7 mesi fa
domenica 15 giugno 2008
Il Papa a Brindisi: "Gesù non chiamò gli Apostoli perché erano già santi, ma affinché lo diventassero. Come noi. Come tutti i cristiani"
VISITA PASTORALE DEL PAPA A SANTA MARIA DI LEUCA E BRINDISI (14-15 GIUGNO 2008): LO SPECIALE DEL BLOG
DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE A SANTA MARIA DI LEUCA E BRINDISI
VISITA PASTORALE DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A SANTA MARIA DI LEUCA E BRINDISI (14-15 GIUGNO 2008),15.06.2008
CELEBRAZIONE EUCARISTICA ALLA BANCHINA DI SANT’APOLLINARE NEL PORTO DI BRINDISI
Alle ore 9.15 di questa mattina, nella Cappella dell’Episcopio di Brindisi il Papa incontra le Monache di Clausura della diocesi, Benedettine e Carmelitane.
Quindi raggiunge in auto il Porto della città per presiedere, alla Banchina di Sant’Apollinare, la Santa Messa che inizia alle ore 10, introdotta dall’indirizzo di omaggio dell’Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, Mons. Rocco Talucci.
Di seguito riportiamo il testo dell’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai fedeli nel corso della Celebrazione eucaristica:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
al centro di questa mia visita a Brindisi celebriamo, nel Giorno del Signore, il mistero che è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa. Celebriamo Cristo nell’Eucaristia, il dono più grande scaturito dal suo Cuore divino e umano, il Pane della vita spezzato e condiviso, per farci diventare una cosa sola con Lui e tra di noi. Saluto con affetto tutti voi, convenuti in questo luogo così simbolico, il porto, che evoca i viaggi missionari di Pietro e di Paolo. Vedo con gioia tanti giovani, che hanno animato la veglia questa notte, preparandosi alla Celebrazione eucaristica. E saluto anche voi, che partecipate spiritualmente mediante la radio e la televisione. Rivolgo in particolare il mio saluto al Pastore di quest’amata Chiesa, Mons. Rocco Talucci, ringraziandolo per le parole pronunciate all’inizio della santa Messa. Saluto pure gli altri Vescovi della Puglia, che hanno voluto essere qui con noi in fraterna comunione di sentimenti. Sono particolarmente lieto della presenza del Metropolita Gennadios, al quale porgo il mio saluto cordiale estendendolo a tutti i fratelli Ortodossi e delle altre Confessioni, da questa Chiesa di Brindisi che per la sua vocazione ecumenica ci invita a pregare e impegnarci per la piena unità di tutti i cristiani. Saluto con riconoscenza le Autorità civili e militari che partecipano a questa liturgia, augurando ogni bene per il loro servizio. Il mio pensiero affettuoso va quindi ai presbiteri e ai diaconi, alle religiose e ai religiosi e a tutti i fedeli. Un saluto speciale indirizzo ai malati dell’Ospedale e ai detenuti del Carcere, ai quali assicuro il ricordo nella preghiera. Grazia e pace da parte del Signore ad ognuno e a tutta la città di Brindisi!
I testi biblici, che abbiamo ascoltato in questa undicesima Domenica del tempo ordinario, ci aiutano a comprendere la realtà della Chiesa: la prima Lettura (cfr Es 19,2-6a) rievoca l’alleanza stretta presso il monte Sinai, durante l’esodo dall’Egitto; il Vangelo (cfr Mt 9,36–10,8) è costituito dal racconto della chiamata e della missione dei dodici Apostoli.
Troviamo qui presentata la “costituzione” della Chiesa: come non avvertire l’implicito invito rivolto ad ogni Comunità a rinnovarsi nella propria vocazione e nel proprio slancio missionario?
Nella prima Lettura, l’autore sacro narra il patto di Dio con Mosè e con Israele al Sinai. È una delle grandi tappe della storia della salvezza, uno di quei momenti che trascendono la storia stessa, nei quali il confine tra Antico e Nuovo Testamento scompare e si manifesta il perenne disegno del Dio dell’Alleanza: il disegno di salvare tutti gli uomini mediante la santificazione di un popolo, a cui Dio propone di diventare “la sua proprietà tra tutti i popoli” (Es 19,5). In questa prospettiva il popolo è chiamato a diventare una “nazione santa”, non solo in senso morale, ma prima ancora e soprattutto nella sua stessa realtà ontologica, nel suo essere di popolo. In che modo si debba intendere l’identità di questo popolo si è manifestato via via nel corso degli eventi salvifici già nell’Antico Testamento; si è pienamente rivelato poi con la venuta di Gesù Cristo.
