domenica 29 aprile 2007

Nessun ostacolo potrà impedire la realizzazione dell' universale disegno di salvezza di Cristo


SANTA MESSA PER L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DI 22 DIACONI DELLA DIOCESI DI ROMA , 29.04.2007

Alle ore 9.00 di oggi, IV Domenica di Pasqua e 44ma Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni sul tema: "La vocazione al servizio della Chiesa comunione", nella Basilica Vaticana il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione presbiterale a 22 diaconi della Diocesi di Roma.

Concelebrano con il Papa: l’Em.mo Card. Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, S.E. Mons. Luigi Moretti, Vicegerente, i Vescovi Ausiliari, i Superiori dei Seminari interessati e i Parroci degli ordinandi.

Nel corso della Liturgia dell’ordinazione, il Santo Padre pronuncia la seguente omelia:



OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,

cari Ordinandi,

cari fratelli e sorelle!

L’odierna IV Domenica di Pasqua, tradizionalmente detta del "Buon Pastore", riveste per noi, che siamo raccolti in questa Basilica Vaticana, un particolare significato. E’ un giorno assolutamente singolare soprattutto per voi, cari Diaconi, ai quali, come Vescovo e Pastore di Roma, sono lieto di conferire l’Ordinazione sacerdotale. Entrerete così a far parte del nostro "presbyterium". Insieme con il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari ed i sacerdoti della Diocesi, ringrazio il Signore per il dono del vostro sacerdozio, che arricchisce la nostra Comunità di 22 nuovi Pastori.

La densità teologica del breve brano evangelico, che è stato poco fa proclamato, ci aiuta a meglio percepire il senso e il valore di questa solenne Celebrazione. Gesù parla di sé come del Buon Pastore che dà la vita eterna alle sue pecore (cfr Gv 10,28). Quella del pastore è un’immagine ben radicata nell'Antico Testamento e cara alla tradizione cristiana. Il titolo di "pastore d’Israele" viene attribuito dai Profeti al futuro discendente di Davide, e pertanto possiede un’indubbia rilevanza messianica (cfr Ez 34,23). Gesù è il vero Pastore d’Israele, in quanto è il Figlio dell’uomo che ha voluto condividere la condizione degli esseri umani per donare loro la vita nuova e condurli alla salvezza. Significativamente al termine "pastore" l’evangelista aggiunge l’aggettivo kalós "bello", che egli utilizza unicamente in riferimento Gesù e alla sua missione. Anche nel racconto delle nozze di Cana l’aggettivo kalós viene impiegato due volte per connotare il vino offerto da Gesù ed è facile vedere in esso il simbolo del vino buono dei tempi messianici (cfr Gv 2,10).

"Io do loro (alle mie pecore) la vita eterna e non andranno mai perdute" (Gv 10,28). Così afferma Gesù, che poco prima aveva detto: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (cfr Gv 10,11). Giovanni utilizza il verbo tithénai - offrire, che ripete nei versetti seguenti (15.17.18); lo stesso verbo troviamo nel racconto dell’Ultima Cena, quando Gesù "depose" le sue vesti per poi "riprenderle" (cfr Gv 13, 4.12). E’ chiaro che si vuole in questo modo affermare che il Redentore dispone con assoluta libertà della propria vita, così da poterla offrire e poi riprendere liberamente. Cristo è il vero Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore -per noi- immolandosi sulla Croce. Egli conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono, come il Padre conosce Lui ed Egli conosce il Padre (cfr Gv 10,14-15). Non si tratta di mera conoscenza intellettuale, ma di una relazione personale profonda; una conoscenza del cuore, propria di chi ama e di chi è amato; di chi è fedele e di chi sa di potersi a sua volta fidare; una conoscenza d’amore in virtù della quale il Pastore invita i suoi a seguirlo, e che si manifesta pienamente nel dono che fa loro della vita eterna (cfr Gv 10,27-28).

Cari Ordinandi, la certezza che Cristo non ci abbandona e che nessun ostacolo potrà impedire la realizzazione del suo universale disegno di salvezza sia per voi motivo di costante consolazione -anche nel giorno di difficoltà- e di incrollabile speranza. La bontà del Signore è sempre con voi ed è forte. Il Sacramento dell’Ordine che state per ricevere vi farà partecipi della stessa missione di Cristo; sarete chiamati a spargere il seme della sua Parola -il seme che porta in sé il Regno di Dio-, a dispensare la divina misericordia e a nutrire i fedeli alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Per essere suoi degni ministri dovrete alimentarvi incessantemente dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Accostandovi all’altare, vostra quotidiana scuola di santità, di comunione con Gesù, del modo di entrare nei Suoi sentimenti; accostandovi all’altare per rinnovare il sacrificio della Croce, scoprirete sempre più la ricchezza e tenerezza dell'amore del divino Maestro, che oggi vi chiama ad una più intima amicizia con Lui. Se lo ascolterete docilmente, se lo seguirete fedelmente, imparerete a tradurre nella vita e nel ministero pastorale il suo amore e la sua passione per la salvezza delle anime. Ciascuno di voi, cari Ordinandi, diventerà con l’aiuto di Gesù un buon pastore, pronto a dare, se necessario, anche la vita per Lui.

Così avvenne all’inizio del cristianesimo con i primi discepoli, mentre, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Vangelo andava diffondendosi tra consolazioni e difficoltà. Vale la pena di sottolineare le ultime parole del brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato: "I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo" (13,52). Malgrado le incomprensioni e i contrasti, l’apostolo di Cristo non smarrisce la gioia, anzi è il testimone di quella gioia che scaturisce dall’essere con il Signore, dall’amore per Lui e per i fratelli. Nell’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno ha come tema "La vocazione al servizio della Chiesa comunione", preghiamo perché quanti sono scelti a così alta missione siano accompagnati dall’orante comunione di tutti i fedeli.

