domenica 18 maggio 2008

Il Papa a Genova: "Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti..."


VISITA PASTORALE DEL PAPA A GENOVA E SAVONA(17-18 MAGGIO 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE A GENOVA E SAVONA

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA DELLA VITTORIA A GENOVA, 18.05.2008

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

al termine di un’intensa giornata trascorsa in questa vostra Città, ci ritroviamo uniti attorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, nella solennità della Santissima Trinità.
Da questa centrale Piazza della Vittoria, che ci accoglie per la corale azione di lode e di ringraziamento a Dio con cui si chiude la mia visita pastorale, invio il più cordiale saluto all’intera comunità civile ed ecclesiale di Genova. Con affetto saluto, in primo luogo, l’Arcivescovo, il Cardinale Angelo Bagnasco, che ringrazio per la cortesia con cui mi ha accolto e per le toccanti parole che mi ha rivolto all’inizio della Santa Messa. Come non salutare poi il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, già Pastore di questa antica e nobile Chiesa? A lui il mio grazie più sentito per la sua vicinanza spirituale e per la sua preziosa collaborazione. Saluto poi il Vescovo Ausiliare, Mons. Luigi Ernesto Palletti, i Vescovi della Liguria e gli altri Presuli. Rivolgo il mio deferente pensiero alle Autorità civili, alle quali sono grato per la loro accoglienza e per il fattivo sostegno che hanno prestato alla preparazione e allo svolgimento di questo mio pellegrinaggio apostolico. In particolare saluto il Ministro Claudio Scaiola in rappresentanza del nuovo Governo, che proprio in questi giorni ha assunto le sue piene funzioni al servizio dell’amata Nazione italiana. Mi rivolgo poi con viva riconoscenza ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai diaconi, ai laici impegnati, ai seminaristi, ai giovani. A tutti voi, cari fratelli e sorelle, il mio saluto affettuoso. Estendo il mio pensiero a quanti non hanno potuto essere presenti, in modo speciale agli ammalati, alle persone sole e a quanti si trovano in difficoltà.

Affido al Signore la città di Genova e tutti i suoi abitanti in questa solenne Concelebrazione eucaristica, che, come ogni domenica, ci invita a partecipare in modo comunitario alla duplice mensa della Parola di Verità e del Pane di Vita eterna.

Abbiamo ascoltato, nella prima Lettura (Es 34,4b-6.8-9), un testo biblico che ci presenta la rivelazione del nome di Dio. E’ Dio stesso, l’Eterno e l’Invisibile, che lo proclama, passando davanti a Mosè nella nube, sul monte Sinai.

E il suo nome è: "Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà". San Giovanni, nel nuovo Testamento, riassume questa espressione in una sola parola: "Amore" (cfr 1 Gv 4,8.16). Lo attesta anche il Vangelo odierno: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16). Questo nome esprime dunque chiaramente che il Dio della Bibbia non è una sorta di monade chiusa in se stessa e soddisfatta della propria autosufficienza, ma è vita che vuole comunicarsi, è apertura, relazione.

Parole come "misericordioso", "pietoso", "ricco di grazia" ci parlano tutte di una relazione, in particolare di un Essere vitale che si offre, che vuole colmare ogni lacuna, ogni mancanza, che vuole donare e perdonare, che desidera stabilire un legame stabile e duraturo. La Sacra Scrittura non conosce altro Dio che il Dio dell’Alleanza, il quale ha creato il mondo per effondere il suo amore su tutte le creature (cfr Messale Romano, Pregh. Euc. IV) e che si è scelto un popolo per stringere con esso un patto nuziale, farlo diventare una benedizione per tutte le nazioni e così formare dell’intera umanità una grande famiglia (cfr Gn 12,1-3; Es 19,3-6).

Questa rivelazione di Dio si è pienamente delineata nel Nuovo Testamento, grazie alla parola di Cristo. Gesù ci ha manifestato il volto di Dio, uno nell’essenza e trino nelle persone: Dio è Amore, Amore Padre - Amore Figlio - Amore Spirito Santo. Ed è proprio nel nome di questo Dio che l’apostolo Paolo saluta la comunità di Corinto: "La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio [Padre] e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi" (2 Cor 13,13). E’ un saluto che è diventato, come sapete, una formula liturgica.

