7 mesi fa
sabato 12 aprile 2008
Il Papa: "La guerra però non è mai inevitabile e la pace è sempre possibile. Anzi doverosa!"
Vedi anche:
A colloquio con il vescovo Giampaolo Crepaldi: "Un mondo senza armi per un futuro senza guerre" (Osservatore Romano)
Pace e sviluppo dei popoli sono legati al disarmo: l'appello del Papa. Intervista al cardinale Martino (Radio Vaticana)
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDIO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE (VATICANO, 11-12 APRILE 2008), 12.04.2008
Il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato un Messaggio ai partecipanti al Seminario internazionale di studio promosso dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema: "Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale", in corso in Vaticano dall’11 al 12 aprile 2008.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che è stato letto da Mons. Piero Parolin, Sotto-Segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato:
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
Venerato Fratello
Signor Cardinale Renato Raffaele Martino
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
È con vivo compiacimento che invio un cordiale saluto ai partecipanti al Seminario internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema: "Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale", esprimendo vivo apprezzamento per così opportuna iniziativa. A Lei, Signor Cardinale, ed a quanti vi prendono parte assicuro la mia spirituale vicinanza.
L’argomento sul quale intendete riflettere è quanto mai attuale. L’umanità ha raggiunto un formidabile progresso nella scienza e nella tecnica.
L’ingegno umano ha prodotto frutti impensabili solo pochi decenni fa. Al tempo stesso, nel mondo restano aree senza un adeguato livello di sviluppo umano e materiale; non pochi popoli e persone sono privi dei diritti e delle libertà più elementari. Anche nelle regioni del mondo, dove si registra un elevato livello di benessere, sembrano allargarsi sacche di emarginazione e miseria. Il processo mondiale di globalizzazione, se ha aperto nuovi orizzonti, non ha forse ancora apportato i risultati sperati.
E se, dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, la famiglia umana ha dato prova di grande civiltà fondando l’Organizzazione delle Nazioni Unite, oggi la comunità internazionale sembra come smarrita. In diverse aree del mondo insistono tensioni e guerre, ed anche laddove non si vive la tragedia della guerra sono però diffusi sentimenti di paura e di insicurezza. Inoltre, fenomeni come il terrorismo su scala mondiale rendono labile il confine tra la pace e la guerra pregiudicando seriamente la speranza del futuro dell’umanità.
Come rispondere a queste sfide? Come riconoscere i "segni dei tempi"?
Occorre certamente un’azione comune sul piano politico, economico e giuridico, ma, prima ancora, è necessaria una condivisa riflessione sul piano morale e spirituale; appare sempre più urgente promuovere un "nuovo umanesimo", che illumini l’uomo nella comprensione di se stesso e del senso del proprio cammino nella storia. Quanto mai attuale risulta, al riguardo, l’insegnamento del Servo di Dio Papa Paolo VI e la sua proposta di un umanesimo integrale, volto, cioè, "alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo" (Lett. enc. Populorum progressio, 14). Lo sviluppo non può ridursi a semplice crescita economica: esso deve comprendere la dimensione morale e spirituale; un autentico umanesimo integrale non può che essere al tempo stesso solidale e la solidarietà è una delle espressioni più alte dello spirito umano, appartiene ai suoi doveri naturali (cfr Gc 2,15-16) e vale per le persone e per i popoli (Cost. past. Gaudium et spes, 86); dalla sua attuazione dipendono il pieno sviluppo e la pace. L’uomo, infatti, quando persegue il solo benessere materiale restando chiuso nel proprio io, si preclude da se stesso la via verso la piena realizzazione e l’autentica felicità.
In questo vostro seminario voi riflettete su tre elementi tra loro interdipendenti: il disarmo, lo sviluppo e la pace. Non è infatti concepibile una pace autentica e duratura senza lo sviluppo di ogni persona e popolo: diceva Paolo VI che "lo sviluppo è il nuovo nome della pace" (ivi, 87). Né è pensabile una riduzione degli armamenti, se prima non si elimina la violenza alla radice, se prima, cioè, l’uomo non si orienta decisamente alla ricerca della pace, del buono e del giusto. La guerra, come ogni forma di male, trova la sua origine nel cuore dell’uomo (Mt 15,19; Mc 7,20-23). In questo senso, il disarmo non interessa solo gli armamenti degli Stati, ma coinvolge ogni uomo, chiamato a disarmare il proprio cuore e ad essere dappertutto operatore di pace.
