lunedì 8 settembre 2008

Il Papa ai giovani sardi: "La fede,prima di essere una credenza religiosa,è un modo di vedere la realtà, di pensare, una sensibilità interiore..."


VISITA PASTORALE DEL PAPA A CAGLIARI (7 SETTEMBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL PAPA A CAGLIARI

DISCORSO DEL PAPA AI GIOVANI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

INCONTRO CON I GIOVANI IN PIAZZA YENNE A CAGLIARI, 7 SETTEMBRE 2008

Lasciata la Cattedrale di Cagliari, il Papa si è trasferito in auto a Piazza Yenne dove, alle ore 18.15, ha incontrato i giovani sardi.
Introdotto dai saluti di due rappresentanti dei giovani presenti, il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Prima di rivolgermi a voi, cari giovani, di Cagliari e della Sardegna, ho l’obbligo e il piacere di rivolgere un particolare saluto al Presidente della Regione Sarda, On. Renato Soru, come pure a tutte le Autorità regionali, che con il loro generoso contributo e sostegno hanno permesso la riuscita di questa mia visita pastorale. Grazie, Signor Presidente: i giovani qui presenti ricorderanno questo giorno, essi che sono il domani di questa terra, che Lei con competenza amministra.

E adesso a voi, cari giovani. È una grande gioia per me incontrarvi, al termine di questo breve ma intenso soggiorno nella vostra bella Isola. Vi saluto tutti con affetto e vi ringrazio per questa calorosa accoglienza.

In particolare, ringrazio coloro che, a vostro nome, mi hanno espresso i fervidi sentimenti che vi animano. So che alcuni di voi hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney, e sono certo che hanno tratto giovamento da una così straordinaria esperienza ecclesiale. Come ho potuto vedere io stesso, le Giornate Mondiali della Gioventù costituiscono singolari occasioni pastorali per consentire ai giovani del mondo intero di conoscersi meglio, di condividere insieme la fede e l’amore verso Cristo e la sua Chiesa, di confermare il comune impegno di adoperarsi per costruire un futuro di giustizia e di pace. Abbiamo oggi una Giornata non mondiale, ma sarda, della gioventù. E sperimentiamo la bellezza di essere insieme.

Dunque, veramente vi saluto con affetto, cari ragazzi e ragazze: voi costituite il futuro pieno di speranza di questa Regione, nonostante le difficoltà che conosciamo tutti. Conosco il vostro entusiasmo, i desideri che nutrite e l’impegno che ponete per realizzarli. E non ignoro le difficoltà e i problemi che incontrate.

Penso, ad esempio – e abbiamo sentito di questo - penso alla piaga della disoccupazione e della precarietà del lavoro, che mettono a rischio i vostri progetti; penso all’emigrazione, all’esodo delle forze più fresche ed intraprendenti, con il connesso sradicamento dall’ambiente, che talvolta comporta danni psicologici e morali, prima ancora che sociali.

Cosa dire poi del fatto che nell’attuale società consumistica, il guadagno e il successo sono diventati i nuovi idoli di fronte ai quali tanti si prostrano? La conseguenza è che si è portati a dar valore solo a chi – come si suol dire – “ha fatto fortuna” ed ha una sua “notorietà”, non certo a chi con la vita deve faticosamente combattere ogni giorno.

Il possesso dei beni materiali e l’applauso della gente hanno sostituito quel lavorio su se stessi che serve a temprare lo spirito e a formare una personalità autentica. Si rischia di essere superficiali, di percorrere pericolose scorciatoie alla ricerca del successo, consegnando così la vita ad esperienze che suscitano soddisfazioni immediate, ma sono in se stesse precarie e fallaci. Cresce la tendenza all’individualismo, e quando ci si concentra solo su se stessi si diventa inevitabilmente fragili; viene meno la pazienza dell’ascolto, fase indispensabile per capire l’altro e lavorare insieme.