C’è dunque, in queste Letture, un contenuto principale che riguarda Dio, e in effetti la festa di oggi ci invita a contemplare Lui, il Signore, ci invita a salire in un certo senso "sul monte" come fece Mosè. Questo sembra a prima vista portarci lontano dal mondo e dai suoi problemi, ma in realtà si scopre che proprio conoscendo Dio più da vicino si ricevono anche indicazioni pratiche preziose per la vita: un po’ come accadde a Mosè, che salendo sul Sinai e rimanendo alla presenza di Dio ricevette la legge incisa sulle tavole di pietra, da cui il popolo trasse la guida per andare avanti, per non ritornare schiavo ma crescere nella libertà. Dal nome di Dio dipende la nostra storia; dalla luce del suo volto il nostro cammino.

Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo "nome", deriva una certa immagine di uomo, cioè l’esatto concetto di persona. Com’è noto, tale concetto si è formato nella nostra cultura d’Occidente durante l’acceso dibattito sviluppatosi proprio intorno alla verità di Dio e in particolare di Gesù Cristo. Se Dio è unità dialogica, sostanza in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente "figlio", creatura che vive nella relazione con Dio Padre.

L’uomo non si realizza in un’autonomia assoluta, illudendosi di essere Dio, ma, al contrario, riconoscendosi quale figlio, creatura aperta, protesa verso Dio e verso i fratelli, nei cui volti ritrova l’immagine del Padre comune. Si vede bene che questa concezione di Dio e dell’uomo sta alla base di un corrispondente modello di comunità umana, e quindi di società. E’ un modello che sta prima di ogni regolamentazione normativa, giuridica, istituzionale, ma direi anche prima delle specificazioni culturali.

Un modello di famiglia umana trasversale a tutte le civiltà, che noi cristiani siamo soliti esprimere fin da bambini affermando che gli uomini sono tutti figli di Dio e quindi tutti fratelli. Si tratta di una verità che sta fin dal principio dietro di noi e al tempo stesso ci sta sempre davanti, come un progetto a cui sempre tendere in ogni costruzione sociale. E’ una concezione che si fonda sull’idea di Dio Trinità, dell’uomo come persona – non mero individuo – e della società quale comunità – non mera collettività.

Ricchissimo è il Magistero della Chiesa che si è sviluppato a partire proprio da questa visione di Dio e dell’uomo. Basta percorrere i capitoli più importanti della Dottrina Sociale della Chiesa, a cui hanno dato apporti sostanziali i miei venerati Predecessori, in particolare negli ultimi centovent’anni, facendosi autorevoli interpreti e guide del movimento sociale di ispirazione cristiana.
La Costituzione conciliare Gaudium et spes e le Encicliche di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II tracciano un disegno completo e articolato, capace di motivare e orientare l’impegno di promozione umana e di servizio sociale e politico dei cattolici.
Anche la mia prima Enciclica Deus caritas est si rifà a questo orizzonte: essa infatti ripropone l’esercizio della carità concreta, da parte della Chiesa, a partire dalla fede in Dio Amore, incarnato in Gesù Cristo.
Mi è spontaneo qui richiamare il Convegno ecclesiale nazionale di Verona, al quale ho partecipato proponendo un’ampia riflessione, pienamente recepita nella successiva Nota pastorale dell’Episcopato "Rigenerati per una speranza viva": testimoni del grande "sì" di Dio all’uomo (29.VI.2007). Mi piace sottolineare come due scelte di fondo, indicate dai Vescovi all’inizio di tale documento (n. 4), si accordino con quanto la Parola di Dio ci ha appena suggerito. Anzitutto, la scelta del "primato di Dio": tutta la vita e l’opera della Chiesa dipendono dal mettere al primo posto Dio, ma non un Dio generico, bensì il Signore con il suo nome e il suo volto, il Dio dell’Alleanza che ha fatto uscire il popolo dalla schiavitù d’Egitto, ha risuscitato Cristo dai morti e vuole condurre l’umanità alla libertà nella pace e nella giustizia. L’altra scelta è quella di porre al centro la persona e l’unità della sua esistenza, nei diversi ambiti in cui si dispiega: la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità sua propria, la tradizione, la cittadinanza. Il Dio uno e trino e la persona in relazione: questi sono i due riferimenti che la Chiesa ha il compito di offrire ad ogni generazione umana, quale servizio alla costruzione di una società libera e solidale. La Chiesa lo fa certamente con la sua dottrina, ma soprattutto mediante la testimonianza, che non per nulla è la terza scelta fondamentale dell’Episcopato italiano: testimonianza personale e comunitaria, in cui convergono vita spirituale, missione pastorale e dimensione culturale.

