domenica 29 luglio 2007

Il Papa incoraggia la non proliferazione di armi nucleari, il disarmo nucleare e l'uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 29.07.2007

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI, giunto venerdì scorso a Castel Gandolfo da Lorenzago di Cadore, nelle Dolomiti bellunesi, dove ha trascorso un periodo di riposo, recita l’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti nel Cortile interno del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Rientrato l’altro ieri da Lorenzago, sono lieto di trovarmi nuovamente qui, a Castel Gandolfo, nell’ambiente familiare di questa bella cittadina, dove conto di fermarmi, a Dio piacendo, per il resto del periodo estivo. Sento il vivo desiderio di ringraziare ancora una volta il Signore per aver potuto trascorrere giorni sereni tra le montagne del Cadore, e sono riconoscente a tutti coloro che hanno organizzato efficacemente questo mio soggiorno e vegliato con cura su di esso. Con uguale affetto vorrei salutare ed esprimere i miei grati sentimenti a voi, cari pellegrini, e soprattutto a voi, cari abitanti di Castel Gandolfo, che mi avete accolto con la vostra tipica cordialità e mi accompagnate sempre con discrezione durante il tempo che trascorro tra voi.
Domenica scorsa, ricordando la "Nota" che il 1° agosto di 90 anni fa il Papa Benedetto XV indirizzò ai Paesi belligeranti nella prima guerra mondiale, mi sono soffermato sul tema della pace. Ora una nuova occasione mi invita a riflettere su un altro importante argomento connesso con tale tema. Proprio oggi, infatti, ricorre il 50° anniversario dell’entrata in vigore dello Statuto dell’A.I.E.A., l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, istituita con il mandato di "sollecitare ed accrescere il contributo dell’energia atomica alle cause della pace, della salute e della prosperità in tutto il mondo" (art. II dello Statuto). La Santa Sede, approvando pienamente le finalità di tale Organismo, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a sostenerne l’attività. I cambiamenti epocali avvenuti negli ultimi 50 anni evidenziano come, nel difficile crocevia in cui l’umanità si trova, sia sempre più attuale e urgente l’impegno di incoraggiare la non proliferazione di armi nucleari, promuovere un progressivo e concordato disarmo nucleare e favorire l’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per un autentico sviluppo, rispettoso dell’ambiente e sempre attento alle popolazioni più svantaggiate. Auspico pertanto che vadano a buon fine gli sforzi di coloro che lavorano per perseguire con determinazione questi tre obiettivi, nell’intento di far sì che "le risorse in tal modo risparmiate possano essere impiegate in progetti di sviluppo a vantaggio di tutti gli abitanti e, in primo luogo, dei più poveri" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2006, n. 13). E’ bene infatti ribadire anche in questa occasione come "alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, ridefinendo le priorità e le scale di valori" (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2438).
Affidiamo nuovamente all’intercessione di Maria Santissima la nostra preghiera per la pace, in particolare affinché le conoscenze scientifiche e tecniche vengano sempre applicate con senso di responsabilità e per il bene comune, nel pieno rispetto del diritto internazionale. Preghiamo perché gli uomini vivano in pace, e si sentano tutti fratelli, figli di un unico Padre: Dio.

DOPO L’ANGELUS

E adesso un appello per gli ostaggi coreani in Afghanistan.
Si va diffondendo tra gruppi armati la prassi di strumentalizzare persone innocenti per rivendicare fini di parte.
Si tratta di gravi violazioni della dignità umana, che contrastano con ogni elementare norma di civiltà e di diritto e offendono gravemente la legge divina.
Rivolgo il mio appello affinché gli autori di tali atti criminosi desistano dal male compiuto e restituiscano incolumi le loro vittime.

© Copyright Libreria Editrice Vaticana 2007

mercoledì 25 luglio 2007

Auronzo di Cadore: i sacerdoti di Belluno e Treviso chiedono, il Papa risponde...


IL PAPA, INTERROGATO, RISPONDE "A BRACCIO"

Vedi anche:

Benedetto XVI: «Pregare, curare, annunciare: le priorità di noi sacerdoti»

Il Papa, la cesura del 1968 ed il ruolo del Concilio

La fede semplice del Papa teologo (di Maria Giovanna Maglie)

Il Papa ed il '68: riflessioni

Il Papa ai sacerdoti del Cadore: «Piedi per terra e occhi al cielo»

Rassegna stampa del 25 luglio 2007 [Incontro del Papa con i sacerdoti ad Auronzo]

Aggiornamento della rassegna stampa del 25 luglio 2007 (1) [Incontro del Papa con i sacerdoti ad Auronzo]

Aggiornamento della rassegna stampa del 25 luglio 2007 (2) [Incontro del Papa con i sacerdoti ad Auronzo]

INCONTRO DEL PAPA CON I SACERDOTI: VIDEO DI SKY

Padre Lombardi commenta l'incontro con i sacerdoti ad Auronzo (1)

Padre Lombardi commenta l'incontro con i sacerdoti ad Auronzo (2)

Padre Lombardi commenta l'incontro con i sacerdoti ad Auronzo (3)

CINA: PAPA, NON POSSO PARLARE

Il Papa e' arrivato ad Auronzo accolto da tremila fedeli festanti. Al termine Padre Lombardi riferira' sull'incontro con il clero

Oggi "question time" ad Auronzo con i sacerdoti di Belluno e Treviso

IL PAPA IN CADORE: LO SPECIALE DEL BLOG


INCONTRO DEL SANTO PADRE CON IL CLERO DI BELLUNO-FELTRE E TREVISO AD AURONZO DI CADORE , 24.07.2007

TESTO DELLA CONVERSAZIONE

D. - Santità, sono don Claudio, volevo farle una domanda circa la formazione della coscienza, in particolare riguardo alle giovani generazioni, perché oggi formare una coscienza coerente, una coscienza retta, sembra sempre più difficile. Si scambia il bene e il male con il sentirsi bene e il sentirsi male, l’aspetto più emotivo. Allora volevo avere qualche consiglio da parte sua. Grazie...

R. – Eccellenze, cari fratelli, innanzitutto vorrei esprimervi la mia gioia e la mia gratitudine per questo bell’incontro. Ringrazio i due Vescovi, Sua Eccellenza Andrich e Sua Eccellenza Mazzocato, per quest’invito. A tutti voi che siete venuti così numerosi in tempo di vacanze il mio sentito grazie. Vedere una chiesa piena di sacerdoti è incoraggiante, perché vediamo che i sacerdoti ci sono. La Chiesa vive, anche se i problemi crescono nel nostro tempo e proprio nel nostro Occidente. La Chiesa è sempre viva e con sacerdoti che realmente desiderano annunciare il Regno di Dio, cresce e resiste a queste complicazioni, che vediamo nella nostra situazione culturale di oggi. Adesso, questa prima domanda riflette un poco un problema della situazione culturale in Occidente, perché il concetto di coscienza negli ultimi due secoli si è trasformato profondamente. Oggi prevale l’idea che razionale, che parte della ragione, sarebbe solo quanto è quantificabile. Le altre cose, cioè le materie della religione e della morale, non entrerebbero nella ragione comune, perché non verificabili, o, come si dice, non falsificabili nell’esperimento. In questa situazione, dove morale e religione sono quasi espulse dalla ragione, l’unico criterio ultimo della moralità e anche della religione è il soggetto, la coscienza soggettiva che non conosce altre istanze. Solo il soggetto, alla fine, con il suo sentimento, le sue esperienze, eventuali criteri che ha trovato, decide. Ma così il soggetto diventa una realtà isolata, e cambiano così, come Lei ha detto, di giorno in giorno, i parametri.

Nella tradizione cristiana "coscienza" vuol dire con-scienza: cioè noi, il nostro essere è aperto, può ascoltare la voce dell’essere stesso, la voce di Dio. La voce, quindi, dei grandi valori è iscritta nel nostro essere e la grandezza dell’uomo è proprio che non è chiuso in sé, non è ridotto alle cose materiali, quantificabili, ma ha un’interiore apertura per le cose essenziali, la possibilità di un ascolto.

Nella profondità del nostro essere possiamo ascoltare non solo i bisogni del momento, non solo le cose materiali, ma ascoltare la voce del Creatore stesso e così si conosce cosa è bene e cosa è male. Ma naturalmente questa capacità di ascolto deve essere educata e sviluppata. E proprio questo è l’impegno dell’annuncio che noi facciamo in Chiesa: sviluppare questa altissima capacità donata da Dio all’uomo di ascoltare la voce della verità e così la voce dei valori. Quindi, direi che un primo passo è di rendere coscienti le persone che la nostra stessa natura porta in sé un messaggio morale, un messaggio divino, che deve essere decifrato e che noi possiamo man mano conoscere meglio, ascoltare, se il nostro ascolto interiore viene aperto e sviluppato. Adesso la questione concreta è come fare questa educazione all’ascolto, come rendere l’uomo capace di questo, nonostante tutte queste sordità moderne, come far sì che ritorni questo ascolto, che sia realmente avvenimento, l’Effatà del Battesimo, l’apertura dei sensi interiori. Io, vedendo la situazione nella quale ci troviamo, proporrei una combinazione tra una via laica e una via religiosa, la via della fede. Tutti vediamo oggi che l’uomo potrebbe distruggere il fondamento della sua esistenza, la sua terra, e quindi che non possiamo più semplicemente fare con questa nostra terra, con la realtà affidataci, quanto vogliamo e quanto appare nel momento utile e promettente, ma dobbiamo rispettare le leggi interiori della creazione, di questa terra, imparare queste leggi e obbedire anche a queste leggi, se vogliamo sopravvivere. Quindi, questa obbedienza alla voce della terra, dell’essere, è più importante per la nostra felicità futura che le voci del momento, i desideri del momento. Insomma, questo è un primo criterio da imparare: che l’essere stesso, la nostra terra, parla con noi e noi dobbiamo ascoltare se vogliamo sopravvivere e decifrare questo messaggio della terra. E se dobbiamo essere obbedienti alla voce della terra, questo vale ancora di più per la voce della vita umana. Non solo dobbiamo curare la terra, ma dobbiamo rispettare l’altro, gli altri. Sia l’altro nella sua singolarità come persona, come mio prossimo, sia gli altri come comunità che vive nel mondo e che deve vivere insieme. E vediamo che solo nel rispetto assoluto di questa creatura di Dio, di questa immagine di Dio che è l’uomo, solo nel rispetto del vivere insieme sulla terra, possiamo andare avanti. E qui arriviamo al punto che abbiamo bisogno delle grandi esperienze morali dell’umanità, che sono esperienze nate dall’incontro con l’altro, con la comunità, l’esperienza che la libertà umana è sempre una libertà condivisa e può funzionare soltanto se condividiamo le nostre libertà nel rispetto di valori che sono comuni per tutti noi. Mi sembra che con questi passi si possa far vedere la necessità di obbedire alla voce dell’essere, di obbedire alla dignità dell’altro, di obbedire alla necessità del vivere insieme le nostre libertà come una libertà, e per tutto questo conoscere il valore che vi è nel permettere una degna comunione di vita tra gli uomini. Così arriviamo, come già detto, alle grandi esperienze dell’umanità, nelle quali si esprime la voce dell’essere, e soprattutto alle esperienze di questo grande pellegrinaggio storico del popolo di Dio, cominciato con Abramo, nel quale troviamo non solo le esperienze umane fondamentali, ma possiamo, tramite queste esperienze, sentire la voce del Creatore stesso che ci ama e che ha parlato con noi. Qui, in questo contesto, rispettando le esperienze umane che ci indicano la strada oggi e domani, mi sembra che i Dieci Comandamenti abbiano sempre un valore prioritario, nel quale vediamo i grandi indicatori di strada.