Il 20 ottobre del 1985, il caro Papa Giovanni Paolo II, incontrando qui a Cagliari i giovani provenienti dall’intera Sardegna, volle proporre tre valori importanti per costruire una società fraterna e solidale. Sono indicazioni quanto mai attuali anche oggi, che volentieri riprendo evidenziando in primo luogo il valore della famiglia, da custodire – disse il Papa - come “antica e sacra eredità”. Tutti voi sperimentate l’importanza della famiglia, in quanto figli e fratelli; ma la capacità di formarne una nuova, non può essere data per scontata. Occorre prepararvisi. In passato la società tradizionale aiutava di più a formare e a custodire una famiglia. Oggi non è più così, oppure lo è “sulla carta”, ma nei fatti domina una mentalità diversa. Sono ammesse altre forme di convivenza; a volte viene usato il termine “famiglia” per unioni che, in realtà, famiglia non sono.
Soprattutto, nel contesto nostro, si è molto ridotta la capacità dei coniugi di difendere l’unità del nucleo familiare a costo anche di grandi sacrifici. Riappropriatevi, cari giovani, del valore della famiglia; amatela non solo per tradizione, ma per una scelta matura e consapevole: amate la vostra famiglia di origine e preparatevi ad amare anche quella che con l’aiuto di Dio voi stessi formerete. Dico: “preparatevi”, perché l’amore vero non si improvvisa.

L’amore è fatto, oltre che di sentimento, di responsabilità, di costanza, e anche di senso del dovere. Tutto questo lo si impara attraverso l’esercizio prolungato delle virtù cristiane della fiducia, della purezza, dell’abbandono alla Provvidenza, della preghiera. In questo impegno di crescita verso un amore maturo vi sosterrà sempre la Comunità cristiana, perché in essa la famiglia trova la sua più alta dignità. Il Concilio Vaticano II la chiama “piccola Chiesa”, perché il matrimonio è un sacramento, cioè un segno santo ed efficace dell’amore che Dio ci dona in Cristo attraverso la Chiesa.

Strettamente connesso a questo primo valore del quale ho voluto parlare è l’altro valore che intendo sottolineare: la seria formazione intellettuale e morale, indispensabile per progettare e costruire il vostro futuro e quello della società. Chi su questo vi fa degli “sconti” non vuole il vostro bene.

Come si potrebbe infatti progettare seriamente il domani, se si trascura il naturale desiderio che è in voi di sapere e di confrontarvi? La crisi di una società inizia quando essa non sa più tramandare il suo patrimonio culturale e i suoi valori fondamentali alle nuove generazioni. Non mi riferisco solo e semplicemente al sistema scolastico. La questione è più ampia. C’è, lo sappiamo, un’emergenza educativa, che per essere affrontata richiede genitori e formatori capaci di condividere quanto di buono e di vero essi hanno sperimentato e approfondito in prima persona. Richiede giovani interiormente aperti, curiosi di imparare e di riportare tutto alle originarie esigenze ed evidenze del cuore. Siate davvero liberi, ossia appassionati della verità. Il Signore Gesù ha detto: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32).

Il nichilismo moderno invece predica l’opposto, che cioè è la libertà a rendervi veri. C’è anzi chi sostiene che non esiste nessuna verità, aprendo così la strada allo svuotamento dei concetti di bene e di male e rendendoli addirittura interscambiabili. Mi hanno detto che nella cultura sarda c’è questo proverbio: “Meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia”.

Un uomo in effetti può sopportare e superare i morsi della fame, ma non può vivere laddove giustizia e verità sono bandite. Il pane materiale non basta, non è sufficiente per vivere umanamente in modo pieno; occorre un altro cibo del quale essere sempre affamati, del quale nutrirsi per la propria crescita personale e per quella della famiglia e della società.

Questo cibo – ed è il terzo grande valore – è una fede sincera e profonda, che diventi sostanza della vostra vita. Quando si smarrisce il senso della presenza e della realtà di Dio, tutto si “appiattisce” e si riduce ad una sola dimensione. Tutto resta “schiacciato” sul piano materiale.

Quando ogni cosa viene considerata soltanto per la sua utilità, non si coglie più l’essenza di ciò che ci circonda, e soprattutto delle persone che incontriamo. Smarrito il mistero di Dio, sparisce anche il mistero di tutto ciò che esiste: le cose e le persone mi interessano nella misura in cui soddisfano i miei bisogni, non per sé stesse. Tutto ciò costituisce un fatto culturale, che si respira fin dalla nascita e che produce effetti interiori permanenti.

