sabato 15 maggio 2010

Il Papa al Kirchentag: zizzania esiste anche in seno alla Chiesa e tra coloro che il Signore ha accolto al suo servizio.Ma la luce di Dio non tramonta


(La sterminata spianata di fronte al Santuario di Nostra Signora di Fatima, 13 maggio 2010)

Vedi anche:

Regina Einig del Tagespost stronca il Kirchentag: un pout-pourri di eresie

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER L’APERTURA DEL SECONDO KIRCHENTAG ECUMENICO A MONACO DI BAVIERA (GERMANIA), 15.05.2010

Dal 12 al 16 maggio 2010 è in corso a Monaco di Baviera (Germania) il secondo Kirchentag Ecumenico il quale riunisce cristiani di diverse denominazioni e credenti di altre fedi sul tema della speranza.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre ha inviato in occasione dell’apertura della Giornata Ecumenica:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA ITALIANA

Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

da Roma saluto tutti coloro che si sono riuniti sulla Theresienwiese a Monaco per la celebrazione liturgica in apertura del secondo Kirchentag ecumenico. Ricordo volentieri gli anni in cui ho vissuto nella bella capitale della Baviera, come arcivescovo di Monaco e Frisinga. Rivolgo, quindi, un saluto speciale all'arcivescovo di Monaco e Frisinga Reinhard Marx, e al Vescovo regionale luterano Johannes Friedrich. Saluto tutti i Vescovi tedeschi e di molti Paesi del mondo, e, in modo speciale, anche i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali e tutti i cristiani che partecipano a questo evento ecumenico. Saluto inoltre i rappresentanti della vita pubblica e tutti coloro che sono presenti attraverso la radio e la televisione. La pace del Signore risorto sia con tutti voi!

«Affinché abbiate speranza»: con questo motto vi siete riuniti a Monaco. In un tempo difficile, volete inviare un segnale di speranza alla Chiesa e alla società. Per questo vi ringrazio molto. Infatti, il nostro mondo ha bisogno di speranza, il nostro tempo ha bisogno di speranza. Ma la Chiesa è un luogo di speranza?

Negli ultimi mesi ci siamo dovuti confrontare ripetutamente con notizie che ci vogliono togliere la gioia nella Chiesa, che la oscurano come luogo di speranza. Come i servi del padrone di casa nella parabola evangelica del regno di Dio, anche noi vogliamo chiedere al Signore: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?» (Mt 13, 27). Sì, con la sua Parola e con il sacrificio della sua vita il Signore ha davvero seminato del buon seme nel campo della terra.

È germogliato e germoglia. Non dobbiamo pensare solo alle grandi figure luminose della storia, alle quali la Chiesa ha riconosciuto il titolo di «santi», ovvero completamente permeati da Dio, risplendenti a partire da Lui. Ognuno di noi conosce anche le persone comuni, non menzionate in alcun giornale e non citate in alcuna cronaca, che a partire dalla fede sono maturate raggiungendo una grande umanità e bontà. Abramo, nella sua appassionata disputa con Dio per risparmiare la città di Sodoma ha ottenuto dal Signore dell’Universo l'assicurazione che se ci saranno dieci giusti non distruggerà la città (cfr. Gen 18, 22-33). Grazie a Dio, nelle nostre città ci sono molto più di dieci giusti! Se oggi siamo un po’ attenti, se non percepiamo solo il buio, ma anche ciò che è chiaro e buono nel nostro tempo, vediamo come la fede rende gli uomini puri e generosi e li educa all'amore.

Di nuovo: La zizzania esiste anche in seno alla Chiesa e tra coloro che il Signore ha accolto al suo servizio in modo particolare. Ma la luce di Dio non è tramontata, il grano buono non è stato soffocato dalla semina del male.

«Affinché abbiate speranza»: Questa frase vuole prima di tutto invitarci a non perdere di vista il bene e i buoni. Vuole invitarci a essere noi stessi buoni e a ridiventare buoni sempre, vuole invitarci a discutere con Dio per il mondo, come Abramo, cercando noi stessi, con passione, di vivere dalla giustizia di Dio.

La Chiesa è dunque un luogo di speranza? Sì, poiché da essa ci giunge sempre e di nuovo la Parola di Dio, che ci purifica e ci mostra la via della fede. Lo è, poiché in essa il Signore continua a donarci se stesso, nella grazia dei sacramenti, nella parola della riconciliazione, nei molteplici doni della sua consolazione. Nulla può oscurare o distruggere tutto ciò. Di questo dovremmo essere lieti in mezzo a tutte le tribolazioni.