I Dieci Comandamenti riletti, rivissuti nella luce di Cristo, nella luce della vita della Chiesa e delle sue esperienze, indicano alcuni valori fondamentali ed essenziali: il quarto e il sesto comandamento insieme, indicano l’importanza del nostro corpo, di rispettare le leggi del corpo e della sessualità e dell’amore, il valore dell’amore fedele, la famiglia; il quinto comandamento indica il valore della vita ed anche il valore della vita comune; il settimo comandamento indica il valore della condivisione dei beni della terra e la giusta condivisione di questi beni, l’amministrazione della creazione di Dio; l’ottavo comandamento indica il grande valore della verità. Se, quindi, nel quarto, quinto e sesto comandamento abbiamo l’amore per il prossimo, nel settimo abbiamo la verità.

Tutto questo non funziona senza la comunione con Dio, senza il rispetto di Dio e la presenza di Dio nel mondo. Un mondo dove Dio non c’è diventa in ogni caso un mondo dell’arbitrarietà e dell’egoismo. Solo se appare Dio c’è luce, c’è speranza. La nostra vita ha un senso che non dobbiamo produrre noi, ma che ci precede, ci porta. In questo senso, quindi, direi, prendiamo insieme le vie ovvie che oggi anche la coscienza laica può facilmente vedere, e cerchiamo di guidare così alle voci più profonde, alla voce vera della coscienza, che si comunica nella grande tradizione della preghiera, della vita morale della Chiesa. Così, in un cammino di paziente educazione, possiamo, penso, tutti imparare a vivere e a trovare la vera vita.

D. - Sono don Mauro. Santità, nello svolgimento del nostro ministero pastorale siamo sempre più gravati da molte incombenze. Aumentano gli impegni di gestione amministrativa delle parrocchie, di organizzazione pastorale e di accoglienza delle persone in situazioni difficili. Le chiedo su quali priorità orientare oggi il nostro ministero di sacerdoti e di parroci, per evitare da un lato la frammentarietà e dall’altro la dispersione? Grazie.

R. – E’ una questione molto realistica, è vero. Conosco anch’io un poco questo problema, con tante pratiche che arrivano ogni giorno, con tante udienze necessarie, con tanto da fare. Tuttavia, bisogna trovare le giuste priorità e non dimenticare l’essenziale: l’annuncio del Regno di Dio. Sentendo questa domanda, mi è venuto in mente il Vangelo di due settimane fa sulla missione dei settanta discepoli. Per questa prima grande missione che Gesù fa realizzare, a questi settanta discepoli il Signore dà tre imperativi, che mi sembrano esprimere anche oggi sostanzialmente le grandi priorità del lavoro di un discepolo di Cristo, di un sacerdote.

I tre imperativi sono: pregate, curate e annunciate. Penso che dobbiamo trovare l’equilibrio tra questi tre imperativi essenziali, tenerli sempre presenti come cuore del nostro lavoro.

Pregate: cioè senza una relazione personale con Dio, tutto il resto non può funzionare, perché non possiamo realmente portare Dio e la realtà divina e la vera vita umana alle persone, se noi stessi non viviamo in una relazione profonda, vera, di amicizia con Dio, in Cristo Gesù. Da qui la celebrazione, ogni giorno, della Santa Eucaristia come incontro fondamentale, dove il Signore parla con me ed io con il Signore, che si dà nelle mie mani. Senza la preghiera delle Ore, nella quale entriamo nella grande preghiera di tutto il Popolo di Dio, cominciando con i Salmi del popolo antico rinnovato nella fede della Chiesa, e senza la preghiera personale non possiamo essere buoni sacerdoti, ma si perde la sostanza del nostro ministero. Quindi, essere un uomo di Dio, nel senso di un uomo in amicizia con Cristo e con i suoi santi è il primo imperativo.

C’è poi il secondo. Gesù ha detto: curate gli ammalati, i dispersi, quelli che hanno bisogno. E’ l’amore della Chiesa per chi è emarginato, per chi soffre. Anche le persone ricche possono essere interiormente emarginate e soffrire.

"Curare" si riferisce a tutti i bisogni umani, che sono sempre bisogni che vanno in profondità verso Dio. E’ quindi necessario, come si dice, conoscere le pecorelle, avere relazioni umane con le persone affidateci, avere un contatto umano e non perdere l’umanità, perché Dio si è fatto uomo e ha così confermato tutte le dimensioni del nostro essere umano. Ma, come ho accennato, l’umano e il divino vanno sempre insieme. A questo "curare" nelle sue molteplici forme, appartiene, mi sembra, anche il ministero sacramentale. Il ministero della riconciliazione è un atto di cura straordinario, del quale l’uomo ha bisogno per essere sano fino in fondo. Quindi, queste cure sacramentali, cominciando dal Battesimo, che è il rinnovamento fondamentale della nostra esistenza, passando al Sacramento della riconciliazione e all’unzione degli infermi. Naturalmente in tutti gli altri Sacramenti, anche nell’Eucaristia, c’è una grande cura degli animi. Dobbiamo curare i corpi, ma soprattutto – questo è il nostro mandato - le anime. Dobbiamo pensare alle tante malattie, ai bisogni morali, spirituali che oggi esistono e che dobbiamo affrontare, guidando le persone all’incontro con Cristo nel sacramento, aiutandole a scoprire la preghiera, la meditazione, lo stare in Chiesa silenziosamente con questa presenza di Dio.

E poi annunciare.
Che cosa annunciamo noi? Annunciamo il Regno di Dio. Ma il Regno di Dio non è una lontana utopia di un mondo migliore, che forse si realizzerà tra 50 anni o chissà quando. Il Regno di Dio è Dio stesso, Dio avvicinatosi e divenuto vicinissimo in Cristo. Questo è il Regno di Dio: Dio stesso è vicino e dobbiamo noi avvicinarci a questo Dio che è vicino, perché si è fatto uomo, rimane uomo ed è sempre con noi nella sua Parola, nella Santissima Eucaristia e in tutti i credenti. Quindi, annunciare il Regno di Dio vuol dire parlare di Dio oggi, rendere presente la parola di Dio, il Vangelo che è presenza di Dio e, naturalmente, rendere presente il Dio che si è fatto presente nella sacra Eucaristia. Nell’intreccio di queste tre priorità e naturalmente tenendo conto di tutti gli aspetti umani, dei nostri limiti che dobbiamo riconoscere, possiamo realizzare bene il nostro sacerdozio. E’ importante anche questa umiltà, che riconosce i limiti delle nostre forze. Quanto non possiamo fare, deve fare il Signore. Ed anche la capacità di delegare, di collaborare. Tutto questo sempre con gli imperativi fondamentali del pregare, curare e annunciare.

D. – Mi chiamo don Daniele. Santità, il Veneto è terra di forte immigrazione, con la presenza consistente di persone non cristiane. Tale situazione pone le nostre diocesi di fronte ad un nuovo compito di evangelizzazione al loro interno. Permane, però, una certa fatica, perché dobbiamo conciliare le esigenze dell’annuncio del Vangelo, con quelle di un dialogo rispettoso delle altre religioni. Quali indicazioni pastorali potrebbe offrire? Grazie.

R. – Naturalmente voi siete più vicini a questa situazione. E in questo senso forse non posso dare molti consigli pratici, ma posso dire che in tutte le visite ad Limina, sia dei vescovi asiatici, africani, latino-americani, sia da tutta l’Italia, sono sempre a confronto con queste situazioni. Non esiste più un mondo uniforme. Soprattutto nel nostro Occidente sono presenti tutti gli altri continenti, le altre religioni, gli altri modi di vivere la vita umana. Viviamo un incontro permanente, che forse ci assomiglia alla Chiesa antica, dove si viveva la stessa situazione.

I cristiani erano una piccolissima minoranza, un grano di senape che cominciava a crescere, circondato da diversissime religioni e condizioni di vita. Quindi, dobbiamo reimparare quanto hanno vissuto i cristiani delle prime generazioni.

San Pietro nella sua prima Lettera, al terzo capitolo, ha detto: "Dovete essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi". Così lui ha formulato per l’uomo normale di quel tempo, per il cristiano normale, la necessità di combinare annuncio e dialogo. Non ha detto formalmente: "Annunciate ad ognuno il Vangelo". Ha detto: "Dovete essere capaci, pronti a dare ragione della speranza che è in voi". Mi sembra che questa sia la sintesi necessaria tra dialogo e annuncio. Il primo punto è che in noi stessi debba essere sempre presente la ragione della nostra speranza. Dobbiamo essere persone che vivono la fede e che pensano la fede, la conoscono interiormente. Così in noi stessi la fede diventa ragione, diventa ragionevole. La meditazione del Vangelo e qui l’annuncio, l’omelia, la catechesi, per rendere capaci le persone di pensare la fede, sono già elementi fondamentali in questo intreccio tra dialogo e annuncio. Noi stessi dobbiamo pensare la fede, vivere la fede e come sacerdoti trovare modi diversi per renderla presente, così che i nostri cattolici cristiani possano trovare la convinzione, la prontezza e la capacità di dare ragione della loro fede. Questo annuncio che trasmette la fede nella coscienza di oggi deve avere molteplici forme. Senza dubbio, omelia e catechesi sono due forme principali, ma poi ci sono tanti modi per incontrarsi - seminari della fede, movimenti laicali, ecc. - dove si parla della fede e si impara la fede. Tutto questo ci rende capaci, innanzitutto, di vivere realmente da prossimi dei non cristiani - in prevalenza qui sono cristiani ortodossi, protestanti e poi anche esponenti di altre religioni, i musulmani ed altri. Il primo aspetto è vivere con loro, riconoscendo con loro il prossimo, il nostro prossimo. Vivere, quindi, in prima linea l’amore del prossimo come espressione della nostra fede. Io penso che questa sia già una testimonianza fortissima e anche una forma di annuncio: vivere realmente con questi altri l’amore del prossimo, riconoscere in questi, in loro, il nostro prossimo, così che loro possano vedere: questo "amore del prossimo" è per me. Se succede questo, più facilmente potremo presentare la fonte di questo nostro comportamento, che cioè l’amore del prossimo è espressione della nostra fede. Così nel dialogo non si può subito passare ai grandi misteri della fede, benché i musulmani abbiano una certa conoscenza di Cristo, che nega la sua divinità, ma riconosce in Lui almeno un grande profeta. Hanno amore per la Madonna. Quindi, ci sono elementi comuni anche nella fede, che sono punti di partenza per il dialogo. Una cosa pratica e realizzabile, necessaria, è soprattutto cercare l’intesa fondamentale sui valori da vivere. Anche qui abbiamo un tesoro comune, perché vengono dalla religione abramitica, reinterpretata, rivissuta in modi che sono da studiare, ai quali dobbiamo infine rispondere. Ma la grande esperienza sostanziale, quella dei Dieci Comandamenti, è presente e questo mi sembra il punto da approfondire. Passare ai grandi misteri mi sembra un livello non facile, che non si realizza nei grandi incontri. Il seme deve forse entrare nel cuore, così che la risposta della fede in dialoghi più specifici possa maturare qua e là. Ma ciò che possiamo e dobbiamo fare è cercare il consenso sui valori fondamentali, espressi nei Dieci comandamenti, riassunti nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio, e così interpretabili nei diversi settori della vita. Siamo almeno in un cammino comune verso il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che è finalmente il Dio dal volto umano, il Dio presente in Gesù Cristo. Ma se quest’ultimo passo è da fare piuttosto in incontri intimi, personali o di piccoli gruppi, il cammino verso questo Dio, dal quale vengono questi valori che rendono possibile la vita comune, questo mi sembra sia fattibile anche in incontri più grandi. Quindi, mi sembra che qui si realizzi una forma di annuncio umile, paziente, che aspetta, ma che anche rende già concreto il nostro vivere secondo la coscienza illuminata da Dio.

