anima

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA CAMPAGNA DI FRATERNITÀ 2012 DELLA CHIESA IN BRASILE, 22.02.2012

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato all’Em.mo Card. Raymundo Damasceno Assis, Presidente della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) e Arcivescovo di Aparecida, in occasione dell’annuale Campagna quaresimale di Fraternità promossa dalla Chiesa brasiliana, quest’anno sul tema: "Fraternità e sanità pubblica":

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello Cardinale
Raymundo Damasceno Assis
Arcivescovo di Aparecida (sp)
e Presidente della cnbb
Fraterni saluti in Cristo Signore!


Di buon grado mi unisco alla Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile che lancia una nuova Campagna della Fraternità con il motto «che la salute si diffonda sopra la terra» (cfr. Ecl 38, 8), al fine di suscitare, a partire da una riflessione sulla realtà della salute in Brasile, un maggior spirito fraterno e comunitario nell’attenzione ai malati e di portare la società a garantire a più persone il diritto di avere accesso ai mezzi necessari per un vita sana.
Ai cristiani, in modo particolare, il motto biblico ricorda che la salute va molto al di là di un semplice benessere fisico. Nell’episodio della guarigione di un paralitico (cfr. Mt 9, 2-8), Gesù, prima di far sì che questi tornasse a camminare, gli perdona i peccati, insegnando che la guarigione perfetta è il perdono dei peccati e la salute per eccellenza è quella dell’anima, poiché «Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?» (Mt 16, 26). In effetti, le parole salute e salvezza hanno origine nello stesso termine latino salus e non per altro nei Vangeli vediamo l’azione del Salvatore dell’umanità associata a diverse guarigioni: «Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4, 23).
Con il suo esempio dinanzi agli occhi, secondo il vero spirito quaresimale, possa questa Campagna ispirare nel cuore dei fedeli e delle persone di buona volontà una solidarietà sempre più profonda verso i malati, che tante volte soffrono di più per la solitudine e l’abbandono che per la malattia, ricordando che lo stesso Gesù volle identificarsi con loro: ero «malato e mi avete visitato» (Mt 25, 36). Possa allo stesso tempo aiutarli a scoprire che, se da un lato la malattia è una prova dolorosa, dall’altro può essere, nell’unione con Cristo crocifisso e risorto, una partecipazione al mistero della sua sofferenza per la salvezza del mondo. Poiché, «Offrendo il nostro dolore a Dio per mezzo di Cristo, noi possiamo collaborare alla vittoria del bene sul male, perché Dio rende feconda la nostra offerta, il nostro atto di amore» (Benedetto xvi incontro con gli infermi a Torino, 2/v/2010).
Unendomi quindi a questa iniziativa della cnbb e facendo mie le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di ognuno, saluto fraternamente quanti prendono parte, fisicamente o spiritualmente, alla Campagna «Fraternità e Salute Pubblica», invocando — con l’intercessione di Nossa Senhora Aparecida — per tutti, ma in modo particolare per i malati, il conforto e la forza di Dio nel compimento del dovere del proprio stato, individuale, familiare e sociale, fonte di salute e di progresso del Brasile rendendolo fertile nella santità, prospero nell’economia, giusto nella partecipazione alle ricchezze, gioioso nel servizio pubblico, equanime nel potere e fraterno nello sviluppo. E per confermare tutti in questi buoni propositi, invio una propiziatrice Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 11 febbraio 2012

BENEDICTUS PP XVI

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

Il Papa: Questa situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel “deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA GENERALE: VIDEO INTEGRALE

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

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Il Papa: Si ripropone "per la Chiesa e per noi credenti" il rischio di "un messianismo di potere, successo e dominio, e non della Croce" ‎(Tg1)

Il significato della Quaresima al centro della catechesi del Papa all'udienza generale (Radio Vaticana)

Il Papa: Anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora

L’UDIENZA GENERALE, 22.02.2012

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha tenuto una meditazione sul significato del tempo quaresimale, che inizia oggi, Mercoledì delle Ceneri.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica
.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Mercoledì delle Ceneri