Preghiamo perché cresca in ogni parrocchia e comunità cristiana l’attenzione per le vocazioni e per la formazione dei sacerdoti: essa inizia in famiglia, prosegue in seminario e coinvolge tutti coloro che hanno a cuore la salvezza delle anime. Cari fratelli e sorelle che partecipate a questa suggestiva celebrazione, e in primo luogo voi, parenti, familiari e amici di questi 22 Diaconi che tra poco saranno ordinati presbiteri! Attorniamoli, questi nostri fratelli nel Signore, con la nostra spirituale solidarietà. Preghiamo perché siano fedeli alla missione a cui oggi il Signore li chiama, e siano pronti a rinnovare ogni giorno a Dio il loro "sì", il loro "eccomi" senza riserve. E chiediamo al Padrone della messe, in questa Giornata per le Vocazioni, che continui a suscitare molti e santi presbiteri, totalmente dediti al servizio del popolo cristiano.

In questo momento tanto solenne e importante della vostra esistenza, è ancora a voi, cari Ordinandi, che mi dirigo con affetto. A voi quest’oggi Gesù ripete: "Non vi chiamo più servi, ma amici". Accogliete e coltivate questa divina amicizia con "amore eucaristico"! Vi accompagni Maria, celeste Madre dei Sacerdoti; Lei, che sotto la Croce si è unita al Sacrificio del suo Figlio e, dopo la risurrezione, nel Cenacolo ha accolto insieme con gli Apostoli e con gli altri discepoli il dono dello Spirito, aiuti voi e ciascuno di noi, cari fratelli nel Sacerdozio, a lasciarci trasformare interiormente dalla grazia di Dio. Solo così è possibile essere immagini fedeli del Buon Pastore; solo così si può svolgere con gioia la missione di conoscere, guidare e amare il gregge che Gesù si è acquistato a prezzo del suo sangue. Amen!


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CAELI , 29.04.2007

Al termine della Santa Messa celebrata nella Basilica Vaticana per l’Ordinazione presbiterale di 22 diaconi della Diocesi di Roma, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del Suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Caeli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.

Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:

PRIMA DEL REGINA CAELI

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, IV Domenica di Pasqua, Domenica del "Buon Pastore", ricorre la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Tutti i fedeli sono esortati a pregare in modo particolare per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata. Stamani, nella Basilica di San Pietro, ho avuto la gioia di ordinare 22 nuovi Sacerdoti. Mentre saluto con affetto questi neo-presbiteri insieme con i loro familiari ed amici, vi invito a ricordare quanti il Signore continua a chiamare per nome, come fece un giorno con gli Apostoli sulla riva del Lago di Galilea, perché diventino "pescatori di uomini", cioè suoi più diretti collaboratori nell’annuncio del Vangelo e nel servizio del Regno di Dio in questo nostro tempo. Domandiamo per tutti i sacerdoti il dono della perseveranza: che si mantengano fedeli alla preghiera, celebrino la santa Messa con devozione sempre rinnovata, vivano in ascolto della Parola di Dio ed assimilino giorno dopo giorno gli stessi sentimenti ed atteggiamenti di Gesù Buon Pastore. Preghiamo, poi, per chi si prepara al ministero sacerdotale e per i formatori nei Seminari di Roma, d’Italia e del mondo intero; preghiamo per le famiglie, perché in esse continui a sbocciare e maturare il "seme" della chiamata al ministero presbiterale.

Quest’anno, il tema della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni è: "La vocazione al servizio della Chiesa comunione". Il Concilio Ecumenico Vaticano II, per presentare il mistero della Chiesa nel nostro tempo, ha privilegiato la categoria della "comunione". In questa prospettiva assume grande rilievo la ricca varietà di doni e di ministeri nel Popolo di Dio. Tutti i battezzati sono chiamati a contribuire all’opera della salvezza. Nella Chiesa ci sono però alcune vocazioni specialmente dedicate al servizio della comunione. Primo responsabile della comunione cattolica è il Papa, Successore di Pietro e Vescovo di Roma; con lui custodi e maestri di unità sono i Vescovi, successori degli Apostoli, coadiuvati dai presbiteri. Ma al servizio della comunione sono anche le persone consacrate e tutti i fedeli. Nel cuore della Chiesa comunione c’è l’Eucaristia: le differenti vocazioni attingono da questo sommo Sacramento la forza spirituale per edificare costantemente nella carità l’unico Corpo ecclesiale.

Ci rivolgiamo ora a Maria, Madre del Buon Pastore. Lei, che ha risposto prontamente alla chiamata di Dio dicendo: "Eccomi, sono la serva del Signore" (Lc 1,38), ci aiuti tutti ad accogliere con gioia e disponibilità l’invito di Cristo ad essere suoi discepoli, sempre animati dal desiderio di formare "un cuor solo e un’anima sola" (cfr At 4,32).

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 25 aprile 2007

Origene e la "triplice lettura" delle Scritture


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

Il Papa chiede a preti purezza di vita secondo l'esempio di Origene (Seconda parte della catechesi su Origine alessandrino)

L’UDIENZA GENERALE , 25.04.2007

Origene alessandrino
Vita e produzione letteraria


Cari fratelli e sorelle,

nelle nostre meditazioni sulle grandi personalità della Chiesa antica, ne conosciamo oggi ad una delle più rilevanti. Origene alessandrino è realmente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensiero cristiano. Egli raccoglie l'eredità di Clemente alessandrino, su cui abbiamo meditato mercoledì scorso, e la rilancia verso il futuro in maniera talmente innovativa, da imprimere una svolta irreversibile allo sviluppo del pensiero cristiano. Fu un vero "maestro", e così lo ricordavano con nostalgia e commozione i suoi allievi: non soltanto un brillante teologo, ma un testimone esemplare della dottrina che trasmetteva. "Egli insegnò", scrive Eusebio di Cesarea, suo biografo entusiasta, "che la condotta deve corrispondere esattamente alla parola, e fu soprattutto per questo che, aiutato dalla grazia di Dio, indusse molti a imitarlo" (Hist. Eccl. 6,3,7).