D. – Sono don Samuele. Abbiamo accolto il suo invito a pregare, a curare e ad annunciare. Ci siamo permessi già di prenderla sul serio nel prenderci cura della sua persona e in una manifestazione di affetto le abbiamo portato qualche bottiglia di sano vino della nostra terra, che le faremo avere attraverso le mani del nostro vescovo. Vengo alla domanda. Assistiamo sempre più ad un ingente incremento di situazioni di persone divorziate che si risposano, convivono e che chiedono una mano per la loro vita spirituale a noi sacerdoti. Sono persone che spesso portano con loro la sofferta domanda di accedere ai sacramenti. Sono realtà che ci chiedono un confronto ed anche una condivisione delle sofferenze che esse comportano. Le chiedo, Santo Padre, con quali atteggiamenti umani, spirituali, pastorali poter mettere insieme misericordia e verità. Grazie.

R. – Sì, è un problema doloroso e la ricetta semplice, che lo risolva, certamente non c’è. Soffriamo tutti di questo problema, perché tutti abbiamo vicino a noi persone in queste situazioni e sappiamo che per loro è un dolore e una sofferenza, perché vogliono stare in piena comunione con la Chiesa. Questo vincolo del matrimonio precedente è un vincolo che riduce la loro partecipazione alla vita della Chiesa.

Cosa fare? Direi: un primo punto sarebbe naturalmente la prevenzione, per quanto possibile. La preparazione al matrimonio, quindi, diventa sempre più fondamentale e necessaria. Il Diritto Canonico suppone che l’uomo come tale, anche senza grande istruzione, intenda fare un matrimonio secondo la natura umana, come indicato nei primi capitoli della Genesi. E’ uomo, ha la natura umana, e quindi sa che cosa sia il matrimonio. Intende fare quanto gli dice la natura umana. Da questa presunzione parte il Diritto Canonico. E’ una cosa che si impone: l’uomo è uomo, la natura è quella e gli dice questo.

Ma oggi questo assioma secondo cui l’uomo intende fare quanto è nella sua natura, un matrimonio unico, fedele, si trasforma in un assioma un po’ diverso. "Volunt contrahere matrimonium sicut ceteri homines". Non è semplicemente più la natura che parla, ma i "ceteri homines", quanto fanno tutti. E quanto fanno oggi tutti non è più semplicemente il matrimonio naturale, secondo il Creatore, secondo la creazione. Ciò che fanno i "ceteri homines" è sposarsi con l’idea che un giorno il matrimonio possa fallire e si possa così passare ad un altro, ad un terzo e ad un quarto matrimonio.

Questo modello "come fanno tutti" diventa così un modello in contrasto con quanto dice la natura. Diventa così normale sposarsi, divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che va contro la natura umana o comunque si trova difficilmente uno che pensi così. Perciò per aiutare ad arrivare realmente al matrimonio, non solo nel senso della Chiesa, ma del Creatore, dobbiamo riparare la capacità di ascoltare la natura. Ritorniamo al primo quesito, alla prima domanda. Riscoprire dietro a ciò che fanno tutti, quanto ci dice la natura stessa, che parla in modo diverso da questa abitudine moderna. Ci invita, infatti, al matrimonio per la vita, in una fedeltà per la vita, anche con le sofferenze del crescere insieme nell’amore. Quindi, questi corsi preparatori al matrimonio dovrebbero essere un riparare la voce della natura, del Creatore, in noi, riscoprire dietro a quanto fanno tutti i "ceteri homines", quanto ci dice intimamente il nostro stesso essere. In questa situazione, quindi, fra quanto fanno tutti e quanto dice il nostro essere, i corsi preparatori devono essere un cammino di riscoperta, per reimparare quanto il nostro essere ci dice, aiutare ad arrivare ad una vera decisione per il matrimonio secondo il Creatore e secondo il Redentore. Quindi, questi corsi preparatori per "imparare se stessi", per imparare la vera volontà matrimoniale, sono di grande importanza. Ma non basta la preparazione, le grandi crisi vengono dopo. Quindi, un permanente accompagnare, almeno nei primi dieci anni, è molto importante. Perciò, in parrocchia, bisogna non solo curare i corsi di preparazione, ma la comunione nel cammino dopo, l’accompagnarsi, l’aiutarsi reciprocamente. Che i sacerdoti, ma non solo, anche le famiglie, che hanno già fatto queste esperienze, che conoscono queste sofferenze, queste tentazioni, siano presenti nei momenti di crisi. E’ importante la presenza di una rete di famiglie che si aiutano e diversi movimenti possono recare un grande contributo. La prima parte della mia risposta vede il prevenire, non solo nel senso di preparare, ma di accompagnare, la presenza di una rete di famiglie che aiuti questa situazione moderna, dove tutto parla contro la fedeltà a vita. Bisogna aiutare a trovare, ad imparare anche con sofferenza, questa fedeltà. In caso, tuttavia, di fallimento, che cioè gli sposi non si mostrino capaci di stare alla prima volontà, c’è sempre la questione se fosse realmente una volontà, nel senso del sacramento. E quindi c’è eventualmente il processo per la dichiarazione di nullità. Se era un vero matrimonio e quindi non possono risposarsi, la permanente presenza della Chiesa aiuta queste persone a sopportare un’altra sofferenza. Nel primo caso, abbiamo la sofferenza di superare questa crisi, di imparare una fedeltà sofferta e matura. Nel secondo caso, abbiamo la sofferenza di stare in un vincolo nuovo, che non è quello sacramentale e che non permette quindi la comunione piena nei sacramenti della Chiesa. Qui, sarebbe da insegnare e da imparare a vivere con questa sofferenza. Ritorneremo, a questo punto, nella prima domanda dell’altra diocesi. Dobbiamo generalmente, nella nostra generazione, nella nostra cultura, riscoprire il valore della sofferenza, imparare che la sofferenza può essere una realtà molto positiva, che ci aiuta a maturare, a divenire più noi stessi, più vicini al Signore che ha sofferto per noi e soffre con noi. Anche in questa seconda situazione, quindi, la presenza del sacerdote, delle famiglie, dei movimenti, la comunione personale e comunitaria in queste situazioni, l’aiuto dell’amore del prossimo, un amore molto specifico, è di grandissima importanza. E penso che solo questo amore sentito della Chiesa, che si realizza in un accompagnamento molteplice, possa aiutare queste persone a riconoscersi amate da Cristo, membri della Chiesa anche se in una situazione difficile, e così vivere la fede.

D. – Santità, io mi chiamo don Saverio e quindi la domanda verte certamente sulle missioni. Ricorrono 50 anni quest’anno dell’Enciclica Fidei donum. Accogliendo l’invito del Papa, molti sacerdoti anche della nostra diocesi ed io compreso hanno vissuto, abbiamo vissuto e stanno vivendo l’esperienza della missione ad gentes. Esperienza, questa, senza dubbio straordinaria e che a mio modesto parere potrebbero vivere tanti preti nell’ottica dello scambio tra Chiese sorelle. Data però la riduzione numerica dei sacerdoti nei nostri Paesi, come l’indicazione dell’Enciclica è ancora attuale oggi e con quale spirito accoglierla e viverla sia da parte dei sacerdoti inviati, sia da parte dell’intera diocesi? Grazie.

R. – Grazie. Vorrei anzitutto dire grazie a tutti questi sacerdoti fidei donum e alle diocesi. Adesso ho avuto, come già accennato, tante visite ad Limina sia dei vescovi dell’Asia, che dell’Africa e dell’America Latina e tutti mi chiedono: "Abbiamo tanto bisogno di sacerdoti fidei donum e siamo gratissimi per il lavoro che fanno, rendendo presente, in situazioni spesso difficilissime, la cattolicità della Chiesa, la visibilità del fatto che siamo una grande comunione, universale e c’è un amore del prossimo lontano che diventa prossimo nella situazione del sacerdote fidei donum. Questo grande dono che è stato realmente fatto in questi 50 anni, lo ho sentito e visto quasi in modo palpabile in tutti i miei dialoghi con i sacerdoti, che ci dicono "non pensate che noi africani adesso siamo semplicemente autosufficienti; abbiamo sempre bisogno della visibilità della grande comunione della Chiesa universale". Direi che noi tutti abbiamo bisogno di questa visibilità dell’essere cattolici, di un amore del prossimo che arriva da lontano e trova così il prossimo. Oggi la situazione è cambiata nel senso che anche noi riceviamo in Europa sacerdoti provenienti dall’Africa, dall’America Latina, da altre parti dell’Europa stessa e questo ci permette di vedere la bellezza di questo scambio dei doni, di questo dono dall’uno all’altro, perché tutti abbiamo bisogno di tutti: proprio così cresce il Corpo di Cristo. Per riassumere, vorrei dire che questo dono era ed è un grande dono, percepito come tale nella Chiesa: in tante situazioni che adesso non posso descrivere, in cui vi sono problemi sociali, problemi di sviluppo, problemi di annuncio della fede, problemi di isolamento, di bisogno della presenza di altri, questi sacerdoti sono un dono nel quale le diocesi e le Chiese particolari riconoscono la presenza di Cristo che si dona per noi e riconoscono al contempo che la Comunione eucaristica non è solo comunione soprannaturale, ma diventa comunione concreta in questo donarsi di sacerdoti diocesani, che si fanno presenti in altre diocesi e che la rete delle Chiese particolari diventa così una rete realmente di amore. Grazie a tutti coloro che hanno fatto questo dono. Io posso soltanto incoraggiare i Vescovi ed i sacerdoti a continuare con questo dono. Io so che adesso, con la mancanza di vocazioni, in Europa diventa sempre più difficile fare questo dono; ma abbiamo già l’esperienza che altri continenti, come l’India e l’Africa soprattutto, ci danno anche da parte loro dei sacerdoti. La reciprocità rimane sempre molto importante e proprio l’esperienza che siamo Chiesa inviata al mondo e che tutti conoscono tutti ed amano tutti è molto necessaria ed è anche la forza dell’annuncio. Così diventa visibile che il grano di senape porta frutto e diventa sempre e di nuovo un grande albero in cui gli uccelli del cielo trovano riposo. Grazie e coraggio.

