venerdì 30 marzo 2007

Il Papa incontra i giovani



Vedi anche:

"Messaggio del Papa per la Quaresima 2007"

IL PAPA AI GIOVANI: SIETE TANTI, SAN PIETRO NON BASTA





CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA CON I GIOVANI DELLA DIOCESI DI ROMA IN PREPARAZIONE ALLA XXII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ , 29.03.2007

Domenica 1° aprile 2007 - Domenica delle Palme - si celebrerà in tutte le Diocesi la XXII Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34).

In preparazione alla Giornata, questo pomeriggio, alle ore 18.00, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione della Penitenza con i Giovani della Diocesi di Roma.

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Penitenziale:



OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari amici,

ci incontriamo questa sera, in prossimità della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, che ha per tema, come sapete, il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù nella notte in cui fu tradito: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). Saluto cordialmente tutti voi che siete venuti dalle varie parrocchie di Roma. Saluto il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, i sacerdoti presenti, con un pensiero speciale per i confessori che tra poco saranno a vostra disposizione. L’odierno appuntamento, come già ha anticipato la vostra Portavoce, che ringrazio per le parole rivoltemi a vostro nome all’inizio della celebrazione, assume un profondo ed alto significato. È, infatti, un incontro attorno alla Croce, una celebrazione della misericordia di Dio che nel Sacramento della confessione ognuno di voi potrà sperimentare personalmente.

Nel cuore di ogni uomo, mendicante di amore, c’è sete di amore. Il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, scriveva già nella sua prima Enciclica Redemptor hominis: "L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa pienamente" (n. 10). Ancor più il cristiano non può vivere senza amore. Anzi, se non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno pienamente cristiano, perché, come ho rilevato nell’Enciclica Deus caritas est, "all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1). L’amore di Dio per noi, iniziato con la creazione, si è fatto visibile nel mistero della Croce, in quella kenosi di Dio, in quello svuotamento ed umiliante abbassamento del Figlio di Dio che abbiamo sentito proclamare dall’apostolo Paolo nella prima Lettura, nel magnifico inno a Cristo della Lettera ai Filippesi. Sì, la Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio per noi. Un amore crocifisso, che non si ferma allo scandalo del Venerdì Santo, ma culmina nella gioia della Risurrezione e Ascensione al cielo e nel dono dello Spirito Santo, Spirito dell’amore per mezzo del quale, anche questa sera, saranno rimessi i peccati e concessi il perdono e la pace.

L’amore di Dio per l’uomo, che si esprime in pienezza sulla Croce, è descrivibile con il termine agape, ossia "amore oblativo che cerca esclusivamente il bene dell’altro", ma pure con il termine eros. Infatti, mentre è amore che offre all’uomo tutto ciò che Dio è, come ho osservato nel Messaggio per questa Quaresima, è anche un amore dove il "cuore stesso di Dio, l’Onnipotente, attende il ‘sì’ delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa". Purtroppo "fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cfr Gn 3,1-7)" (ibid.). Ma nel sacrificio della Croce Dio continua a riproporre il suo amore, la sua passione per l’uomo, quella forza che, come si esprime lo Pseudo Dionigi, "non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato" (De divinis nominibus, IV, 13; PG 3, 712), venendo a "mendicare" l’amore della sua creatura. Questa sera, accostandovi al Sacramento della confessione, potrete fare l’esperienza del "dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla" (CCC, 1999) affinché, uniti a Cristo, diventiamo creature nuove (cfr 2 Cor 5,17-18).

Cari giovani della Diocesi di Roma, con il Battesimo voi siete già nati a vita nuova in virtù della grazia di Dio. Poiché però questa vita nuova non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato, ci è data l’opportunità di accostarci al Sacramento della confessione. Ogni volta che lo fate con fede e devozione, l’amore e la misericordia di Dio muovono il vostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo. A lui, e così a Cristo stesso, esprimete il dolore per i peccati commessi, con il fermo proposito di non peccare più in avvenire e con la disponibilità ad accogliere con gioia gli atti di penitenza che egli vi indica per riparare il danno causato dal peccato. Sperimentate così il "perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il ricupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenza del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano di ogni giorno" (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 310). Con il lavacro penitenziale di questo Sacramento, siamo riammessi nella piena comunione con Dio e con la Chiesa, compagnia affidabile perché "sacramento universale di salvezza" (Lumen gentium, 48).