Tutta la sua vita fu percorsa da un incessante anelito al martirio. Aveva diciassette anni quando, nel decimo anno dell’imperatore Settimio Severo, scoppiò ad Alessandria la persecuzione contro i cristiani. Clemente, suo maestro, abbandonò la città, e il padre di Origene, Leonide, venne gettato in carcere. Suo figlio bramava ardentemente il martirio, ma non poté realizzare questo desiderio. Allora scrisse al padre, esortandolo a non recedere dalla suprema testimonianza della fede. E quando Leonide venne decapitato, il piccolo Origene sentì che doveva accogliere l’esempio della sua vita. Quarant’anni più tardi, mentre predicava a Cesarea, uscì in questa confessione: "A nulla mi giova aver avuto un padre martire, se non tengo una buona condotta e non faccio onore alla nobiltà della mia stirpe, cioè al martirio di mio padre e alla testimonianza che l’ha reso illustre in Cristo" (Hom. Ez. 4,8). In un’omelia successiva - quando, grazie all'estrema tolleranza dell’imperatore Filippo l’Arabo, sembrava ormai sfumata l’eventualità di una testimonianza cruenta - Origene esclama: "Se Dio mi concedesse di essere lavato nel mio sangue, così da ricevere il secondo battesimo avendo accettato la morte per Cristo, mi allontanerei sicuro da questo mondo... Ma sono beati coloro che meritano queste cose" (Hom. Iud. 7,12). Queste espressioni rivelano tutta la nostalgia di Origene per il battesimo di sangue. E finalmente questo irresistibile anelito venne, almeno in parte, esaudito. Nel 250, durante la persecuzione di Decio, Origene fu arrestato e torturato crudelmente. Fiaccato dalle sofferenze subite, morì qualche anno dopo. Non aveva ancora settant’anni.

Abbiamo accennato a quella "svolta irreversibile" che Origene impresse alla storia della teologia e del pensiero cristiano. Ma in che cosa consiste questa "svolta", questa novità così gravida di conseguenze? Essa corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nella spiegazione delle Scritture.

Far teologia era per lui essenzialmente spiegare, comprendere la Scrittura; o potremmo anche dire che la sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi. In verità, la sigla propria della dottrina origeniana sembra risiedere appunto nell’incessante invito a passare dalla lettera allo spirito delle Scritture, per progredire nella conoscenza di Dio.

E questo cosiddetto "allegorismo", ha scritto von Balthasar, coincide precisamente "con lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa", i quali - in un modo o nell’altro - hanno accolto la "lezione" di Origene. Così la tradizione e il magistero, fondamento e garanzia della ricerca teologica, giungono a configurarsi come "Scrittura in atto" (cfr Origene: il mondo, Cristo e la Chiesa, tr. it., Milano 1972, p. 43). Possiamo affermare perciò che il nucleo centrale dell’immensa opera letteraria di Origene consiste nella sua "triplice lettura" della Bibbia. Ma prima di illustrare questa "lettura" conviene dare uno sguardo complessivo alla produzione letteraria dell’Alessandrino. San Girolamo nella sua Epistola 33 elenca i titoli di 320 libri e di 310 omelie di Origene. Purtroppo la maggior parte di quest’opera è andata perduta, ma anche il poco che ne rimane fa di lui l’autore più prolifico dei primi tre secoli cristiani. Il suo raggio di interessi si estende dall’esegesi al dogma, alla filosofia, all’apologetica, all’ascetica e alla mistica. È una visione fondamentale e globale della vita cristiana.

Il nucleo ispiratore di quest’opera è, come abbiamo accennato, la "triplice lettura" delle Scritture sviluppata da Origene nell’arco della sua vita. Con questa espressione intendiamo alludere alle tre modalità più importanti - tra loro non successive, anzi più spesso sovrapposte - con le quali Origene si è dedicato allo studio delle Scritture. Anzitutto egli lesse la Bibbia con l’intento di accertarne al meglio il testo e di offrirne l'edizione più affidabile. Questo, ad esempio, è il primo passo: conoscere realmente che cosa sta scritto e conoscere che cosa questa scrittura voleva intenzionalmente e inizialmente dire. Ha fatto un grande studio a questo scopo ed ha redatto un'edizione della Bibbia con sei colonne parallele, da sinistra a destra, con il testo ebraico in caratteri ebraici — egli ha avuto anche contatti con i rabbini per capire bene il testo originale ebraico della Bibbia —, poi il testo ebraico traslitterato in caratteri greci e poi quattro traduzioni diverse in lingua greca, che gli permettevano di comparare le diverse possibilità di traduzione. Di qui il titolo di "Esapla" ("sei colonne") attribuito a questa immane sinossi. Questo è il primo punto: conoscere esattamente che cosa sta scritto, il testo come tale. In secondo luogo Origene lesse sistematicamente la Bibbia con i suoi celebri Commentari. Essi riproducono fedelmente le spiegazioni che il maestro offriva durante la scuola, ad Alessandria come a Cesarea. Origene procede quasi versetto per versetto, in forma minuziosa, ampia e approfondita, con note di carattere filologico e dottrinale. Egli lavora con grande esattezza per conoscere bene che cosa volevano dire i sacri autori.

Infine, anche prima della sua ordinazione presbiterale, Origene si dedicò moltissimo alla predicazione della Bibbia, adattandosi a un pubblico variamente composito. In ogni caso, si avverte anche nelle sue Omelie il maestro, tutto dedito all’interpretazione sistematica della pericope in esame, via via frazionata nei successivi versetti. Anche nelle Omelie Origene coglie tutte le occasioni per richiamare le diverse dimensioni del senso della Sacra Scrittura, che aiutano o esprimono un cammino nella crescita della fede: c'è il senso "letterale", ma esso nasconde profondità che non appaiono in un primo momento; la seconda dimensione è il senso "morale": che cosa dobbiamo fare vivendo la parola; e infine il senso "spirituale", cioè l'unità della Scrittura, che in tutto il suo sviluppo parla di Cristo. E’ lo Spirito Santo che ci fa capire il contenuto cristologico e così l'unità della Scrittura nella sua diversità. Sarebbe interessante mostrare questo. Un po' ho tentato, nel mio libro «Gesù di Nazaret», di mostrare nella situazione di oggi queste molteplici dimensioni della Parola, della Sacra Scrittura, che prima deve essere rispettata proprio nel senso storico. Ma questo senso ci trascende verso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, e ci mostra la via, come vivere. Se ne trova cenno, per esempio, nella nona Omelia sui Numeri, dove Origene paragona la Scrittura alle noci: "Così è la dottrina della Legge e dei Profeti alla scuola di Cristo", afferma l'omileta; "amara è la lettera, che è come la scorza; in secondo luogo perverrai al guscio, che è la dottrina morale; in terzo luogo troverai il senso dei misteri, del quale si nutrono le anime dei santi nella vita presente e nella futura" (Hom. Num. 9,7).

