Visualizzazione post con etichetta commenti. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta commenti. Mostra tutti i post

lunedì 21 gennaio 2008

Sinodo 2008, il Papa: "Tutti hanno il diritto di incontrare Gesù, la Chiesa annunci con coraggio la Parola di Dio"


Vedi anche:

SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO ( 5-26 OTTOBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AI MEMBRI DEL CONSIGLIO ORDINARIO DELLA SEGRETERIA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI

Lunedì, 21 gennaio 2008

Cari e venerati Fratelli nell’Episcopato!

Sono lieto di accogliervi mentre state partecipando alla riunione del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi in preparazione all’Assemblea Generale Ordinaria, convocata dal 5 al 26 ottobre prossimo. Saluto e ringrazio Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale, per le sue cortesi parole; ed estendo poi i sentimenti della mia riconoscenza a tutti i membri sia della Segreteria Generale del Sinodo che del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale. Saluto tutti e ciascuno con sincero affetto.

Nella recente Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana, ho voluto sottolineare il “carattere comunitario della speranza” (n. 14). “L'essere in comunione con Gesù Cristo - ho scritto - ci coinvolge nel suo essere «per tutti», ne fa il nostro modo di essere. Egli ci impegna per gli altri, ma solo nella comunione con Lui diventa possibile esserci veramente per gli altri”, poiché esiste una “connessione tra amore di Dio e responsabilità per gli uomini” (ivi, 28), che permette di non ricadere nell’individualismo della salvezza e della speranza. Credo che si possa scoprire efficacemente applicato questo fecondo principio proprio nell’esperienza sinodale, nella quale l’incontro diventa comunione e la sollecitudine per tutte le Chiese (cfr 2 Cor 11,28) emerge nella preoccupazione di tutti.

La prossima Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi rifletterà su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. I grandi compiti della Comunità ecclesiale nel mondo contemporaneo - tra i tanti, sottolineo l’evangelizzazione e l’ecumenismo - sono incentrati sulla Parola di Dio e nello stesso tempo sono da essa giustificati e sorretti. Come l’attività missionaria della Chiesa con la sua opera evangelizzatrice trova ispirazione e scopo nella rivelazione misericordiosa del Signore, il dialogo ecumenico non può basarsi su parole di sapienza umana (cfr 1 Cor 2,13) o su sagaci espedienti strategici, ma deve essere animato unicamente dal riferimento costante all’originaria Parola, che Dio ha consegnato alla sua Chiesa, perché sia letta, interpretata e vissuta nella sua comunione. In questo ambito, la dottrina di San Paolo rivela una forza tutta speciale, fondata ovviamente sulla rivelazione divina, ma anche sulla sua stessa esperienza apostolica, che gli ha confermato sempre di nuovo la coscienza che non la saggezza e l’eloquenza umana, ma solo la forza dello Spirito Santo costruisce nella fede la Chiesa (cfr 1 Cor 1,22-24; 2,4s).

Per una felice concomitanza, san Paolo verrà particolarmente venerato quest’anno, grazie alla celebrazione dell’Anno Paolino. Lo svolgimento del prossimo Sinodo sulla Parola di Dio offrirà pertanto alla contemplazione della Chiesa, e principalmente dei suoi Pastori, anche la testimonianza di questo grande Apostolo e araldo della Parola di Dio. Al Signore, che egli prima perseguitò e al quale poi consacrò tutto il suo essere, Paolo restò fedele sino alla morte: possa il suo esempio essere di incoraggiamento per tutti ad accogliere la Parola della salvezza e a tradurla nella vita quotidiana in fedele sequela di Cristo. Alla Parola di Dio hanno dedicato la loro attenzione diversi organismi ecclesiali consultati in vista dell’Assemblea del prossimo ottobre. Ad essa volgeranno il loro cuore i Padri sinodali, dopo aver preso conoscenza dei documenti preparatori, i Lineamenta e l’Instrumentum laboris, che voi stessi nella Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi avete contribuito a redigere. Avranno così l’opportunità di confrontarsi tra loro, ma soprattutto di unirsi in collegiale comunione per porsi in ascolto della Parola di vita, che Dio ha affidato alle cure amorevoli della sua Chiesa, perché l’annunci con coraggio e convinzione, con la parresia degli Apostoli, ai vicini e ai lontani.

A tutti infatti va data, per la grazia dello Spirito Santo, la possibilità di incontrare la Parola viva che è Gesù Cristo.

Cari e venerati Fratelli, come membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, voi rendete un servizio meritorio alla Chiesa, poiché l’organismo sinodale costituisce un’istituzione qualificata per promuovere la verità e l’unità del dialogo pastorale all’interno del Corpo mistico di Cristo. Grazie per quanto voi fate non senza sacrificio: Iddio vi ricompensi! Continuiamo a pregare insieme perché il Signore renda fruttuosa per tutta la Chiesa l’Assemblea sinodale. Con tale auspicio, imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica a voi e alle Comunità affidate alle vostre cure pastorali, invocando l’intercessione della Santissima Madre del Signore e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, che nella Liturgia chiamiamo, insieme agli altri Apostoli, “colonna e fondamento della città di Dio”.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

sabato 19 gennaio 2008

Il Papa ai Gesuiti: "Dare una risposta cattolica convincente alle sfide della cultura secolare"


Vedi anche:

Eletto il nuovo Preposito Generale dei Gesuiti (detto "Papa nero")

Il Papa scrive a Kolvenbach e indica ai gesuiti il nuovo ambito della missione

Dare una risposta cattolica convincente alle sfide della cultura secolare

La Compagnia di Gesù è chiamata a riaffermare la propria "totale adesione alla dottrina cattolica" offrendo una risposta convincente alle sfide poste dalla cultura secolare: è quanto scrive Benedetto XVI in una lettera inviata a padre Peter-Hans Kolvenbach in occasione della trentacinquesima congregazione generale dei gesuiti in corso in questi giorni a Roma. "L'opera evangelizzatrice della Chiesa - assicura il Papa - conta molto sulla responsabilità formativa che la Compagnia ha nel campo della teologia, della spiritualità e della missione".

Al Reverendo Padre
PETER-HANS KOLVENBACH, S.I.
Preposito Generale
della Compagnia di Gesù


In occasione della 35 Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, è mio vivo desiderio di far pervenire a Lei e a quanti prendono parte all'Assemblea il più cordiale saluto, unito all'assicurazione del mio affetto e della mia costante vicinanza spirituale. So quanto sia importante per la vita della Compagnia l'evento che si sta celebrando, so pure che, di conseguenza, esso è stato preparato con grande cura. Si tratta di un'occasione provvidenziale per imprimere alla Compagnia di Gesù quel rinnovato impulso ascetico ed apostolico che è da tutti auspicato, perché i Gesuiti possano compiere appieno la loro missione ed affrontare le sfide del mondo moderno con quella fedeltà a Cristo e alla Chiesa che contraddistinse l'azione profetica di Sant'Ignazio di Loyola e dei suoi primi compagni.
Ai fedeli di Tessalonica l'Apostolo scrive di aver loro annunciato il vangelo di Dio, "incoraggiandovi e scongiurandovi - egli precisa - a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria" (1 Ts 2, 12), ed aggiunge: "Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma com'è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete" (1 Ts 2, 13). La parola di Dio viene dunque prima "ricevuta", cioè ascoltata, poi, penetrando fino al cuore, viene "accolta" e chi la riceve riconosce che Dio parla per mezzo del suo inviato: in tal modo la parola agisce nei credenti. Come allora, anche oggi l'evangelizzazione esige totale e fedele adesione alla parola di Dio: adesione innanzitutto a Cristo ed ascolto attento del suo Spirito che guida la Chiesa, docile obbedienza ai Pastori che Iddio ha posto a guida del suo popolo e prudente e franco dialogo con le istanze sociali, culturali e religiose del nostro tempo. Tutto ciò presuppone, com'è noto, un'intima comunione con Colui che ci chiama ad essere suoi amici e discepoli, un'unità di vita e di azione che si alimenta di ascolto della sua parola, di contemplazione e di preghiera, di distacco dalla mentalità del mondo e di incessante conversione al suo amore perché sia Lui, il Cristo, a vivere ed operare in ciascuno di noi. Sta qui il segreto dell'autentico successo dell'impegno apostolico e missionario di ogni cristiano, e ancor più di quanti sono chiamati a un più diretto servizio del Vangelo.
Tale consapevolezza è certamente ben presente a quanti prendono parte alla Congregazione Generale, e mi preme rendere omaggio per il grande lavoro già compiuto dalla commissione preparatoria che nel corso del 2007 ha esaminato i postulati giunti dalle Province ed ha indicato i temi da affrontare. Vorrei rivolgere il mio grato pensiero in primo luogo a Lei, caro e venerato Padre Preposito Generale, che dal 1983 guida in modo illuminato, saggio e prudente la Compagnia di Gesù, cercando in ogni modo di mantenerla nell'alveo del carisma originario.