Nella seconda parte del comandamento nuovo il Signore dice: "Amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). Certamente Egli attende che ci lasciamo attrarre dal suo amore e ne sperimentiamo tutta la grandezza e bellezza, ma non basta! Cristo ci attira a sé per unirsi a ciascuno di noi, affinché, a nostra volta, impariamo ad amare i fratelli con lo stesso suo amore, come Lui ci ha amati. Oggi, come sempre, c’è tanto bisogno di una rinnovata capacità di amare i fratelli. Uscendo da questa celebrazione, con i cuori ricolmi dell’esperienza dell’amore di Dio, siate preparati ad "osare" l’amore nelle vostre famiglie, nei rapporti con i vostri amici e anche con chi vi ha offeso. Siate preparati ad incidere con una testimonianza autenticamente cristiana negli ambienti di studio e di lavoro, ad impegnarvi nelle comunità parrocchiali, nei gruppi, nei movimenti, nelle associazioni e in ogni ambito della società.

Voi, giovani fidanzati, vivete il fidanzamento nell’amore vero, che comporta sempre il reciproco rispetto, casto e responsabile. Se il Signore chiama alcuni di voi, cari giovani amici di Roma, ad una vita di particolare consacrazione siate pronti a rispondere con un "sì" generoso e senza compromessi. Donandovi a Dio e ai fratelli, sperimenterete la gioia di chi non si ripiega su se stesso in un egoismo troppo spesso asfissiante. Ma tutto ciò, certamente, ha un prezzo, quel prezzo che Cristo per primo ha pagato e che ogni suo discepolo, anche se in modo ben inferiore rispetto al Maestro, deve anch’egli pagare: il prezzo del sacrificio e dell’abnegazione, della fedeltà e della perseveranza senza le quali non c’è e non ci può essere vero amore, pienamente libero e sorgente di gioia.

Cari ragazzi e ragazze, il mondo aspetta questo vostro contributo per l’edificazione della "civiltà dell’amore". "L’orizzonte dell’amore è davvero sconfinato: è il mondo intero!" (Messaggio per la XXII Giornata Mondiale della Gioventù). I sacerdoti che vi seguono ed i vostri educatori sono certi che, con la grazia di Dio ed il costante soccorso della sua divina misericordia, riuscirete ad essere all’altezza dell’arduo compito al quale il Signore vi chiama. Non perdetevi d’animo ed abbiate sempre fiducia in Cristo e nella sua Chiesa! Il Papa vi è vicino e vi assicura un ricordo quotidiano nella preghiera, affidandovi particolarmente alla Vergine Maria, Madre di misericordia, perché vi accompagni e vi sostenga sempre. Amen!

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COMMENTI

Una GMG all'insegna del perdono. In San Pietro la liturgia penitenziale dei giovani con il papa
di Mattia Bianchi

Migliaia di giovani di Roma hanno partecipato al tradizionale incontro con il papa, in vista della Giornata mondiale della gioventù di domenica. L'invito di Benedetto XVI alla castità, le richieste di perdono, le confessioni individuali. La cronaca...

CITTA' DEL VATICANO - La forza del perdono per testimoniare la dimensione del cristianesimo legata all'amore. E' stato questo il filo conduttore dell'incontro di Benedetto XVI con i giovani di Roma, svoltosi ieri in Vaticano in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù di domenica 1° aprile. Un appuntamento entrato nella tradizione che per la prima volta ha cambiato pelle, mettendo da parte il clima di festa e di musica (negli anni scorsi, l'incontro si svolgeva in piazza San Pietro), a favore di una maggiore sobrietà e soprattutto, della celebrazione del sacramento della Riconciliazione. In piena sintonia con il suo stile, infatti, Benedetto XVI ha voluto indicare ai giovani la misericordia per sperimentare in prima persona l'essenza del cristianesimo. Nessun tono inquisitorio, ma piuttosto la volontà di sfatare i pregiudizi sulla confessione, sacramento che permette all'uomo di toccare con mano l'amore di Dio e godere della "pace e serenità della coscienza e della consolazione dello spirito". Spazio quindi a letture e richieste di perdono che hanno introdotto il momento della confessioni individuali, grazie alla presenza di oltre 200 sacerdoti e dello stesso pontefice che ha confessato sei ragazzi.