Soprattutto per questa via Origene giunge a promuovere efficacemente la "lettura cristiana" dell’Antico Testamento, rintuzzando in maniera brillante la sfida di quegli eretici - soprattutto gnostici e marcioniti - che opponevano tra loro i due Testamenti fino a rigettare l’Antico. A questo proposito, nella medesima Omelia sui Numeri l'Alessandrino afferma: "Io non chiamo la Legge un ‘Antico Testamento’, se la comprendo nello Spirito. La Legge diventa un ‘Antico Testamento’ solo per quelli che vogliono comprenderla carnalmente", cioè fermandosi alla lettera del testo. Ma "per noi, che la comprendiamo e l’applichiamo nello Spirito e nel senso del Vangelo, la Legge è sempre nuova, e i due Testamenti sono per noi un nuovo Testamento, non a causa della data temporale, ma della novità del senso... Invece, per il peccatore e per quelli che non rispettano il patto della carità, anche i Vangeli invecchiano" (Hom. Num. 9,4).

Vi invito - e così concludo - ad accogliere nel vostro cuore l’insegnamento di questo grande maestro nella fede. Egli ci ricorda con intimo trasporto che, nella lettura orante della Scrittura e nel coerente impegno della vita, la Chiesa sempre si rinnova e ringiovanisce. La Parola di Dio, che non invecchia mai, né mai si esaurisce, è mezzo privilegiato a tale scopo. E’ infatti la Parola di Dio che, per opera dello Spirito Santo, ci guida sempre di nuovo alla verità tutta intera (cfr Benedetto XVI, Ai partecipanti al Congresso Internazionale per il XL anniversario della Costituzione dogmatica «Dei Verbum», in: Insegnamenti, vol. I, 2005, pp. 552-553). E preghiamo il Signore che ci dia oggi pensatori, teologi, esegeti che trovano questa multidimensionalità, questa attualità permanente della Sacra Scrittura, la sua novità per oggi. Preghiamo che il Signore ci aiuti a leggere in modo orante la Sacra Scrittura, a nutrirci realmente del vero pane della vita, della sua Parola.

APPELLO DEL SANTO PADRE

Per iniziativa delle Nazioni Unite, questa settimana è dedicata alla sicurezza stradale. Rivolgo una parola di incoraggiamento alle Istituzioni pubbliche che si adoperano per mantenere le arterie stradali sicure e salvaguardare la vita umana con strumenti idonei; a quanti si dedicano alla ricerca di nuove tecnologie e strategie per ridurre i troppi incidenti sulle strade di tutto il mondo. E mentre invito a pregare per le vittime, per i feriti e le loro famiglie, auspico che un consapevole senso di responsabilità verso il prossimo induca gli automobilisti, specie i giovani, alla prudenza e a un maggior rispetto del codice della strada.

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Origene alessandrino in "Monastero Virtuale"

Vedi anche:

L'Origene ritrovato. La retorica del predicatore (Perrone)

E' proprio Origene ed è una scoperta eccezionale (Perrone). Il manoscritto già digitalizzato sarà esposto il 5 dicembre

Ecco l'Origene ritrovato. In anteprima alcuni brani delle omelie inedite del teologo e predicatore alessandrino scoperte in un codice della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (O.R.)

lunedì 23 aprile 2007

Il Papa all'universita' di Pavia


INCONTRO CON IL MONDO DELLA CULTURA NELL’UNIVERSITÀ DI PAVIA, 22.04.2007

Alle ore 16.15 di questo pomeriggio, lasciato l’Episcopio, il Santo Padre si reca all’Università di Pavia dove, nel Cortile "Teresiano" incontra il mondo della cultura.
Qui, introdotto dagli indirizzi di omaggio del Magnifico Rettore dell’Università, Prof. Angiolino Stella, e di un rappresentante degli studenti, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Magnifico Rettore,
illustri Professori, cari studenti!

La mia visita pastorale a Pavia, seppur breve, non poteva non prevedere una sosta in questa Università, che costituisce da secoli un elemento caratterizzante della vostra città. Sono pertanto lieto di trovarmi in mezzo a voi per questo incontro a cui attribuisco particolare valore, venendo anch’io dal mondo accademico. Saluto con cordiale deferenza i professori e, in primo luogo, il Rettore, Prof. Angiolino Stella, che ringrazio per le cortesi parole rivoltemi. Saluto gli studenti, in special modo il giovane che si è fatto portavoce dei sentimenti degli altri universitari. Mi ha rassicurato sul coraggio nella dedizione alla verità, sul coraggio di cercare oltre i limiti del conosciuto, di non arrendersi alla debolezza della ragione. E sono molto grato per queste parole. Estendo il mio pensiero beneaugurante anche a quanti fanno parte della vostra comunità accademica e non hanno potuto essere qui presenti quest’oggi.

La vostra è una delle più antiche ed illustri Università italiane, ed annovera - ripeto quanto ha già detto il Magnifico Rettore - tra i docenti che l’hanno onorata personalità quali Alessandro Volta, Camillo Golgi e Carlo Forlanini. Mi è caro pure ricordare che nel vostro Ateneo sono passati docenti e studenti segnalatisi per un’eminente statura spirituale. Tali furono Michele Ghislieri, diventato poi Papa san Pio V, san Carlo Borromeo, sant’Alessandro Sauli, san Riccardo Pampuri, santa Gianna Beretta Molla, il beato Contardo Ferrini e il servo di Dio Teresio Olivelli.

Cari amici, ogni Università ha una nativa vocazione comunitaria: essa infatti è appunto una universitas, una comunità di docenti e studenti impegnati nella ricerca della verità e nell’acquisizione di superiori competenze culturali e professionali. La centralità della persona e la dimensione comunitaria sono due poli co-essenziali per una valida impostazione della universitas studiorum. Ogni Università dovrebbe sempre custodire la fisionomia di un Centro di studi "a misura d’uomo", in cui la persona dello studente sia preservata dall’anonimato e possa coltivare un fecondo dialogo con i docenti, traendone incentivo per la sua crescita culturale ed umana.