Ella, per oggettive ragioni, ha più volte chiesto di essere sollevato da così gravoso incarico assunto con grande senso di responsabilità in un momento non facile della storia dell'Ordine.

Le esprimo il più vivo ringraziamento per il servizio reso alla Compagnia di Gesù e, più in generale, alla Chiesa. Il mio grato sentimento si estende ai suoi più diretti collaboratori, ai partecipanti alla Congregazione Generale e a tutti i Gesuiti sparsi in ogni parte del Pianeta. A tutti e a ciascuno giunga il saluto del Successore di Pietro, che segue con affetto e stima il molteplice ed apprezzato lavoro apostolico dei Gesuiti, e incoraggia tutti a continuare nel cammino aperto dal santo Fondatore e percorso da schiere innumerevoli di fratelli dediti alla causa di Cristo, molti dei quali iscritti dalla Chiesa nell'albo dei beati e dei santi. Siano essi dal cielo a proteggere e a sostenere la Compagnia di Gesù nella missione che svolge in questa nostra epoca segnata da numerose e complesse sfide sociali, culturali e religiose.
E proprio a questo proposito, come non riconoscere il valido contributo che la Compagnia offre all'azione della Chiesa in vari campi e in molti modi? Contributo veramente grande e benemerito, che solo il Signore potrà debitamente ricompensare! Come i miei venerati Predecessori, i Servi di Dio Paolo VI e Giovanni Paolo II, anch'io colgo volentieri l'opportunità della Congregazione Generale per porre in luce tale apporto e, al tempo stesso, per offrire alla vostra riflessione alcune considerazioni che vi siano di incoraggiamento e stimolo ad attuare sempre meglio l'ideale della Compagnia, in piena fedeltà al Magistero della Chiesa, così come viene descritto nella seguente formula a voi ben familiare: "Militare per Iddio sotto il vessillo della Croce e servire soltanto il Signore e la Chiesa sua sposa, a disposizione del Romano Pontefice, Vicario di Cristo in terra" (Litt. ap. Exposcit debitum, 21 luglio 1550).

Si tratta di una "peculiare" fedeltà sancita anche, per non pochi tra voi, da un voto di immediata obbedienza al Successore di Pietro "perinde ac cadaver".

Di questa vostra fedeltà, che costituisce il segno distintivo dell'Ordine, la Chiesa ha ancor più bisogno oggi, in un'epoca in cui si avverte l'urgenza di trasmettere, in maniera integrale, ai nostri contemporanei distratti da tante voci discordanti l'unico e immutato messaggio di salvezza che è il Vangelo, "non quale parola di uomini, ma com'è veramente, quale parola di Dio", che opera in coloro che credono.

Perché ciò avvenga è indispensabile, come già ricordava l'amato Giovanni Paolo II ai partecipanti alla 34 Congregazione Generale, che la vita dei membri della Compagnia di Gesù, come pure la loro ricerca dottrinale, siano sempre animate da un vero spirito di fede e di comunione in "docile sintonia con le indicazioni del Magistero" (Insegnamenti, vol. I, pp. 25-32).

Auspico vivamente che la presente Congregazione riaffermi con chiarezza l'autentico carisma del Fondatore per incoraggiare tutti i Gesuiti a promuovere la vera e sana dottrina cattolica. Da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ho avuto modo di apprezzare la valida collaborazione di Consultori ed esperti Gesuiti, i quali, in piena fedeltà al loro carisma, hanno contribuito in maniera considerevole alla fedele promozione e recezione del Magistero.

Certo non è questo un impegno semplice, specialmente quando si è chiamati ad annunciare il Vangelo in contesti sociali e culturali molto diversi e ci si deve confrontare con mentalità differenti. Apprezzo pertanto sinceramente tale fatica posta al servizio di Cristo, fatica che è fruttuosa per il vero bene delle anime nella misura in cui ci si lascia guidare dallo Spirito Santo, e si rimane docili agli insegnamenti del Magistero, riferendosi a quei principi chiave della vocazione ecclesiale del teologo delineati nell'Istruzione Donum veritatis.
L'opera evangelizzatrice della Chiesa conta pertanto molto sulla responsabilità formativa che la Compagnia ha nel campo della teologia, della spiritualità e della missione. E, proprio per offrire all'intera Compagnia di Gesù un chiaro orientamento che sia sostegno per una generosa e fedele dedizione apostolica, potrebbe risultare quanto mai utile che la Congregazione Generale riaffermi, nello spirito di sant'Ignazio, la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l'indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali.
Reverendo e caro Padre, sono persuaso che la Compagnia avverta l'importanza storica di questa Congregazione Generale e, guidata dallo Spirito Santo, voglia ancora una volta, come diceva l'amato Giovanni Paolo II nel gennaio del 1995, riaffermare "senza equivoci e senza esitazioni, la sua specifica via a Dio, quale sant'Ignazio ha tracciato nella Formula Instituti: la fedeltà amorosa al vostro carisma sarà sicura fonte di rinnovata fecondità" (Insegnamenti, vol. XVIII/1, 1995, p. 26). Quanto mai attuali risultano inoltre le parole che il venerato mio Predecessore Paolo VI ebbe a rivolgervi in un'altra analoga circostanza: "Tutti dobbiamo vegliare affinché l'adattamento necessario non si compia a detrimento dell'identità fondamentale, dell'essenzialità della figura del gesuita, quale è descritta nella Formula Instituti, quale la storia e la spiritualità propria dell'Ordine la propongono, e quale l'interpretazione autentica dei bisogni stessi dei tempi sembra oggi reclamare. Quell'immagine non deve essere alterata, non deve essere sfigurata" (Insegnamenti, vol. XII, 1974, pp. 1181-1182).
La continuità degli insegnamenti dei Successori di Pietro sta a dimostrare la grande attenzione e cura che essi mostrano nei confronti dei Gesuiti, la loro stima per voi e il desiderio di poter contare sempre sull'apporto prezioso della Compagnia per la vita della Chiesa e per l'evangelizzazione del mondo. All'intercessione del santo Fondatore e dei santi dell'Ordine, alla materna protezione di Maria affido la Congregazione Generale e l'intera Compagnia di Gesù, perché ogni figlio spirituale di sant'Ignazio possa avere dinanzi agli occhi "prima di ogni altra cosa Dio e poi la forma di questo suo Istituto" (Formula Instituti, 1). Con tali sentimenti, assicuro un costante ricordo nella preghiera ed imparto di cuore a Lei, Reverendo Padre, ai Padri della Congregazione Generale e all'intera Compagnia di Gesù una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 10 Gennaio 2008.

BENEDICTUS XVI


(©L'Osservatore Romano - 19 gennaio 2008)

mercoledì 16 gennaio 2008

“Non vengo a imporre la fede ma a sollecitare il coraggio per la verità”: il discorso che il Papa non ha pronunciato alla Sapienza


Vedi anche:

Il Papa: "Come professore emerito vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui..."

IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

ALLOCUZIONE DEL SANTO PADRE PER L’INCONTRO CON L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA" , 16.01.2008

Pubblichiamo di seguito il testo dell’Allocuzione che il Santo Padre Benedetto XVI avrebbe pronunciato nel corso della Visita all’Università degli Studi "La Sapienza" di Roma, prevista per domani giovedì 17 gennaio e annullata ieri.

Pubblichiamo, inoltre, il testo della Lettera con cui l’Em.mo Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha inviato l’Allocuzione del Santo Padre al Magnifico Rettore dell’Ateneo, Prof. Renato Guarini:


Magnifico Rettore,
Autorità politiche e civili,
Illustri docenti e personale tecnico amministrativo,
cari giovani studenti!


È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".

Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa?

Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.

Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città?

Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università?
Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato.
Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"–episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente.

Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme.

Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità.

Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede.

Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.

Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.

Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l’università? Qual è il suo compito?

È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c). In questa domanda apparentemente poco devota – che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino – i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore. Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università.

È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere – vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto – chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste. Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.

Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire – una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio. Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista. Ma qui emerge subito la domanda: Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo. È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono – lo sappiamo – prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme.

La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.

Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda – in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.

Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità.

È merito storico di san Tommaso d’Aquino – di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico – di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza. La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.

Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito.

Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola.

Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.

Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà.

Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.