Cari fratelli e sorelle,

in questa Catechesi vorrei soffermarmi brevemente sul tempo della Quaresima, che inizia oggi con la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri.
Si tratta di un itinerario di quaranta giorni che ci condurrà al Triduo pasquale, memoria della passione, morte e risurrezione del Signore, il cuore del mistero della nostra salvezza. Nei primi secoli di vita della Chiesa questo era il tempo in cui coloro che avevano udito e accolto l’annuncio di Cristo iniziavano, passo dopo passo, il loro cammino di fede e di conversione per giungere a ricevere il sacramento del Battesimo. Si trattava di un avvicinamento al Dio vivo e di una iniziazione alla fede da compiersi gradualmente, mediante un cambiamento interiore da parte dei catecumeni, cioè di quanti desideravano diventare cristiani ed essere incorporati a Cristo e alla Chiesa.

Successivamente, anche i penitenti e poi tutti i fedeli furono invitati a vivere questo itinerario di rinnovamento spirituale, per conformare sempre più la propria esistenza a quella di Cristo. La partecipazione dell’intera comunità ai diversi passaggi del percorso quaresimale sottolinea una dimensione importante della spiritualità cristiana: è la redenzione non di alcuni, ma di tutti, ad essere disponibile grazie alla morte e risurrezione di Cristo.

Pertanto, sia coloro che percorrevano un cammino di fede come catecumeni per ricevere il Battesimo, sia coloro che si erano allontanati da Dio e dalla comunità della fede e cercavano la riconciliazione, sia coloro che vivevano la fede in piena comunione con la Chiesa, tutti insieme sapevano che il tempo che precede la Pasqua è un tempo di metanoia, cioè del cambiamento interiore, del pentimento; il tempo che identifica la nostra vita umana e tutta la nostra storia come un processo di conversione che si mette in movimento ora per incontrare il Signore alla fine dei tempi.

Con una espressione diventata tipica nella Liturgia, la Chiesa denomina il periodo nel quale siamo entrati oggi «Quadragesima», cioè tempo di quaranta giorni e, con un chiaro riferimento alla Sacra Scrittura ci introduce così in un preciso contesto spirituale. Quaranta è infatti il numero simbolico con cui l’Antico e il Nuovo Testamento rappresentano i momenti salienti dell’esperienza della fede del Popolo di Dio. E’ una cifra che esprime il tempo dell’attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. Questo numero non rappresenta un tempo cronologico esatto, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una paziente perseveranza, una lunga prova, un periodo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro cui occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. E’ il tempo delle decisioni mature.

Il numero quaranta appare anzitutto nella storia di Noè.

Quest’uomo giusto, a causa del diluvio trascorre quaranta giorni e quaranta notti nell’arca, insieme alla sua famiglia e agli animali che Dio gli aveva detto di portare con sé. E attende altri quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione (cfr Gen 7,4.12; 8,6). Poi, la prossima tappa: Mosè rimane sul monte Sinai, alla presenza del Signore, quaranta giorni e quaranta notti, per accogliere la Legge. In tutto questo tempo digiuna (cfr Es 24,18). Quaranta sono gli anni di viaggio del popolo ebraico dall’Egitto alla Terra promessa, tempo adatto per sperimentare la fedeltà di Dio. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni… Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni», dice Mosè nel Deuteronomio alla fine di questi quarant'anni di migrazione (Dt 8,2.4). Gli anni di pace di cui gode Israele sotto i Giudici sono quaranta (cfr Gdc 3,11.30), ma, trascorso questo tempo, inizia la dimenticanza dei doni di Dio e il ritorno al peccato. Il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l’Oreb, il monte dove incontra Dio (cfr 1 Re 19,8). Quaranta sono i giorni durante i quali i cittadini di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (cfr Gn 3,4). Quaranta sono anche gli anni dei regni di Saul (cfr At 13,21), di Davide (cfr 2 Sam 5,4-5) e di Salomone (cfr 1 Re 11,41), i tre primi re d’Israele. Anche i Salmi riflettono sul significato biblico dei quaranta anni, come ad esempio il Salmo 95, del quale abbiamo sentito un brano: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere. Per quarant'anni mi disgustò quella generazione e dissi: sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie”» (vv. 7c-10).

