venerdì 18 aprile 2008

Il Papa all'Onu: "La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali"


VIAGGIO APOSTOLICO DEL PAPA NEGLI USA (15-21 APRILE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE NEGLI USA

DISCORSO DEL SANTO PADRE ALLE NAZIONI UNITE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il Papa: "Il personale dell'Onu costituisce un microcosmo del mondo intero, in cui ogni singola persona reca un contributo indispensabile" (Discorso del Santo Padre al personale delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008)

Mons. Celestino Migliore, Osservatore permanente: "La visita del Papa all’ONU avrà un impatto sul diritto internazionale" (Zenit)

Sul valore della dignità umana nel discorso del Papa all'ONU, intervista con Antonio Papisca, titolare della cattedra UNESCO in diritti umani (R.V.)

Benedetto XVI e il suo discorso alle Nazioni Unite: un commento di padre Federico Lombardi (Radio Vaticana)

All'Onu Benedetto XVI ha indicato i fondamenti dei diritti dell'uomo (Osservatore Romano)

Colleen Carroll Campbell: " Mi ha colpito la delicatezza con cui Benedetto XVI ha lanciato il suo messaggio all'Onu, forte e potente" (Simoni)

Una «standing ovation» dell’Assemblea delle Na­zioni Unite per l’ospite Benedetto (Mazza)

Il discorso del Papa all'Onu: la persona umana ha trovato il suo paladino (D'Agostino)

Il fortissimo discorso di Benedetto XVI all'Onu: "Il mondo vuole giustizia" (Bobbio per "Famiglia Cristiana")

IL PAPA ALL'ONU: TE LI DO' IO I DIRITTI UMANI (Il Timone)

Il Papa parla all'Onu di lotta al terrorismo e ai regimi disumani. Poi storica visita in Sinagoga (Galeazzi)

Intervista a Ban Ki-moon in occasione della visita di Benedetto XVI alla sede dell'Onu (Osservatore)

Un’ovazione per il Pontefice che difende i diritti dell’uomo

Il Papa all’Onu: "Diritti umani, arma contro il terrore" (Tornielli)

Il teorico dell'islam Roy critica il discorso del Papa all'Onu ma in realtà gli fa un grande complimento...(Corriere)

La responsabilità di proteggere l'uomo: il commento di Giovanni Maria Vian allo storico discorso del Papa all'Onu (Osservatore)

La lectio del papa all’Onu (Valli)

«Pace e prosperità» ripetuto sei volte E l'Onu applaude (Bobbio)

LE VISITE DI PAOLO VI E GIOVANNI PAOLO II ALL'ONU: DISCORSI

NOTA: i discorsi del Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-moon, e del Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, Srgjan Kerim, sono pubblicati, in questo post, dopo il testo dell'intervento del Santo Padre.

VISITA ALLA SEDE DELL’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE A NEW YORK, 18.04.08

Questa mattina, celebrata la Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Washington, il Santo Padre prende congedo dalla Nunziatura e si trasferisce in auto all’aeroporto della "Andrews Air Force Base" da dove, alle ore 8.45, parte per New York a bordo di un B777 dell’Alitalia.
L’arrivo all’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York è previsto per le 9.45. Il Papa è accolto dall’Arcivescovo di New York, Em.mo Card. Edward Michael Egan; dall’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU, l’Arcivescovo Celestino Migliore; dal Vescovo di Brooklyn, S.E. Mons. Nicholas A. DiMarzio; dal Vescovo di Rockville Center, S.E. Mons. William Francis Murphy; dal Sindaco di New York, Sig. Michael Bloomberg, e da alcune altre Autorità civili.
In elicottero il Santo Padre si trasferisce a Manhattan e dall’eliporto di Wall Street raggiunge in auto la Sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Qui alle 10.45 viene accolto dal Segretario Generale dell’ONU, Sig. Ban Ki-moon e dal Presidente dell’Assemblea Generale, Sig. Kerim Srgjan. Dopo l’incontro privato con il Segretario Generale, il Santo Padre Benedetto XVI incontra i Rappresentanti delle Nazioni nell’Aula dell’Assemblea Generale e pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Presidente, Signore e Signori,