Dal Vaticano, 17 gennaio 2008

BENEDICTUS XVI

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana


LETTERA DEL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO TARCISIO BERTONE AL MAGNIFICO RETTORE DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI "LA SAPIENZA" DI ROMA

Magnifico Rettore,

il Santo Padre aveva accolto volentieri l'invito da Lei rivoltoGli di compiere una visita a codesta Università degli Studi "La Sapienza", per offrire anche in questo modo un segno dell'affetto e dell'alta considerazione che Egli nutre verso codesta illustre Istituzione, che ebbe origine secoli or sono per volontà di un Suo venerato Predecessore.

Essendo purtroppo venuti meno, per iniziativa di un gruppo decisamente minoritario di Professori e di alunni, i presupposti per un'accoglienza dignitosa e tranquilla, è stato giudicato opportuno soprassedere alla prevista visita per togliere ogni pretesto a manifestazioni che si sarebbero rivelate incresciose per tutti.

Nella consapevolezza tuttavia del desiderio sincero coltivato dalla grande maggioranza di Professori e studenti di una parola culturalmente significativa, da cui trarre indicazioni stimolanti nel personale cammino di ricerca della verità, il Santo Padre ha disposto che Le sia inviato il testo da Lui personalmente preparato per l'occasione. Mi faccio volentieri tramite della Superiore decisione, allegandoLe il discorso in parola, con l’auspicio che in esso tutti possano trovare spunti per arricchenti riflessioni ed approfondimenti.

Colgo volentieri l'occasione per porgerLe, con sensi di profonda deferenza, cordiali saluti.

Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Agostino parlava della “vecchiaia del mondo”. Se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane!


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

Agostino era un uomo di passione e di intelligenza altissima che cercava la verità e incontrò Cristo (prima catechesi su Sant'Agostino)

Fede e ragione non sono da separare né da contrapporre, ma devono sempre andare insieme. Per Agostino esse sono le due forze che ci portano a conoscere (terza catechesi su Sant'Agostino)

Per Agostino, più importante del fare grandi opere di respiro alto, teologico, era portare il messaggio cristiano ai semplici... (quarta catechesi su Sant'Agostino)

La conversione di Agostino non è stata improvvisa né pienamente realizzata fin dall’inizio, ma un vero e proprio cammino, che resta per noi un modello (quinta catechesi su Sant'Agostino)

Vedi anche:

VISITA DEL SANTO PADRE A VIGEVANO E PAVIA (21-22 APRILE 2007): LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 16 gennaio 2008


Sant'Agostino di Ippona


Cari fratelli e sorelle!

Oggi, come mercoledì scorso, vorrei parlare del grande Vescovo di Ippona, sant’Agostino. Quattro anni prima di morire, egli volle nominare il successore. Per questo, il 26 settembre 426, radunò il popolo nella Basilica della Pace, ad Ippona, per presentare ai fedeli colui che aveva designato per tale compito. Disse: “In questa vita siamo tutti mortali, ma l’ultimo giorno di questa vita è per ogni individuo sempre incerto. Tuttavia nell’infanzia si spera di giungere all’adolescenza; nell’adolescenza alla giovinezza; nella giovinezza all’età adulta; nell’età adulta all’età matura; nell’età matura alla vecchiaia. Non si è sicuri di giungervi, ma si spera. La vecchiaia, al contrario, non ha davanti a sé alcun altro periodo da poter sperare; la sua stessa durata è incerta… Io per volontà di Dio giunsi in questa città nel vigore della mia vita; ma ora la mia giovinezza è passata e io sono ormai vecchio(Ep 213,1).

A questo punto Agostino fece il nome del successore designato, il prete Eraclio. L’assemblea scoppiò in un applauso di approvazione ripetendo per ventitré volte: “Sia ringraziato Dio! Sia lodato Cristo!”. Con altre acclamazioni i fedeli approvarono, inoltre, quanto Agostino disse poi circa i propositi per il suo futuro: voleva dedicare gli anni che gli restavano a un più intenso studio delle Sacre Scritture (cfr Ep 213, 6).

Di fatto, quelli che seguirono furono quattro anni di straordinaria attività intellettuale: portò a termine opere importanti, ne intraprese altre non meno impegnative, intrattenne pubblici dibattiti con gli eretici – cercava sempre il dialogo – intervenne per promuovere la pace nelle province africane insidiate dalle tribù barbare del sud. In questo senso scrisse al conte Dario, venuto in Africa per comporre il dissidio tra il conte Bonifacio e la corte imperiale, di cui stavano profittando le tribù dei Mauri per le loro scorrerie: “Titolo più grande di gloria – affermava nella lettera - è proprio quello di uccidere la guerra con la parola, anziché uccidere gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la pace con la pace e non già con la guerra. Certo, anche quelli che combattono, se sono buoni, cercano senza dubbio la pace, ma a costo di spargere il sangue. Tu, al contrario, sei stato inviato proprio per impedire che si cerchi di spargere il sangue di alcuno(Ep 229, 2). Purtroppo, la speranza di una pacificazione dei territori africani andò delusa: nel maggio del 429 i Vandali, invitati in Africa per ripicca dallo stesso Bonifacio, passarono lo stretto di Gibilterra e si riversarono nella Mauritania. L’invasione raggiunse rapidamente le altre ricche province africane. Nel maggio o nel giugno del 430 “i distruttori dell’impero romano”, come Possidio qualifica quei barbari (Vita, 30,1), erano attorno ad Ippona, che strinsero d’assedio.

In città aveva cercato rifugio anche Bonifacio, il quale, riconciliatosi troppo tardi con la corte, tentava ora invano di sbarrare il passo agli invasori. Il biografo Possidio descrive il dolore di Agostino: “Le lacrime erano, più del consueto, il suo pane notte e giorno e, giunto ormai all’estremo della sua vita, più degli altri trascinava nell’amarezza e nel lutto la sua vecchiaia” (Vita, 28,6). E spiega: “Vedeva infatti, quell’uomo di Dio, gli eccidi e le distruzioni delle città; abbattute le case nelle campagne e gli abitanti uccisi dai nemici o messi in fuga e sbandati; le chiese private dei sacerdoti e dei ministri, le vergini sacre e i religiosi dispersi da ogni parte; tra essi, altri venuti meno sotto le torture, altri uccisi di spada, altri fatti prigionieri, perduta l’integrità dell’anima e del corpo e anche la fede, ridotti in dolorosa e lunga schiavitù dai nemici” (ibid., 28,8).

Anche se vecchio e stanco, Agostino restò tuttavia sulla breccia, confortando se stesso e gli altri con la preghiera e con la meditazione sui misteriosi disegni della Provvidenza.

Parlava, al riguardo, della “vecchiaia del mondo” – e davvero era vecchio questo mondo romano –, parlava di questa vecchiaia come già aveva fatto anni prima per consolare i profughi provenienti dall’Italia, quando nel 410 i Goti di Alarico avevano invaso la città di Roma.

Nella vecchiaia, diceva, i malanni abbondano: tosse, catarro, cisposità, ansietà, sfinimento. Ma se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane. E allora l’invito: “Non rifiutare di ringiovanire unito a Cristo, anche nel mondo vecchio. Egli ti dice: Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella dell’aquila” (cfr Serm. 81,8).

Il cristiano quindi non deve abbattersi anche in situazioni difficili, ma adoperarsi per aiutare chi è nel bisogno.

È quanto il grande Dottore suggerisce rispondendo al Vescovo di Tiabe, Onorato, che gli aveva chiesto se, sotto l’incalzare delle invasioni barbariche, un Vescovo o un prete o un qualsiasi uomo di Chiesa potesse fuggire per salvare la vita: “Quando il pericolo è comune per tutti, cioè per vescovi, chierici e laici, quelli che hanno bisogno degli altri non siano abbandonati da quelli di cui hanno bisogno. In questo caso si trasferiscano pure tutti in luoghi sicuri; ma se alcuni hanno bisogno di rimanere, non siano abbandonati da quelli che hanno il dovere di assisterli col sacro ministero, di modo che o si salvino insieme o insieme sopportino le calamità che il Padre di famiglia vorrà che soffrano(Ep 228, 2).
E concludeva: “Questa è la prova suprema della carità” (ibid., 3).

Come non riconoscere, in queste parole, l’eroico messaggio che tanti sacerdoti, nel corso dei secoli, hanno accolto e fatto proprio?