La fede, in questo senso, prima di essere una credenza religiosa, è un modo di vedere la realtà, un modo di pensare, una sensibilità interiore che arricchisce l’essere umano come tale. Ebbene, cari amici, Cristo è anche in questo il Maestro, perché ha condiviso in tutto la nostra umanità ed è contemporaneo all’uomo di ogni epoca. Questa realtà tipicamente cristiana è una grazia stupenda!

Stando con Gesù, frequentandoLo come un amico nel Vangelo e nei Sacramenti, voi potete imparare, in modo nuovo, ciò che la società spesso non è più in grado di darvi, cioè il senso religioso. E proprio perché è una cosa nuova, scoprirla è meraviglioso.

Cari giovani, come il giovane Agostino con tutti i suoi problemi sulla sua strada difficile, ognuno di voi sente il richiamo simbolico di ogni creatura verso l’alto; ogni creatura bella rimanda alla bellezza del Creatore, che è come concentrata nel volto di Gesù Cristo.

Quando la sperimenta, l’anima esclama: “Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato!” (Conf. X, 27.38).
Possa ognuno di voi riscoprire Dio quale senso e fondamento di ogni creatura, luce di verità, fiamma di carità, vincolo di unità, come canta l’inno dell’Agorà dei giovani italiani. Siate docili alla forza dello Spirito!

È stato Lui, lo Spirito Santo, il Protagonista della Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney; Egli vi renderà testimoni di Cristo. Non a parole, ma con i fatti, con un nuovo genere di vita. Non avrete più paura di perdere la vostra libertà, perché la vivrete in pienezza donandola per amore. Non sarete più attaccati ai beni materiali, perché sentirete dentro di voi la gioia di condividerli. Non sarete più tristi della tristezza del mondo, ma proverete dolore per il male e gioia per il bene, specialmente per la misericordia ed il perdono.

E se è così, se avrete scoperto realmente Dio nel volto di Cristo, non penserete più alla Chiesa come ad una istituzione esterna a voi, ma come alla vostra famiglia spirituale, come la viviamo adesso, in questo momento. Questa è la fede che vi hanno trasmesso i vostri padri. Questa fede voi siete chiamati a vivere oggi, in tempi ben diversi.

Famiglia, formazione e fede. Ecco, cari giovani di Cagliari e dell’intera Sardegna, anch’io, come Papa Giovanni Paolo II, vi lascio queste tre parole, tre valori da fare vostri con la luce e la forza dello Spirito di Cristo. Nostra Signora di Bonaria, Patrona Massima e dolce Regina dei Sardi, vi guidi, vi protegga e vi accompagni sempre! Con affetto vi benedico, assicurandovi un quotidiano ricordo nella preghiera.

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Concluso l’incontro con i giovani in Piazza Yenne, il Papa ha raggiunto l’aeroporto di Cagliari-Elmas da dove, poco dopo le 19.00, è partito in aereo per tornare a Roma.

Dopo l’arrivo all’aeroporto di Ciampino (Roma), il Santo Padre è rientrato nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo.

Nei saluti di una ragazza e di un ragazzo i problemi del mondo giovanile dell'isola

Un progetto di vita in bilico tra precarietà ed emigrazione

A nome delle migliaia di ragazze e di ragazzi di Cagliari e della Sardegna riuniti in piazza Yenne, i giovani Andreina Pintor e Antonio Cao hanno rivolto al Papa parole di saluto, di cui riportiamo ampi stralci.

