lunedì 3 dicembre 2012

Il Papa: Concretamente, per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione economica


UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE , 03.12.2012

Alle ore 11.45 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti alla XXVII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Saluto il Cardinale Presidente, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi, come pure Monsignor Segretario, gli Officiali del Dicastero e tutti voi, Membri e Consultori, convenuti per questo importante momento di riflessione e di programmazione. La vostra Assemblea si celebra nell’Anno della fede, dopo il Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione, nonché - come è stato detto - nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II e – tra pochi mesi – dell’Enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII. Si tratta di un contesto che già di per sé offre molteplici stimoli.
La Dottrina sociale, come ci ha insegnato il beato Papa Giovanni Paolo II, è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr Enc. Centesimus annus, 54), e a maggior ragione essa va considerata importante per la nuova evangelizzazione (cfr ibid., 5; Enc. Caritas in veritate, 15). Accogliendo Gesù Cristo e il suo Vangelo, oltre che nella vita personale, anche nei rapporti sociali, diventiamo portatori di una visione dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà e relazionalità, che è contrassegnata dalla trascendenza, in senso sia orizzontale sia verticale. Dall’antropologia integrale, che deriva dalla Rivelazione e dall’esercizio della ragione naturale, dipendono la fondazione e il significato dei diritti e dei doveri umani, come ci ha ricordato il beato Giovanni XXIII proprio nella Pacem in terris (cfr n. 9). 
I diritti e i doveri, infatti, non hanno come unico ed esclusivo fondamento la coscienza sociale dei popoli, ma dipendono primariamente dalla legge morale naturale, inscritta da Dio nella coscienza di ogni persona, e quindi in ultima istanza dalla verità sull’uomo e sulla società.
Sebbene la difesa dei diritti abbia fatto grandi progressi nel nostro tempo, la cultura odierna, caratterizzata, tra l’altro, da un individualismo utilitarista e un economicismo tecnocratico, tende a svalutare la persona. Questa viene concepita come un essere «fluido», senza consistenza permanente. Nonostante sia immerso in una rete infinita di relazioni e di comunicazioni, l’uomo di oggi paradossalmente appare spesso un essere isolato, perché indifferente rispetto al rapporto costitutivo del suo essere, che è la radice di tutti gli altri rapporti, quello con Dio. 
L’uomo d’oggi è considerato in chiave prevalentemente biologica o come «capitale umano», «risorsa», parte di un ingranaggio produttivo e finanziario che lo sovrasta. Se, da una parte, si continua a proclamare la dignità della persona, dall’altra, nuove ideologie - come quella edonistica ed egoistica dei diritti sessuali e riproduttivi o quella di un capitalismo finanziario sregolato che prevarica sulla politica e destruttura l’economia reale - contribuiscono a considerare il lavoratore dipendente e il suo lavoro come beni «minori» e a minare i fondamenti naturali della società, specialmente la famiglia. In realtà, l’essere umano, costitutivamente trascendente rispetto agli altri esseri e beni terreni, gode di un reale primato che lo pone come responsabile di se stesso e del creato. 
Concretamente, per il Cristianesimo, il lavoro è un bene fondamentale per l’uomo, in vista della sua personalizzazione, della sua socializzazione, della formazione di una famiglia, dell’apporto al bene comune e alla pace. Proprio per questo, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti è sempre prioritario, anche nei periodi di recessione economica (cfr Caritas in veritate, 32).
Da una nuova evangelizzazione del sociale possono derivare un nuovo umanesimo e un rinnovato impegno culturale e progettuale. Essa aiuta a detronizzare gli idoli moderni, a sostituire l’individualismo, il consumismo materialista e la tecnocrazia, con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale. Gesù Cristo ha riassunto e dato compimento ai precetti in un comandamento nuovo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34); qui sta il segreto di ogni vita sociale pienamente umana e pacifica, nonché del rinnovamento della politica e delle istituzioni nazionali e mondiali. Il beato Papa Giovanni XXIII ha motivato l’impegno per la costruzione di una comunità mondiale, con una corrispondente autorità, proprio muovendo dall’amore, e precisamente dall’amore per il bene comune della famiglia umana. Così leggiamo nella Pacem in terris: «Esiste un rapporto intrinseco fra i contenuti storici del bene comune da una parte e la configurazione dei Poteri pubblici dall’altra. L’ordine morale, cioè, come esige l’autorità pubblica nella convivenza per l’attuazione del bene comune, di conseguenza esige pure che l’autorità a tale scopo sia efficiente» (n. 71).
La Chiesa non ha certo il compito di suggerire, dal punto di vista giuridico e politico, la configurazione concreta di un tale ordinamento internazionale, ma offre a chi ne ha la responsabilità quei principi di riflessione, criteri di giudizio e orientamenti pratici che possano garantirne l’intelaiatura antropologica ed etica attorno al bene comune (cfr Enc. Caritas in veritate, 67). Nella riflessione, comunque, è da tenere presente che non si dovrebbe immaginare un superpotere, concentrato nelle mani di pochi, che dominerebbe su tutti i popoli, sfruttando i più deboli, ma che qualunque autorità deve essere intesa, anzitutto, come forza morale, facoltà di influire secondo ragione (cfr Pacem in terris, 27), ossia come autorità partecipata, limitata per competenza e dal diritto.
Ringrazio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace perché, assieme ad altre istituzioni pontificie, si è prefissato di approfondire gli orientamenti che ho offerto nella Caritas in veritate. E ciò, sia mediante le riflessioni per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale, sia mediante la Plenaria di questi giorni e il Seminario internazionale sulla Pacem in terris del prossimo anno.
La Vergine Maria, Colei che con fede ed amore ha accolto in sé il Salvatore per donarlo al mondo, ci guidi nell’annuncio e nella testimonianza della Dottrina sociale della Chiesa, per rendere più efficace la nuova evangelizzazione. Con questo auspicio, ben volentieri imparto a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica. Grazie.

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