Nel Nuovo Testamento Gesù, prima di iniziare la vita pubblica, si ritira nel deserto per quaranta giorni, senza mangiare né bere (cfr Mt 4,2): si nutre della Parola di Dio, che usa come arma per vincere il diavolo. Le tentazioni di Gesù richiamano quelle che il popolo ebraico affrontò nel deserto, ma che non seppe vincere. Quaranta sono i giorni durante i quali Gesù risorto istruisce i suoi, prima di ascendere al Cielo e inviare lo Spirito Santo (cfr At 1,3).

Con questo ricorrente numero di quaranta è descritto un contesto spirituale che resta attuale e valido, e la Chiesa, proprio mediante i giorni del periodo quaresimale, intende mantenerne il perdurante valore e renderne a noi presente l’efficacia.

La liturgia cristiana della Quaresima ha lo scopo di favorire un cammino di rinnovamento spirituale, alla luce di questa lunga esperienza biblica e soprattutto per imparare ad imitare Gesù, che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto insegnò a vincere la tentazione con la Parola di Dio. I quarant’anni della peregrinazione di Israele nel deserto presentano atteggiamenti e situazioni ambivalenti. Da una parte essi sono la stagione del primo amore con Dio e tra Dio e il suo popolo, quando Egli parlava al suo cuore, indicandogli continuamente la strada da percorrere. Dio aveva preso, per così dire, dimora in mezzo a Israele, lo precedeva dentro una nube o una colonna di fuoco, provvedeva ogni giorno al suo nutrimento facendo scendere la manna e facendo sgorgare l’acqua dalla roccia. Pertanto, gli anni trascorsi da Israele nel deserto si possono vedere come il tempo della speciale elezione di Dio e della adesione a Lui da parte del popolo: tempo del primo amore. D’altro canto, la Bibbia mostra anche un’altra immagine della peregrinazione di Israele nel deserto: è anche il tempo delle tentazioni e dei pericoli più grandi, quando Israele mormora contro il suo Dio e vorrebbe tornare al paganesimo e si costruisce i propri idoli, poiché avverte l’esigenza di venerare un Dio più vicino e tangibile. E' anche il tempo della ribellione contro il Dio grande e invisibile.

Questa ambivalenza, tempo della speciale vicinanza di Dio - tempo del primo amore -, e tempo della tentazione – tentazione del ritorno al paganesimo -, la ritroviamo in modo sorprendente nel cammino terreno di Gesù, naturalmente senza alcun compromesso col peccato.

Dopo il battesimo di penitenza al Giordano, nel quale assume su di sé il destino del Servo di Dio che rinuncia a se stesso e vive per gli altri e si pone tra i peccatori per prendere su di sé il peccato del mondo, Gesù si reca nel deserto per stare quaranta giorni in profonda unione con il Padre, ripetendo così la storia di Israele, tutti quei ritmi di quaranta giorni o anni a cui ho accennato.

Questa dinamica è una costante nella vita terrena di Gesù, che ricerca sempre momenti di solitudine per pregare il Padre suo e rimanere in intima comunione, in intima solitudine con Lui, in esclusiva comunione con Lui, e poi ritornare in mezzo alla gente. Ma in questo tempo di “deserto” e di incontro speciale col Padre, Gesù si trova esposto al pericolo ed è assalito dalla tentazione e dalla seduzione del Maligno, il quale gli propone una via messianica altra, lontana dal progetto di Dio, perché passa attraverso il potere, il successo, il dominio e non attraverso il dono totale sulla Croce. Questa è l'alternativa: un messianesimo di potere, di successo, o un messianesimo di amore, di dono di sé.