In una società tesa tra globalizzazione e individualismo, la Chiesa è chiamata ad offrire la testimonianza della koinonìa, della comunione. Questa realtà non viene "dal basso" ma è un mistero che ha, per così dire, le "radici in cielo": proprio in Dio uno e trino. E’ Lui, in se stesso, l’eterno dialogo d’amore che in Gesù Cristo si è comunicato a noi, è entrato nel tessuto dell’umanità e della storia per condurle alla pienezza. Ed ecco allora la grande sintesi del Concilio Vaticano II: la Chiesa, mistero di comunione, "è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (Cost. Lumen gentium, 1). Anche qui, in questa grande Città, come pure nel suo territorio, con la varietà dei rispettivi problemi umani e sociali, la Comunità ecclesiale, oggi come ieri, è prima di tutto il segno, povero ma vero, di Dio Amore, il cui nome è impresso nell’essere profondo di ogni persona e in ogni esperienza di autentica socialità e solidarietà.

Dopo queste riflessioni, cari fratelli, vi lascio alcune esortazioni particolari. Abbiate cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione "sostanziosa", più che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi.

Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non cattolici, con i non cristiani e i non credenti. Portate avanti la vostra generosa condivisione con i poveri e i deboli, secondo l’originaria prassi della Chiesa, attingendo sempre ispirazione e forza dall’Eucaristia, sorgente perenne della carità.


Incoraggio con affetto speciale i seminaristi e i giovani impegnati in un cammino vocazionale: non abbiate timore, anzi, sentite l’attrattiva delle scelte definitive, di un itinerario formativo serio ed esigente. Solo la misura alta del discepolato affascina e dà gioia. Esorto tutti a crescere nella dimensione missionaria, che è co-essenziale alla comunione. La Trinità infatti è al tempo stesso unità e missione: quanto più intenso è l’amore, tanto più forte è la spinta ad effondersi, a dilatarsi, a comunicarsi. Chiesa di Genova, sii unita e missionaria, per annunciare a tutti la gioia della fede e la bellezza di essere Famiglia di Dio. Il mio pensiero si allarga alla Città intera, a tutti i Genovesi e a quanti vivono e lavorano in questo territorio.

Cari amici, guardate al futuro con fiducia e cercate di costruirlo insieme, evitando faziosità e particolarismi, anteponendo ai pur legittimi interessi particolari il bene comune.

Vorrei concludere con un augurio che riprendo dalla stupenda preghiera di Mosè, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il Signore cammini sempre in mezzo a voi e faccia di voi la sua eredità (cfr Es 34,9). Ve lo ottenga l’intercessione di Maria Santissima, che i Genovesi, in patria e nel mondo intero, invocano quale Madonna della Guardia. Con il suo aiuto e con quello dei Santi Patroni di questa vostra amata Città e Regione, la vostra fede e le vostre opere siano sempre a lode e gloria della Santissima Trinità. Seguendo l’esempio dei Santi di questa terra siate una comunità missionaria: in ascolto di Dio e al servizio degli uomini!
Amen.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Il cardinale Bagnasco: un segno a favore della vita

All'inizio della messa il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, ha rivolto al Papa questo indirizzo d'omaggio:

Beatissimo Padre!