Intanto la città di Ippona resisteva. La casa-monastero di Agostino aveva aperto le sue porte ad accogliere i colleghi nell’episcopato che chiedevano ospitalità. Tra questi vi era anche Possidio, già suo discepolo, il quale poté così lasciarci la testimonianza diretta di quegli ultimi, drammatici giorni. “Nel terzo mese di quell’assedio – egli racconta – si pose a letto con la febbre: era l’ultima sua malattia” (Vita, 29,3). Il santo Vegliardo profittò di quel tempo finalmente libero per dedicarsi con più intensità alla preghiera. Era solito affermare che nessuno, Vescovo, religioso o laico, per quanto irreprensibile possa sembrare la sua condotta, può affrontare la morte senza un’adeguata penitenza. Per questo egli continuamente ripeteva tra le lacrime i salmi penitenziali, che tante volte aveva recitato col popolo (cfr ibid., 31,2).

Più il male si aggravava, più il Vescovo morente sentiva il bisogno di solitudine e di preghiera: “Per non essere disturbato da nessuno nel suo raccoglimento, circa dieci giorni prima d’uscire dal corpo pregò noi presenti di non lasciar entrare nessuno nella sua camera fuori delle ore in cui i medici venivano a visitarlo o quando gli si portavano i pasti. Il suo volere fu adempiuto esattamente e in tutto quel tempo egli attendeva all’orazione” (ibid.,31,3). Cessò di vivere il 28 agosto del 430: il suo grande cuore finalmente si era placato in Dio.

Per la deposizione del suo corpo – informa Possidio – fu offerto a Dio il sacrificio, al quale noi assistemmo, e poi fu sepolto” (Vita, 31,5).

Il suo corpo, in data incerta, fu trasferito in Sardegna e da qui, verso il 725, a Pavia, nella Basilica di San Pietro in Ciel d’oro, dove anche oggi riposa. Il suo primo biografo ha su di lui questo giudizio conclusivo: “Lasciò alla Chiesa un clero molto numeroso, come pure monasteri d’uomini e di donne pieni di persone votate alla continenza sotto l’obbedienza dei loro superiori, insieme con le biblioteche contenenti libri e discorsi suoi e di altri santi, da cui si conosce quale sia stato per grazia di Dio il suo merito e la sua grandezza nella Chiesa, e nei quali i fedeli sempre lo ritrovano vivo” (Possidio, Vita, 31, 8). È un giudizio a cui possiamo associarci: nei suoi scritti anche noi lo “ritroviamo vivo”.

Quando leggo gli scritti di sant’Agostino non ho l’impressione che sia un uomo morto più o meno milleseicento anni fa, ma lo sento come un uomo di oggi: un amico, un contemporaneo che parla a me, parla a noi con la sua fede fresca e attuale. In sant’Agostino che parla a noi, parla a me nei suoi scritti, vediamo l’attualità permanente della sua fede; della fede che viene da Cristo, Verbo Eterno Incarnato, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. E possiamo vedere che questa fede non è di ieri, anche se predicata ieri; è sempre di oggi, perché realmente Cristo è ieri oggi e per sempre. Egli è la Via, la Verità e la Vita. Così sant’Agostino ci incoraggia ad affidarci a questo Cristo sempre vivo e a trovare così la strada della vita.

APPELLO

Dopodomani, venerdì 18 gennaio, inizia la consueta Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che quest’anno riveste un valore singolare poichè sono trascorsi cento anni dal suo avvio. Il tema è l’invito di San Paolo ai Tessalonicesi: “Pregate continuamente” (1 Tes 5,17); invito che ben volentieri faccio mio e rivolgo a tutta la Chiesa. Sì, è necessario pregare senza sosta chiedendo con insistenza a Dio il grande dono dell’unità tra tutti i discepoli del Signore. La forza inesauribile dello Spirito Santo ci stimoli ad un impegno sincero di ricerca dell’unità, perché possiamo professare tutti insieme che Gesù è l’unico Salvatore del mondo.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Sito dedicato a Sant'Agostino

Agostino in "Monastero virtuale"

domenica 13 gennaio 2008

Facendosi battezzare da Giovanni insieme con i peccatori, Gesù ha iniziato a prendere su di sé il peso della colpa dell’intera umanità...


(Perugino, "Battesimo di Cristo")

Vedi anche:

FESTIVITA' NATALIZIE 2005-2006-2007

SANTA MESSA ED ANGELUS: VIDEO E FOTO

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS , 13.01.2008

Conclusa la Santa Messa con l’amministrazione del Battesimo ad un gruppo di bambini nella Cappella Sistina, il Santo Padre a mezzogiorno si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Con l’odierna festa del Battesimo di Gesù si chiude il tempo liturgico del Natale. Il Bambino, che a Betlemme i Magi vennero ad adorare dall’oriente offrendo i loro doni simbolici, lo ritroviamo ora adulto, nel momento in cui si fa battezzare nel fiume Giordano dal grande profeta Giovanni (cfr Mt 3,13).

Nota il Vangelo che quando Gesù, ricevuto il battesimo, uscì dall’acqua, si aprirono i cieli e scese su di lui lo Spirito Santo come una colomba (cfr Mt 3,16). Si udì allora una voce dal cielo che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto" (Mt 3,17). Fu quella la sua prima manifestazione pubblica, dopo trent’anni circa di vita nascosta a Nazaret. Testimoni oculari del singolare avvenimento furono, oltre al Battista, i suoi discepoli, alcuni dei quali divennero da allora seguaci di Cristo (cfr Gv 1,35-40).

Si trattò contemporaneamente di cristofania e teofania: anzitutto Gesù si manifestò come il Cristo, termine greco per tradurre l’ebraico Messia, che significa "unto": Egli non fu unto con l’olio alla maniera dei re e dei sommi sacerdoti d’Israele, bensì con lo Spirito Santo. Al tempo stesso, insieme con il Figlio di Dio apparvero i segni dello Spirito Santo e del Padre celeste.

Qual è il significato di questo atto, che Gesù volle compiere – vincendo la resistenza del Battista – per obbedire alla volontà del Padre (cfr Mt 3,14-15)? Il senso profondo emergerà solo alla fine della vicenda terrena di Cristo, cioè nella sua morte e risurrezione. Facendosi battezzare da Giovanni insieme con i peccatori, Gesù ha iniziato a prendere su di sé il peso della colpa dell’intera umanità, come Agnello di Dio che "toglie" il peccato del mondo (cfr Gv 1,29).
Opera che Egli portò a compimento sulla croce, quando ricevette anche il suo "battesimo" (cfr Lc 12,50). Morendo infatti si "immerse" nell’amore del Padre ed effuse lo Spirito Santo, affinché i credenti in Lui potessero rinascere da quella sorgente inesauribile di vita nuova ed eterna. Tutta la missione di Cristo si riassume in questo: battezzarci nello Spirito Santo, per liberarci dalla schiavitù della morte e "aprirci il cielo", l’accesso cioè alla vita vera e piena, che sarà "un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia" (Spe salvi, 12).

E’ quanto è avvenuto anche per i 13 bambini ai quali ho amministrato il sacramento del Battesimo questa mattina nella Cappella Sistina. Per essi e per i loro familiari invochiamo la materna protezione di Maria Santissima. E preghiamo per tutti i cristiani, affinché possano comprendere sempre più il dono del Battesimo e si impegnino a viverlo con coerenza, testimoniando l’amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

DOPO L’ANGELUS

Si celebra oggi la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che quest’anno pone al centro dell’attenzione i giovani migranti. Numerosi sono infatti i giovani che vari motivi spingono a vivere lontani dalle loro famiglie e dai loro Paesi. Particolarmente a rischio sono le ragazze e i minori. Alcuni bambini e adolescenti sono nati e cresciuti in "campi-profughi": anch’essi hanno diritto ad un futuro! Esprimo il mio apprezzamento per quanti si impegnano in favore dei giovani migranti, delle loro famiglie e per la loro integrazione lavorativa e scolastica; invito le comunità ecclesiali ad accogliere con simpatia giovani e giovanissimi con i loro genitori, cercando di comprenderne le storie e di favorirne l’inserimento. Cari giovani migranti! Impegnatevi a costruire insieme ai vostri coetanei una società più giusta e fraterna, adempiendo i vostri doveri, rispettando le leggi e non lasciandovi mai trasportare dalla violenza. Vi affido tutti a Maria, Madre dell’intera umanità.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Portando i figli al fonte battesimale i genitori i genitori diventano collaboratori di Dio nel trasmettere ai loro figli la vita anche spirituale


Vedi anche:

FESTIVITA' NATALIZIE 2005-2006-2007

SANTA MESSA ED ANGELUS: VIDEO E FOTO

Messa nella Cappella Sistina: i commenti di Agi e Adnkronos. Molto belli i servizi di Marina Ricci, Aldo Maria Valli e Lucio Brunelli

Messa nella Cappella Sistina: non una celebrazione preconciliare ma esempio di orientamento ad est

Facciamo un passo indietro: l'articolo di Politi sulla "Messa di spalle" che non c'è...