Questa situazione di ambivalenza descrive anche la condizione della Chiesa in cammino nel “deserto” del mondo e della storia. In questo “deserto” noi credenti abbiamo certamente l’opportunità di fare una profonda esperienza di Dio che rende forte lo spirito, conferma la fede, nutre la speranza, anima la carità; un’esperienza che ci fa partecipi della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte mediante il Sacrificio d’amore sulla Croce. Ma il “deserto” è anche l’aspetto negativo della realtà che ci circonda: l’aridità, la povertà di parole di vita e di valori, il secolarismo e la cultura materialista, che rinchiudono la persona nell’orizzonte mondano dell’esistere sottraendolo ad ogni riferimento alla trascendenza. E’ questo anche l’ambiente in cui il cielo sopra di noi è oscuro, perché coperto dalle nubi dell’egoismo, dell’incomprensione e dell’inganno. Nonostante questo, anche per la Chiesa di oggi il tempo del deserto può trasformarsi in tempo di grazia, poiché abbiamo la certezza che anche dalla roccia più dura Dio può far scaturire l’acqua viva che disseta e ristora.

Cari fratelli e sorelle, in questi quaranta giorni che ci condurranno alla Pasqua di Risurrezione possiamo ritrovare nuovo coraggio per accettare con pazienza e con fede ogni situazione di difficoltà, di afflizione e di prova, nella consapevolezza che dalle tenebre il Signore farà sorgere il giorno nuovo. E se saremo stati fedeli a Gesù seguendolo sulla via della Croce, il chiaro mondo di Dio, il mondo della luce, della verità e della gioia ci sarà come ridonato: sarà l’alba nuova creata da Dio stesso. Buon cammino di Quaresima a voi tutti!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Ancelle del Sacro Cuore di Gesù riunite per il Capitolo Generale, i Diaconi di Milano e i vari gruppi parrocchiali: vi invito tutti a costruire sempre la vostra vita secondo la logica del Vangelo, la logica del “non conformismo cristiano”. Saluto con affetto la delegazione dei Mondiali Juniores di Sci come pure i rappresentanti della Lega italiana contro i tumori a novant’anni dalla fondazione. Il gesto dell’imposizione delle Ceneri, che segna l’inizio della Quaresima, ci invita a guardare con più umiltà a noi stessi per ricentrare la nostra vita su Dio. Un cordiale benvenuto agli avvocati dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana: vi esorto a svolgere il vostro lavoro seguendo sempre i criteri di amore alla giustizia e di servizio al bene comune.

Saluto infine i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La Quaresima è un tempo favorevole per intensificare la vostra vita spirituale: la pratica del digiuno vi sia di aiuto, cari giovani, per acquisire un sempre maggiore dominio su voi stessi; la preghiera sia per voi, cari ammalati, il mezzo per affidare a Dio le vostre sofferenze e sentirlo sempre vicino; le opere di misericordia, infine, aiutino voi, cari sposi novelli, a vivere la vostra esistenza coniugale aprendola alle necessità dei fratelli. Buona Quaresima a tutti!

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lunedì 20 febbraio 2012

Il Papa ai nuovi cardinali: L’unità nella Chiesa è dono divino da difendere e far crescere

CONCISTORI PER LA CREAZIONE DI NUOVI CARDINALI: LO SPECIALE DEL BLOG

COMPLOTTI CONTRO IL PAPA, FUGA DI NOTIZIE, CORVI E TALPE IN VATICANO, TRADIMENTI DI CARDINALI E VESCOVI: LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA AI NUOVI CARDINALI: VIDEO INTEGRALE

LA GRANDE LEZIONE DEL PAPA AI CARDINALI (R.)

UDIENZA AI NUOVI CARDINALI, CON I FAMILIARI E I FEDELI CONVENUTI PER IL CONCISTORO, 20.02.2012

Alle ore 11 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza gli Em.mi Cardinali creati sabato 18 febbraio, accompagnati dai familiari e dai fedeli delle loro diocesi convenuti a Roma per il Concistoro, e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
Cari Fratelli e Sorelle!