Da questa impostazione discendono alcune applicazioni tra loro connesse. Anzitutto, è certo che solo ponendo al centro la persona e valorizzando il dialogo e le relazioni interpersonali può essere superata la frammentazione specialistica delle discipline e recuperata la prospettiva unitaria del sapere. Le discipline tendono naturalmente, e anche giustamente, alla specializzazione, mentre la persona ha bisogno di unità e di sintesi. In secondo luogo, è di fondamentale importanza che l’impegno della ricerca scientifica possa aprirsi alla domanda esistenziale di senso per la vita stessa della persona. La ricerca tende alla conoscenza, mentre la persona abbisogna anche della sapienza, di quella scienza cioè che si esprime nel "saper-vivere". In terzo luogo, solo valorizzando la persona e le relazioni interpersonali il rapporto didattico può diventare relazione educativa, un cammino di maturazione umana. La struttura infatti privilegia la comunicazione, mentre le persone aspirano alla condivisione.

So che quest’attenzione alla persona, alla sua esperienza integrale di vita e alla sua tensione comunionale è ben presente nell’azione pastorale della Chiesa pavese in ambito culturale. Lo testimonia l’opera dei Collegi universitari di ispirazione cristiana. Tra questi, vorrei anch’io ricordare il Collegio Borromeo, voluto da san Carlo Borromeo con Bolla di fondazione del Papa Pio IV e il Collegio Santa Caterina, fondato dalla Diocesi di Pavia per volontà del Servo di Dio Paolo VI con contributo determinante della Santa Sede. Importante, in questo senso, è anche l’opera delle parrocchie e dei movimenti ecclesiali, in particolare del Centro Universitario Diocesano e della F.U.C.I.: la loro attività è volta ad accogliere la persona nella sua globalità, a proporre cammini armonici di formazione umana, culturale e cristiana, ad offrire spazi di condivisione, di confronto e di comunione. Vorrei cogliere questa occasione per invitare gli studenti e i docenti a non sentirsi soltanto oggetto di attenzione pastorale, ma a partecipare attivamente e ad offrire il loro contributo al progetto culturale di ispirazione cristiana che la Chiesa promuove in Italia e in Europa.

Incontrandovi, cari amici, viene spontaneo pensare a sant’Agostino, co-patrono di questa Università insieme a santa Caterina d’Alessandria. Il percorso esistenziale e intellettuale di Agostino sta a testimoniare la feconda interazione tra fede e cultura. Sant’Agostino era un uomo animato da un instancabile desiderio di trovare la verità, di trovare che cosa è la vita, di sapere come vivere, di conoscere l’uomo. E proprio a causa della sua passione per l’uomo ha necessariamente cercato Dio, perché solo nella luce di Dio anche la grandezza dell’uomo, la bellezza dell’avventura di essere uomo può apparire pienamente. Questo Dio inizialmente gli appariva molto lontano. Poi lo ha trovato: questo Dio grande, inaccessibile, si è fatto vicino, uno di noi. Il grande Dio è il nostro Dio, è un Dio con un volto umano. Così la fede in Cristo non ha posto fine alla sua filosofia, alla sua audacia intellettuale, ma, al contrario, lo ha ulteriormente spinto a cercare le profondità dell’essere uomo e ad aiutare gli altri a vivere bene, a trovare la vita, l’arte di vivere. Questo era per lui la filosofia: saper vivere, con tutta la ragione, con tutta la profondità del nostro pensiero, della nostra volontà, e lasciarsi guidare sul cammino della verità, che è un cammino di coraggio, di umiltà, di purificazione permanente. La fede in Cristo ha dato compimento a tutta la ricerca di Agostino. Compimento, tuttavia, nel senso che egli è rimasto sempre in cammino. Anzi, si dice: anche nell’eternità la nostra ricerca non sarà finita, sarà un’avventura eterna scoprire nuove grandezze, nuove bellezze. Egli ha interpretato la parola del Salmo "Cercate sempre il suo volto" ed ha detto: questo vale per l’eternità; e la bellezza dell’eternità è che essa non è una realtà statica, ma un progresso immenso nella immensa bellezza di Dio. Così poteva trovare Dio come la ragione fondante, ma anche come l’amore che ci abbraccia, ci giuda e dà senso alla storia e alla nostra vita personale.

Stamattina ho avuto occasione di dire che questo amore per Cristo ha dato forma al suo impegno personale. Da una vita impostata sulla ricerca egli è passato ad una vita totalmente donata a Cristo e così ad una vita per gli altri. Ha scoperto - questa è stata la sua seconda conversione - che convertirsi a Cristo vuol dire non vivere per sé ma essere realmente al servizio di tutti. Sant’Agostino sia per noi, proprio anche per il mondo accademico, modello di dialogo tra la ragione e la fede, modello di un dialogo ampio, che solo può cercare la verità e così anche la pace. Come annotava il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, "il Vescovo di Ippona riuscì a produrre la prima grande sintesi del pensiero filosofico e teologico, nella quale confluivano correnti del pensiero greco e latino. Anche in lui, la grande unità del sapere, che trovava il suo fondamento nel pensiero biblico, venne ad essere confermata e sostenuta dalla profondità del pensiero speculativo" (n. 40). Invoco, pertanto, l’intercessione di sant’Agostino affinché l’Università di Pavia si distingua sempre per una speciale attenzione alla persona, per un’accentuata dimensione comunitaria nella ricerca scientifica e per un fecondo dialogo tra la fede e la cultura. Vi ringrazio per la vostra presenza e, augurando ogni bene per i vostri studi, imparto a voi tutti la mia Benedizione, estendendola ai vostri familiari e alle persone a voi care.

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SCAMBIO DI LETTERE FRA BENEDETTO XVI E ANGELA MERKEL


LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL CANCELLIERE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA, DOTT.SSA ANGELA MERKEL, IN MERITO AL PROSSIMO VERTICE DEL G8, E LETTERA DI RIPOSTA DEL CANCELLIERE AL SANTO PADRE , 23.04.2007

Il 16 dicembre 2006, in occasione dell’inizio della Presidenza Tedesca dell’Unione Europea e del Gruppo dei 7 Paesi più industrializzati più la Federazione Russa (G-8), il Santo Padre ha voluto scrivere al Cancelliere Dott.ssa Angela Merkel, manifestando l’apprezzamento e l’incoraggiamento della Chiesa Cattolica per l’intenzione espressa dal Governo della Repubblica Federale di Germania, e condivisa dagli altri membri del G-8, di mantenere il tema della povertà al centro delle trattative politiche internazionali, con particolare attenzione al Continente Africano.