SANTA MESSA NELLA CAPPELLA SISTINA E AMMINISTRAZIONE DEL SACRAMENTO DEL BATTESIMO , 13.01.2008

Alle ore 10 di oggi - Festa del Battesimo del Signore - il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Cappella Sistina la Santa Messa nel corso della quale amministra il Sacramento del Battesimo a 13 bambini.
Dopo la lettura del Santo Vangelo, il Papa pronuncia la seguente omelia:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

l’odierna celebrazione è sempre per me motivo di gioia speciale. Amministrare il sacramento del Battesimo, nel giorno della festa del Battesimo del Signore, è infatti uno dei momenti più espressivi della nostra fede, in cui possiamo quasi vedere, attraverso i segni della liturgia, il mistero della vita. In primo luogo, vita umana, rappresentata qui in particolare da questi 13 bambini che sono il frutto del vostro amore, cari genitori, ai quali rivolgo il mio cordiale saluto, estendendolo ai padrini, alle madrine e agli altri parenti ed amici presenti. C’è poi il mistero della vita divina, che oggi Dio dona a questi piccoli mediante la rinascita dall’acqua e dallo Spirito Santo. Dio è vita, come è anche stupendamente rappresentato da alcune pitture che impreziosiscono questa Cappella Sistina.

Non sembri però fuori luogo se accostiamo subito, all’esperienza della vita, quella opposta e cioè la realtà della morte. Tutto ciò che ha inizio sulla terra prima o poi finisce, come l’erba del campo, che spunta al mattino e avvizzisce la sera. Però nel Battesimo il piccolo essere umano riceve una vita nuova, la vita della grazia, che lo rende capace di entrare in relazione personale con il Creatore, e questo per sempre, per tutta l’eternità. Sfortunatamente l’uomo è capace di spegnere questa nuova vita con il suo peccato, riducendosi ad una situazione che la Sacra Scrittura chiama "morte seconda". Mentre nelle altre creature, che non sono chiamate all’eternità, la morte significa soltanto la fine dell’esistenza sulla terra, in noi il peccato crea una voragine che rischia di inghiottirci per sempre, se il Padre che è nei cieli non ci tende la sua mano.

Ecco, cari fratelli, il mistero del Battesimo: Dio ha voluto salvarci andando lui stesso fino in fondo all’abisso della morte, perché ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto. Tutti sentiamo, tutti percepiamo interiormente che la nostra esistenza è un desiderio di vita che invoca una pienezza, una salvezza. Questa pienezza di vita ci viene data nel Battesimo.

Abbiamo sentito poco fa il racconto del battesimo di Gesù nel Giordano. Fu un battesimo diverso da quello che questi bambini stanno per ricevere, ma non privo di un profondo rapporto con esso. In fondo, tutto il mistero di Cristo nel mondo si può riassumere con questa parola, "battesimo", che in greco significa "immersione".

Il Figlio di Dio, che condivide dall’eternità con il Padre e con lo Spirito Santo la pienezza della vita, è stato "immerso" nella nostra realtà di peccatori, per renderci partecipi della sua stessa vita: si è incarnato, è nato come noi, è cresciuto come noi e, giunto all’età adulta, ha manifestato la sua missione iniziando proprio con il "battesimo di conversione" dato da Giovanni il Battista. Il suo primo atto pubblico, come abbiamo ascoltato poco fa, è stato scendere al Giordano, confuso tra i peccatori penitenti, per ricevere quel battesimo. Giovanni naturalmente non voleva, ma Gesù insistette, perché quella era la volontà del Padre (cfr Mt 3,13-15).

Perché dunque il Padre ha voluto questo? Perché ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo come Agnello a prendere su di sé il peccato del mondo (cfr Gv 1,29)? Narra l’evangelista che, quando Gesù uscì dall’acqua, scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza di colomba, mentre la voce del Padre dal cielo lo proclamava "Figlio prediletto" (Mt 3,17). Fin da quel momento dunque Gesù fu rivelato come Colui che è venuto a battezzare l’umanità nello Spirito Santo: è venuto a portare agli uomini la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10), la vita eterna, che risuscita l’essere umano e lo guarisce interamente, corpo e spirito, restituendolo al progetto originario per il quale è stato creato. Il fine dell’esistenza di Cristo è stato appunto donare all’umanità la vita di Dio, il suo Spirito d’amore, perché ogni uomo possa attingere da questa sorgente inesauribile di salvezza. Ecco perché san Paolo scrive ai Romani che noi siamo stati battezzati nella morte di Cristo per avere la sua stessa vita di risorto (cfr Rm 6,3-4). Ecco perché i genitori cristiani, come quest’oggi voi, portano appena possibile i loro figli al fonte battesimale, sapendo che la vita, che essi hanno loro comunicato, invoca una pienezza, una salvezza che solo Dio può dare. E in questo modo i genitori diventano collaboratori di Dio nel trasmettere ai loro figli non solo la vita fisica ma anche quella spirituale.

Cari genitori, insieme con voi ringrazio il Signore per il dono di questi bambini ed invoco la sua assistenza perché vi aiuti ad educarli e a inserirli nel Corpo spirituale della Chiesa. Mentre offrite loro ciò che è necessario alla crescita e alla salute, voi, aiutati dai padrini, siete impegnati a sviluppare in essi la fede, la speranza e la carità, le virtù teologali che sono proprie della vita nuova ad essi donata nel sacramento del Battesimo. Assicurerete ciò con la vostra presenza, con il vostro affetto; l’assicurerete prima di tutto e soprattutto con la preghiera, presentandoli quotidianamente a Dio, affidandoli a Lui in ogni stagione della loro esistenza. Certo per crescere sani e forti, questi bambini e bambine avranno bisogno di cure materiali e di tante attenzioni; ciò però che sarà loro più necessario, anzi indispensabile è conoscere, amare e servire fedelmente Dio, per avere la vita eterna. Cari genitori, siate per loro i primi testimoni di una fede autentica in Dio!

C’è nel rito del Battesimo un segno eloquente, che esprime proprio la trasmissione della fede ed è la consegna, per ognuno dei battezzandi, di una candela accesa alla fiamma del cero pasquale: è la luce di Cristo risorto che voi vi impegnate a trasmettere ai vostri figli. Così, di generazione in generazione, noi cristiani ci trasmettiamo la luce di Cristo, in modo che quando Egli ritornerà, possa trovarci con questa fiamma ardente tra le mani. Nel corso del rito io vi dirò: "A voi, genitori e padrini, è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare". Alimentate sempre, cari fratelli e sorelle, la fiamma della fede con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio e l’assidua comunione con Gesù Eucaristia. Vi aiutino in questa stupenda, anche se non facile, missione i santi Protettori dei quali questi tredici bambini prenderanno i nomi. Aiutino, questi Santi, soprattutto loro, i battezzandi, a corrispondere alle vostre premure di genitori cristiani. Sia in particolare la Vergine Maria ad accompagnare loro e voi, cari genitori, ora e sempre. Amen!

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

venerdì 11 gennaio 2008

In ogni pellegrino vorrei invitarvi a vedere il volto di un fratello o di una sorella che Dio pone sulla vostra strada


DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AI DIRIGENTI E AL PERSONALE DELL’ISPETTORATO GENERALE DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO

Sala Clementina
Venerdì, 11 gennaio 2008


Cari amici,

l’incontro con voi, che fate parte dell’Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, è ormai diventato un appuntamento atteso e desiderato all’inizio del nuovo anno. Mentre con piacere vi accolgo e con affetto vi saluto, profitto dell’occasione per rinnovarvi l’espressione della mia stima e della mia riconoscenza per il servizio che quotidianamente svolgete. Saluto in primo luogo il Prefetto Salvatore Festa, il Questore di Roma, Marcello Fulvi, e il dottor Vincenzo Caso, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi e al quale esprimo la mia gratitudine per il lavoro svolto in questi anni come Dirigente dell’Ispettorato. Uno speciale e deferente pensiero dirigo anche al Capo della Polizia, Prefetto Antonio Manganelli. Con amicizia mi indirizzo poi agli altri componenti dell’Ispettorato della Polizia di Stato presso la Città del Vaticano, che non hanno potuto essere oggi con noi, ma che a noi si uniscono spiritualmente in così sentita circostanza. A tutti e a ciascuno sono lieto di formulare, per l’anno da poco iniziato, ogni migliore augurio, estendendo questi miei voti augurali alle rispettive famiglie.

Proprio alle famiglie ho pensato quest’anno nel preparare il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace che si celebra appunto il 1° gennaio. In questo testo, che ha come tema: Famiglia umana, comunità di pace, ho ricordato che “la famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d'amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, costituisce il luogo primario dell'umanizzazione della persona e della società, la culla della vita e dell'amore. A ragione, pertanto, la famiglia è qualificata come la prima società naturale, un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale” (n. 2).