Il rito. La liturgia è ruotata intorno al tema “Come io vi ho amato”, approfondito in quattro momenti. Dopo il saluto ai giovani riuniti in Aula Paolo VI ("Siete davvero tanti!"), il papa ha raggiunto la basilica dove è iniziata la cerimonia vera e propria. I riti iniziali hanno compreso la processione silenziosa, la sosta, un saluto da parte di un rappresentante dei giovani e la preghiera di colletta davanti al Crocifisso della Cappella Sistina, portato in basilica per l'occasione. Nella Liturgia della Parola, invece, è stato proclamato il testo dell'inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2,1-11), il salmo 26 e la pericope del Vangelo di Giovanni (13, 34-38), in cui viene presentato il comandamento nuovo dell’amore (“Come io vi ho amato...”) che precede nella narrazione l’annunzio del rinnegamento di Pietro. Dopo l'omelia del papa, spazio al rito della riconciliazione caratterizzato da alcune invocazioni di perdono proposte dai giovani sullo schema dei sette vizi capitali (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria) e dall’accensione, dopo ogni richiesta di perdono, di una luce davanti al Crocifisso. A seguire, la preghiera e le confessioni individuali: il momento centrale della liturgia, conclusasi con il rendimento di grazie e la benedizione del papa.

L'omelia del papa. La Croce come espressione dell'amore di Dio, sia in termini di agape (l'amore che cerca esclusivamente il bene del'altro) che di eros (l'amore di chi attende un sì, come uno sposo con la sposa). Nella sua omelia, Benedetto XVI tratteggia la dimensione più profonda del cristianesimo, chiarendo che se “un cristiano non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno pienamente cristiano”. Ed è proprio nella croce che Dio “continua a riproporre il suo amore e la sua passione per l’uomo”. Una realtà sperimentabile nel sacramento della confessione, con cui è possibile rispondere alla “debolezza della natura umana” e “all'inclinazione al peccato”. “Ogni volta che lo fate (ndr. vi confessate) con fede e devozione, - ha detto il papa - l’amore e la misericordia di Dio muovono il vostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo”. Dal perdono scaturisce poi un impegno ulteriore, perché “Cristo ci attira a sé per unirsi a ciascuno di noi, affinché, a nostra volta, impariamo ad amare i fratelli con lo stesso suo amore”. “Uscendo da questa celebrazione, - è l'invito di Benedetto XVI - con i cuori ricolmi dell’esperienza dell’amore di Dio, siate preparati ad “osare” l’amore nelle vostre famiglie, nei rapporti con i vostri amici e anche con chi vi ha offeso”. Un richiamo alla testimonianza negli ambienti di vita quotidiana: lo studio , il lavoro, la parrocchia, i gruppi, i movimenti e ogni ambito della società. Nella stessa misura, ai fidanzati viene chiesto di vivere il fidanzamento in un rispetto “casto e responsabile”, mentre ai giovani che sentono la chiamata alla consacrazione di rispondere con un “sì” “generoso e senza compromessi”. Una radicalità che ha un prezzo: il sacrificio e l’abnegazione, la fedeltà e la perseveranza “senza le quali non c’è e non ci può essere vero amore, pienamente libero e sorgente di gioia”. Si costruisce così la civiltà dell'amore, senza perdersi d'animo e con una piena fiducia in Cristo e nella Chiesa. “Il papa – promette Benedetto XVI - vi è vicino e vi assicura un ricordo quotidiano nella preghiera, affidandovi particolarmente alla Vergine Maria”.

