lunedì 12 maggio 2008

Il Papa all'ambasciatore israeliano: "Sicurezza per Israele. Libertà per i palestinesi"


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VIDEO RADIO VATICANA/CTV

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Rispetto, stima e collaborazione tra Santa Sede ed Israele: così il Papa nell’udienza al nuovo ambasciatore dello Stato ebraico (Radio Vaticana)

BENEDETTO XVI ALL’AMBASCIATORE ISRAELIANO: “CRISTIANI IN MO E ISRAELE, DECLINO ALLARMANTE”

Nel discorso di Benedetto XVI all'ambasciatore Lewy la preoccupazione per il declino dei cristiani in Medio Oriente e l'auspicio di una positiva soluzione dei negoziati in corso

Sicurezza per Israele
Libertà per i palestinesi


Benedetto XVI ha ricevuto nella mattina di lunedì 12 maggio, alle ore 11, in solenne udienza, sua eccellenza il signor Mordechay Lewy, nuovo ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede, il quale ha presentato le Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio.
S.E. l'ambasciatore, rilevato alla sua residenza da un gentiluomo di Sua Santità e da un addetto di anticamera, è giunto alle 10.45 al Cortile di San Damaso, nel Palazzo Apostolico Vaticano, ove un reparto della Guardia Svizzera pontificia rendeva gli onori. Al ripiano degli ascensori, S.E. l'ambasciatore era ricevuto da un gentiluomo di Sua Santità e subito dopo saliva alla seconda Loggia, dove si trovavano ad attenderlo gli addetti di anticamera ed i sediari. Dalla seconda Loggia il corteo si dirigeva alla Sala Clementina, dove l'ambasciatore veniva ricevuto dal prefetto della Casa Pontificia, monsignor James Michael Harvey, arcivescovo titolare di Memfi, il quale lo accompagnava nella Biblioteca privata. Il prefetto presentava al Papa il nuovo ambasciatore. Dopo la presentazione delle Credenziali da parte dell'ambasciatore aveva luogo lo scambio dei discorsi. Questo è il testo del discorso di Benedetto XVI
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Questa è la traduzione italiana del discorso del Papa:

Eccellenza,

sono lieto di porgerle il benvenuto all'inizio della sua missione e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario dello Stato di Israele presso la Santa Sede. La ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto e le chiedo di trasmettere al Presidente Shimon Peres i miei rispettosi saluti e l'assicurazione delle mie preghiere per il popolo del suo Paese.
Ancora una volta, offro i miei cordiali auspici in occasione della celebrazione di Israele dei sessanta anni della sua esistenza come Stato. La Santa Sede si unisce a Lei nel rendere grazie al Signore perché le aspirazioni del popolo ebraico a una casa nella terra dei loro padri si sono realizzate e, al contempo, spera che giunga presto un tempo di maggiore letizia, quando una pace giusta risolverà il conflitto con i palestinesi. In particolare, la Santa Sede considera preziose le proprie relazioni diplomatiche con Israele, instaurate quindici anni fa, e attende con ansia l'ulteriore sviluppo di un maggior rispetto, di una maggiore stima e di una crescente collaborazione che ci uniscano.
Fra lo Stato di Israele e la Santa Sede esistono numerose aree di interesse reciproco che si possono esplorare con profitto.

Come ha sottolineato, l'eredità giudaico-cristiana dovrebbe spingerci a prendere l'iniziativa di promuovere molte forme di azione umanitaria e sociale nel mondo, non da ultimo combattendo tutte le forme di discriminazione razziale. Condivido con Lei, Eccellenza, l'entusiasmo per gli scambi culturali e accademici che si svolgono fra istituzioni cattoliche nel mondo e quelle in Terra Santa, e anche io spero che tali iniziative verranno maggiormente sviluppate nei prossimi anni.

