sabato 13 settembre 2008

Il Papa a Parigi: "Mai Dio domanda all’uomo di fare sacrificio della sua ragione! Mai la ragione entra in contraddizione reale con la fede!"


VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA (12-15 SETTEMBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI MESSAGGI ED OMELIE DEL PAPA IN FRANCIA

OMELIA DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

CELEBRAZIONE EUCARISTICA ALL'ESPLANADE DES INVALIDES

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Parigi, sabato 13 settembre 2008

Signor Cardinale Vingt-Trois,
Signori Cardinali e cari Fratelli nell’Episcopato,
fratelli e sorelle in Cristo,


Gesù Cristo ci raccoglie in questo mirabile luogo, nel cuore di Parigi, in questo giorno in cui la Chiesa universale festeggia san Giovanni Crisostomo, uno dei suoi più grandi Dottori, che, con la sua testimonianza di vita e il suo insegnamento, ha mostrato efficacemente ai cristiani la via da seguire.
Saluto con gioia tutte le Autorità che mi hanno accolto in questo nobile città, in modo particolare il Cardinale André Vingt-Trois, che ringrazio per le gentili parole rivoltemi. Saluto anche tutti i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi che mi circondano per la celebrazione del Sacrificio di Cristo. Ringrazio tutte le Personalità, in particolare il Signor Primo Ministro, che hanno voluto essere presenti qui stamane; le assicuro della mia preghiera fervente per il compimento della loro alta missione a servizio dei loro concittadini.

La prima Lettera di san Paolo, indirizzata ai Corinzi, ci fa scoprire, in quest’anno paolino, aperto il 28 giugno scorso, quanto i consigli dati dall’Apostolo restino attuali. “Fuggite l’idolatria” (1 Cor 10, 14), scrive ad una comunità molto segnata dal paganesimo e divisa tra l’adesione alla novità del Vangelo e l’osservanza delle antiche pratiche ereditate dagli avi. Fuggire gli idoli, questo allora voleva dire cessare di onorare le divinità dell’Olimpo, cessare di offrire loro sacrifici cruenti. Fuggire gli idoli, era mettersi alla scuola dei profeti dell’Antico Testamento, che denunciavano la tendenza dello spirito umano a forgiarsi delle false rappresentazioni di Dio. Come dice il Salmo 113 a proposito delle statue degli idoli, esse non sono che “argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano” (vv. 4-5). A parte il popolo d’Israele che aveva ricevuto la rivelazione del Dio unico, il mondo antico era asservito al culto degli idoli. Molto presenti a Corinto, gli errori del paganesimo dovevano essere denunciati, perché costituivano una potente alienazione e distoglievano l’uomo dal suo vero destino. Essi gli impedivano di riconoscere che Cristo è il solo e vero Salvatore, il solo che indica all’uomo la strada verso Dio.

Questo invito a fuggire gli idoli resta valido anche oggi. Il mondo contemporaneo non si è forse creato i propri idoli? Non ha forse imitato, magari a sua insaputa, i pagani dell’antichità, distogliendo l’uomo dal suo vero fine, dalla felicità di vivere eternamente con Dio? È questa una domanda che ogni uomo, onesto con se stesso, non può non porsi. Che cosa è importante nella mia vita? Che cosa metto io al primo posto?

La parola “idolo” deriva dal greco e significa “immagine”, “figura”, “rappresentazione”, ma anche “spettro”, “fantasma”, “vana apparenza”. L’idolo è un inganno, perché distoglie dalla realtà chi lo serve per confinarlo nel regno dell’apparenza.

Ora, non è questa una tentazione propria della nostra epoca, che è la sola sulla quale noi possiamo agire efficacemente? Tentazione d’idolatrare un passato che non esiste più, dimenticandone le carenze; tentazione d’idolatrare un futuro che non esiste ancora, credendo che l’uomo, con le sole sue forze, possa realizzare la felicità eterna sulla terra! San Paolo spiega ai Colossesi che la cupidigia insaziabile è una idolatria (cfr 3, 5), e ricorda al suo discepolo Timoteo che la brama del denaro è la radice di tutti i mali. Per essercisi abbandonati, precisa, “alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori” (1 Tm 6, 10). Il denaro, la sete dell’avere, del potere e persino del sapere non hanno forse distolto l’uomo dal suo Fine vero, dalla verità su di sé?