D. – Don Alberto. Santo Padre, i giovani sono il nostro futuro e la nostra speranza: ma alle volte vedono nella vita non un’opportunità, ma una difficoltà; non un dono per sé e per gli altri, ma un qualcosa da consumare subito; non un progetto da costruire, ma un vagare senza meta. La mentalità di oggi impone ai giovani di essere sempre felici e perfetti, con la conseguenza che ogni piccolo fallimento ed ogni minima difficoltà non sono più visti come motivo di crescita, ma come una sconfitta. Tutto questo li porta spesso a gesti irrimediabili come il suicidio, che provocano una lacerazione nel cuore di coloro che li amano e dell’intera società. Cosa può dire a noi educatori che, spesso, ci sentiamo con le mani legate e senza risposte? Grazie

R. – Lei mi sembra che abbia dato una precisa descrizione di una vita nella quale Dio non appare. In un primo momento sembra che non abbiamo bisogno di Dio, anzi che, senza Dio saremmo più liberi e il mondo sarebbe più ampio. Ma dopo un certo tempo, nelle nostre nuove generazioni, si vede cosa succede, quando Dio scompare. Come Nietzsche ha detto "La grande luce si è spenta, il sole si è spento". La vita allora è una cosa occasionale, diventa una cosa e devo cercare di fare il meglio con questa cosa e usare la vita come fosse una cosa per una felicità immediata, toccabile e realizzabile. Ma il grande problema è che se Dio non c’è e non è il Creatore anche della mia vita, in realtà la vita è un semplice pezzo dell’evoluzione, nient’altro, non ha senso di per sé stessa. Ma io devo invece cercare di mettere senso in questo pezzo di essere. Vedo attualmente in Germania, ma anche negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo e l’evoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono: chi crede nel Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione dovrebbe escludere Dio.

Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale. Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto? e come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo?

Mi sembra molto importante, questo volevo dire anche a Ratisbona nella mia lezione, che la ragione si apra di più, che veda sì questi dati, ma che veda anche che non sono sufficienti per spiegare tutta la realtà. Non è sufficiente, la nostra ragione è più ampia e può vedere anche che la ragione nostra non è in fondo qualcosa di irrazionale, un prodotto della irrazionalità, ma che la ragione precede tutto, la ragione creatrice, e che noi siamo realmente il riflesso della ragione creatrice. Siamo pensati e voluti e, quindi, c’è una idea che mi precede, un senso che mi precede e che devo scoprire, seguire e che dà finalmente significato alla mia vita. Mi sembra questo il primo punto: scoprire che realmente il mio essere è ragionevole, è pensato, ha un senso e la mia grande missione è scoprire questo senso, viverlo e dare così un nuovo elemento alla grande armonia cosmica pensata dal Creatore. Se è così, allora anche gli elementi di difficoltà diventano momenti di maturità, di processo e di progresso del mio stesso essere, che ha senso dal suo concepimento fino all’ultimo momento di vita. Possiamo conoscere questa realtà del senso precedente a tutti noi, possiamo anche riscoprire il senso della sofferenza e del dolore; certamente c’è un dolore che dobbiamo evitare e che dobbiamo allontanare dal mondo: tanti dolori inutili provocati dalle dittature, dai sistemi sbagliati, dall’odio e dalla violenza. Ma c’è anche nel dolore un senso profondo e solo se possiamo dare senso al dolore e alla sofferenza può maturare la nostra vita.

Direi soprattutto che non è possibile l’amore senza il dolore, perché l’amore implica sempre una rinuncia a me, un lasciare me, un accettare l’altro nella sua alterità, implica un dono di me e, quindi, un uscire da me stesso. Tutto questo è dolore, sofferenza, ma proprio in questa sofferenza del perdermi per l’altro, per l’amato e quindi per Dio, divento grande e la mia vita trova l’amore e nell’amore il suo senso.

Anche l’inscindibilità di amore e dolore, di amore e Dio sono elementi che devono entrare nella coscienza moderna per aiutarci a vivere. In questo senso direi che è importante far scoprire ai giovani Dio, far scoprire loro l’amore vero che proprio nella rinuncia diventa grande e così far scoprire loro anche la bontà interiore della sofferenza, che mi rende più libero e più grande. Naturalmente per aiutare i giovani a trovare questi elementi c’è sempre bisogno di compagnia e di commino, sia la parrocchia o l’Azione Cattolica o un Movimento, solo in compagnia con gli altri possiamo anche scoprire nelle nuove generazioni questa grande dimensione del nostro essere.

D. – Sono don Francesco. Santo Padre, mi ha molto colpito una frase che ha scritto nel suo libro "Gesù di Nazaret": "Ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: ‘Dio. Ha portato Dio’". Fin qui la citazione che trovo di una chiarezza e di una verità disarmanti. La domanda è questa: si parla di nuova evangelizzazione, di nuovo annuncio del Vangelo - questa è stata anche la scelta principale del Sinodo della nostra diocesi di Belluno-Feltre – ma cosa fare perché questo Dio, unica ricchezza portata da Gesù e che spesso appare a tanti come avvolto nella nebbia, possa risplendere ancora fra le nostre case e possa essere acqua che disseta anche i tanti che sembrano non avere più sete? Grazie.

R. – Grazie. Domanda fondamentale. La domanda fondamentale del nostro lavoro pastorale è come portare Dio al mondo, ai nostri contemporanei. Evidentemente questo portare Dio è una cosa multidimensionale: già nell’annuncio, nella vita e nella morte di Gesù, vediamo come si sviluppa in tante dimensioni questo Unico. Mi sembra che dobbiamo sempre tenere le due cose: da una parte l’annuncio cristiano, il cristianesimo non è un pacchetto complicatissimo di tanti dogmi, così che nessuno può conoscerli tutti; non è cosa solo per accademici, che possono studiare queste cose, ma è cosa semplice: Dio c’è e Dio è vicino in Gesù Cristo. Così Gesù Cristo stesso ha detto, riassumendo, è arrivato il Regno di Dio. Questo annunciamo. Una cosa, in fondo, semplice. Tutte le dimensioni che poi si mostrano sono dimensioni dell’unica cosa e non tutti devono conoscere tutto, ma certamente devono entrare nell’intimo e nell’essenziale, così si aprono con una sempre crescente gioia anche le diverse dimensioni. Ma adesso come fare in concreto? Mi sembra che, parlando del lavoro pastorale oggi, ne abbiamo già toccato i punti essenziali. Ma per continuare in questo senso, portare Dio implica soprattutto - da una parte - l’amore e - dall’altra - la speranza e la fede. Quindi la dimensione della vita vissuta, la migliore testimonianza per Cristo, il miglior annuncio è sempre la vita di veri cristiani. Se vediamo famiglie nutrite dalla fede come vivono nella gioia, come vivono anche la sofferenza in una profonda e fondamentale gioia, come aiutano gli altri, amando Dio e il prossimo, mi sembra che questo sia oggi l’annuncio più bello. Anche per me l’annuncio più confortante è sempre quello di vedere le famiglie cattoliche o le personalità cattoliche che sono penetrate dalla fede: risplende in loro realmente la presenza di Dio e arriva questa "acqua viva" della quale Lei ha parlato. Quindi l’annuncio fondamentale è proprio quello della vita stessa dei cristiani. Naturalmente c’è poi l’annuncio della Parola. Dobbiamo fare tutto perché la Parola sia ascoltata, sia conosciuta. Oggi ci sono tante scuole della Parola e del colloquio con Dio nella Sacra Scrittura, colloquio che diventa necessariamente anche preghiera, perché uno studio puramente teorico della Sacra Scrittura è un ascolto solo intellettuale e non sarebbe un vero e sufficiente incontro con la Parola di Dio. Se è vero che nella Scrittura e nella Parola di Dio è il Signore Dio Vivente che parla con noi, provoca la risposta e la preghiera, allora le scuole della Scrittura devono essere anche scuole della preghiera, del dialogo con Dio, dell’avvicinarsi intimamente a Dio. Quindi, tutto l’annuncio. Poi naturalmente direi i Sacramenti. Con Dio vengono sempre anche tutti i Santi. E’ importante – questo ci dice la Sacra Scrittura sin dall’inizio – Dio non viene mai da solo, ma viene accompagnato e circondato dagli Angeli e dai Santi. Nella grande vetrata di San Pietro che raffigura lo Spirito Santo mi piace tanto il fatto che Dio è circondato da una folla di angeli e di esseri viventi, che sono espressione e emanazione – per così dire – dell’amore di Dio. Con Dio, con Cristo, con l’uomo che è Dio e con Dio che è uomo, arriva la Madonna. Questo è molto importante. Dio, il Signore, ha una Madre e nella Madre riconosciamo realmente la bontà materna di Dio. La Madonna, la Madre di Dio, è l’ausilio dei cristiani, è la nostra permanente consolazione, è il nostro grande aiuto. Questo lo vedo anche nel dialogo con i vescovi del mondo, dell’Africa ed ultimamente anche dell’America Latina, che l’amore per la Madonna è la grande forza della cattolicità. Nella Madonna riconosciamo tutta la tenerezza di Dio e, quindi, coltivare e vivere questo gioioso amore della Madonna, di Maria, è un dono della cattolicità molto grande. E poi ci sono i Santi, ogni luogo ha il suo Santo. Questo va bene così, perché così vediamo i molteplici colori dell’unica luce di Dio e del suo amore, che si avvicina a noi. Scoprire i Santi nella loro bellezza, nel loro avvicinarsi nella Parola a me, poiché in un determinato Santo, posso trovare tradotta proprio per me la Parola inesauribile di Dio. E poi tutti gli aspetti della vita parrocchiale, anche quelli umani. Non dobbiamo essere sempre nelle nuvole, nelle altissime nuvole del Mistero, dobbiamo essere anche con i piedi per terra e vivere insieme la gioia di essere una grande famiglia: la piccola grande famiglia della parrocchia; la grande famiglia della diocesi, la grande famiglia della Chiesa universale. A Roma posso vedere tutto questo, posso vedere come persone provenienti da tutte le parti della terra e che non si conoscono, in realtà si conoscono, perché sono tutti parte della famiglia di Dio, sono vicini perché hanno tutto: l’amore del Signore, l’amore della Madonna, l’amore dei Santi, la successione apostolica e il successore di Pietro, i vescovi. Direi che questa gioia della cattolicità, con i suoi molteplici colori, è anche la gioia della bellezza. Abbiamo qui la bellezza di un bell’organo; la bellezza di una bellissima chiesa, la bellezza cresciuta nella Chiesa. Mi sembra una meravigliosa testimonianza della presenza e della verità di Dio. La Verità si esprime nella bellezza e dobbiamo essere grati per questa bellezza e cercare di fare tutto il possibile perché rimanga presente, si sviluppi e cresca ancora. Così mi sembra che arrivi Dio, in modo molto concreto, in mezzo a noi.