Il dialogo fraterno, condotto a livello internazionale fra cristiani ed ebrei, sta recando molti frutti e deve proseguire con impegno e generosità. Le città sante di Roma e di Gerusalemme sono importantissime fonti di fede e saggezza per la civiltà occidentale, e, di conseguenza, i vincoli fra Israele e la Santa Sede hanno ripercussioni più profonde di quelle che derivano formalmente dalla dimensione giuridica delle nostre relazioni.
Eccellenza, so che condivide la mia preoccupazione per l'allarmante declino della popolazione cristiana nei Paesi del Medio Oriente, incluso Israele, a causa dell'emigrazione. Di certo, i cristiani non sono gli unici a risentire degli effetti dell'insicurezza e della violenza che sono conseguenze dei vari conflitti nella regione, ma, per molti aspetti, sono ora particolarmente vulnerabili.

Prego affinché, per la crescente amicizia fra Israele e la Santa Sede, si possano elaborare modi per rassicurare i membri della comunità cristiana affinché possano nutrire la speranza di un futuro sicuro e pacifico nelle loro patrie ancestrali, senza sentirsi costretti a doversi trasferire in altre parti del mondo per costruirsi una nuova vita.

I cristiani in Terra Santa intrattengono da tempo buoni rapporti sia con i musulmani sia con gli ebrei. La loro presenza e il libero esercizio della vita e della missione della Chiesa lì, hanno il potenziale di contribuire in modo significativo a sanare le divisioni fra le due comunità. Prego affinché possa essere così e invito il suo governo a continuare a elaborare modi per utilizzare la buona volontà dei cristiani sia verso i discendenti naturali del popolo che per primo ha udito la Parola di Dio sia verso i nostri fratelli e le nostre sorelle musulmani che da secoli vivono e praticano il proprio culto nella terra che tutte e tre le tradizioni religiose definiscono "santa".

Comprendo che le difficoltà dei cristiani in Terra Santa sono legate anche alla tensione continua fra le comunità ebrea e palestinese. La Santa Sede riconosce la legittima necessità di sicurezza e di autodifesa di Israele e condanna fortemente tutte le forme di antisemitismo. Sostiene anche che tutti i popoli hanno il diritto di ricevere uguali opportunità di prosperare. Proprio per questo, esorto con urgenza il suo governo a compiere ogni sforzo per alleviare le difficoltà sofferte dalla comunità palestinese, permettendole la libertà necessaria per svolgere le sue legittime attività, incluso il raggiungere i luoghi di culto affinché possa godere di pace e sicurezza maggiori. È evidente che questi problemi si possono affrontare soltanto nel più ampio contesto del processo di pace per il Medio Oriente.

La Santa Sede accoglie l'impegno espresso dal suo governo di portare avanti lo slancio riacceso ad Annapolis e prega affinché le speranze e le aspettative suscitate in quella sede non vengano deluse. Come ho osservato nel mio recente discorso alle Nazioni Unite, a New York, è necessario percorrere ogni possibile via diplomatica e prestare attenzione "ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione" se si vogliono risolvere conflitti annosi. Quando tutte le persone della Terra Santa vivranno in pace e in armonia, in due stati sovrani indipendenti, il beneficio per la pace del mondo sarà inestimabile e Israele sarà realmente ("luce delle nazioni" Is 42, 6), esempio luminoso di risoluzione del conflitto che il resto del mondo potrà seguire.
Molto è stato fatto nella formulazione degli accordi che sono stati firmati finora da Israele e dalla Santa Sede ed è auspicabile che i negoziati relativi a questioni economiche e fiscali giungano a una conclusione soddisfacente. Grazie per le sue parole rassicuranti sull'impegno del governo di Israele per una soluzione positiva e rapida dei problemi ancora da risolvere. So di parlare a nome di molti quando esprimo la speranza che questi accordi possano presto essere integrati nel sistema giuridico interno di Israele e costituire così una base per una cooperazione feconda. Dato l'interesse personale che Lei, Eccellenza, nutre per la situazione dei cristiani in Terra Santa, e che è molto apprezzato, so che comprende le difficoltà causata dalle continue incertezze sui loro diritti e sul loro status legali, in particolare a proposito della questione dei visti per il personale ecclesiastico. Sono certo che farà tutto il possibile per facilitare la soluzione dei restanti problemi in un modo accettabile per tutte le parti in causa. Solo quando si supereranno queste difficoltà, la Chiesa potrà svolgere le proprie opere religiose, morali, educative e caritative nella terra in cui è nata.
Eccellenza, prego affinché la missione diplomatica che comincia oggi rafforzi ulteriormente i vincoli di amicizia fra la Santa Sede e il suo Paese. Sia certo che i vari dicasteri della Curia Romana saranno sempre pronti a offrirle aiuto e sostegno nello svolgimento dei suoi doveri. Con i miei sinceri buoni auspici, invoco su di Lei, sulla sua famiglia e su tutto il popolo dello Stato di Israele le abbondanti benedizioni di Dio.