Cari fratelli e sorelle, la questione che ci pone la liturgia di questo giorno trova la risposta in questa stessa liturgia, che noi abbiamo ereditato dai nostri Padri nella fede, e in particolare da san Paolo stesso (cfr 1 Cor 11, 23). Nel suo commento a questo testo san Giovanni Crisostomo fa rilevare che san Paolo condanna severamente l’idolatria come una “colpa grave”, uno “scandalo”, una vera “peste” (Omelia 24 sulla Prima Lettera ai Corinzi, 1).

Egli aggiunge immediatamente che questa condanna radicale dell’idolatria non è in alcun caso una condanna della persona dell’idolatra. Mai, nei nostri giudizi, dobbiamo confondere il peccato, che è inaccettabile, e il peccatore del quale non possiamo giudicare lo stato di coscienza e che, in ogni caso, è sempre suscettibile di conversione e di perdono.

San Paolo si appella in questo alla ragione dei suoi lettori: “Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico” (1 Cor 10, 15).

Mai Dio domanda all’uomo di fare sacrificio della sua ragione! Mai la ragione entra in contraddizione reale con la fede! L’unico Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – ha creato la nostra ragione e ci dona la fede, proponendo alla nostra libertà di riceverla come un dono prezioso. È il culto degli idoli che distoglie l’uomo da questa prospettiva, e la ragione stessa può forgiarsi degli idoli.

Domandiamo, dunque, a Dio che ci vede e ci ascolta di aiutarci a purificarci da tutti gli idoli, per accedere alla verità del nostro essere, per accedere alla verità del suo Essere infinito! Come giungere a Dio? Come giungere a trovare o ritrovare Colui che l’uomo cerca nel più profondo di se stesso, pur dimenticandolo così sovente? San Paolo ci domanda di fare uso non solamente della nostra ragione, ma soprattutto della nostra fede per scoprirlo. Ora, che cosa ci dice la fede? Il pane che noi spezziamo è comunione al Corpo di Cristo; il calice di ringraziamento che noi benediciamo è comunione al Sangue di Cristo. Rivelazione straordinaria, che ci viene da Cristo e ci è trasmessa dagli Apostoli e da tutta la Chiesa da quasi duemila anni: Cristo ha istituito il sacramento dell’Eucaristia la sera del Giovedì Santo. Egli ha voluto che il suo sacrificio fosse nuovamente presentato, in modo incruento, ogni volta che un sacerdote ridice le parole della consacrazione sul pane e sul vino. Milioni di volte da venti secoli, nella più umile delle cappelle come nella più grandiosa delle basiliche o delle cattedrali, il Signore risorto si è donato al suo popolo, divenendo così, secondo la formula di sant’Agostino, “più intimo a noi che noi medesimi” (cfr Confess. III, 6.11).

Fratelli e sorelle, circondiamo della più grande venerazione il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore, il Santissimo Sacramento della presenza reale del Signore alla sua Chiesa e all’intera umanità. Non trascuriamo nulla per manifestarGli il nostro rispetto ed il nostro amore! DiamoGli i più grandi segni d’onore! Mediante le nostre parole, i nostri silenzi e i nostri gesti, non accettiamo mai che in noi ed intorno a noi si appanni la fede nel Cristo risorto, presente nell’Eucaristia.
Come dice magnificamente lo stesso san Giovanni Crisostomo: “Passiamo in rassegna gli ineffabili benefici di Dio e tutti i beni di cui Egli ci fa gioire, quando noi gli offriamo questo calice, quando noi ci comunichiamo, ringraziandolo di aver liberato il genere umano dall’errore, di aver avvicinato a sé coloro che se ne erano allontanati, di aver fatto di disperati e di atei di questo mondo un popolo di fratelli, di coeredi del Figlio di Dio” (Omelia 24 sulla Prima Lettera ai Corinzi, 1). In effetti, egli prosegue, “ciò che è nel calice è precisamente ciò che è colato dal suo costato ed è a questo che noi partecipiamo” (ibid.).