Se parliamo della Chiesa come luogo della speranza che viene da Dio, allora ciò comporta, allo stesso tempo, un esame di coscienza: Che cosa faccio io della speranza che il Signore ci ha donato? Davvero mi lascio modellare dalla sua Parola? Mi lascio cambiare e guarire da Lui? Quanta zizzania in realtà cresce dentro di me? Sono disposto a sradicarla? Sono grato del dono del perdono e disposto a perdonare e a guarire a mia volta invece che a condannare?

Domandiamo ancora una volta: Che cos'è veramente la «speranza»? Le cose che possiamo fare da soli non sono oggetto della speranza, bensì un compito che dobbiamo svolgere con la forza della nostra ragione, della nostra volontà e del nostro cuore. Ma se riflettiamo su tutto ciò che possiamo e dobbiamo fare, allora notiamo che non possiamo fare le cose più grandi, le quali ci giungono solo come dono: l'amicizia, l'amore, la gioia, la felicità. Vorrei osservare ancora una cosa: tutti noi vogliamo vivere, e anche la vita non ce la possiamo dare da soli. Quasi nessuno, però, oggi parla ancora della vita eterna, che in passato era il vero oggetto della speranza. Poiché non si osa credere in essa, bisogna sperare di ottenere tutto dalla vita presente. L'accantonare la speranza nella vita eterna porta all'avidità per una vita qui e ora, che diventa quasi inevitabilmente egoistica e, alla fine, rimane irrealizzabile. Proprio quando vogliamo impossessarci della vita come di una sorta di bene, essa ci sfugge. Ma torniamo indietro. Le cose grandi della vita non possiamo realizzarle noi, possiamo solo sperarle. La buona novella della fede consiste proprio in questo: esiste Colui che può donarcele. Non veniamo lasciati soli. Dio vive. Dio ci ama. In Gesù Cristo è diventato uno di noi. Mi posso rivolgere a lui e lui mi ascolta. Per questo, come Pietro, nella confusione dei nostri tempi, che ci persuadono a credere in tante altre vie, gli diciamo: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68s).

Cari amici, auguro a tutti voi, che siete riuniti sulla Theresienwiese a Monaco, di essere di nuovo sopraffatti dalla gioia di poter conoscere Dio, di conoscere Cristo e che Egli ci conosce. È questa la nostra speranza e la nostra gioia in mezzo alle confusioni del tempo presente.

Dal Vaticano, 10 maggio 2010

BENEDICTUS PP. XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

ORIGINALE TEDESCO

Liebe Brüder und Schwestern in Christus!

Aus Rom grüße ich alle, die sich zum Eröffnungsgottesdienst des 2. Ökumenischen Kirchentags auf der Theresienwiese in München versammelt haben. Gerne denke ich zurück an die Jahre, die ich als Erzbischof von München und Freising in der schönen bayerischen Landeshauptstadt gelebt habe. Und so gilt mein besonderer Gruß dem Erzbischof von München und Freising Reinhard Marx und dem evangelischen Landesbischof Johannes Friedrich. Ich grüße alle Bischöfe aus Deutschland und aus vielen Ländern der Erde, besonders auch die Vertreter anderer Kirchen und kirchlichen Gemeinschaften und alle Christen, die sich an diesem ökumenischen Ereignis beteiligen. Ebenso grüße ich die Vertreter des öffentlichen Lebens und alle, die über Rundfunk und Fernsehen mit dabei sind. Der Friede des auferstandenen Herrn sei mit euch allen!

„Damit ihr Hoffnung habt", unter diesem Leitwort habt Ihr Euch in München versammelt. Ihr wollt inmitten einer schwierigen Zeit ein Signal der Hoffnung in die Kirche und in die Gesellschaft senden. Dafür danke ich Euch sehr. Denn unsere Welt braucht Hoffnung, unsere Zeit braucht Hoffnung. Aber ist die Kirche eigentlich ein Ort der Hoffnung? In den letzten Monaten sind wir mit immer neuen Meldungen konfrontiert worden, die uns die Freude an der Kirche nehmen möchten, sie als Ort der Hoffnung verdunkeln. Wie die Knechte des Gutsherrn im Gleichnis des Evangeliums vom Gottesreich, so möchten auch wir den Herrn fragen: „Herr, hast du nicht guten Samen auf deinen Acker gesät? Woher kommt dann das Unkraut?" (Mt 13,27). Ja, der Herr hat mit seinem Wort und mit der Hingabe seines Lebens wahrhaftig guten Samen auf den Acker der Erde gesät. Er ist aufgegangen und geht auf. Wir brauchen dabei nicht nur an die großen Lichtgestalten der Geschichte zu denken, denen die Kirche das Prädikat „heilig", das heißt ganz von Gott durchdrungen, von ihm her leuchtend zuerkannt hat. Jeder von uns kennt auch die kleinen, von keiner Zeitung erwähnten und in keiner Chronik zitierten Menschen, die vom Glauben her zu einer großen Menschlichkeit und Güte gereift sind. Abraham hat in seinem leidenschaftlichen Disput mit Gott um den Erhalt der Stadt Sodom vom Herrn der Welt die Zusicherung erhalten, wenn es dort zehn Gerechte gebe, werde er die Stadt verschonen (Gen 18,22-33). Wie viel mehr als zehn Gerechte gibt es in unseren Städten gottlob! Wenn wir ein wenig wach sind, wenn wir nicht nur das Dunkle, sondern das Helle und Gute in unserer Zeit wahrnehmen, sehen wir, wie der Glaube die Menschen rein und gütig macht und sie zur Liebe erzieht. Noch einmal: Es gibt das Unkraut gerade auch mitten in der Kirche und unter denen, die der Herr in besonderer Weise in seinen Dienst genommen hat. Aber das Licht Gottes ist nicht untergegangen, der gute Weizen nicht erstickt worden von der Saat des Bösen.