nel dare inizio al mio discorso a questa Assemblea, desidero anzitutto esprimere a Lei, Signor Presidente, la mia sincera gratitudine per le gentili parole a me dirette. Uguale sentimento va anche al Segretario Generale, il Signor Ban Ki-moon, per avermi invitato a visitare gli uffici centrali dell’Organizzazione e per il benvenuto che mi ha rivolto. Saluto gli Ambasciatori e i Diplomatici degli Stati Membri e quanti sono presenti: attraverso di voi, saluto i popoli che qui rappresentate. Essi attendono da questa Istituzione che porti avanti l’ispirazione che ne ha guidato la fondazione, quella di un "centro per l’armonizzazione degli atti delle Nazioni nel perseguimento dei fini comuni", la pace e lo sviluppo (cfr Carta delle Nazioni Unite, art. 1.2-1.4). Come il Papa Giovanni Paolo II disse nel 1995, l’Organizzazione dovrebbe essere "centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una ‘famiglia di nazioni’" (Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 50° anniversario della fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14).

Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso.

I principi fondativi dell’Organizzazione – il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza – esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali.

Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad "un grado superiore di orientamento internazionale" (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli.

Ciò è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.

Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta.

Penso in particolar modo a quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione.

Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana.

Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri. Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale.

Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.

Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell’attività dell’Organizzazione.

Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali.

L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.

Il principio della "responsabilità di proteggere" era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli.

Ora, come allora, tale principio deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà. La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare "un terreno comune", minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.

Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali.

Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà.

Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.

La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto.

La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti.

Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari. La Dichiarazione fu adottata come "comune concezione da perseguire" (preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.

L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo.

Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli.

Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" che tale massima "non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo" (De doctrina christiana, III, 14). Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori.

Signore e Signori,

mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni e si tenta di collegarle a nuovi diritti. Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor più essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtù indispensabile e fruttuosa.

Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona.

D’altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. Ciò fornisce inoltre il contesto proprio per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell’attività umana.

Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari. È proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita.

Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità. D’altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le propri esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione.

Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L’attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione.

È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi – la loro fede – per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale.

In verità, già lo stanno facendo, ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei più poveri e dei più marginalizzati. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto – per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone – privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona.

La mia presenza in questa Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed è intesa quale espressione della speranza che l’Organizzazione possa servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l’umana famiglia. Essa mostra pure la volontà della Chiesa Cattolica di offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza. La Chiesa opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l’attività internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli. Indubbiamente la Santa Sede ha sempre avuto un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando così il proprio carattere specifico quale soggetto nell’ambito internazionale. Come hanno recentemente confermato le Nazioni Unite, la Santa Sede offre così il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento.

Le Nazioni Unite rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa è impegnata a portare la propria esperienza "in umanità", sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti della persona. Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.

Nella mia recente Enciclica "Spe salvi", ho sottolineato "che la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione" (n. 25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall’opera salvifica di Gesù Cristo. Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all’attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo. Cari amici, vi ringrazio per l’odierna opportunità di rivolgermi a voi e prometto il sostegno delle mie preghiere per il proseguimento del vostro nobile compito.

Prima di congedarmi da questa distinta Assemblea, vorrei porgere i miei saluti a tutte le Nazioni qui rappresentate nelle lingue ufficiali, in inglese, in francese, in spagnolo, in arabo, in cinese, in russo:

Pace e prosperità con l’aiuto di Dio!

© Copyright 2008 -- Libreria Editrice Vaticana


Parole al Papa del Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon

In missione nel mondo con un linguaggio di fede

NEW YORK, sabato, 19 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole rivolte al Papa dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon durante la visita di questo venerdì al Palazzo di Vetro.