Pubblichiamo qui di seguito le versioni originali in tedesco della Lettera del Santo Padre e della risposta del Cancelliere Merkel, in data 2 febbraio 2007, insieme con le traduzioni in lingua inglese e italiana:

LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL CANCELLIERE ANGELA MERKEL

A Sua Eccellenza
la Dott.ssa Angela Merkel
Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca

Il 17 luglio 2006, in occasione della conclusione del Vertice di San Pietroburgo, Ella ha annunciato che il gruppo costituito dai sette Paesi più industrializzati del mondo insieme con la Russia (G8), sotto la Sua presidenza, avrebbe ancora conservato all'ordine del giorno il tema della povertà nel mondo. Inoltre, il 18 ottobre, il Governo della Repubblica Federale Tedesca ha comunicato che l'aiuto all'Africa sarà un tema preponderante in occasione del Vertice di Heiligendamm.

Le scrivo, dunque, per esprimere il ringraziamento della Chiesa cattolica così come il mio apprezzamento personale per questi annunci.

Sono lieto del fatto che il tema «povertà» sia ora all'ordine del giorno dei Paesi del G8 con un esplicito riferimento all'Africa. Questa tematica, infatti, merita la massima attenzione e priorità a vantaggio degli Stati poveri come anche di quelli ricchi. Il fatto che la presidenza tedesca del G8 coincida con quella dell'Unione Europea offre un'opportunità unica per affrontare questo tema. Sono fiducioso che la Germania assumerà in modo positivo il ruolo di guida a lei spettante in tale complesso di questioni, che è di importanza mondiale e ci riguarda tutti.

In occasione del nostro incontro dello scorso 28 agosto, Ella mi ha assicurato che la Germania condivide la preoccupazione della Santa Sede per la incapacità dei Paesi ricchi di offrire ai Paesi più poveri, in particolare a quelli dell'Africa, adeguate condizioni finanziarie e commerciali che renderebbero possibile la promozione di un loro sviluppo duraturo.

La Santa Sede ha sottolineato ripetutamente che i Governi dei Paesi più poveri hanno, da parte loro, la responsabilità della good governance e dell'eliminazione della povertà, che però in ciò è irrinunciabile un'attiva collaborazione da parte dei partner internazionali. Qui non si tratta di un compito straordinario o di concessioni che potrebbero essere rimandate a causa di pressanti interessi nazionali. Esiste piuttosto un dovere morale grave e incondizionato, basato sulla comune appartenenza alla famiglia umana così come sulla comune dignità e destino dei Paesi poveri e dei Paesi ricchi che, mediante il processo di globalizzazione, si sviluppano in modo sempre più strettamente interconnesso.

Per i Paesi poveri bisognerebbe creare e garantire, in modo affidabile e duraturo, condizioni commerciali favorevoli che, soprattutto, includano un accesso ampio e senza riserve ai mercati.

Occorre anche prendere provvedimenti per una rapida cancellazione completa ed incondizionata del debito estero dei Paesi poveri fortemente indebitati (heavily indebted poor countries - HIPC) e dei Paesi meno sviluppati (least developed countries - LDC). Parimenti vanno prese misure affinché questi Paesi non finiscano di nuovo in una situazione di debito insostenibile.

Inoltre, i Paesi industrializzati devono essere consapevoli degli impegni che hanno assunto nell'ambito degli aiuti allo sviluppo e assolverli pienamente.

Occorrono poi ampi investimenti nel campo della ricerca e dello sviluppo di farmaci per il trattamento dell'AIDS, della tubercolosi, della malaria e di altre malattie tropicali. In quest'ottica i Paesi industrializzati devono affrontare l'urgente compito scientifico di creare finalmente un vaccino contro la malaria. Parimenti è necessario mettere a disposizione tecnologie mediche e farmaceutiche come pure conoscenze derivate dall'esperienza nel campo dell'igiene, senza per questo avanzare richieste giuridiche o economiche.

Infine, la comunità internazionale deve continuare ad adoperarsi per una riduzione significativa del commercio di armi sia legale sia illegale, del traffico illegale di preziose materie prime e della fuga di capitali dai Paesi poveri e deve impegnarsi per l'eliminazione tanto di pratiche di riciclaggio di denaro sporco quanto della corruzione di funzionari nei Paesi poveri.

Sebbene queste sfide siano da affrontare da tutti gli Stati membri della comunità internazionale, il G8 e l'Unione Europea dovrebbero svolgere un ruolo-guida in proposito.

Appartenenti a diverse religioni e culture di tutto il mondo sono convinti che il raggiungimento dell'obiettivo di eliminare l'estrema povertà entro il 2015 sia uno dei più importanti compiti del nostro tempo. Condividono, inoltre, la convinzione che questo traguardo sia legato indissolubilmente alla pace e alla sicurezza nel mondo. Il loro sguardo è ora rivolto alla guida affidata al Governo tedesco per il prossimo periodo, durante il quale bisogna garantire che il G8 e l'Unione Europea assumano le misure necessarie per superare la povertà. I fedeli cattolici sono pronti ad offrire il proprio contributo a tali sforzi e sostengono in modo solidale il Suo impegno.

Implorando la benedizione di Dio per l'attività del G8 e dell'Unione Europea sotto la presidenza tedesca, colgo l'occasione per esprimerLe di nuovo, Signora Cancelliere Federale, il mio grande apprezzamento.

Dal Vaticano, 16 dicembre 2006

BENEDICTUS PP. XVI


LETTERA DI RISPOSTA DEL CENCELLIERE MERKEL AL SANTO PADRE

Sua Santità
il Papa Benedetto XVI
Città del Vaticano

Santità,

è con grande gioia che ho letto la Sua lettera del 16 dicembre 2006 in cui Lei formula i Suoi migliori auspici ed espone le Sue richieste per la nostra Presidenza dell'Unione europea nonché del G8. Mi rallegra particolarmente il fatto che Lei quale Capo della Chiesa Cattolica appoggi le priorità della Presidenza tedesca dell'Ue e del G8. Mi consenta di sottolineare con la presente che il Suo sostegno mi sta particolarmente a cuore.