(©L'Osservatore Romano - 12-13 maggio 2008)


Saluto del nuovo ambasciatore di Israele presso la Santa Sede

CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 12 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso che il nuovo ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, il signor Mordechay Lewy, ha rivolto questo lunedì a Benedetto XVI in occasione dell'udienza per lo scambio delle lettere credenziali.

* * *

Santità,

«Benedictus qui largitur de majestate sua carni et sanguini». Questa è la tradizionale benedizione che un ebreo utilizza rispettosamente quando incontra un monarca o un regnante. Nel linguaggio biblico, la benedizione recita: Se posso fare un'osservazione personale, è con profondo senso di umiltà che, in quanto discendente della tribù di Levi, sono qui a presentarle le Lettere credenziali in nome dello Stato di Israele.

Secondo la tradizione biblica, il levita aveva l'obbligo di assistere il Kohen gadol, il Pontifex, nel compiere i rituali del tempio e poi nel celebrare la liturgia delle benedizioni sacerdotali nella sinagoga. Il mio antenato, della città di Rogasen, nel distretto di Posen, cambiò il proprio cognome da Levi in Lewi pensando illusoriamente che gli Americani l'avrebbero pronunciato meglio. Tuttavia, sbagliò. Quindi tornò nella Germania imperiale dopo aver partecipato alla guerra civile americana per fondare una famiglia e si stabilì a Berlino alla fine del XIX secolo. Là crebbe il mio compianto padre e poi si salvò dalla Shoah immigrando illegalmente nell'allora Palestina mandataria.

Di conseguenza, ora provengo dalla civitas litterarum, la capitale eterna del popolo ebraico, nella Roma aeterna, pienamente consapevole del fatto che entrambe le città sono sante e considerate umbilicus mundi. È stato un grande onore per me essere nominato dal mio governo quinto ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. Spero sinceramente di poter contribuire al tessuto della delicata rete di relazioni instaurate così di recente fra Israele e la Santa Sede e fra il popolo ebraico e la Chiesa cattolica. So che questa nomina è molto più di una classica missione diplomatica. La Santa Sede conta il tempo in secoli, se non in millenni.

Quindi, sarebbe in qualche modo inadeguato considerare le nostre relazioni solo come una questione bilaterale fra due Stati sovrani. Inoltre, la dimensione diplomatica è relativamente nuova, specialmente se paragonata alla significativa riconciliazione fra cattolici ed ebrei resa effettiva dalla promulgazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate più di quaranta anni fa. Abbiamo apprezzato la sua Lettera, Santità, in occasione del quarantesimo anniversario di quella dichiarazione, quando ha scritto: «Nel gettare le fondamenta di un rapporto rinnovato fra il Popolo ebraico e la Chiesa, la Nostra aetate ha sottolineato la necessità di superare i pregiudizi, le incomprensioni, l'indifferenza e il linguaggio ostile sprezzante del passato».