Con grande gioia mi incontro con voi, familiari e amici dei neo-Cardinali, all’indomani delle solenni celebrazioni del Concistoro, in cui questi vostri amati Pastori sono stati chiamati a far parte del Collegio Cardinalizio. Mi è data così la possibilità di porgere in modo più diretto e più intimo il mio cordiale saluto a tutti e, in particolare, le mie felicitazioni e il mio augurio ai nuovi Porporati. L’avvenimento così importante e suggestivo del Concistoro sia, per voi qui presenti e per quanti sono legati a vario titolo ai nuovi Cardinali, motivo e stimolo a stringervi con affetto attorno ad essi: sentitevi ancora di più vicini al loro cuore e alla loro ansia apostolica; ascoltate con viva speranza le loro parole di Padri e di Maestri. Siate uniti a loro e tra di voi nella fede e nella carità, per essere sempre più fervorosi e coraggiosi testimoni di Cristo.

Saluto anzitutto voi, cari Porporati della Chiesa che è in Italia! Il Cardinale Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli; il Cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; il Cardinale Giuseppe Bertello, Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e Presidente del Governatorato del medesimo Stato; il Cardinale Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi; il Cardinale Domenico Calcagno, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica; il Cardinale Giuseppe Versaldi, Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede; e infine il Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze. Venerati Fratelli, l’affetto e la preghiera di tante persone a voi care vi sostengano nel servizio alla Chiesa, affinché ciascuno di voi possa rendere generosa testimonianza al Vangelo della verità e della carità.

Je salue cordialement les pèlerins francophones, et plus particulièrement les Belges qui ont accompagné Monsieur le Cardinal Julien Ries. Puisse notre loyauté au Christ être ferme et décidée afin de rendre crédible notre témoignage. Notre société, qui connaît des moments d’incertitudes et de doute, a besoin de la clarté du Christ. Que chaque chrétien en témoigne avec foi et courage, et le temps de Carême qui approche, permet de revenir vers Dieu. Bon pèlerinage à tous!

I am pleased to extend a warm greeting to the English-speaking Prelates whom I had the joy of raising to the dignity of Cardinal in Saturday’s Consistory: Cardinal Edwin Frederick O’Brien, Grand Master of the Equestrian Order of the Holy Sepulchre of Jerusalem; Cardinal George Alencherry, Major Archbishop of Ernakulam-Angamaly of the Syro-Malabars (India); Cardinal Thomas Christopher Collins, Archbishop of Toronto (Canada); Cardinal Timothy Michael Dolan, Archbishop of New York (the United States of America); Cardinal John Tong Hon, Bishop of Hong Kong (the People’s Republic of China); Cardinal Prosper Grech, O.S.A., Emeritus Professor of various Roman Universities and Consultor of the Congregation for the Doctrine of the Faith.

I also extend a cordial welcome to the family members and friends who join them today. I ask you to continue to support the new Cardinals by your prayers as they take up their important responsibilities in the service of the Apostolic See.

Einen ganz herzlichen Gruß richte ich an die neuernannten Kardinäle deutscher Sprache, an den Erzbischof von Berlin Rainer Maria Kardinal Woelki und an Karl Josef Kardinal Becker aus der Gesellschaft Jesu. Ich versichere ihnen meine Verbundenheit und mein Gebet für den besonderen Dienst, der ihnen in der Universalkirche anvertraut ist, und empfehle sie dem Schutz Marias, der Mutter der Kirche.

Mit Freude begrüße ich auch die Familienangehörigen und Freunde, die Pilger aus den Heimatdiözesen Berlin und Köln, die Mitarbeiter in den verschiedenen kirchlichen Einrichtungen, die Vertreter der Politik und des öffentlichen Lebens sowie alle Landsleute, die zu diesem Konsistorium nach Rom gekommen sind. Auch eurem Gebet möchte ich die neuen Kardinäle empfehlen, damit sie gemäß dem Zeichen des Purpur, den sie nun tragen, als opferbereite Zeugen der Wahrheit und treue Mitarbeiter des Nachfolgers Petri wirken.