* * *

Santità,
Eccellenze
,

Le sono profondamente grato, Santità, per aver accettato il mio invito a visitare le Nazioni Unite, dimora di tutti gli uomini e di tutte le donne di fede nel mondo. Santità, benvenuto nella nostra casa comune.
L'Organizzazione delle Nazioni Unite è una istituzione laica, composta da 192 Stati. Abbiamo sei lingue ufficiali, ma nessuna religione. Non possediamo una cappella, sebbene abbiamo una stanza per la meditazione.
Tuttavia, se chiede a noi che lavoriamo per le Nazioni Unite che cos'è che ci motiva, molti rispondono con un linguaggio di fede. Consideriamo ciò che facciamo non solo come un lavoro, ma come una missione. Infatti, missione è la parola che utilizziamo più spesso per la nostra attività nel mondo, da quella relativa alla pace e alla sicurezza a quella legata allo sviluppo dei diritti umani.

Santità, in molti modi la nostra missione ci unisce alla sua.

Ha parlato della terribile sfida della povertà che affligge così tanta parte della popolazione mondiale, e come potremmo restare indifferenti e chiusi in un isolamento egoistico?
Ha incoraggiato la non proliferazione delle armi nucleari ed esortato a un disarmo nucleare progressivo e concordato.
Ha dichiarato che chi ha un potere maggiore non dovrebbe usarlo per violare i diritti degli altri e ha affermato che la pace è basata sul rispetto dei diritti di tutti.
Ha parlato delle risorse idriche e del cambiamento climatico come di questioni di grande importanza per tutta la famiglia umana.
Ha esortato a un dialogo aperto e sincero sia in seno alla Chiesa sia fra le religioni e le culture alla ricerca del bene dell'umanità.
Infine, ha esortato ad avere fiducia nelle Nazioni Unite e impegnarsi con esse. Come ha detto, l'Onu è «capace di promuovere un dialogo e una comprensione autentici, riconciliare opinioni divergenti e sviluppare politiche e strategie multilaterali capaci di affrontare le molteplici sfide del nostro mondo complesso e in rapido cambiamento».

Santità, questi sono gli obiettivi fondamentali che condividiamo. Siamo grati di essere nelle sue preghiere mentre avanziamo lungo il cammino verso la loro realizzazione.
Oggi, prima di lasciare le Nazioni Unite, visiterà la stanza della meditazione. Il mio grande predecessore, Dag Hammarskjöld, che creò questa stanza, disse della pietra che ne costituisce il centro: «Possiamo considerarla un altare, vuoto non perché non ci sia Dio, non perché sia un altare dedicato a un Dio sconosciuto, ma perché sia dedicato al Dio che l'uomo adora con molti nomi e in molte forme».

Eccellenze,

sia che adoriamo un solo Dio, molte divinità o nessuna, noi nelle Nazioni Unite, dobbiamo sostenere e consolidare la nostra fede ogni giorno. Poiché dalla nostra organizzazione ci si aspetta sempre di più, abbiamo bisogno sempre di più di questo prezioso bene.
Sono profondamente grato a Sua Santità Papa Benedetto XVI per averci trasmesso un po' della sua fede e per aver riposto in noi la sua fiducia. Possiede entrambe in abbondanza. Che oggi la sua visita ci rafforzi!

Grazie molte.

[Traduzione de L'Osservatore Romano]

Saluto al Papa del presidente dell'Assemblea generale dell'ONU

NEW YORK, sabato, 19 aprile 2008 (ZENIT.org).- Saluto di benvenuto al Papa a nome dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite da parte del suo presidente, Srgjan Kerim, in occasione della visita di venerdì.