D. – Sono don Lorenzo, parroco. Santo Padre, dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con Dio. Non sono parole mie, ma di Sua Santità in un intervento al clero. Il mio padre spirituale in seminario, durante quelle faticosissime sedute di direzione spirituale, mi diceva: "Lorenzino, umanamente ci siamo, ma…." e quando diceva "ma" intendeva dire che a me piaceva più giocare al pallone che fare l’adorazione eucaristica. E questo non faceva bene alla mia vocazione, che non era bello contestare le lezioni di morale e di diritto, perché i professori ne sapevano più di me. E con quel "ma" chissà cos’altro voleva intendere. Ora lo penso in cielo e gli dico comunque qualche requiem. Malgrado tutto ciò, sono 34 anni che sono prete e ne sono anche felice: miracoli non ne ho fatti, disastri conosciuti nemmeno, sconosciuti forse. "Umanamente ci siamo", per me è un grande complimento. Ma avvicinare l’uomo a Dio e Dio all’uomo non passa soprattutto attraverso quanto chiamiamo umanità che è irrinunciabile, anche per noi preti?

R. – Grazie.

Direi semplicemente sì a quanto Lei ha detto alla fine. Il cattolicesimo, un po’ semplicisticamente, è stato sempre considerato la religione del grande et et: non di grandi esclusivismi, ma della sintesi. Cattolico vuole dire proprio "sintesi". Perciò sarei contro una alternativa o giocare al pallone o studiare la Sacra Scrittura o il Diritto Canonico. Facciamo ambedue le cose. E’ bello fare lo sport, io non sono un grande sportivo, ma magari andare in montagna mi piaceva quando ero ancora più giovane, adesso faccio solo camminate molto facili, ma sempre trovo molto bello camminare qui in questa bella terra che il Signore ci ha dato. Quindi non possiamo sempre vivere nella meditazione alta, forse un Santo nell’ultimo gradino del suo cammino terrestre può arrivare a questo punto, ma normalmente viviamo con i piedi per terra e gli occhi verso il cielo. Ambedue le cose ci sono date dal Signore e quindi amare le cose umane, amare le bellezze della sua terra non solo è molto umano, ma è anche molto cristiano e proprio cattolico.

Direi che – e mi sembra di averlo già accennato prima – ad una pastorale buona e realmente cattolica appartiene anche questo aspetto: vivere nell’et et; vivere l’umanità e l’umanesimo dell’uomo, tutti i doni che il Signore ci ha dato e che abbiamo sviluppato e, nello stesso tempo, non dimenticare Dio, perché alla fine la luce grande viene da Dio e soltanto da Lui viene poi la luce che dà gioia a tutti questi aspetti delle cose che ci sono. Quindi vorrei semplicemente impegnarmi per la grande sintesi cattolica, per questo "et et"; essere veramente uomo ed ognuno secondo i suoi doni e secondo il suo carisma amare la terra e le belle cose che il Signore ci ha dato, ma essere anche grati perché sulla terra splende la luce di Dio, che dà splendore e bellezza a tutto il resto. Viviamo in questo senso gioiosamente la cattolicità. Questa sarebbe la mia risposta.

(Applausi)

D. – Mi chiamo don Arnaldo. Santo Padre, esigenze pastorali e di ministero, oltre al diminuito numero di sacerdoti, sollecitano i nostri vescovi a rivedere la distribuzione del clero, spesso accumulando impegni e più parrocchie nella stessa persona. Ciò tocca la sensibilità di tante comunità di battezzati e la disponibilità di noi sacerdoti a vivere insieme – preti e laici – il ministero pastorale. Come vivere questo cambiamento di organizzazione pastorale, privilegiando la spiritualità del buon Pastore? Grazie, Santità…

R. – Sì, ritorniamo a questa questione delle priorità pastorali e come oggi fare il parroco. Poco tempo fa, un Vescovo francese, che era religioso e quindi non è stato mai parroco, mi ha detto: "Santità, vorrei che Lei mi chiarisse che cosa è un parroco. Noi in Francia abbiamo queste grandi unità pastorali con 5-6-7 parrocchie e il parroco diventa un coordinatore di organismi, di lavori diversi", ma gli sembrava che, essendo talmente occupato con il coordinamento di questi diversi enti con i quali ha da fare, non avesse più la possibilità dell’incontro personale con le sue pecorelle e lui, essendo Vescovo e quindi un grande parroco, si domandava se questo sistema è giusto o se non dovremmo ritrovare una possibilità affinché il parroco sia realmente parroco e quindi pastore del suo gregge. Naturalmente non potevo immediatamente dare una ricetta per risolvere questa situazione della Francia, ma il problema si pone in generale, che il parroco nonostante nuove situazioni e nuove forme di responsabilità non perda la vicinanza con la gente, l’essere realmente in persona il pastore di questo gregge affidatogli dal Signore. Le situazioni sono diverse: penso ai vescovi nelle loro diocesi con situazioni molto diverse; essi devono vedere bene come assicurare che il parroco rimanga pastore e non diventi un burocrate sacro. In ogni caso mi sembra che una prima opportunità nella quale possiamo essere presenti alle persone affidateci sia proprio la vita sacramentale: nell’Eucaristia siamo insieme e possiamo e dobbiamo incontrarci; il Sacramento della penitenza e della riconciliazione è un incontro personalissimo; così come lo è il Battesimo che è un incontro personale e non solo il momento del conferimento del Sacramento. Questi Sacramenti direi che hanno tutti un contesto: battezzare vuole dire prima catechizzare un po’ questa giovane famiglia, parlare con loro così che il Battesimo sia anche un incontro personale ed un’occasione per una catechesi molto concreta. Così come la preparazione alla Prima Comunione, alla Cresima e al Matrimonio sono sempre occasioni dove realmente il parroco, il sacerdote, in persona incontra le persone; è il predicatore ed è l’amministratore dei Sacramenti in un senso che implica sempre la dimensione umana. Il Sacramento non è mai soltanto un atto rituale, ma l’atto rituale e sacramentale è il condensamento di un contesto umano nel quale si muove il sacerdote, il parroco.
Mi sembra poi molto importante trovare dei sistemi giusti di delega. Non è giusto che il parroco debba fare solo il coordinatore di organismi; egli deve piuttosto delegare in modi diversi e certamente nei Sinodi – e qui in diocesi avete avuto il Sinodo – si trova il modo per poter liberare sufficientemente il parroco, affinché da una parte conservi la responsabilità di questa totalità dell’unità pastorale affidatagli, ma non si riduca sostanzialmente e soprattutto il burocrate che coordina, ma uno che tiene in mano i fili essenziali, ma ha poi dei collaboratori. Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia. Direi quindi che - da una parte - questo coordinamento e questa responsabilità vitale di tutta la parrocchia e – dall’altra parte – la vita sacramentale e di annuncio come centro della vita parrocchiale potrebbero consentire anche oggi, in circostanze certamente più difficili, di essere il parroco che non conosce forse tutti per nome, come il Signore ci dice del Buon Pastore, ma conosce realmente le sue pecorelle ed è realmente il pastore che le chiama e che le guida.

D. – Io ho l’ultima domanda e sarei molto tentato di metterla via, perché si tratta di una domanda piccola e dopo nove volte che vostra Santità ha saputo trovare la strada per parlarci di Dio e portarci molto molto in alto, mi pare quasi banale e povero quello che sto per chiederle, ma ormai lo faccio. Si tratta di una parola per quelli della mia generazione, per noi che ci siamo preparati durante gli anni del Concilio, poi siamo partiti con entusiasmo e forse anche con la pretesa di cambiare il mondo, abbiamo anche lavorato tanto ed oggi siamo un po’ in difficoltà, perché stanchi, perché non si sono realizzati molti sogni ed anche perché ci sentiamo un po’ isolati. I più anziani ci dicono "Vedete che avevamo ragione noi ad essere più prudenti" ed i giovani qualche volta ci trattano da "nostalgici del Concilio". La nostra domanda è questa: "Possiamo ancora portare un dono alla nostra Chiesa, specialmente con quell’attaccamento alla gente che ci sembra ci abbia contraddistinto? Ci aiuti a riprendere speranza e serenità….

R. – Grazie, è una domanda importante e che io conosco molto bene. Anch’io ho vissuto i tempi del Concilio, essendo nella Basilica di San Pietro con grande entusiasmo e vedendo come si aprivano nuove porte e pareva realmente essere la nuova Pentecoste, dove la Chiesa poteva nuovamente convincere l’umanità, dopo l’allontanamento del mondo dalla Chiesa nell’Ottocento e nel Novecento, sembrava si rincontrassero di nuovo Chiesa e mondo e che rinascesse nuovamente un mondo cristiano ed una Chiesa del mondo e veramente aperta al mondo. Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più difficili. Tuttavia rimane la grande eredità del Concilio, che ha aperto una strada nuova, è sempre una magna charta del cammino della Chiesa, molto essenziale e fondamentale.

Ma perché è andata così? Prima vorrei forse cominciare con un’osservazione storica. I tempi di un post-Concilio sono quasi sempre molto difficili. Dopo il grande Concilio di Nicea - che per noi è realmente il fondamento della nostra fede, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea – non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come aveva sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione realmente caotica di lite di tutti contro tutti.

San Basilio nel suo libro sullo Spirito Santo paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea ad una battaglia navale di notte dove nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti.

Era realmente una situazione di caos totale: così descrive con colori forti il dramma del dopo Concilio, del dopo Nicea, San Basilio. Poi 50 anni dopo, per il Concilio primo di Costantinopoli, l’imperatore invita San Gregorio Nazianzeno a partecipare al Concilio e San Gregorio Nazianzeno risponde: No, non vengo, perché io conosco queste cose, so che da tutti i Concili nasce solo confusione e battaglia, quindi non vengo. E non è andato. Quindi non è adesso, in retrospettiva, una sorpresa così grande come era nel primo momento per noi tutti digerire il Concilio, questo grande messaggio. Immetterlo nella vita della Chiesa, riceverlo, così che diventi vita della Chiesa, assimilarlo nelle diverse realtà della Chiesa, è una sofferenza, e solo nella sofferenza si realizza anche la crescita. Crescere è sempre anche soffrire, perché è uscire da uno stato e passare ad un altro. E nel concreto del dopo-Concilio dobbiamo constatare che vi sono due grandi cesure storiche.

Nel dopo-Concilio, la cesura del ‘68, l’inizio o l’esplosione - oserei dire - della grande crisi culturale dell’Occidente. Era finita la generazione del dopoguerra, una generazione che dopo tutte le distruzioni e vedendo l’orrore della guerra, del combattersi e constatando il dramma delle queste grandi ideologie che avevano realmente condotto le persone verso il baratro della guerra, avevamo riscoperto le radici cristiane dell’Europa e avevamo cominciato a ricostruire l’Europa con queste ispirazioni grandi.