Fino a quando sarà presente il rischio di un’offesa, l’armamento degli Stati si renderà necessario per ragioni di legittima difesa, che è un diritto da annoverare tra quelli inalienabili degli Stati, essendo anche connesso al dovere degli stessi Stati di difendere la sicurezza e la pace dei popoli.
Tuttavia, non appare lecito qualsiasi livello di armamento, perchè «ogni Stato può possedere unicamente le armi necessarie per assicurare la propria legittima difesa» (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi, Città del Vaticano, 1994, p. 13). Il mancato rispetto di questo "principio di sufficienza" conduce al paradosso per cui gli Stati minacciano la vita e la pace dei popoli che intendono difendere e gli armamenti, da garanzia della pace, rischiano di divenire una tragica preparazione della guerra.
Esiste poi una stretta relazione tra disarmo e sviluppo. Le ingenti risorse materiali e umane impiegate per le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. E questo va contro quanto afferma la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a "promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti" (art. 26). In effetti, già Paolo VI nel 1964 chiedeva agli Stati di ridurre la spesa militare per gli armamenti, e di creare, con le risorse così risparmiate, un fondo mondiale da destinare a progetti di sviluppo delle persone e dei popoli più poveri e bisognosi (cfr Messaggio al mondo affidato ai giornalisti, 4 dicembre 1964). Quel che però si va registrando è che la produzione e il commercio delle armi sono in continua crescita e vanno assumendo un ruolo trainante nell’economia mondiale. Vi è anzi una tendenza alla sovrapposizione dell’economia civile a quella militare, come dimostra la continua diffusione di beni e conoscenze ad "uso duale", e cioè dal possibile duplice uso, civile e militare. Questo rischio è grave nei settori biologico, chimico e nucleare, nei quali i programmi civili non saranno mai sicuri senza l’abbandono generale e completo dei programmi militari e ostili. Rinnovo pertanto l’appello affinché gli Stati riducano la spesa militare per gli armamenti e prendano in seria considerazione l’idea di creare un fondo mondiale da destinare a progetti di sviluppo pacifico dei popoli.
Esiste ugualmente una stretta relazione tra lo sviluppo e la pace, in un duplice senso. Possono infatti esservi guerre scatenate da gravi violazioni dei diritti umani, dall’ingiustizia e dalla miseria, ma non bisogna trascurare il rischio di vere e proprie "guerre del benessere", cioè causate dalla volontà di espandere o conservare il dominio economico a scapito di altri.
Il semplice benessere materiale, senza un coerente sviluppo morale e spirituale, può accecare talmente l’uomo da spingerlo a uccidere il proprio fratello (cfr Gc 4,1ss.). Oggi, in maniera ancora più urgente che in passato, è necessaria una decisa opzione della comunità internazionale a favore della pace. Sul piano economico, bisogna adoperarsi affinché l’economia venga orientata al servizio della persona umana, alla solidarietà e non solo al profitto. Sul piano giuridico, gli Stati sono chiamati a rinnovare il proprio impegno, in particolare per il rispetto dei trattati internazionali vigenti sul disarmo e il controllo di tutti i tipi di armi, come pure per la ratifica e la conseguente entrata in vigore degli strumenti già adottati, come il Trattato sul divieto generale dei test nucleari, e per il successo dei negoziati attualmente in corso, come quelli sul divieto delle munizioni a grappolo, sul commercio di armi convenzionali o sul materiale fissile. È infine richiesto ogni sforzo contro la proliferazione delle armi leggere e di piccolo calibro, che alimentano le guerre locali e la violenza urbana, e uccidono troppe persone ogni giorno in tutto il mondo.