Genova vuole bene al Papa! Vuole bene a lei, Padre Santo, e le è grata per l'onore che la sua desiderata visita rende alla nostra Chiesa, alla città intera. Nella sua amabile persona noi riconosciamo il successore di Pietro. In lei, vicario di Cristo, vediamo il pastore della Chiesa universale, il suo principio e il suo visibile fondamento. Nei suoi passi di pellegrino nella terra ligure, sentiamo la sollecitudine di Gesù buon pastore che, come un tempo sulla via di Emmaus, si affianca ai due viandanti, ne ascolta l'anima, li conferma nella fede, ravviva la speranza, fa sentire il caldo palpito del pane eucaristico, sprigiona incontenibile - il bisogno di comunicare ai fratelli l'incontro con il Risorto perché si moltiplichi la gioia. Così, Padre Santo, è per noi oggi! Sentiamo che il suo magistero ci è necessario per essere confermati nella fede, per crescere nella comunione con la Chiesa, nostra maestra e madre. Abbiamo bisogno della sua parola che ci porta l'eco del divino Maestro, l'eco di duemila anni di storia cristiana, la voce dei santi e dei martiri che per la fedeltà a Cristo e alla Chiesa hanno versato il sangue: la voce dei martiri di ieri e di oggi. Abbiamo bisogno della sua testimonianza che traduce l'esortazione dell'Apostolo Pietro "a rendere ragione" a tutti della nostra speranza, e a farlo sempre "con dolcezza e rispetto" (1 Pietro 3, 15).
Ha davanti a lei i venerati vescovi delle Chiese liguri, quelli già emeriti, e anche coloro che, figli di questa terra, svolgono il loro ministero a servizio della Santa Sede. Sentiamo come "nostro" anche il cardinale Tarcisio Bertone, suo segretario di Stato, che, in pochi anni, ha conosciuto e amato questa diocesi e ne è amato.
Ho la gioia di presentarle i miei carissimi sacerdoti: è un clero unito, che - con i tratti tipici dei genovesi - si vuole bene e si sostiene. Sono ammirato dal loro zelo sacerdotale che si traduce nella operosità fedele alle proprie comunità e ai propri compiti, nonostante a volte il peso degli anni e delle infermità, e il numero ridotto dei confratelli. La gente - proprio per questo - vuole loro ancora più bene, e collabora in spirito di fede e di servizio. Anche le comunità cristiane più piccole sparse nell'entroterra - le parrocchie dell'intera diocesi sono 278 - sono profondamente affezionate alle loro chiese e le custodiscono con l'amore che si ha per la propria casa.
La fede di questa terra è antica - risale al IV secolo - e la sua storia è ricca di santi, di sacerdoti, di ordini religiosi, di associazioni e di confraternite, di tradizioni che esprimono ed alimentano la fede. È ricca di carità, di attenzione ai poveri e ai deboli, di apertura accogliente a chi - come noi un tempo in altri continenti - approda alla ricerca di una vita operosa e sicura. Il nostro popolo è generoso se individua bisogni veri e concreti: generoso anche quando - come in questi tempi - soffre delle difficoltà inerenti al lavoro, alla casa, al costo della vita. Ma la dignità non manca, e anche la fierezza necessaria per reagire attivando tutte necessarie sinergie tra le molte risorse che esistono.
È una storia non sempre facile, ma sempre fedele alla Sede apostolica. Anche quattro Papi sono figli di questa terra, e ci siamo sentiti onorati quando, eletto alla cattedra di Pietro, lei ha scelto il nome di Benedetto XVI.
Come la fede s'incarna nella vita, così la storia della Chiesa si intreccia con la storia della città: è un rapporto da sempre rispettoso e fecondo per il bene di Genova. Basta un accenno a memorie recenti come l'opera di mediazione e di carità durante l'ultimo conflitto mondiale, l'attenzione puntuale del cardinale Siri verso il mondo del lavoro, della casa, della povertà: attenzione continuata dai suoi successori. Un'espressione peculiare di questo radicamento virtuoso è la presenza dei cappellani nelle fabbriche e nelle aziende. La presenza umile, rispettosa, disponibile e disinteressata tra i lavoratori premia con la stima e la fiducia: valori che non hanno prezzo!
Padre Santo, ora siamo qui attorno a lei, con lei attorno a Cristo Signore. Con la sua presenza, Genova diventa per un momento il cuore pulsante della Chiesa universale: per questo ci uniamo più strettamente alla sua persona e preghiamo per la Chiesa tutta, specialmente là dove i fratelli nella fede soffrono. Preghiamo per l'umanità assetata di verità e d'amore, bisognosa di speranza e di pace; il loro nome è Gesù. Preghiamo per la vita umana, perché sia sempre accolta e difesa, promossa e amata. Per questo vogliamo che la sua visita sia ricordata, con un duplice segno a favore della vita nascente o appena nata: il centro diocesano di aiuto alla vita, e una casa di accoglienza tenuta dalle suore di don Orione. Preghiamo per il suo altissimo ministero. Ma lei, Padre Santo, preghi per noi! Le difficoltà non mancano ma, confermati dalla sua parola, torneremo nelle nostre comunità e, con il cuore rinfrancato come i discepoli ad Emmaus, potremo annunciare a tutti e ovunque che Cristo è la nostra speranza, quella che ogni uomo cerca anche senza saperlo. Preghi per Genova, Santità, Genova è con il Papa e le vuole bene.

(©L'Osservatore Romano - 19-20 maggio 2008)

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