Vogliamo servirci della Presidenza tedesca del G8 e del semestre di Presidenza nel Consiglio dell'Ue per compiere progressi nella lotta contro la povertà e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio. In questo contesto consideriamo prioritari i potenziali di sviluppo e le sfide del continente africano. Durante la Presidenza tedesca del G8 affronteremo in primo luogo lo sviluppo economico del continente e le questioni di buon governo nonché gli aspetti della pace e della sicurezza. Mi preme molto che i rapporti fra i G8 e l'Africa vengano ampliati nello spirito di un partenariato di riforma. Oltre a maggiori sforzi da parte degli Stati africani stessi è importante un più forte impegno della comunità internazionale.

La lotta contro l'HIV/AIDS nonché il potenziamento dei sistemi sanitari sono importanti priorità soprattutto della Presidenza G8. Ci siamo dati l'obiettivo di modificare le strategie di contrasto all'HIV/AIDS affinché tengano particolarmente conto della situazione delle donne e delle ragazze. Tutti questi sforzi rimangono però solo un'opera incompleta se, a lungo termine, i sistemi sanitari non verranno migliorati.

In ambito G8 affronteremo con maggior impegno le sfide da Lei indicate in merito alla trasparenza dei mercati delle finanze e delle materie prime dedicandoci in particolar modo al potenziamento e rafforzamento dell'iniziativa già attivata "Extraction Industries Transparency Initiative" (EITI) che noi appoggiamo pienamente.

Le iniziative per la cancellazione del debito da Lei menzionate rappresentano un fattore importante nella lotta contro la povertà. I provvedimenti decisi nel corso dei Vertici G8 di Colonia (1999) e Gleneagles (2005) hanno concesso ai Paesi beneficiari margini finanziari che possono venir destinati alla lotta contro la povertà nel rispettivo Paese. Per mettere in pratica la cancellazione debitoria multilaterale di Gleneagles a favore dei Paesi più poveri ed indebitati il Governo federale ha garantito una partecipazione tedesca di complessivamente 3,6 miliardi di . Anche la istituzione di un quadro di sostenibilità del debito (Debt Sustainability Framework) gode del sostegno del Governo federale. Si tratta di uno strumento prezioso per limitare il pericolo di un ulteriore eccessivo indebitamento da parte dei Paesi più poveri. Nel frattempo i Paesi a cui è stato cancellato il debito hanno potuto incrementare le loro spese per la lotta alla povertà dal 7% nel 1999 al 9% del PIL nel 2005 - fondi che possono venir destinati, per esempio, a scuole o strutture sanitarie.

In campo commerciale abbiamo l'intenzione di giungere ad una conclusione, che favorisca lo sviluppo, dei cosiddetti Accordi di partenariato economico fra l'Ue ed i Paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico.

Inoltre ci serviremo della nostra Presidenza dell'Ue e del G8 per portare avanti il dialogo con i Paesi emergenti. Paesi emergenti come Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica rivestono una sempre maggiore importanza per la soluzione di problemi globali quali l'approvvigionamento energetico, il cambiamento climatico e l'utilizzo delle materie prime. Ci siamo pertanto posti l'ambizioso obiettivo di parlare con questi Paesi anche di questioni difficili. Infatti solo se tutti i soggetti forti di questo mondo si assumono le loro responsabilità, possiamo giungere a più giustizia e pace.

Penso che con le priorità tematiche illustrate possiamo fornire degli impulsi a uno sviluppo sostenibile e quindi anche un contributo affinché la globalizzazione, su scala mondiale, sia più equa.

La ringrazio nuovamente per la Sua lettera.

Distinti saluti

Angela Merkel

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Dedicato a chi pensa che il Papa si occupi piu' di teologia che dei problemi del mondo.......................
Raffaella

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Omelia del Papa sulle reliquie di Sant’Agostino, 22 aprile 2007

PAVIA, domenica, 22 aprile 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l'omelia pronunciata da Benedetto XVI durante la celebrazione dei Secondi Vespri della III Domenica di Pasqua nella Basilica di San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia, dove si trova l’Urna delle Reliquie di Sant’Agostino.

Cari fratelli e sorelle!

In questo suo momento conclusivo, la mia visita a Pavia acquista la forma del pellegrinaggio. E’ la forma in cui all’inizio l’avevo concepita, desiderando venire a venerare le spoglie mortali di sant’Agostino, per esprimere sia l’omaggio di tutta la Chiesa cattolica ad uno dei suoi "padri" più grandi, sia la mia personale devozione e riconoscenza verso colui che tanta parte ha avuto nella mia vita di teologo e di pastore, ma direi prima ancora di uomo e di sacerdote. Rinnovo con affetto il saluto al Vescovo Giovanni Giudici e lo porgo in modo speciale al Priore Generale degli Agostiniani, Padre Robert Francis Prevost, al Padre Provinciale e all’intera comunità agostiniana. Con gioia saluto tutti voi, cari sacerdoti, religiosi e religiose, laici consacrati e seminaristi.

La Provvidenza ha voluto che il mio viaggio acquistasse il carattere di una vera e propria visita pastorale, e perciò, in questa sosta di preghiera, vorrei raccogliere qui, presso il sepolcro del Doctor gratiae, un messaggio significativo per il cammino della Chiesa. Questo messaggio ci viene dall’incontro tra la Parola di Dio e l’esperienza personale del grande Vescovo di Ippona. Abbiamo ascoltato la breve Lettura biblica dei secondi Vespri della terza Domenica di Pasqua (Eb 10,12-14): la Lettera agli Ebrei ci ha posto dinanzi Cristo sommo ed eterno Sacerdote, esaltato alla gloria del Padre dopo avere offerto se stesso come unico e perfetto sacrificio della nuova Alleanza, nel quale s’è compiuta l’opera delle Redenzione. Su questo mistero sant’Agostino ha fissato lo sguardo e in esso ha trovato la Verità che tanto cercava: Gesù Cristo, Verbo incarnato, Agnello immolato e risorto, è la rivelazione del volto di Dio Amore ad ogni essere umano in cammino sui sentieri del tempo verso l’eternità. Scrive l’apostolo Giovanni in un passo che si può considerare parallelo a quello ora proclamato della Lettera agli Ebrei: "In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1 Gv 4,10). Qui è il cuore del Vangelo, il nucleo centrale del Cristianesimo. La luce di questo amore ha aperto gli occhi di Agostino, gli ha fatto incontrare la "bellezza antica e sempre nuova" (Conf. X, 27) in cui soltanto trova pace il cuore dell’uomo.