Santo Padre,
con tutta l'emozione e con quel pizzico di incredulità proprie dei sogni che inaspettatamente si realizzano, le esprimo l'immensa gioia per il suo arrivo in Sardegna e la profonda gratitudine per l'attenzione che ha scelto di riservarci con la sua presenza.
Ancora più forte è l'emozione perché non solo mia ma di tutti i giovani qui presenti e di quanti non hanno potuto raggiungerci ma ugualmente stanno vivendo con noi questo momento.
Vorremmo condividere con umiltà la fatica della sua missione di Padre della Chiesa in questo tempo agitato da tanti venti che scuotono la barca della nostra fede, spesso nel tentativo di destabilizzarla: noi ci affidiamo a Lei come esperto timoniere capace di guidarci tra flutti tormentati in attesa che si faccia una grande bonaccia.
Noi giovani della Sardegna siamo come la nostra terra: bella e difficile allo stesso tempo.
Cogliamo dal sole che splende alto la passione per la vita ed un caloroso spirito di accoglienza e di ospitalità; dalle acque cristalline del mare la docile solidarietà per i più deboli; dall'austerità degli alberi e degli arbusti radicati su un terreno antico l'attaccamento ai legami familiari ed il leale rispetto delle tradizioni; dalle sfumature del cielo la convinta coscienza che la diversità sia ricchezza e non minaccia; dall'incessante andare e venire delle onde la caparbietà nel raggiungimento degli obiettivi e la voglia di non arrendersi mai.
Ma la nostra isola offre anche terra arida e aspre coste, difficili da vivere come le croci che anche noi giovani portiamo: anni di sacrifici per un posto di lavoro che non arriva mai e che costringe ad abbandonare la casa, la famiglia, gli affetti o - peggio ancora - a vivere nella precarietà e di conseguenza impossibilità a guardare oltre il presente, ad avere aspettative realizzabili, a pianificare un progetto di vita.
Talvolta il mare che ci circonda assume i contorni di una gabbia dorata, isolandoci da un mondo che non è certo più bello del nostro ma che è più grande e perciò può offrire maggiori opportunità: di studio, di lavoro, di scambio... Non tutti i nostri giovani hanno la possibilità di passare oltre questo mare e sono costretti a confrontarsi costantemente con un isolamento che li priva di nuove prospettive.

***

Nel 1998 ero un giovane studente universitario al quarto anno di scienze biologiche. Le fatiche degli esami erano state fino ad allora sostenute dalla mia passione per quelle discipline e dai sacrifici dei miei familiari.
In quell'anno mio padre raggiungeva il traguardo della pensione e per me si prospettò la possibilità di subentrare al suo posto in una raffineria. Data la cronica difficoltà a trovare un posto di lavoro, feci richiesta di assunzione e il colloquio mi fu fissato per il 24 di aprile, la Festa della Madonna di Bonaria. Indossai elmetto tuta e guanti da lavoro cominciando a svolgere la mansione di operaio turnista.
Imparare a fare l'operaio non è stato semplice per chi come me non aveva alcuna esperienza del mondo dell'industria. Però non ho voluto abbandonare gli studi e con essi la speranza di poter un giorno lavorare nel settore in cui sentivo di poter esprimere il meglio delle mie capacità.
Per quattro anni ho portato avanti questo doppio impegno fatto di mattini, pomeriggi e notti passate in impianto a tenere sotto controllo le macchine in marcia, e a svolgere tutta una serie di attività che richiedono una certa perizia ed attenzione da parte di chi vi opera; ed insieme ho continuato a frequentare le lezioni ed a preparare gli esami, fino al tirocinio svolto in laboratorio per il lavoro di tesi. Con quattro anni fuori corso mi sono laureato.
In questa giornata, Santo Padre, le sono state mostrate le meraviglie della nostra Sardegna: una delle maggiori ricchezze è qui dinanzi a Lei, sono i giovani sardi.
Vorrei dar voce, Santità, a quei giovani che lavorano come operai nel settore industriale, nelle miniere, nell'agricoltura o come pastori; dar voce anche a tanti laureati che fanno fatica a trovare un'occupazione inerente agli studi svolti e alle loro reali capacità, giovani spesso costretti a emigrare per poter valorizzare il loro talento; una partenza forzata che impoverisce la nostra Isola della ricchezza più preziosa.
Vorrei dar voce anche ai giovani disoccupati e coloro che non prevedendo una prospettiva di lavoro sono demotivati e lasciano i loro studi.

***

Sopra qualsiasi difficoltà splende sempre più in alto il sole della Speranza e noi, coscienti che nella speranza siamo stati salvati, troviamo conforto nelle sue stesse parole che ci ricordano che questa speranza è affidabile e che il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è cosi grande da giustificare la fatica del cammino.

(©L'Osservatore Romano - 8-9 settembre 2008)

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