Ma finita questa generazione si vedevano anche tutti i fallimenti, le lacune di questa ricostruzione, la grande miseria nel mondo e così comincia, esplode la crisi della cultura occidentale, direi una rivoluzione culturale che vuole cambiare radicalmente. Dice: non abbiamo creato, in duemila anni di cristianesimo, il mondo migliore. Dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo; il marxismo sembra la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo mondo. E in questo – diciamo – grave, grande scontro tra la nuova, sana modernità voluta dal Concilio e la crisi della modernità, diventa tutto difficile come dopo il primo Concilio di Nicea. Una parte era del parere che questa rivoluzione culturale era quanto aveva voluto il Concilio, identificava questa nuova rivoluzione culturale marxista con la volontà del Concilio; diceva: questo è il Concilio.

Nella lettera i testi sono ancora un po’ antiquati, ma dietro le parole scritte sta questo spirito, questo è la volontà del Concilio, così dobbiamo fare. E dall’altra parte, naturalmente, la reazione: così distruggete la Chiesa. La reazione – diciamo – assoluta contro il Concilio, la anti-conciliarità e – diciamo – la timida, umile ricerca di realizzare il vero spirito del Concilio.

E come dice un proverbio "Se cade un albero fa grande rumore, se cresce una selva non si sente niente perché si sviluppa un processo senza rumore" e quindi durante questi grandi rumori del progressismo sbagliato, dell’anti-conciliarismo cresce molto silenziosamente, con tante sofferenze e anche con tante perdite nella costruzione di un nuovo passaggio culturale, il cammino della Chiesa. E poi la seconda cesura nell’89. Il crollo dei regimi comunisti, ma la risposta non fu il ritorno alla fede, come si poteva forse aspettare, non fu la riscoperta che proprio la Chiesa con il Concilio autentico aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo scetticismo totale, la cosiddetta post-modernità. Niente è vero, ognuno deve vedere come vivere, si afferma un materialismo, uno scetticismo pseudo-razionalista cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi problemi che conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché è così semplice, così evidente. No, non c’è nulla di vero. La verità è intollerante, non possiamo prendere questa strada.
Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima, la rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta potremmo dire nel nichilismo dopo l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un modo nuovo imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo. Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo – e aveva pensato al barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa. Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo. Ma l’umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo trionfalismo, dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è sempre umile e proprio così è grande e gioiosa. Mi sembra molto importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti quanto è anche cresciuto di positivo nel dopo Concilio: nel rinnovamento della liturgia, nei Sinodi, Sinodi romani, Sinodi universali, Sinodi diocesani, nelle strutture parrocchiali, nella collaborazione, nella nuova responsabilità dei laici, nella grande corresponsabilità interculturale e intercontinentale, in una nuova esperienza della cattolicità della Chiesa, dell’unanimità che cresce in umiltà e tuttavia è la vera speranza del mondo. E così dobbiamo, mi sembra, riscoprire la grande eredità del Concilio che non è uno spirito ricostruito dietro i testi, ma sono proprio i grandi testi conciliari riletti adesso con le esperienze che abbiamo avuto e che hanno portato frutto in tanti movimenti, tante nuove comunità religiose. In Brasile sono arrivato sapendo come si espandono le sette e come sembra un po’ sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta arrivato ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova comunità religiosa, nasce un nuovo movimento, non solo crescono le sette. Cresce la Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, non così da riempire le statistiche - questa è una speranza falsa, la statistica non è la nostra divinità - ma crescono negli animi e creano la gioia della fede, creano presenza del Vangelo, creano così anche vero sviluppo del mondo e della società. Quindi mi sembra che dobbiamo combinare la grande umiltà del Crocifisso, di una Chiesa che è sempre umile e sempre contrastata dai grandi poteri economici, militari ecc., ma dobbiamo imparare insieme con questa umiltà anche il vero trionfalismo della cattolicità che cresce in tutti i secoli. Cresce anche oggi la presenza del Crocifisso risorto, che ha e conserva le sue ferite; è ferito, ma proprio così rinnova il mondo, dà il suo soffio che rinnova anche la Chiesa nonostante tutta la nostra povertà. E direi, in questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore risorto, che nel Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada, possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza.

© Copyright Libreria Editrice Vaticana 2007

domenica 22 luglio 2007

Il Papa all'Angelus: Se gli uomini vivessero in pace con Dio e tra di loro, la Terra assomiglierebbe veramente a un "paradiso"


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 22.07.2007

Da lunedì 9 luglio, il Santo Padre Benedetto XVI si trova a Lorenzago di Cadore, nelle Dolomiti bellunesi, per un periodo di riposo.

A mezzogiorno di oggi, nella Piazza Calvi di Lorenzago di Cadore, il Santo Padre guida la recita dell’Angelus.

Nell’atto di introdurre la preghiera mariana, il Papa pronuncia le parole che seguono
:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

In questi giorni di riposo che, grazie a Dio, sto trascorrendo qui in Cadore, sento ancor più intensamente l’impatto doloroso delle notizie che mi pervengono circa gli scontri sanguinosi e gli episodi di violenza che si verificano in tante parti del mondo. Questo mi induce a riflettere ancora una volta sul dramma della libertà umana nel mondo. La bellezza della natura ci ricorda che siamo stati posti da Dio a "coltivare e custodire" questo "giardino" che è la Terra (cfr Gn 2,8-17).
Se gli uomini vivessero in pace con Dio e tra di loro, la Terra assomiglierebbe veramente a un "paradiso". Il peccato purtroppo ha rovinato questo progetto divino, generando divisioni e facendo entrare nel mondo la morte. Avviene così che gli uomini cedono alle tentazioni del Maligno e si fanno guerra gli uni gli altri. La conseguenza è che, in questo stupendo "giardino" che è il mondo, si aprono spazi di "inferno".
La guerra, con il suo strascico di lutti e di distruzioni, è da sempre giustamente considerata una calamità che contrasta con il progetto di Dio, il quale ha creato tutto per l’esistenza e, in particolare, vuole fare del genere umano una famiglia. Non posso, in questo momento, non andare col pensiero ad una data significativa: il 1° agosto 1917 – giusto 90 anni or sono – il mio venerato predecessore, Papa Benedetto XV, indirizzò la sua celebre Nota alle potenze belligeranti, domandando che ponessero fine alla prima guerra mondiale (cfr AAS 9 [1917], 417-420).

Mentre imperversava quell’immane conflitto, il Papa ebbe il coraggio di affermare che si trattava di un’"inutile strage". Questa sua espressione si è incisa nella storia. Essa si giustificava nella situazione concreta di quell’estate 1917, specialmente su questo fronte veneto. Ma quelle parole, "inutile strage", contengono anche un valore più ampio, profetico, e si possono applicare a tanti altri conflitti che hanno stroncato innumerevoli vite umane.

Proprio queste terre in cui ci troviamo, che di per se stesse parlano di pace e di armonia, sono state teatro della prima guerra mondiale, come ancora rievocano tante testimonianze ed alcuni commoventi canti degli Alpini. Sono vicende da non dimenticare! Bisogna fare tesoro delle esperienze negative che purtroppo i nostri padri hanno sofferto, per non ripeterle. La Nota del Papa Benedetto XV non si limitava a condannare la guerra; essa indicava, su un piano giuridico, le vie per costruire una pace equa e duratura: la forza morale del diritto, il disarmo bilanciato e controllato, l’arbitrato nelle controversie, la libertà dei mari, il reciproco condono delle spese belliche, la restituzione dei territori occupati ed eque trattative per dirimere le questioni. La proposta della Santa Sede era orientata al futuro dell’Europa e del mondo, secondo un progetto cristiano nell’ispirazione, ma condivisibile da tutti perché fondato sul diritto delle genti. E’ la stessa impostazione che i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno seguito nei loro memorabili discorsi all’Assemblea delle Nazioni Unite, ripetendo, a nome della Chiesa: "Mai più la guerra!".
Da questo luogo di pace, in cui anche più vivamente si avvertono come inaccettabili gli orrori delle "inutili stragi", rinnovo l’appello a perseguire con tenacia la via del diritto, a rifiutare con determinazione la corsa agli armamenti, a respingere più in generale la tentazione di affrontare nuove situazioni con vecchi sistemi.
Con nel cuore questi pensieri e questi auspici, eleviamo ora una speciale preghiera per la pace nel mondo, affidandola a Maria Santissima, Regina della Pace.

DOPO L’ANGELUS

Trovandomi nella Piazza di Lorenzago, desidero rivolgere il mio saluto più cordiale agli abitanti di questo bel paese, che mi hanno accolto con tanto affetto, e ringrazio nuovamente il Sindaco e l’Amministrazione comunale per la solerte ospitalità, come pure le Autorità della Regione Veneto e della Provincia di Belluno e i Sindaci di tutta la zona del Cadore. Saluto il Patriarca di Venezia, Cardinale Angelo Scola, e il Vescovo di Hong Kong, Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, qui presente oggi con noi. Saluto inoltre il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Mons. Angelo Bagnasco, il Vescovo di Belluno-Feltre, Mons. Giuseppe Andrich, il Vescovo di Treviso, Mons. Andrea Bruno Mazzocato, e i rappresentanti delle Associazioni laicali della Diocesi di Belluno-Feltre.
Sono molto lieto che sia presente il Sig. Edoardo Luciani, fratello del Servo di Dio Giovanni Paolo I: a lui rivolgo un particolare saluto.

Accolgo con gioia i villeggianti e i pellegrini, in particolare i Padri della Congregazione delle Scuole di Carità – Istituto Cavanis, che stanno celebrando il Capitolo Generale. Cari Fratelli, vi incoraggio a proseguire con slancio nella vostra missione educativa, per trasmettere alle nuove generazioni solide ragioni di vita e di speranza. Saluto inoltre le Suore Francescane di Cristo Re, i ragazzi di Cesarolo, col Parroco e gli animatori, il Gruppo di giovani dell’unità pastorale di Cappella Maggiore-Anzano-Sarmede, l’Associazione Figli della Chiesa, il Gruppo Folkloristico Danzerini Udinesi e le tante realtà giovanili.

Sehr herzlich grüße ich die deutschsprachigen Urlauber und Besucher, die zum Angelusgebet nach Lorenzago di Cadore gekommen sind. Leib und Seele brauchen Zeiten der Ruhe und der Erholung. Solches Innehalten weitet unseren Blick und macht uns offen für die Begegnung mit Gott und mit den Menschen um uns. Der Herr schenke euch in diesem Sommer eine gute und besinnliche Urlaubszeit und begleite euch stets mit seiner Gnade.

A tutti auguro una buona domenica e un sereno periodo di vacanza.


IL PAPA HA AGGIUNTO, A BRACCIO, ALCUNE PAROLE:

PAPA/ IL 'GRAZIE' AGLI ABITANTI DEL CADORE: SIETE TUTTI BENEDETTINI
Benedetto diceva: Accetta l'ospite come Cristo

Lorenzago di Cadore, 22 lug. (Apcom) - Il Papa ha ringraziato con una battuta gli abitanti di Lorenzago di Cadore in occasione di un Angelus recitato nella piazza centrale. "Mi viene in mente san Benedetto, che diceva: Accetta l'ospite come Cristo. Sembra che siete tutti benedettini per come mi avete accolto", ha detto. Il Papa lascerà le dolomiti del Bellunese venerdì prossimo dopo quasi tre settimane di vacanze.