Saludo con afecto al Cardenal Santos Abril y Castelló, Arcipreste de la Basílica Santa María la Mayor, así como a sus familiares, a los Obispos, sacerdotes, religiosos y laicos venidos especialmente de España para esta ocasión. Les invito a todos a acompañar con sus plegarias y cercanía espiritual a los nuevos miembros del Colegio de cardenales para que, llenos de amor a Dios y estrechamente unidos al Sucesor de Pedro, continúen la misión espiritual y apostólica con plena fidelidad al Evangelio.

Saúdo os novos Cardeais de língua portuguesa, com seus familiares, amigos e colaboradores, e ainda os diversos representantes da comunidade eclesial e civil, para quem redunda também a honra que acaba de ser conferida ao Cardeal João Braz de Aviz, que guia a Congregação para os Institutos de Vida Consagrada e as Sociedades de Vida Apostólica, e ao Cardeal Manuel Monteiro de Castro, que preside à Penitenciaria Apostólica. À Virgem Mãe, confio vossas vidas devotadas ao serviço da unidade e da santidade do Povo de Deus.

S láskou zdravím Otce kardinála Dominika Duku a vás, věřící z České republiky, kteří sdílíte jeho radost. Ať ve vás tyto sváteční dny modlitby obnoví lásku ke Kristu a jeho církvi. Všem vám žehnám. Chvála Kristu a Panně Marii.

[Rivolgo un affettuoso saluto al neo-Cardinale Dominik Duka e a tutti voi, fedeli giunti dalla Repubblica Ceca per condividere la sua gioia. Questi giorni di festa e di preghiera suscitino in voi un rinnovato amore a Cristo e alla sua Chiesa. A tutti la mia benedizione! Siano lodati Gesù e Maria.]

Gaarne begroet ik Kardinaal Willem Jacobus Eijk, Aartsbisschop van Utrecht, en tevens de gelovigen die hem vergezellen. Mogen deze dagen van intense spiritualiteit bij iedereen een nog grotere liefde voor Christus en Zijn Kerk opwekken. Blijft Uw Aartsbisschop steunen met Uw gebed zo dat hij met herderlijke ijver degenen die hem zijn toevertrouwd leiding kan geven.

[Saluto il Cardinale Willem Jacobus Eijk, Arcivescovo di Utrecht e i fedeli che lo accompagnano. Auspico che queste giornate di fervida spiritualità suscitino in ciascuno un rinnovato amore a Cristo e alla Chiesa. Continuate a sostenere il vostro Arcivescovo con la preghiera, affinché possa continuare a guidare con zelo pastorale il popolo a lui affidato.]

Salut cu bucurie pe Preafericirea Sa Lucian Mureşan şi pe voi toţi, credincioşi din România, care aţi dorit să vă strângeţi în jurul iubitului vostru Păstor, pe care l-am creat Cardinal. Împreună cu voi salut întregul popor român şi Patria voastră, legată acum şi mai mult de Sediul Sfântului Petru! Binecuvântarea mea să vă susţină mereu.

[Saluto con gioia Sua Beatitudine Lucian Mureşan e tutti voi, fedeli di Romania, che avete voluto stringervi al vostro amato Pastore, che ho creato Cardinale. Con voi saluto l’intero popolo rumeno e la vostra Patria, ora ancora più legata alla Sede di San Pietro! La mia benedizione vi sostenga sempre.]

Cari amici, ancora grazie per la vostra significativa presenza. La creazione dei nuovi Cardinali è occasione per riflettere sulla universale missione della Chiesa nella storia degli uomini: nelle vicende umane, spesso così convulse e contrastanti, la Chiesa è sempre presente, portando Cristo, luce e speranza per l’intera umanità. Rimanere uniti alla Chiesa e al messaggio di salvezza che essa diffonde, significa ancorarsi alla Verità, rafforzare il senso dei veri valori, essere sereni di fronte ad ogni avvenimento. Vi esorto pertanto a rimanere sempre uniti ai vostri Pastori, come pure ai nuovi Cardinali, per essere in comunione con la Chiesa. L’unità nella Chiesa è dono divino da difendere e far crescere. Alla protezione della Madre di Dio e degli Apostoli Pietro e Paolo affido voi, Venerati Fratelli Cardinali e i fedeli che vi accompagnano. Con tali sentimenti vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

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