Non c’è soltanto partecipazione e condivisione, c’è anche “unione”, egli ci dice. La Messa è il sacrificio d’azione di grazie per eccellenza, quello che ci permette d’unire la nostra azione di grazie a quella del Salvatore, il Figlio eterno del Padre. In se stessa la Messa ci invita anche a fuggire gli idoli, perché, è san Paolo ad insistervi, “non potete bere il calice del Signore ed il calice dei demoni” (1 Cor 10, 21). La Messa ci invita a discernere ciò che, in noi, obbedisce allo Spirito di Dio e ciò che, in noi, resta in ascolto dello spirito del male. Nella Messa noi non vogliamo appartenere che al Cristo e riprendiamo con gratitudine – con “azione di grazie” – il grido del Salmista: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato” (Sal 116, 12). Sì, come rendere grazie al Signore per la vita che Egli mi ha donato? La risposta alla domanda del Salmista si trova nel Salmo stesso, perché la Parola di Dio risponde misericordiosamente essa stessa alle domande che pone. Come rendere grazie al Signore per tutto il bene che Egli ci fa, se non attenendoci alle stesse sue parole: “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” (Sal 116, 13)?

Alzare il calice della salvezza ed invocare il nome del Signore non è forse precisamente il mezzo migliore di “fuggire gli idoli”, come ci chiede san Paolo? Ogni volta che una Messa è celebrata, ogni volta che il Cristo si rende sacramentalmente presente nella sua Chiesa, è l’opera della nostra salvezza che si compie. Celebrare l’Eucaristia significa perciò riconoscere che Dio solo è in grado di donarci la felicità in pienezza, di insegnarci i veri valori, i valori eterni che non conosceranno mai tramonto.

Dio è presente sull’altare, ma Egli è pure presente sull’altare del nostro cuore quando, comunicandoci, noi lo riceviamo nel Sacramento eucaristico. Lui solo ci insegna a fuggire gli idoli, miraggi del pensiero. Ora, cari fratelli e sorelle, chi può elevare il calice della salvezza ed invocare il nome del Signore per conto dell’intero popolo di Dio, se non il sacerdote ordinato per questo scopo dal Vescovo?

Qui, cari abitanti di Parigi e della regione parigina, ma anche voi tutti che siete venuti dall’intera Francia e da altri Paesi confinanti, permettetemi di lanciare un appello pieno di fiducia nella fede e nella generosità dei giovani, che si pongono la domanda sulla vocazione religiosa o sacerdotale: Non abbiate paura! Non abbiate paura di donare la vostra vita a Cristo!

Niente rimpiazzerà mai il ministero dei sacerdoti nella vita della Chiesa. Niente rimpiazzerà mai una Messa per la salvezza del mondo! Cari giovani o meno giovani che mi ascoltate, non lasciate senza risposta la chiamata di Cristo.

San Giovanni Crisostomo, nel suo Trattato sul sacerdozio, ha mostrato quanto la risposta dell’uomo possa essere lenta a venire, ma egli è l’esempio vivente dell’azione di Dio su una libertà umana che si lascia modellare dalla sua grazia. Infine, se riprendiamo le parole che Cristo ci ha lasciato nel suo Vangelo, vedremo che Egli in persona ci ha insegnato a fuggire l’idolatria, invitandoci a costruire la nostra casa “sulla roccia” (Lc 6, 48). Chi è questa roccia, se non Lui stesso? I nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni non acquistano la loro vera dimensione che se le riferiamo al messaggio del Vangelo: “La bocca parla dalla pienezza del cuore” (Lc 6, 45). Quando parliamo, cerchiamo noi il bene del nostro interlocutore? Quando pensiamo, cerchiamo di mettere il nostro pensiero in sintonia con il pensiero di Dio? Quando agiamo, cerchiamo di diffondere l’Amore che ci fa vivere? San Giovanni Crisostomo dice ancora: “Ora, se noi partecipiamo tutti del medesimo pane e se tutti diveniamo questa stessa sostanza, perché non mostriamo la medesima carità? Perché, per la stessa ragione, non diventiamo un unico tutt’uno? … O uomo, è il Cristo che è venuto a cercarti, a cercare te che eri così lontano da lui, per unirsi a te; e tu non ti vuoi unire al tuo fratello?” (Omelia 24 sulla Prima Lettera ai Corinti, 2).