Voi, cari Funzionari e Agenti, nei compiti di vigilanza che quotidianamente svolgete, incontrate non poche famiglie. Esse giungono qui da ogni parte del mondo per rendere omaggio agli Apostoli e in particolare a san Pietro, sulla cui fede Cristo ha fondato la Chiesa; vengono per rinnovare insieme la professione di questa fede, per visitare e prendere contatto con varie realtà del Vaticano e per partecipare alle udienze e alle celebrazioni presiedute dal Successore dell’apostolo Pietro. Vi sono grato per il servizio che rendete, caratterizzato da solerzia e professionalità, da costante attenzione alle persone e alle finalità che le animano, ed insieme da disponibilità, pazienza e spirito di sacrificio. Così, con la collaborazione delle autorità che hanno cura di rendere la città di Roma sempre più bella ed accogliente, anche voi contribuite al fruttuoso incontro ed alla serena convivenza tra i cittadini di Roma e gli ospiti provenienti dai vari Paesi del mondo!

Quanto numerosi sono i pellegrini che durante l’anno vi capita di incontrare! In ciascuno di essi vorrei invitarvi a vedere il volto di un fratello o di una sorella che Dio pone sulla vostra strada, una persona amica anche se sconosciuta da accogliere e aiutare con paziente ascolto, sapendo che tutti facciamo parte dell’unica grande famiglia umana. Non è forse vero, come ho scritto nel Messaggio sopra ricordato, che noi non viviamo gli uni accanto agli altri per caso? Non stiamo forse tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle? Ecco perché allora è essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sorgente originaria della propria, come dell'altrui, esistenza. In effetti, proprio risalendo a questo supremo Principio può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano; è grazie a questa consapevolezza che possono essere poste le premesse per l'edificazione di un'umanità pacificata. Sia ben chiaro: senza il fondamento trascendente, che è Dio, la società rischia di diventare una mera aggregazione di vicini, cessa di essere una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia (cfr n. 6).

Cari amici, il Signore vi aiuti a svolgere la vostra professione rimanendo sempre fedeli a quegli ideali che devono costantemente ispirarla. La società ha bisogno di persone che compiano il loro dovere, consapevoli che ogni lavoro, ogni servizio svolto con coscienza contribuisce alla costruzione di una società più giusta e veramente libera. Vi affido alla Vergine Santa e, mentre rinnovo a ciascuno il mio sincero ringraziamento per la gentile visita, volentieri imparto a voi, come pure alle persone a voi care, una speciale Benedizione.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

giovedì 10 gennaio 2008

Il Papa agli Amministratori locali: "E' necessaria un'opera costante e concreta che garantisca la sicurezza dei cittadini e i diritti degli immigrati"


Vedi anche:

VATICANO: PAROLE DEL PAPA STRUMENTALIZZATE

Come si fa a trasformare in un «attacco a Roma» il discorso di Papa Benedetto? Semplice: non lo si ascolta sul serio e/o non si legge ciò che ha detto

Onu-bis: le agenzie di stampa alternano il testo del discorso del Papa

Il Papa esprime preoccupazione per i problemi della gente, dal caro vita alla sicurezza, dalle nuove povertà all’educazione dei giovani (R. Vaticana)

UDIENZA DEL PAPA AGLI AMMINISTRATORI DI ROMA: I VIDEO

Maria Pia Garavaglia (vice sindaco di Roma): "Per noi le parole del Papa sono un grande conforto"

Raiuno, con Politi e una giornalista inglese, attacca il Papa. Basta!

Discorso del Papa agli Amministratori di Roma e Lazio: il commento de "La Gazzetta del sud"

Discorso del Papa agli Amministratori di Roma e Lazio: il commento de "Il Giornale"

Guerre di religione: Geremicca per "La Stampa" commenta le distorsioni del discorso del Papa agli Amministratori locali

Il Papa: la politica rispetti la centralità della persona (Avvenire)

Il Papa corregge il tiro? No! Sono i media che hanno colpito il bersaglio sbagliato e cercano di giustificarsi

Pressing di Veltroni sul Vaticano...riuscito a metà (Tornielli per "Il Giornale")

UDIENZA AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO, DEL COMUNE E DELLA PROVINCIA DI ROMA , 10.01.2008

Questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza gli Amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma, in occasione del tradizionale scambio di auguri per il nuovo anno.
Riportiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Illustri Signori e gentili Signore,

sono lieto di ricevervi, all’inizio del nuovo anno, per il tradizionale scambio di auguri. Vi ringrazio di essere qui e porgo il mio saluto deferente e cordiale al Presidente della Giunta regionale del Lazio, Signor Pietro Marrazzo, al Sindaco di Roma, Onorevole Walter Veltroni, e al Presidente della Provincia di Roma, Signor Enrico Gasbarra, ai quali desidero esprimere sentimenti di viva gratitudine per le gentili parole che mi hanno rivolto anche a nome delle Amministrazioni da essi guidate. Con loro, saluto i Presidenti delle rispettive Assemblee consiliari e tutti voi qui riuniti.

Questo appuntamento annuale ci offre l’opportunità di riflettere su alcune materie di comune interesse e di grande importanza e attualità, che toccano da vicino la vita delle popolazioni di Roma e del Lazio. A loro, a ciascuna persona e famiglia, rivolgo per vostro tramite un pensiero di affetto, di incoraggiamento e di attenzione pastorale, facendomi interprete di quei sentimenti e di quei legami che hanno unito attraverso i secoli i Successori dell’Apostolo Pietro alla città di Roma, alla sua provincia e a tutta la regione del Lazio.

Cambiano i tempi e le situazioni, ma non si indeboliscono e non si attenuano l’amore e la sollecitudine del Papa per tutti coloro che vivono in queste terre, tanto profondamente segnate dalla grande e vivente eredità del cristianesimo.

Un criterio fondamentale, sul quale possiamo facilmente convenire nell’adempimento dei nostri diversi compiti, è quello della centralità della persona umana. Come afferma il Concilio Vaticano II, l’uomo è, sulla terra, "la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa" (Gaudium et spes, 24). A sua volta il mio amato predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Centesimus annus scriveva giustamente che "la principale risorsa dell’uomo… è l’uomo stesso" (n. 32). Conseguenza evidente di tutto ciò è l’importanza decisiva che rivestono l’educazione e la formazione della persona, anzitutto nella prima parte della vita, ma anche lungo tutto l’arco dell’esistenza.

Se guardiamo però alla realtà della nostra situazione, non possiamo negare che ci troviamo di fronte a una vera e grande "emergenza educativa", come sottolineavo l’11 giugno dello scorso anno parlando al Convegno della Diocesi di Roma.

Sembra infatti sempre più difficile proporre in maniera convincente alle nuove generazioni solide certezze e criteri su cui costruire la propria vita. Lo sanno bene sia i genitori sia gli insegnanti, che anche per questo sono spesso tentati di abdicare ai propri compiti educativi. Essi stessi, del resto, nell’attuale contesto sociale e culturale impregnato di relativismo e anche di nichilismo, difficilmente riescono a trovare sicuri punti di riferimento, che li possano sostenere e guidare nella missione di educatori come in tutta la loro condotta di vita.

Una simile emergenza, illustri rappresentanti delle Amministrazioni di Roma e del Lazio, non può lasciare indifferenti né la Chiesa né le vostre Amministrazioni. Sono infatti chiaramente in gioco, con la formazione delle persone, le basi stesse della convivenza e il futuro della società.
Per parte sua la Diocesi di Roma sta dedicando a questo difficile compito un’attenzione davvero peculiare, che si esplica nei diversi ambiti educativi, dalla famiglia e dalla scuola alle parrocchie, associazioni e movimenti, agli oratori, alle iniziative culturali, allo sport e al tempo libero. In questo contesto esprimo viva gratitudine alla Regione Lazio per il sostegno offerto agli oratori e ai centri per l’infanzia promossi dalle parrocchie e comunità ecclesiali, come anche per i contributi finalizzati alla realizzazione di nuovi complessi parrocchiali nelle aree del Lazio che ne sono ancora prive.

Vorrei però soprattutto incoraggiare ad un impegno convergente e di ampio respiro, attraverso il quale le istituzioni civili, ciascuna secondo le proprie competenze, moltiplichino gli sforzi per affrontare ai diversi livelli l’attuale emergenza educativa, ispirandosi costantemente al criterio-guida della centralità della persona umana.