Nei primi anni Sessanta, molti hanno sperato che questa significativa Dichiarazione avrebbe lasciato traccia in ambito politico e avrebbe plasmato i futuri atteggiamenti della Santa Sede verso lo Stato di Israele. Di certo lo ha fatto, in definitiva preparando il terreno per l'instaurazione di relazioni diplomatiche. Ancora oggi, la Nostra aetate continua a esercitare la sua influenza e a essere base del dialogo interreligioso fra cattolici ed ebrei. Di conseguenza, l'ambasciatore, che rappresenta l'unica sovranità ebraica, ha il dovere di entrare in sintonia anche con gli interessi degli ebrei nel mondo. Come i miei predecessori, farò il mio dovere di seguire questo dialogo da vicino, con molto interesse personale, e di offrire qualsiasi tipo di assistenza potrò per mantenerlo regolare e sulla pista giusta.

Le nostre rispettive tradizioni spirituali formano l'eredità giudaico-cristiana, che è così centrale nella cultura e nella civiltà moderna e può costituire una piattaforma comune per noi. Essa potrebbe e dovrebbe contribuire a generare un mondo più umano e più fraterno. Suggeriremo modi per cercare di tradurre la nostra comune vocazione in orientamenti più significativi per un'azione sociale e umanitaria concreta, in campi quali la lotta contro la carestia e le malattie, la prevenzione dell'abuso di sostanze stupefacenti, la fornitura di acqua potabile, la lotta contro la desertificazione e il danno ambientale in generale, per menzionarne solo alcuni.

Oltre alle questioni etiche e sociali di profondo interesse reciproco, propongo di continuare a cooperare in aree come la lotta permanente alla piaga dell'antisemitismo. I pericoli della violenza perpetrata per motivi religiosi sono una crescente sfida spirituale e una minaccia fisica. Soprattutto, l'uccisione di persone innocenti nel nome di Dio resta un'offesa contro di Lui e contro la dignità umana.

Le nostre relazioni bilaterali sono ancora giovani e vanno ulteriormente alimentate. Dobbiamo ancora ultimare l'Accordo Economico. Dalla recente ripresa dei negoziati si sono compiuti progressi innegabili. Esiste il desiderio sincero da parte dell'attuale governo di Israele di concludere i negoziati in maniera positiva e il più rapidamente possibile. Crediamo anche che vi sia molto spazio per approfondire e ampliare gli scambi culturali e accademici fra le istituzioni cattoliche nel mondo e le istituzioni accademiche in Israele. Il programma accademico elaborato ad hoc con l'Università Ebraica per diplomati del Pontificio Istituto Biblico di Roma dovrebbe essere considerato un modello per quanto si potrà fare.

Israele desidera reiterare il proprio impegno per mantenere lo status quo nei luoghi santi cristiani e per sostenere i rispettivi diritti di cui godono le comunità cristiane in virtù di esso. Abbiamo ascoltato con profonda empatia il suo discorso, Santità, in occasione della Conferenza dei Vescovi di rito latino delle regioni arabe il 18 gennaio 2008, nel quale ha affermato che si dovrebbe fare tutto il possibile per evitare che la Terra Santa «diventi un sito archeologico privo di vita ecclesiale». Faremo del nostro meglio per contribuire a rafforzare le comunità cristiane in Israele in quanto la loro essenziale presenza in Terra Santa è profondamente radicata e storicamente naturale.

Desidero inoltre assicurarla di nuovo, Santità, del più sincero impegno da parte di Israele per il processo di pace in Medio Oriente in tutti i suoi aspetti. Speriamo che lo slancio riacceso ad Annapolis recherà frutti abbondanti. Il continente europeo e tutta la regione mediterranea potrebbero, tuttavia, dover affrontare pericoli spaventosi se non si porrà fine al processo di proliferazione delle armi di distruzione di massa in Medio Oriente. Considerata la nostra traumatica esperienza nella metà dello scorso secolo, nessuno dovrebbe sorprendersi del fatto che prendiamo così sul serio queste minacce.

Con l'aiuto di Dio, possiamo cooperare per promuovere le nostre relazioni in ogni ambito affinché ottengano l'attenzione che meritano e la piena espressione del loro significato storico. È quindi con onore che le presento, Santità, le Lettere con le quali il Presidente dello Stato di Israele mi accredita quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario dello Stato di Israele presso la Santa Sede.

[Traduzione a cura de L'Osservatore Romano]

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