* * *

Santità,
Eccellenze,
Esimi delegati,
Signore e Signori,
Ein herzliches Grüss Gott, Eure Heiligkeit
,

È un immenso onore per me quale presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite porgere il benvenuto al capo della Chiesa cattolica romana, Sua Santità, Papa Benedetto XVI.
La parola ecclesia indica sia un'assemblea sia una chiesa. Quindi, santità, mi permetta di esprimere i miei sinceri sentimenti di apprezzamento a nome dei popoli dell'ecclesia delle Nazioni Unite per lei quale Sommo Pastore di tutti i cattolici.
Il mese di aprile ha un significato straordinario nella sua vita, non solo perché è nato il 16 aprile, ma anche perché è stato nominato cardinale Vescovo di Velletri-Segni il 5 aprile 1993. Inoltre è stato eletto Vescovo di Roma il 19 aprile 2005 e il suo pontificato è cominciato il 24 aprile 2005. Così Santità, buon compleanno e buon anniversario!
Nel suo messaggio al popolo degli Stati Uniti ha definito la sua visita «un gesto fraterno verso ogni comunità ecclesiale e un segno di amicizia per i membri delle tradizioni religiose e per tutti gli uomini e le donne di buona volontà». Oggi la sua presenza qui, Santità, è un riconoscimento molto significativo della validità e dell'importanza di istituzioni internazionali, in particolare delle Nazioni Unite. In un mondo pieno di controversie che possono degenerare nel conflitto, nella violenza e in atrocità, il ruolo delle istituzioni internazionali non ha alternative. Un effettivo multilateralismo rimane il nostro obiettivo per ottenere la pace e la stabilità sulla terra.
Sono profondamente convinto che le Nazioni Unite possano contare sul pieno sostegno del Santo Padre della comunità cattolica, una comunità che conta più di un miliardo di persone, alla promozione di un dialogo profondo fra culture, popoli, nazioni e religioni.
Eccellenze, la visita di Sua Santità Papa Benedetto XVI alle Nazioni Unite è un'occasione unica per ricordarci della nostra nobile missione, così come è stabilita nella Carta: «Riaffermare la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nel pari diritto di uomini e donne e di nazioni, grandi e piccole, di praticare la tolleranza e la convivenza pacifica come buoni vicini». La tolleranza infatti è il fondamento della libertà dell'individuo, inclusa la libertà di fede. Santità, l'essenza del programma delle Nazioni Unite è lo sviluppo per tutti, basato sull'equità e sull'uguaglianza delle persone e sulla cooperazione globale che rende le Nazioni Unite così preziose. Un importante programma di sviluppo basato su nuovi approcci al finanziamento dello sviluppo stesso, sulla protezione ambientale e sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio sarà un'alta priorità per le Nazioni Unite nei prossimi decenni.
Quest'anno si celebra il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'uomo e come lei, Santità, ha giustamente osservato «la necessità di solidarietà globale è più urgente che mai». La Dichiarazione incarna le più alte virtù della famiglia umana e ci sfida a tradurre le principali intenzioni in azioni che promuovano i diritti umani, la sicurezza umana, la responsabilità di proteggere e uno sviluppo più sostenibile. Credo che questi siano i pilastri di un più giusto multilateralismo, di una nuova cultura di rapporti internazionali basata sulla pace e la tolleranza, e con al centro le Nazioni Unite.
La nuova cultura di rapporti internazionali dovrebbe avere come suo principio essenziale la responsabilità di tutti gli Stati, delle istituzioni internazionali e transnazionali così come della società civile e delle Ong, di cooperare in solidarietà per offrire a ogni individuo pari accesso ai diritti e alle opportunità.
Abbiamo l'obbligo morale e istituzionale di plasmare di nuovo le organizzazioni internazionali per agevolare queste opportunità.
A questo proposito, permettetemi di esprimere grande apprezzamento per il contributo prezioso della Santa Sede all'opera dell'Assemblea generale e, in particolare, per l'importante ruolo svolto nella promozione della giustizia sociale, mediante l'offerta di istruzione e di strumenti per alleviare la povertà e la fame nel mondo.

Santità, confidiamo sulla sua benedizione e sul suo sostegno costanti mentre svolgiamo il nostro lavoro.

Grazie per l'attenzione.

[Traduzione de L'Osservatore Romano]

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