Hanno qui chiaramente un’importanza prioritaria il rispetto e il sostegno per la famiglia fondata sul matrimonio. Come ho scritto nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (n. 2), "La famiglia naturale, quale intima comunione di vita e d’amore, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, costituisce «il luogo primario dell’umanizzazione della persona e della società», la «culla della vita e dell’amore»".

Vediamo ogni giorno, purtroppo, quanto siano insistenti e minacciosi gli attacchi e le incomprensioni nei confronti di questa fondamentale realtà umana e sociale. E’ quindi quanto mai necessario che le pubbliche Amministrazioni non assecondino simili tendenze negative, ma al contrario offrano alle famiglie un sostegno convinto e concreto, nella certezza di operare così per il bene comune.

Un’altra emergenza che si aggrava è quella della povertà: essa aumenta soprattutto nelle grandi periferie urbane, ma comincia ad essere presente anche in altri contesti e situazioni, che sembravano esserne al riparo. La Chiesa partecipa di tutto cuore allo sforzo per alleviarla, collaborando volentieri con le istituzioni civili, ma l’aumento del costo della vita, in particolare i prezzi degli alloggi, le sacche persistenti di mancanza di lavoro, e anche i salari e le pensioni spesso inadeguati rendono davvero difficili le condizioni di vita di tante persone e famiglie.

Un evento tragico come l’uccisione, a Tor di Quinto, di Giovanna Reggiani, ha inoltre posto bruscamente la nostra cittadinanza di fronte al problema non solo della sicurezza, ma anche del gravissimo degrado di alcune aree di Roma: specialmente qui è necessaria, ben al di là dell’emozione del momento, un’opera costante e concreta, che abbia la duplice e inseparabile finalità di garantire la sicurezza dei cittadini e di assicurare a tutti, in particolare agli immigrati, almeno il minimo indispensabile per una vita onesta e dignitosa. La Chiesa, attraverso la Caritas e molte altre realtà di volontariato, animate da laici e da religiosi e religiose, si prodiga anche su questa difficile frontiera, sulla quale rimangono evidentemente insostituibili le responsabilità e possibilità di intervento dei pubblici poteri.

Un’altra sollecitudine che riguarda sia la Chiesa sia le vostre Amministrazioni è quella verso gli ammalati. Sappiamo bene quanto siano gravi le difficoltà che deve affrontare nell’ambito della sanità la Regione Lazio, ma dobbiamo ugualmente constatare come sia non di rado drammatica la situazione delle strutture sanitarie cattoliche, anche assai prestigiose e di riconosciuta eccellenza nazionale. Non posso pertanto non chiedere che nella distribuzione delle risorse esse non siano penalizzate, non per un interesse della Chiesa, ma per non compromettere un servizio indispensabile alle nostre popolazioni.

Distinte Autorità, mentre ancora vi ringrazio per la vostra visita gentile e apprezzata, vi assicuro la mia cordiale vicinanza e la mia preghiera, per voi e per le alte responsabilità che vi sono affidate. Il Signore sostenga il vostro impegno e illumini i vostri propositi di bene. Con questi sentimenti, imparto di cuore a ciascuno di voi la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri alle vostre famiglie e a quanti vivono e operano a Roma, nella sua provincia e in tutto il Lazio.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 9 gennaio 2008

Agostino era un uomo di passione e di intelligenza altissima che cercava la verità e incontrò Cristo


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

Agostino parlava della “vecchiaia del mondo”. Se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente giovane! (seconda catechesi su Sant'Agostino)

Fede e ragione non sono da separare né da contrapporre, ma devono sempre andare insieme. Per Agostino esse sono le due forze che ci portano a conoscere (terza catechesi su Sant'Agostino)

Per Agostino, più importante del fare grandi opere di respiro alto, teologico, era portare il messaggio cristiano ai semplici... (quarta catechesi su Sant'Agostino)

La conversione di Agostino non è stata improvvisa né pienamente realizzata fin dall’inizio, ma un vero e proprio cammino, che resta per noi un modello (quinta catechesi su Sant'Agostino)

Vedi anche:

Il Papa: "Le creature debbono tacere se deve subentrare il silenzio in cui Dio può parlare. Questo è vero sempre anche nel nostro tempo: a volte si ha una sorta di timore del silenzio, del raccoglimento, del pensare alle proprie azioni, al senso profondo della propria vita, spesso si preferisce vivere solo l’attimo fuggente, illudendosi che porti felicità duratura; si preferisce vivere, perché sembra più facile, con superficialità, senza pensare; si ha paura di cercare la Verità o forse si ha paura che la Verità ci trovi, ci afferri e cambi la vita, come è avvenuto per sant’Agostino" (Catechesi udienza generale, 25 agosto)

Il Papa dopo la proiezione del film "Sant'Agostino": "Noi non possiamo trovare da soli la Verità, ma la Verità, che è Persona, ci trova" (Discorso del Santo Padre, 3 settembre 2009)

VISITA DEL SANTO PADRE A VIGEVANO E PAVIA (21-22 APRILE 2007): LO SPECIALE DEL BLOG

Il Papa all'udienza generale presenta Sant'Agostino (Radio Vaticana)

BENEDETTO XVI: UDIENZA, S. AGOSTINO “MODELLO UNICO” PER LA CULTURA OCCIDENTALE (SIR)

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 9 gennaio 2008


Sant'Agostino di Ippona

Cari fratelli e sorelle!

Dopo le grandi festività natalizie, vorrei tornare alle meditazioni sui Padri della Chiesa e parlare oggi del più grande Padre della Chiesa latina, sant’Agostino: uomo di passione e di fede, di intelligenza altissima e di premura pastorale instancabile, questo grande santo e dottore della Chiesa è spesso conosciuto, almeno di fama, anche da chi ignora il cristianesimo o non ha consuetudine con esso, perché ha lasciato un’impronta profondissima nella vita culturale dell'Occidente e di tutto il mondo. Per la sua singolare rilevanza, sant’Agostino ha avuto un influsso larghissimo, e si potrebbe affermare, da una parte, che tutte le strade della letteratura latina cristiana portano a Ippona (oggi Annaba, sulla costa algerina), il luogo dove era vescovo e, dall’altra, che da questa città dell’Africa romana, di cui Agostino fu Vescovo dal 395 fino alla morte nel 430, si diramano molte altre strade del cristianesimo successivo e della stessa cultura occidentale.

Di rado una civiltà ha trovato uno spirito così grande, che sapesse accoglierne i valori ed esaltarne l’intrinseca ricchezza, inventando idee e forme di cui si sarebbero nutriti i posteri, come sottolineò anche Paolo VI: "Si può dire che tutto il pensiero dell’antichità confluisca nella sua opera e da essa derivino correnti di pensiero che pervadono tutta la tradizione dottrinale dei secoli successivi" (AAS, 62, 1970, p. 426).

Agostino è inoltre il Padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere. Il suo biografo Possidio dice: sembrava impossibile che un uomo potesse scrivere tante cose nella propria vita. Di queste diverse opere parleremo in un prossimo incontro.

Oggi la nostra attenzione sarà riservata alla sua vita, che si ricostruisce bene dagli scritti, e in particolare dalle Confessiones, la straordinaria autobiografia spirituale, scritta a lode di Dio, che è la sua opera più famosa. E giustamente, perché sono proprio le Confessiones agostiniane, con la loro attenzione all’interiorità e alla psicologia, a costituire un modello unico nella letteratura occidentale, e non solo occidentale, anche non religiosa, fino alla modernità. Questa attenzione alla vita spirituale, al mistero dell'io, al mistero di Dio che si nasconde nell'io, è una cosa straordinaria senza precedenti e rimane per sempre, per così dire, un «vertice» spirituale.

Ma, per venire alla vita, Agostino nacque a Tagaste – nella provincia della Numidia, nell’Africa romana – il 13 novembre 354 da Patrizio, un pagano che poi divenne catecumeno, e da Monica, fervente cristiana. Questa donna appassionata, venerata come santa, esercitò sul figlio una grandissima influenza e lo educò nella fede cristiana.

Agostino aveva anche ricevuto il sale, come segno dell'accoglienza nel catecumenato. Ed è rimasto sempre affascinato dalla figura di Gesù Cristo; egli anzi dice di aver sempre amato Gesù, ma di essersi allontanato sempre più dalla fede ecclesiale, dalla pratica ecclesiale, come succede anche oggi per molti giovani.

Agostino aveva anche un fratello, Navigio, e una sorella, della quale ignoriamo il nome e che, rimasta vedova, fu poi a capo di un monastero femminile. Il ragazzo, di vivissima intelligenza, ricevette una buona educazione, anche se non fu sempre uno studente esemplare. Egli tuttavia studiò bene la grammatica, prima nella sua città natale, poi a Madaura, e dal 370 retorica a Cartagine, capitale dell'Africa romana: divenne un perfetto dominatore della lingua latina, non arrivò però a maneggiare con altrettanto dominio il greco e non imparò il punico, parlato dai suoi conterranei.