Il Vangelo odierno ci presenta un momento decisivo per questa rivelazione. Quando infatti Gesù chiamò i Dodici voleva riferirsi simbolicamente alle tribù d’Israele, risalenti ai dodici figli di Giacobbe. Perciò, ponendo al centro della sua nuova comunità i Dodici, Egli fa capire di essere venuto a portare a compimento il disegno del Padre celeste, anche se solo a Pentecoste apparirà il volto nuovo della Chiesa: quando i Dodici, “pieni di Spirito Santo”, proclameranno il Vangelo parlando tutte le lingue (At 2,3-4). Si manifesterà allora la Chiesa universale, raccolta in un unico Corpo di cui Cristo risorto è il Capo e, al tempo stesso, inviata da Lui a tutte le nazioni, fino agli estremi confini della terra (cfr Mt 28,20).
Lo stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere le cose più grandi in modo povero e umile. La solennità dei racconti di alleanza del Libro dell’Esodo lascia nei Vangeli il posto a gesti umili e discreti, che però contengono un’enorme potenzialità di rinnovamento.
E’ la logica del Regno di Dio, non a caso rappresentata dal piccolo seme che diventa un grande albero (cfr Mt 13,31-32). Il patto del Sinai è accompagnato da segni cosmici che atterriscono gli Israeliti; gli inizi della Chiesa in Galilea sono invece privi di queste manifestazioni, riflettono la mitezza e la compassione del cuore di Cristo, ma preannunciano un’altra lotta, un altro sconvolgimento che è quello suscitato dalle potenze del male. Ai Dodici – l’abbiamo sentito – Egli “diede il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità” (Mt 10,1). I Dodici dovranno cooperare con Gesù nell’instaurare il Regno di Dio, cioè la sua signoria benefica, portatrice di vita, e di vita in abbondanza per l’intera umanità. In sostanza, la Chiesa, come Cristo e insieme con Lui, è chiamata e inviata a instaurare il Regno della vita e a scacciare il dominio della morte, perché trionfi nel mondo la vita di Dio. Trionfi Dio che è Amore.
Quest’opera di Cristo è sempre silenziosa, non è spettacolare; proprio nell’umiltà dell’essere Chiesa, del vivere ogni giorno il Vangelo, cresce il grande albero della vera vita. Proprio con questi inizi umili il Signore ci incoraggia perché, anche nell’umiltà della Chiesa di oggi, nella povertà della nostra vita cristiana, possiamo vedere la sua presenza e avere così il coraggio di andare incontro a Lui e di rendere presente su questa terra il suo amore, questa forza di pace e di vita vera.
Questo è, quindi, il disegno di Dio: diffondere sull’umanità e sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Non è un processo spettacolare; è un processo umile, che tuttavia porta con sé la vera forza del futuro e della storia. Un progetto, quindi, che il Signore vuole attuare nel rispetto della nostra libertà, perché l’amore di sua natura non si può imporre.
La Chiesa è allora, in Cristo, lo spazio di accoglienza e di mediazione dell’amore di Dio. In questa prospettiva appare chiaramente come la santità e la missionarietà della Chiesa costituiscano due facce della stessa medaglia: solo in quanto santa, cioè colma dell’amore divino, la Chiesa può adempiere la sua missione, ed è proprio in funzione di tale compito che Dio l’ha scelta e santificata quale sua proprietà.
Quindi il nostro primo dovere, proprio per sanare questo mondo, è quello di essere santi, conformi a Dio; in questo modo viene da noi una forza santificante e trasformante che agisce anche sugli altri, sulla storia. Sul binomio “santità-missione” - la santità è sempre forza che trasforma gli altri - la vostra Comunità ecclesiale, cari fratelli e sorelle, si sta misurando in questo momento, impegnata com’è nel Sinodo diocesano.
Al riguardo, è utile riflettere che i dodici Apostoli non erano uomini perfetti, scelti per la loro irreprensibilità morale e religiosa. Erano credenti, sì, pieni di entusiasmo e di zelo, ma segnati nello stesso tempo dai loro limiti umani, talora anche gravi. Dunque, Gesù non li chiamò perché erano già santi, completi, perfetti, ma affinché lo diventassero, affinché fossero trasformati per trasformare così anche la storia. Tutto come per noi. Come per tutti i cristiani.
Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato la sintesi dell’apostolo Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8). La Chiesa è la comunità dei peccatori che credono all’amore di Dio e si lasciano trasformare da Lui, e così diventano santi, santificano il mondo.
Nella luce di questa provvidenziale Parola di Dio, ho la gioia quest’oggi di confermare il cammino della vostra Chiesa. E’ un cammino di santità e di missione, sul quale il vostro Arcivescovo vi ha invitato a riflettere nella sua recente Lettera pastorale; è un cammino che egli ha ampiamente verificato nel corso della visita pastorale e che ora intende promuovere mediante il Sinodo diocesano. Il Vangelo di oggi ci suggerisce lo stile della missione, cioè l’atteggiamento interiore che si traduce in vita vissuta. Non può che essere quello di Gesù: lo stile della “compassione”. L’evangelista lo evidenzia attirando l’attenzione sullo sguardo di Cristo verso le folle: “Vedendole – egli scrive – ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9,36). E, dopo la chiamata dei Dodici, ritorna questo atteggiamento nel comando che Egli dà loro di rivolgersi “alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10,6). In queste espressioni si sente l’amore di Cristo per la sua gente, specialmente per i piccoli e i poveri. La compassione cristiana non ha niente a che vedere col pietismo, con l’assistenzialismo. Piuttosto, è sinonimo di solidarietà e di condivisione, ed è animata dalla speranza. Non nasce forse dalla speranza la parola che Gesù dice agli apostoli: “Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino” (Mt 10,7)? E’ speranza, questa, che si fonda sulla venuta di Cristo, e che in ultima analisi coincide con la sua Persona e col suo mistero di salvezza – dov’è Lui è il Regno di Dio, è la novità del mondo -, come bene ricordava nel titolo il quarto Convegno ecclesiale italiano, celebrato a Verona: Cristo risorto è la “speranza del mondo”.
Animati dalla speranza nella quale siete stati salvati, anche voi, fratelli e sorelle di questa antica Chiesa di Brindisi, siate segni e strumenti della compassione, della misericordia di Cristo. Al Vescovo e ai presbiteri ripeto con fervore le parole del Maestro divino: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Questo mandato è rivolto ancora oggi in primo luogo a voi. Lo Spirito che agiva in Cristo e nei Dodici, è lo stesso che opera in voi e che vi permette di compiere tra la vostra gente, in questo territorio, i segni del Regno di amore, di giustizia e di pace che viene, anzi, che è già nel mondo. Ma la missione di Gesù si partecipa in diversi modi a tutti i membri del Popolo di Dio, per la grazia del Battesimo e della Confermazione. Penso alle persone consacrate che professano i voti di povertà, verginità e obbedienza; penso ai coniugi cristiani e a voi, fedeli laici, impegnati nella comunità ecclesiale e nella società sia personalmente che in forma associata. Cari fratelli e sorelle, tutti siete destinatari del desiderio di Gesù di moltiplicare gli operai nella messe del Signore (cfr Mt 9,38). Questo desiderio, che chiede di farsi preghiera, ci fa pensare in primo luogo ai seminaristi e al nuovo Seminario di questa Arcidiocesi; ci fa considerare che la Chiesa è, in senso lato, un grande “seminario”, incominciando dalla famiglia, fino alle comunità parrocchiali, alle associazioni e ai movimenti di impegno apostolico. Tutti, nella varietà dei carismi e dei ministeri, siamo chiamati a lavorare nella vigna del Signore.
Cari fratelli e sorelle di Brindisi, proseguite il cammino intrapreso con questo spirito. Veglino su di voi i vostri Patroni, san Leucio e sant’Oronzo, giunti entrambi nel secondo secolo dall’Oriente per irrigare questa terra con l’acqua viva della Parola di Dio. Le reliquie di san Teodoro d’Amasea, venerate nella Cattedrale di Brindisi, vi ricordino che dare la vita per Cristo è la predica più efficace. San Lorenzo, figlio di questa Città, divenuto, sulle orme di san Francesco d’Assisi, apostolo di pace in un’Europa lacerata da guerre e discordie, vi ottenga il dono di un’autentica fraternità. Tutti vi affido alla protezione della Beata Vergine Maria, Madre della speranza e Stella dell’evangelizzazione. Vi aiuti la Vergine Santa a rimanere nell’amore di Cristo, perché possiate portare frutti abbondanti a gloria di Dio Padre e per la salvezza del mondo. Amen.
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