BENEDETTO XVI SALUTA IL FRATELLO DI ALBINO LUCIANI E AGGIUNGE: GIOVANNI PAOLO I ERA UN MIO GRANDE AMICO!

A questo proposito leggi anche:

Joseph Ratzinger e Albino Luciani

PAROLE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AL TERMINE DELLA PROIEZIONE DEL FILM "PAPA LUCIANI: IL SORRISO DI DIO"

LETTERA DI GIOVANNI PAOLO I AL CARDINALE RATZINGER, ARCIVESCOVO DI MONACO E FRISINGA, LEGATO PONTIFICIO AL CONGRESSO MARIANO IN EQUADOR (in portoghese)

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

sabato 21 luglio 2007

MESSAGGIO DEL PAPA PER LA GMG DI SYDNEY


Vedi anche:

GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU' SYDNEY 2008: LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI, OMELIE E MESSAGGI DEL SANTO PADRE A SYDNEY

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XXIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ , 21.07.2007

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia ai Giovani del Mondo in preparazione alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà a Sydney dal 15 al 20 luglio 2008 sul tema: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,8):

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari giovani!

1. La XXIII Giornata Mondiale della Gioventù

Ricordo sempre con grande gioia i vari momenti trascorsi insieme a Colonia, nell'agosto 2005. Alla fine di quell'indimenticabile manifestazione di fede e di entusiasmo, che resta impressa nel mio spirito e nel mio cuore, vi ho dato appuntamento per il prossimo incontro che si terrà a Sydney, nel 2008.

Sarà la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù ed avrà come tema: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (At 1,8).

Il filo conduttore della preparazione spirituale all'appuntamento di Sydney è lo Spirito Santo e la missione. Se nel 2006 ci siamo soffermati a meditare sullo Spirito Santo come Spirito di verità, nel 2007 cerchiamo di scoprirlo più profondamente quale Spirito d'amore, per incamminarci poi verso la Giornata Mondiale della Gioventù 2008, riflettendo sullo Spirito di fortezza e testimonianza, che ci dona il coraggio di vivere il Vangelo e l'audacia di proclamarlo. Diventa perciò fondamentale che ciascuno di voi giovani, nella sua comunità e con i suoi educatori, possa riflettere su questo Protagonista della storia della salvezza che è lo Spirito Santo o Spirito di Gesù, per raggiungere questi alti scopi: riconoscere la vera identità dello Spirito anzitutto ascoltando la Parola di Dio nella Rivelazione della Bibbia; prendere una lucida coscienza della sua continua, attiva presenza nella vita della Chiesa, in particolare riscoprendo che lo Spirito Santo si pone come "anima", respiro vitale della propria vita cristiana, grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana - Battesimo, Confermazione ed Eucaristia; diventare così capace di maturare una comprensione di Gesù sempre più approfondita e gioiosa e, contemporaneamente, di realizzare un'efficace attuazione del Vangelo all'alba del terzo millennio.

Volentieri con questo messaggio vi offro un tracciato di meditazione da approfondire lungo quest'anno di preparazione, su cui verificare la qualità della vostra fede nello Spirito Santo, ritrovarla se smarrita, rafforzarla se indebolita, gustarla come compagnia del Padre e del Figlio Gesù Cristo, grazie appunto all'opera indispensabile dello Spirito Santo.

Non dimenticate mai che la Chiesa, anzi l'umanità stessa, quella che vi sta attorno e che vi aspetta nel vostro futuro, attende molto da voi giovani perché avete in voi il dono supremo del Padre, lo Spirito di Gesù.

2. La promessa dello Spirito Santo nella Bibbia

L'attento ascolto della Parola di Dio a riguardo del mistero e dell'opera dello Spirito Santo ci apre a conoscenze grandi e stimolanti che riassumo nei punti seguenti.

Poco prima della sua ascensione, Gesù disse ai discepoli: «Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» (Lc 24,49). Ciò si realizzò nel giorno della Pentecoste, quando essi erano riuniti in preghiera nel Cenacolo con la Vergine Maria. L'effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente fu il compimento di una promessa di Dio assai più antica, annunciata e preparata in tutto l'Antico Testamento.

In effetti, fin dalle prime pagine la Bibbia evoca lo spirito di Dio come un soffio che «aleggiava sulle acque» (cfr Gn 1,2) e precisa che Dio soffiò nelle narici dell'uomo un alito di vita (cfr Gn 2,7), infondendogli così la vita stessa. Dopo il peccato originale, lo spirito vivificante di Dio si manifesterà diverse volte nella storia degli uomini, suscitando profeti per incitare il popolo eletto a tornare a Dio e ad osservarne fedelmente i comandamenti. Nella celebre visione del profeta Ezechiele, Dio fa rivivere con il suo spirito il popolo d'Israele, raffigurato da "ossa inaridite" (cfr 37,1-14). Gioele profetizza un’"effusione dello spirito" su tutto il popolo, nessuno escluso: «Dopo questo - scrive l'Autore sacro -, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo... Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito» (3,1-2).

Nella "pienezza del tempo" (cfr Gal 4,4), l'angelo del Signore annuncia alla Vergine di Nazaret che lo Spirito Santo, "potenza dell'Altissimo", scenderà e stenderà su di lei la sua ombra. Colui che ella partorirà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio (cfr Lc 1,35). Secondo l'espressione del profeta Isaia, il Messia sarà colui sul quale si poserà lo Spirito del Signore (cfr 11,1-2; 42,1). Proprio questa profezia Gesù riprese all'inizio del suo ministero pubblico nella sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore - Egli disse fra lo stupore dei presenti - è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr Is 61,1-2). Rivolgendosi ai presenti, riferirà a se stesso queste parole profetiche affermando: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,21). Ed ancora, prima della sua morte in croce, annuncerà più volte ai discepoli la venuta dello Spirito Santo, il "Consolatore", la cui missione sarà quella di rendergli testimonianza e di assistere i credenti, insegnando loro e guidandoli alla Verità tutta intera (cfr Gv 14,16-17.25-26; 15,26; 16,13).

3. La Pentecoste, punto di partenza della missione della Chiesa

La sera del giorno della sua risurrezione Gesù, apparendo ai discepoli, «alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"» (Gv 20,22). Con ancor più forza lo Spirito Santo scese sugli Apostoli il giorno della Pentecoste: «Venne all'improvviso dal cielo un rombo - si legge negli Atti degli Apostoli - come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (2,2-3).

Lo Spirito Santo rinnovò interiormente gli Apostoli, rivestendoli di una forza che li rese audaci nell'annunciare senza paura: «Cristo è morto e risuscitato!». Liberi da ogni timore essi iniziarono a parlare con franchezza (cfr At 2,29; 4,13; 4,29.31). Da pescatori intimoriti erano diventati araldi coraggiosi del Vangelo. Persino i loro nemici non riuscivano a capire come mai uomini «senza istruzione e popolani» (cfr At 4,13) fossero in grado di mostrare un simile coraggio e sopportare le contrarietà, le sofferenze e le persecuzioni con gioia. Niente poteva fermarli. A coloro che cercavano di ridurli al silenzio rispondevano: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (At 4,20). Così nacque la Chiesa, che dal giorno della Pentecoste non ha cessato di irradiare la Buona Novella «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).

4. Lo Spirito Santo, anima della Chiesa e principio di comunione

Ma per comprendere la missione della Chiesa dobbiamo tornare nel Cenacolo dove i discepoli restarono insieme (cfr Lc 24,49), pregando con Maria, la "Madre", in attesa dello Spirito promesso. A quest'icona della Chiesa nascente ogni comunità cristiana deve costantemente ispirarsi. La fecondità apostolica e missionaria non è principalmente il risultato di programmi e metodi pastorali sapientemente elaborati ed "efficienti", ma è frutto dell'incessante preghiera comunitaria (cfr Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, 75). L'efficacia della missione presuppone, inoltre, che le comunità siano unite, abbiano cioè «un cuore solo e un'anima sola» (cfr At 4,32), e siano disposte a testimoniare l'amore e la gioia che lo Spirito Santo infonde nei cuori dei fedeli (cfr At 2,42). Il Servo di Dio Giovanni Paolo II ebbe a scrivere che prima di essere azione, la missione della Chiesa è testimonianza e irradiazione (cfr Enc. Redemptoris missio, 26). Così avveniva all'inizio del cristianesimo, quando i pagani, scrive Tertulliano, si convertivano vedendo l'amore che regnava tra i cristiani: «Vedi - dicono - come si amano tra loro» (cfr Apologetico, 39 § 7).

Concludendo questo rapido sguardo alla Parola di Dio nella Bibbia, vi invito a notare come lo Spirito Santo sia il dono più alto di Dio all'uomo, quindi la testimonianza suprema del suo amore per noi, un amore che si esprime concretamente come "sì alla vita" che Dio vuole per ogni sua creatura. Questo "sì alla vita" ha la sua forma piena in Gesù di Nazaret e nella sua vittoria sul male mediante la redenzione. A questo proposito non dimentichiamo mai che l'Evangelo di Gesù, proprio in forza dello Spirito, non si riduce ad una pura constatazione, ma vuole diventare "bella notizia per i poveri, liberazione per i prigionieri, vista ai ciechi...". E’ quanto si manifestò con vigore il giorno di Pentecoste, diventando grazia e compito della Chiesa verso il mondo, la sua missione prioritaria.

Noi siamo i frutti di questa missione della Chiesa per opera dello Spirito Santo. Noi portiamo dentro di noi quel sigillo dell'amore del Padre in Gesù Cristo che è lo Spirito Santo. Non dimentichiamolo mai, perché lo Spirito del Signore si ricorda sempre di ciascuno e vuole, mediante voi giovani in particolare, suscitare nel mondo il vento e il fuoco di una nuova Pentecoste.

5. Lo Spirito Santo "Maestro interiore"

Cari giovani, anche oggi lo Spirito Santo continua dunque ad agire con potenza nella Chiesa e i suoi frutti sono abbondanti nella misura in cui siamo disposti ad aprirci alla sua forza rinnovatrice. Per questo è importante che ciascuno di noi Lo conosca, entri in rapporto con Lui e da Lui si lasci guidare. Ma a questo punto sorge naturalmente una domanda: chi è per me lo Spirito Santo? Non sono infatti pochi i cristiani per i quali Egli continua ad essere il "grande sconosciuto". Ecco perché, preparandoci alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, ho voluto invitarvi ad approfondire la conoscenza personale dello Spirito Santo. Nella nostra professione di fede proclamiamo: «Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio» (Simbolo di Nicea-Costantinopoli). Sì, lo Spirito Santo, Spirito d'amore del Padre e del Figlio, è Sorgente di vita che ci santifica, «perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Tuttavia non basta conoscerLo; occorre accoglierLo come guida delle nostre anime, come il "Maestro interiore" che ci introduce nel Mistero trinitario, perché Egli solo può aprirci alla fede e permetterci di viverla ogni giorno in pienezza. Egli ci spinge verso gli altri, accende in noi il fuoco dell'amore, ci rende missionari della carità di Dio.