La speranza resterà sempre la più forte! La Chiesa, costruita sulla roccia di Cristo, possiede le promesse della vita eterna non perché i suoi membri siano più santi degli altri uomini, ma perché Cristo ha fatto questa promessa a Pietro: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”(Mt 16, 18). In questa speranza indefettibile nella presenza eterna di Dio in ciascuna delle nostre anime, in questa gioia di sapere che Cristo è con noi fino alla fine dei tempi, in questa forza che lo Spirito Santo dona a tutti gli uomini e a tutte le donne che accettano di lasciarsi afferrare da Lui, io vi affido, cari cristiani di Parigi e di Francia all’azione potente e misericordiosa del Dio d’amore che è morto per noi sulla Croce e risorto vittoriosamente al mattino di Pasqua.

A tutti gli uomini di buona volontà che mi ascoltano, io ridico con san Paolo: Fuggite il culto degli idoli, non smettete di fare il bene! Che Dio nostro Padre vi attragga a sé e faccia brillare su di voi lo splendore della sua gloria! Che il Figlio unico di Dio, nostro Maestro e nostro Fratello, vi riveli la bellezza del suo volto di Risorto! Che lo Spirito Santo vi colmi dei suoi doni e vi dia la gioia di conoscere la pace e la luce della Santissima Trinità, ora e nei secoli dei secoli! Amen.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

L'indirizzo di omaggio del cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, all'inizio della messa

La Francia è un crocevia dove tutti vengono accolti

All'inizio della messa sull'Esplanade des Invalides, nella mattina di sabato 13 settembre, il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, ha rivolto al Papa il seguente indirizzo di omaggio che pubblichiamo in una nostra traduzione italiana.

Santità,

"Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". Mi permetta di darle il benvenuto, questa mattina, con l'aiuto di questo saluto biblico che inserisce la nostra assemblea nella sua dimensione sacramentale e spirituale.
È con immensa gioia e con profonda gratitudine che la accogliamo oggi in questo scenario grandioso dell'Esplanade des Invalides e della piazza Vauban, noi abitanti di Parigi e dell'Ile de France, ma anche rappresentanti di numerose diocesi francesi che hanno percorso, in alcuni casi, un lungo cammino per partecipare questa mattina alla celebrazione che lei presiede.
Tutte le generazioni sono qui rappresentate e lei ritrova l'importante gruppo di giovani ai quali si è rivolto ieri sera, davanti alla cattedrale, e che, questa notte, hanno tracciato nella città addormentata un cammino di luce, segno della speranza che rappresentano la loro fede cristiana e il loro impegno civile.
Come altri paesi dell'Europa occidentale, la Francia, e in particolare Parigi e la sua regione, sono un vero crocevia di popoli e di nazionalità.
Qui, le Chiese cristiane di rito orientale sono ampiamente rappresentate: armeni, ucraini, maroniti, copti, siri, caldei, greco-melchiti, greco cattolici romeni e russi, costituiscono in Francia comunità vive.
Ma qui si ritrovano anche numerosi immigrati dei cinque continenti: europei di diversi Paesi, oceaniani, americani, africani e asiatici riuniti in più di cinquanta comunità nazionali.
Alcuni sono immigrati da diverse generazioni e particolarmente radicati nella nostra società francese, altri sono arrivati più di recente. Molti fra loro hanno dovuto lasciare il proprio Paese, la propria casa e la propria famiglia, cacciati dalla guerra o dalla repressione politica o semplicemente dalla miseria economica.
Le nostre comunità cristiane sono liete di accoglierli e di aiutarli a trovare il proprio posto in mezzo a noi, come hanno il loro posto nella mensa eucaristica. E vogliamo anche che il nostro Paese contribuisca in modo significativo e duraturo allo sviluppo dei loro Paesi di origine e alla loro democratizzazione, in modo che potranno riunirsi alla propria famiglia quando lo desidereranno.
Santità,
siamo lieti che la nostra profonda comunione con lei, e, attraverso di lei, con la Chiesa universale, si esprima e si rafforzi nella stessa professione di fede, si alimenti e si nutra alla mensa comune dove il Signore ci dona la Parola e il Pane di vita e si approfondisca e si sviluppi attraverso i vincoli della carità.
Successore di Pietro, lei presiede alla comunione e alla carità e noi desideriamo manifestare l'unità della nostra Chiesa in comunione con lei in un'unica celebrazione, così come abbiamo "un solo Signore, una sola fede, un solo Dio e Padre".
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!.

(©L'Osservatore Romano - 14 settembre 2008)

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