Proprio a Cartagine Agostino lesse per la prima volta l’Hortensius, uno scritto di Cicerone poi andato perduto che si colloca all’inizio del suo cammino verso la conversione. Il testo ciceroniano, infatti, svegliò in lui l’amore per la sapienza, come scriverà, ormai Vescovo, nelle Confessiones: "Quel libro cambiò davvero il mio modo di sentire", tanto che "all’improvviso perse valore ogni speranza vana e desideravo con un incredibile ardore del cuore l’immortalità della sapienza" (III, 4, 7).

Ma poichè era convinto che senza Gesù la verità non può dirsi effettivamente trovata, e perché in questo libro appassionante quel nome gli mancava, subito dopo averlo letto cominciò a leggere la Scrittura, la Bibbia. Ma ne rimase deluso. Non solo perché lo stile latino della traduzione della Sacra Scrittura era insufficiente, ma anche perché lo stesso contenuto gli apparve non soddisfacente.

Nelle narrazioni della Scrittura su guerre e altre vicende umane non trovava l'altezza della filosofia, lo splendore di ricerca della verità che ad essa è proprio. Tuttavia non voleva vivere senza Dio e così cercava una religione corrispondente al suo desiderio di verità e anche al suo desiderio di avvicinarsi a Gesù.

Cadde così nella rete dei manichei, che si presentavano come cristiani e promettevano una religione totalmente razionale. Affermavano che il mondo è diviso in due principi: il bene e il male. E così si spiegherebbe tutta la complessità della storia umana. Anche la morale dualistica piaceva a sant'Agostino, perché comportava una morale molto alta per gli eletti: e per chi come lui vi aderiva era possibile una vita molto più adeguata alla situazione del tempo, specie per un uomo giovane. Si fece pertanto manicheo, convinto in quel momento di aver trovato la sintesi tra razionalità, ricerca della verità e amore di Gesù Cristo. Ed ebbe anche un vantaggio concreto per la sua vita: l’adesione ai manichei infatti apriva facili prospettive di carriera. Aderire a quella religione che contava tante personalità influenti gli permetteva di continuare la relazione intrecciata con una donna e di andare avanti nella sua carriera. Da questa donna ebbe un figlio, Adeodato, a lui carissimo, molto intelligente, che sarà poi presente nella preparazione al battesimo presso il lago di Como, partecipando a quei «Dialoghi» che sant'Agostino ci ha trasmesso. Il ragazzo, purtroppo, morì prematuramente. Insegnante di grammatica a circa vent’anni nella sua città natale, tornò presto a Cartagine, dove divenne un brillante e celebrato maestro di retorica. Con il tempo, tuttavia, Agostino iniziò ad allontanarsi dalla fede dei manichei, che lo delusero proprio dal punto di vista intellettuale in quanto incapaci di risolvere i suoi dubbi, e si trasferì a Roma, e poi a Milano, dove allora risiedeva la corte imperiale e dove aveva ottenuto un posto di prestigio grazie all’interessamento e alle raccomandazioni del prefetto di Roma, il pagano Simmaco, ostile al vescovo di Milano sant'Ambrogio.

A Milano Agostino prese l’abitudine di ascoltare – inizialmente allo scopo di arricchire il suo bagaglio retorico – le bellissime prediche del Vescovo Ambrogio, che era stato rappresentante dell’imperatore per l’Italia settentrionale, e dalla parola del grande presule milanese il retore africano rimase affascinato; e non soltanto dalla sua retorica, soprattutto il contenuto toccò sempre più il suo cuore. Il grande problema dell'Antico Testamento, della mancanza di bellezza retorica, di altezza filosofica si risolse, nelle prediche di sant'Ambrogio, grazie all'interpretazione tipologica dell'Antico Testamento: Agostino capì che tutto l'Antico Testamento è un cammino verso Gesù Cristo. Così trovò la chiave per capire la bellezza, la profondità anche filosofica dell'Antico Testamento e capì tutta l'unità del mistero di Cristo nella storia e anche la sintesi tra filosofia, razionalità e fede nel Logos, in Cristo Verbo eterno che si è fatto carne.

In breve tempo Agostino si rese conto che la lettura allegorica della Scrittura e la filosofia neoplatonica praticate dal Vescovo di Milano gli permettevano di risolvere le difficoltà intellettuali che, quando era più giovane, nel suo primo avvicinamento ai testi biblici gli erano sembrate insuperabili.

Alla lettura degli scritti dei filosofi Agostino fece così seguire quella rinnovata della Scrittura e soprattutto delle Lettere paoline. La conversione al cristianesimo, il 15 agosto 386, si collocò quindi al culmine di un lungo e tormentato itinerario interiore, del quale parleremo ancora in un'altra catechesi, e l’africano si trasferì nella campagna a nord di Milano presso il lago di Como – con la madre Monica, il figlio Adeodato e un piccolo gruppo di amici – per prepararsi al battesimo.

Così, a trentadue anni, Agostino fu battezzato da Ambrogio il 24 aprile 387, durante la veglia pasquale, nella Cattedrale di Milano.

Dopo il battesimo, Agostino decise di tornare in Africa con gli amici, con l’idea di praticare una vita comune, di tipo monastico, al servizio di Dio. Ma a Ostia, in attesa di partire, la madre improvvisamente si ammalò e poco più tardi morì, straziando il cuore del figlio.

Rientrato finalmente in patria, il convertito si stabilì a Ippona per fondarvi appunto un monastero. In questa città della costa africana, nonostante le sue resistenze, fu ordinato presbitero nel 391 e iniziò con alcuni compagni la vita monastica a cui da tempo pensava, dividendo il suo tempo tra la preghiera, lo studio e la predicazione.

Egli voleva essere solo al servizio della verità, non si sentiva chiamato alla vita pastorale, ma poi capì che la chiamata di Dio era quella di essere pastore tra gli altri, e così di offrire il dono della verità agli altri. lui voleva essere solo nel servizio alla verità, non si sentiva chiamato alla vita pastorale, ma poi ha capito che la chiamata di Dio era quella di essere pastore tra gli altri, e così di dare il dono della verità agli altri.

A Ippona, quattro anni più tardi, nel 395, venne consacrato Vescovo. Continuando ad approfondire lo studio delle Scritture e dei testi della tradizione cristiana, Agostino fu un Vescovo esemplare nel suo instancabile impegno pastorale: predicava più volte la settimana ai suoi fedeli, sosteneva i poveri e gli orfani, curava la formazione del clero e l’organizzazione di monasteri femminili e maschili. In breve l’antico retore si affermò come uno degli esponenti più importanti del cristianesimo di quel tempo: attivissimo nel governo della sua diocesi – con notevoli risvolti anche civili – negli oltre trentacinque anni di episcopato, il Vescovo di Ippona esercitò infatti una vasta influenza nella guida della Chiesa cattolica dell’Africa romana e più in generale nel cristianesimo del suo tempo, fronteggiando tendenze religiose ed eresie tenaci e disgregatrici come il manicheismo, il donatismo e il pelagianesimo, che mettevano in pericolo la fede cristiana nel Dio unico e ricco di misericordia.

E a Dio si affidò Agostino ogni giorno, fino all’estremo della sua vita: colpito da febbre, mentre da quasi tre mesi la sua Ippona era assediata dai vandali invasori, il Vescovo – racconta l’amico Possidio nella Vita Augustini – chiese di trascrivere a grandi caratteri i salmi penitenziali "e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua malattia li poteva vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime" (31,2). Così trascorsero gli ultimi giorni della vita di Agostino, che morì il 28 agosto 430, quando ancora non aveva compiuto 76 anni. Alle sue opere, al suo messaggio e alla sua vicenda interiore dedicheremo i prossimi incontri.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Sito dedicato a Sant'Agostino

Agostino in "Monastero virtuale"

Sant'Agostino. Il primo comunicatore. Scoperti in un manoscritto medievale sei sermoni inediti del vescovo di Ippona (Osservatore)

Dorothea Weber e Clemens Weidmann: "Non c'è dubbio: l'autore dei sermoni ritrovati è Sant'Agostino" (Osservatore)

Trovati in Germania sei sermoni di sant'Agostino in un manoscritto del XII secolo a Erfurt. Si parla di carità, elemosine e resurrezione dei morti

OMELIE DI SANT'AGOSTINO

Sant'Agostino commenta la guarigione del cieco nato...

Sant'Agostino commenta la risurrezione di Lazzaro