Tuttavia, sarà difficile trovare una soluzione alle diverse questioni di natura tecnica senza una conversione dell’uomo al bene sul piano culturale, morale e spirituale. Ogni uomo, in qualsiasi condizione, è chiamato a convertirsi al bene e a ricercare la pace, nel proprio cuore, con il prossimo, nel mondo. In questo senso resta sempre valido il magistero del beato Papa Giovanni XXIII, che ha indicato con chiarezza l’obiettivo di un disarmo integrale affermando: "L’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica" (Lett. enc. Pacem in terris, 61). Al tempo stesso, non bisogna trascurare l’effetto che gli armamenti producono sullo stato d’animo e sul comportamento dell’uomo. Le armi infatti tendono ad alimentare a loro volta la violenza.
Questo aspetto è stato colto in maniera assai acuta da Paolo VI nel Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1965. In quella sede, dove anch’io mi accingo a recarmi nei prossimi giorni, egli affermò: "Le armi, quelle terribili, specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei Popoli" (n. 5).
Come più volte è stato ribadito dai miei Predecessori, la pace è un dono di Dio, dono prezioso che va cercato e custodito anche con mezzi umani. Occorre pertanto l’apporto di tutti e si rende sempre più necessaria una corale diffusione della cultura della pace e una condivisa educazione alla pace, soprattutto delle nuove generazioni, verso le quali quelle adulte hanno gravi responsabilità.
Sottolineare il dovere di ogni uomo di costruire la pace, non significa peraltro trascurare l’esistenza di un vero e proprio diritto umano alla pace. Diritto fondamentale e inalienabile, dal quale anzi dipende l’esercizio di tutti gli altri diritti: "È così grande il bene della pace – scriveva sant’Agostino – che, anche negli eventi posti nel divenire di questo mondo, abitualmente nulla si ode di più gradito, nulla si desidera di più attraente, infine nulla si consegue di più bello" (La Città di Dio, XIX, 11).
Signor Cardinale e partecipanti tutti al Seminario, volgendo lo sguardo alle concrete situazioni in cui vive oggi l’umanità si potrebbe essere presi da un giustificato sconforto e da rassegnazione: nelle relazioni internazionali sembrano talvolta prevalere la diffidenza e la solitudine; i popoli si sentono divisi e gli uni contro gli altri.
Una guerra totale, da terribile profezia, rischia di trasformarsi in tragica realtà.
La guerra però non è mai inevitabile e la pace è sempre possibile. Anzi doverosa! È giunto allora il momento di cambiare il corso della storia, di recuperare la fiducia, di coltivare il dialogo, di alimentare la solidarietà.
Questi sono i nobili obiettivi che hanno ispirato i fondatori dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, vera e propria esperienza di amicizia tra i popoli. Dall’impegno di tutti dipende il futuro dell’umanità. Solo perseguendo un umanesimo integrale e solidale, nel cui contesto anche la questione del disarmo assume una natura etica e spirituale, l’umanità potrà camminare verso l’auspicata pace autentica e duratura. Cammino, questo, non certo facile, e soggetto a pericoli, come già trent’anni or sono riconosceva il venerato mio predecessore Paolo VI nel Messaggio alla Prima sessione speciale sul disarmo dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: "Il cammino che deve portare alla costruzione di un nuovo ordine internazionale capace di eliminare le guerre e le loro cause, e di render quindi inutili le armi, non potrà, in ogni caso, essere breve" (n. 6). I credenti trovano sostegno nella Parola di Dio che ci incoraggia alla fede e alla speranza, in vista della pace definitiva del Regno di Dio, dove "misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno" (Sal 84,11). E’ dunque con ardente preghiera che invochiamo da Dio il dono della pace per tutta l’umanità. Con questi sentimenti, rinnovo il mio plauso al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace per avere promosso e organizzato il presente incontro su un tema così delicato ed urgente, assicuro un particolare ricordo nella preghiera per la fruttuosa riuscita dei lavori e di cuore invio a tutti una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 10 Aprile 2008
BENEDICTUS PP. XVI
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