„Damit ihr Hoffnung habt": Dieser Satz will uns zuallererst dazu einladen, den Blick für das Gute und für die Guten nicht zu verlieren. Er will uns einladen, selbst gut zu sein und immer neu gut zu werden; er will uns einladen, wie Abraham mit Gott um die Welt zu streiten und dabei leidenschaftlich selbst danach zu streben, von Gottes Gerechtigkeit her zu leben.

Ist also die Kirche ein Ort der Hoffnung? Ja, denn von ihr kommt immer wieder Gottes Wort zu uns, das uns reinigt und den Weg des Glaubens zeigt. Sie ist es, weil in ihr der Herr sich immer wieder selbst schenkt – in der Gnade der Sakramente, im Wort der Versöhnung, in den vielfältigen Gaben seines Trostes. Das kann durch nichts verdunkelt und zerstört werden. Darüber sollen wir uns mitten in aller Drangsal freuen. Wenn wir von der Kirche als Ort der von Gott herkommenden Hoffnung sprechen, dann bedeutet dies zugleich eine Gewissenserforschung: Wie gehe ich mit der Hoffnung um, die der Herr uns geschenkt hat? Lasse ich mich wirklich von seinem Wort formen? Lasse ich mich von ihm ändern und heilen? Wieviel Unkraut wächst eigentlich in mir selbst? Bin ich bereit, es auszureißen? Bin ich dankbar für das Geschenk der Vergebung und bereit, meinerseits anderen zu vergeben und zu heilen, statt zu verdammen?

Fragen wir noch einmal: Was ist das eigentlich „Hoffnung"? Die Dinge, die wir selber machen können, sind nicht Gegenstand der Hoffnung, sondern Aufgabe für uns, die wir mit der Kraft unseres Verstandes, unseres Willens und unseres Herzens zu erfüllen haben. Aber wenn wir über all das nachdenken, was wir leisten können und müssen, dann fällt uns auf, daß wir die allergrößten Dinge nicht machen können. Sie können nur als Geschenk zu uns kommen: die Freundschaft, die Liebe, die Freude, das Glück. Noch etwas will ich dabei anmerken: Wir alle wollen leben, und auch das Leben können wir uns nicht selber geben. Kaum noch jemand spricht freilich heute über das ewige Leben, das einst der eigentliche Gegenstand des Hoffens war. Weil man nicht daran zu glauben wagt, muß man nun alles von diesem Leben erhoffen. Das Beiseite-Lassen der Hoffnung auf das ewige Leben führt zu einer Gier nach Leben jetzt und hier, die fast unausweichlich egoistisch wird und schließlich unerfüllbar bleibt. Gerade wenn wir das Leben selber als eine Art Habe an uns reißen wollen, läuft es uns davon. Aber kehren wir zurück. Die großen Dinge des Lebens können wir nicht machen, wir können sie nur erhoffen. Die frohe Botschaft des Glaubens besteht eben darin: Es gibt den, der sie uns schenken kann. Wir sind nicht allein gelassen. Gott lebt. Gott liebt uns. In Jesus Christus ist er einer von uns geworden. Ich kann ihn anreden, und er hört mir zu. Darum sagen wir mit Petrus in der Wirrnis unserer Zeiten, die uns so viele andere Wege einreden, zu ihm: „Herr, zu wem sollen wir gehen? Du hast Worte des ewigen Lebens. Wir haben geglaubt und erkannt: Du bist der Heilige Gottes" (Joh 6,68f).

Liebe Freunde: Ich wünsche allen, die Ihr nun auf der Theresienwiese zu München versammelt seid, daß Euch neu die Freude darüber überkommt, daß wir Gott kennen dürfen. Daß wir Christus kennen. Daß er uns kennt. Das ist unsere Hoffnung und unsere Freude mitten in den Wirrnissen dieser Zeit.

Aus dem Vatikan, am 10. Mai 2010

BENEDICTUS PP XVI

© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana

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