Il saluto di un giovane. All'inizio della celebrazione, il papa ha ricevuto il saluto di Costanza d’Ardia, una 26enne impegnata nella pastorale giovanile diocesana. “Quest’anno – ha detto la giovane - il motivo della nostra gratitudine è ancora più grande. Oggi, infatti, non ci incontriamo soltanto con il papa che amiamo per la sua gentilezza e che apprezziamo per gli interventi così penetranti ed illuminanti per il cammino della nostra vita, ma soprattutto, tramite Lei ed i tanti sacerdoti qui presenti, ci incontriamo con la Misericordia di Dio". “Ogni persona – ha continuato Costanza - per amare ha bisogno di sentirsi amata. Noi giovani, soprattutto, se non sappiamo sempre amare è perché spesso non abbiamo ricevuto amore vero. È infatti amore vero quello di chi dicendo di interessarsi di noi in realtà ci sfrutta? È amore per noi quello di chi ci impone di vivere la sessualità non come manifestazione dell’amore all’interno del matrimonio ma come semplice uso del nostro corpo? È amore per noi quello di chi non rischia col proporci mete alte accompagnandoci nel cammino della vita per educarci ai valori più veri o ci lascia in condizioni precarie di lavoro? È amore per noi quello di chi offre ai giovani sostanze che stordiscono e tolgono il controllo di noi stessi? È amore per noi quello di un superaffetto che ci viene offerto per impedirci di uscire dal caldo nido familiare per compiere scelte di vita importanti e definitive?”. La giovane ha poi aggiunto: “Tra noi, Santità, quanti sono gli assetati di amore perché in famiglia il rapporto tra i genitori si è incrinato e ha provocato depressione e dolore nel cuore dei figli! È tra noi, anche chi ha una vita più serena, spesso è in ricerca di qualcosa di più che sappia appagare il suo desiderio infinito di bene, di giusto, di vero. Il suo desiderio di amore”.

Le richieste di perdono. Entrando nei particolari della cerimonia, ha colpito senza dubbio per la sua schiettezza e trasparenza, la richiesta di perdono dei giovani, sulla base dei sette vizi capitali. Nella basilica di San Pietro sono risuonati i limiti e le fragilità dell'uomo, affidate alla misericordia di un Dio che tutto perdona. Non discorsi fumosi o ideali, ma esperienze molto concreti che appartengono alla vita di tutti i giorni. I giovani hanno chiesto perdono per la superbia che cerca “solo la lode e l’approvazione della gente” e per il “desiderio di non dipendere da nessuno e nemmeno da Dio e per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione”. Per l'invidia e l'egocentrismo che “ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare”, per quando “chiamiamo l’invidia sana competitività”. Per l'ira, racchiusa nei “turbamenti del cuore e nei sentimenti di avversione verso i fratelli”, “nell’animosità eccitata, nell’aggressività del corpo e nella sete di vendetta”. Per l'accidia, ovvero “il torpore, la pigrizia, l’abbattimento, la tristezza, la dipendenza e le crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori che ci lasciano sempre tristi e vuoti”: una vita senza scopo, insomma, “il tempo perso e la fuga dall’impegno quotidiano”.

Per l'avarizia, “l’avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro” e le sue conseguenze: “liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni,spergiuri, violenza e indurimento del cuore”. Atteggiamenti che su larga scala producono “le drammatiche disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, le guerre, i disumani sfruttamenti e l’inganno delle coscienze prodotto da un sistema di accumulo e consumo che fa di tutto per eccitare la brama del possesso”. Per la gola, espressa non solo nel “rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo,dell’alcool, delle droghe, la dipendenza che ci fa schiavi”, ma anche nello scambiare per “libera scelta ciò che è solo condizionamento dell’abitudine, delle mode, della pubblicità”. Per la lussuria, che fa schiavi del sesso e per “il disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società: un riferimento al “cedimento a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete”, alla “mentalità diffusa che spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione”. Da qui, la richiesta di aiuto a Dio, a “custodire la castità nel cuore e nella mente, a non avere rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio, a evitare deviazioni e stravaganze”. Obiettivo: “Riscoprire la meraviglia della sessualità secondo Dio, nella cornice dell’amore coniugale, nell’atmosfera di famiglia e di tenerezza dove il sesso non è profanato e svenduto ma è sacra partecipazione al dono della vita”.