So bene quanto voi giovani portiate nel cuore grande stima ed amore verso Gesù, come desideriate incontrarLo e parlare con Lui. Ebbene ricordatevi che proprio la presenza dello Spirito in noi attesta, costituisce e costruisce la nostra persona sulla Persona stessa di Gesù crocifisso e risorto. Rendiamoci dunque familiari dello Spirito Santo, per esserlo di Gesù.

6. I Sacramenti della Confermazione e dell'Eucaristia

Ma - direte - come possiamo lasciarci rinnovare dallo Spirito Santo e crescere nella nostra vita spirituale? La risposta - lo sapete - è: lo si può per mezzo dei Sacramenti, perché la fede nasce e si irrobustisce in noi grazie ai Sacramenti, innanzitutto a quelli dell'iniziazione cristiana: il Battesimo, la Confermazione e l'Eucaristia, che sono complementari e inscindibili (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1285).

Questa verità sui tre Sacramenti che sono all’inizio del nostro essere cristiani è forse trascurata nella vita di fede di non pochi cristiani, per i quali essi sono gesti compiuti nel passato senza incidenza reale sull’oggi, come radici senza linfa vitale. Avviene che, ricevuta la Confermazione, diversi giovani si allontanano dalla vita di fede. E ci sono anche giovani che nemmeno ricevono questo sacramento. Eppure è con i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e poi, in modo continuativo, dell'Eucaristia che lo Spirito Santo ci rende figli del Padre, fratelli di Gesù, membri della sua Chiesa, capaci di una vera testimonianza al Vangelo, fruitori della gioia della fede.

Vi invito perciò a riflettere su quanto qui vi scrivo. Oggi è particolarmente importante riscoprire il sacramento della Confermazione e ritrovarne il valore per la nostra crescita spirituale. Chi ha ricevuto i sacramenti del Battesimo e della Confermazione ricordi che è diventato "tempio dello Spirito": Dio abita in lui. Sia sempre cosciente di questo e faccia sì che il tesoro che è in lui porti frutti di santità. Chi è battezzato, ma non ha ancora ricevuto il sacramento della Confermazione, si prepari a riceverlo sapendo che così diventerà un cristiano "compiuto", poiché la Confermazione perfeziona la grazia battesimale (cfr CCC, 1302-1304).

La Confermazione ci dona una forza speciale per testimoniare e glorificare Dio con tutta la nostra vita (cfr Rm 12,1); ci rende intimamente consapevoli della nostra appartenenza alla Chiesa, "Corpo di Cristo", del quale tutti siamo membra vive, solidali le une con le altre (cfr 1 Cor 12,12-25). Lasciandosi guidare dallo Spirito, ogni battezzato può apportare il proprio contributo all'edificazione della Chiesa grazie ai carismi che Egli dona, poiché «a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune» (1 Cor 12,7). E quando lo Spirito agisce reca nell'animo i suoi frutti che sono «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). A quanti tra voi non hanno ancora ricevuto il sacramento della Confermazione rivolgo il cordiale invito a prepararsi ad accoglierlo, chiedendo l'aiuto dei loro sacerdoti. E' una speciale occasione di grazia che il Signore vi offre: non lasciatevela sfuggire!

Vorrei qui aggiungere una parola sull'Eucaristia. Per crescere nella vita cristiana, è necessario nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo: infatti, siamo battezzati e confermati in vista dell'Eucaristia (cfr CCC, 1322; Esort. apost. Sacramentum caritatis, 17). "Fonte e culmine" della vita ecclesiale, l'Eucaristia è una "Pentecoste perpetua", poiché ogni volta che celebriamo la Santa Messa riceviamo lo Spirito Santo che ci unisce più profondamente a Cristo e in Lui ci trasforma. Se, cari giovani, parteciperete frequentemente alla Celebrazione eucaristica, se consacrerete un po' del vostro tempo all'adorazione del SS.mo Sacramento, dalla Sorgente dell'amore, che è l'Eucaristia, vi verrà quella gioiosa determinazione di dedicare la vita alla sequela del Vangelo. Sperimenterete al tempo stesso che là dove non arrivano le nostre forze, è lo Spirito Santo a trasformarci, a colmarci della sua forza e a renderci testimoni pieni dell'ardore missionario del Cristo risorto.

7. La necessità e l'urgenza della missione

Molti giovani guardano alla loro vita con apprensione e si pongono tanti interrogativi circa il loro futuro. Essi si chiedono preoccupati: Come inserirsi in un mondo segnato da numerose e gravi ingiustizie e sofferenze? Come reagire all'egoismo e alla violenza che talora sembrano prevalere? Come dare senso pieno alla vita? Come contribuire perché i frutti dello Spirito che abbiamo sopra ricordato, "amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé" (n. 6), inondino questo mondo ferito e fragile, il mondo dei giovani anzitutto? A quali condizioni lo Spirito vivificante della prima creazione e soprattutto della seconda creazione o redenzione può diventare l'anima nuova dell'umanità? Non dimentichiamo che quanto più è grande il dono di Dio - e quello dello Spirito di Gesù è il massimo - altrettanto è grande il bisogno del mondo di riceverlo e dunque grande ed appassionante è la missione della Chiesa di darne testimonianza credibile. E voi giovani, con la Giornata Mondiale della Gioventù, in certo modo attestate la volontà di partecipare a tale missione. A questo proposito, mi preme, cari amici, ricordarvi qui alcune verità di riferimento su cui meditare.

Ancora una volta vi ripeto che solo Cristo può colmare le aspirazioni più intime del cuore dell'uomo; solo Lui è capace di umanizzare l'umanità e condurla alla sua "divinizzazione". Con la potenza del suo Spirito Egli infonde in noi la carità divina, che ci rende capaci di amare il prossimo e pronti a metterci al suo servizio. Lo Spirito Santo illumina, rivelando Cristo crocifisso e risorto, ci indica la via per diventare più simili a Lui, per essere cioè "espressione e strumento dell'amore che da Lui promana" (Enc. Deus caritas est, 33). E chi si lascia guidare dallo Spirito comprende che mettersi al servizio del Vangelo non è un'opzione facoltativa, perché avverte quanto sia urgente trasmettere anche agli altri questa Buona Novella. Tuttavia, occorre ricordarlo ancora, possiamo essere testimoni di Cristo solo se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che è «l'agente principale dell'evangelizzazione» (cfr Evangelii nuntiandi, 75) e «il protagonista della missione» (cfr Redemptoris missio, 21). Cari giovani, come hanno più volte ribadito i miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, annunciare il Vangelo e testimoniare la fede è oggi più che mai necessario (cfr Redemptoris missio, 1). Qualcuno pensa che presentare il tesoro prezioso della fede alle persone che non la condividono significhi essere intolleranti verso di loro, ma non è così, perché proporre Cristo non significa imporlo (cfr Evangelii nuntiandi, 80). Del resto, duemila anni or sono dodici Apostoli hanno dato la vita affinché Cristo fosse conosciuto e amato. Da allora il Vangelo continua nei secoli a diffondersi grazie a uomini e donne animati dallo stesso loro zelo missionario. Pertanto, anche oggi occorrono discepoli di Cristo che non risparmino tempo ed energie per servire il Vangelo. Occorrono giovani che lascino ardere dentro di sé l'amore di Dio e rispondano generosamente al suo appello pressante, come hanno fatto tanti giovani beati e santi del passato e anche di tempi a noi vicini. In particolare, vi assicuro che lo Spirito di Gesù oggi invita voi giovani ad essere portatori della bella notizia di Gesù ai vostri coetanei. L’indubbia fatica degli adulti di incontrare in maniera comprensibile e convincente l'area giovanile può essere un segno con cui lo Spirito intende spingere voi giovani a farvi carico di questo. Voi conoscete le idealità, i linguaggi, ed anche le ferite, le attese, ed insieme la voglia di bene dei vostri coetanei. Si apre il vasto mondo degli affetti, del lavoro, della formazione, dell’attesa, della sofferenza giovanile... Ognuno di voi abbia il coraggio di promettere allo Spirito Santo di portare un giovane a Gesù Cristo, nel modo che ritiene migliore, sapendo "rendere conto della speranza che è in lui, con dolcezza" (cfr 1 Pt 3,15).

Ma per raggiungere questo scopo, cari amici, siate santi, siate missionari, poiché non si può mai separare la santità dalla missione (cfr Redemptoris missio, 90).
Non abbiate paura di diventare santi missionari come san Francesco Saverio, che ha percorso l'Estremo Oriente annunciando la Buona Novella fino allo stremo delle forze, o come santa Teresa del Bambino Gesù, che fu missionaria pur non avendo lasciato il Carmelo: sia l'uno che l'altra sono "Patroni delle Missioni". Siate pronti a porre in gioco la vostra vita per illuminare il mondo con la verità di Cristo; per rispondere con amore all'odio e al disprezzo della vita; per proclamare la speranza di Cristo risorto in ogni angolo della terra.

8. Invocare una "nuova Pentecoste" sul mondo

Cari giovani, vi attendo numerosi nel luglio 2008 a Sydney. Sarà un'occasione provvidenziale per sperimentare appieno la potenza dello Spirito Santo. Venite numerosi, per essere segno di speranza e sostegno prezioso per le comunità della Chiesa in Australia che si preparano ad accogliervi. Per i giovani del Paese che ci ospiterà sarà un'opportunità eccezionale di annunciare la bellezza e la gioia del Vangelo ad una società per molti versi secolarizzata. L'Australia, come tutta l'Oceania, ha bisogno di riscoprire le sue radici cristiane. Nell'Esortazione post-sinodale Ecclesia in Oceania Giovanni Paolo II scriveva: «Con la potenza dello Spirito Santo, la Chiesa in Oceania si sta preparando per una nuova evangelizzazione di popoli che oggi sono affamati di Cristo... La nuova evangelizzazione è una priorità per la Chiesa in Oceania» (n. 18).

Vi invito a dedicare tempo alla preghiera e alla vostra formazione spirituale in quest'ultimo tratto del cammino che ci conduce alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, affinché a Sydney possiate rinnovare le promesse del vostro Battesimo e della vostra Confermazione. Insieme invocheremo lo Spirito Santo, chiedendo con fiducia a Dio il dono di una rinnovata Pentecoste per la Chiesa e per l'umanità del terzo millennio.

Maria, unita in preghiera agli Apostoli nel Cenacolo, vi accompagni durante questi mesi ed ottenga per tutti i giovani cristiani una nuova effusione dello Spirito Santo che ne infiammi i cuori. Ricordate: la Chiesa ha fiducia in voi! Noi Pastori, in particolare, preghiamo perché amiate e facciate amare sempre più Gesù e Lo seguiate fedelmente. Con questi sentimenti vi benedico tutti con grande affetto.

Da Lorenzago, 20 luglio 2007

BENEDICTUS PP. XVI

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