Le richieste di perdono sono state riprese anche dopo le confessioni individuali, per tutte le situazioni in cui viene meno l'amore per il prossimo, in famiglia, nella Chiesa, nel fidanzamento, nello studio, nel lavoro o nel tempo libero. “Signore, perdonaci se abbiamo attentato alla vita e all’integrità fisica del prossimo, - ha detto un giovane - se ne abbiamo offeso l’onore, se ne abbiamo danneggiato i beni. Se abbiamo consigliato o praticato l’aborto, se abbiamo serbato odio, se siamo stati rissosi, se abbiamo pronunciato insulti e parole offensive, fomentando screzi e rancori”. E ancora: “Signore, perdonaci se abbiamo rubato,se abbiamo ingiustamente desiderato la roba d’altri, se abbiamo danneggiato il prossimo nei suoi averi, se non abbiamo restituito quanto sottratto e riparato i danni arrecati. Signore, perdonaci se, avendo ricevuto dei torti, non ci siamo dimostrati disponibili alla riconciliazione e al perdono per amore tuo o serbiamo in cuore desideri di odio e di vendetta”.

Korazym


Un popolo di perdonati. La forza di un’etica non solo religiosa
di Redazione

Alla liturgia penitenziale con il papa, i giovani danno nome e cognome a limiti e fragilità umane. Emerge un impegno valido per tutti e al tempo stesso la forza del cristianesimo: la consapevolezza di non essere migliori, ma perdonati.

Sarà difficile parlare ancora di una Chiesa che punta il dito, giudica e non capisce. La liturgia penitenziale per i giovani, presieduta dal papa, ha dimostrato (nel caso ce ne fosse ancora bisogno) che il grande amore del cristianesimo si esprime con totale radicalità e atteggiamento disarmante nella misericordia. C’è una forza tutta religiosa nella logica del perdono cristiano, di per sé difficile da vivere in un’ottica puramente umana. Eppure il senso delle richieste di perdono lette da sette giovani, partendo dai vizi capitali, va oltre la fede e la religione e si pone come un programma etico, da attuare non sotto l'effetto dell’incenso, ma nella concretezza del quotidiano. Una visione radicata senza dubbio nella realtà della salvezza cristiana, capace tuttavia di porsi anche come morale laica. E non potrebbe essere diversamente.

Del resto, sarebbe forse peggiore un mondo che mettesse da parte “le azioni che cercano solo la lode e l’approvazione della gente, la ricerca di potere, l’egocentrismo, l’avidità e l’insoddisfazione”? L’umanità vivrebbe peggio se rinunciasse alla “tentazione di farla pagare agli altri”, “al piacere di fare del male a qualcuno”, “alla gratuità dell’ira? Perderemmo forse qualcosa a rinunciare al “torpore, alla pigrizia, all’abbattimento e alla tristezza”, in parole povere alla noia?

Sarebbe così peregrino un mondo senza “una fiducia smodata nel denaro”, in cui ognuno si impegni a vivere con più sobrieta e senza bramosia? E non saremmo forse persone migliori, se imparassimo a non farci condizionare “dalle abitudini, dalle mode o dalla pubblicità”? Vivendo la dimensione più bella della sessualità, al di là di ogni piacere effimero, pornografia o mentalità usa e getta?

Le domande potrebbero continuare, perché l'elenco dei limiti e delle fragilità umane risuonate nella basilica di San Pietro è stato lungo e dettagliato: la fotografia di ogni cuore umano (di cristiani e non, dei credenti e degli atei) e di converso, una piattaforma programmatica per aspirare ad una vita autentica, a prescindere dalle proprie convinzioni. Certo, ci sono anche richiami alla castità e alla purezza che forse faranno sorridere i benpensanti e anche qualche giovane cattolico che la pensa diversamente, ma dalla prospettiva della misericordia emerge il valore aggiunto della proposta cristiana. In un contesto politico e sociale in cui tutti giudicano tutti, c'è ancora qualcuno che ha il coraggio e l'umiltà di mettersi allo specchio, ammettendo le proprie contraddizioni. Perché i cristiani non sono perfetti né migliori degli altri. Hanno semplicemente una proposta universale e una consapevolezza: quella di essere un popolo di perdonati.

Korazym

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