Cari fratelli e sorelle, qui, davanti alla tomba di sant’Agostino, vorrei idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo la mia prima Enciclica, che contiene proprio questo messaggio centrale del Vangelo: Deus caritas est, Dio è amore (1 Gv 4,8.16). Questa Enciclica, soprattutto la sua prima parte, è largamente debitrice al pensiero di sant’Agostino, che è stato un innamorato dell’Amore di Dio, e lo ha cantato, meditato, predicato in tutti i suoi scritti, e soprattutto testimoniato nel suo ministero pastorale. Sono convinto, ponendomi nella scia degli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dei miei venerati Predecessori Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, che l’umanità contemporanea ha bisogno di questo messaggio essenziale, incarnato in Cristo Gesù: Dio è amore. Tutto deve partire da qui e tutto qui deve condurre: ogni azione pastorale, ogni trattazione teologica. Come dice san Paolo: "Se non avessi la carità, nulla mi giova" (cfr 1 Cor 13,3): tutti i carismi perdono di senso e di valore senza l’amore, grazie al quale invece tutti concorrono a edificare il Corpo mistico di Cristo.

Ecco allora il messaggio che ancora oggi sant’Agostino ripete a tutta la Chiesa e, in particolare, a questa Comunità diocesana che con tanta venerazione custodisce le sue reliquie: l’Amore è l’anima della vita della Chiesa e della sua azione pastorale. L’abbiamo ascoltato stamani nel dialogo tra Gesù e Simon Pietro: "Mi ami tu? … Pasci le mie pecorelle" (cfr Gv 21,15-17). Solo chi vive nell’esperienza personale dell’amore del Signore è in grado di esercitare il compito di guidare e accompagnare altri nel cammino della sequela di Cristo. Alla scuola di sant’Agostino ripeto questa verità per voi come Vescovo di Roma, mentre, con gioia sempre nuova, la accolgo con voi come cristiano.

Servire Cristo è anzitutto questione d’amore. Cari fratelli e sorelle, la vostra appartenenza alla Chiesa e il vostro apostolato risplendano sempre per la libertà da ogni interesse individuale e per l’adesione senza riserve all’amore di Cristo. I giovani, in particolare, hanno bisogno di ricevere l’annuncio della libertà e della gioia, il cui segreto sta in Cristo. E’ Lui la risposta più vera all’attesa dei loro cuori inquieti per le tante domande che si portano dentro. Solo in Lui, Parola pronunciata dal Padre per noi, si trova quel connubio di verità e amore in cui è posto il senso pieno della vita. Agostino ha vissuto in prima persona ed esplorato fino in fondo gli interrogativi che l’uomo si porta nel cuore ed ha sondato le capacità che egli ha di aprirsi all’infinito di Dio.

Sulle orme di Agostino, siate anche voi una Chiesa che annuncia con franchezza la "lieta notizia" di Cristo, la sua proposta di vita, il suo messaggio di riconciliazione e di perdono. Ho veduto che il primo vostro obiettivo pastorale è di condurre le persone alla maturità cristiana. Apprezzo questa priorità accordata alla formazione personale, perché la Chiesa non è una semplice organizzazione di manifestazioni collettive né, all’opposto, la somma di individui che vivono una religiosità privata. La Chiesa è una comunità di persone che credono nel Dio di Gesù Cristo e si impegnano a vivere nel mondo il comandamento della carità che Egli ha lasciato. E’ dunque una comunità in cui si è educati all’amore, e questa educazione avviene non malgrado, ma attraverso gli avvenimenti della vita. Così è stato per Pietro, per Agostino e per tutti i santi.

La maturazione personale, animata dalla carità ecclesiale, permette anche di crescere nel discernimento comunitario, cioè nella capacità di leggere e interpretare il tempo presente alla luce del Vangelo, per rispondere alla chiamata del Signore. Vi incoraggio a progredire nella testimonianza personale e comunitaria dell’amore operoso. Il servizio della carità, che concepite giustamente sempre legato all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei Sacramenti, vi chiama e al tempo stesso vi stimola ad essere attenti ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli. Vi incoraggio a perseguire la "misura alta" della vita cristiana, che trova nella carità il vincolo della perfezione e che deve tradursi anche in uno stile di vita morale ispirato al Vangelo, inevitabilmente controcorrente rispetto ai criteri del mondo, ma da testimoniare sempre con stile umile, rispettoso e cordiale.

Cari fratelli e sorelle, è stato per me un dono, veramente un dono, condividere con voi questa sosta presso la tomba di sant’Agostino: la vostra presenza ha dato al mio pellegrinaggio un più concreto senso ecclesiale. Ripartiamo da qui portando nel cuore la gioia di essere discepoli dell’Amore. Ci accompagni sempre la Vergine Maria, alla cui materna protezione affido ciascuno di voi e i vostri cari, mentre con grande affetto vi imparto la Benedizione Apostolica.

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

domenica 22 aprile 2007

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IL PAPA RIDEFINISCE LA CHIESA


CELEBRAZIONE EUCARISTICA AGLI ORTI DELL’ALMO COLLEGIO BORROMEO DI PAVIA, 22 APRILE 2007

Lasciato il Policlinico "San Matteo", il Santo Padre si reca in auto agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo dove, alle ore 10.30, presiede la Celebrazione della Santa Messa con i Vescovi della Lombardia, i Sacerdoti della Diocesi e una rappresentanza dei Padri Agostiniani.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto del Vescovo di Pavia, S.E. Mons. Giovanni Giudici, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Ieri pomeriggio ho incontrato la Comunità diocesana di Vigevano ed il cuore di questa mia visita pastorale è stata la Concelebrazione eucaristica in Piazza Ducale; quest’oggi ho la gioia di visitare la vostra Diocesi e momento culminante di questo nostro incontro è anche qui la Santa Messa. Con affetto saluto i Confratelli che concelebrano con me: il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, il Pastore della vostra diocesi, il Vescovo Giovanni Giudici, quello emerito, il Vescovo Giovanni Volta, e gli altri Presuli della Lombardia. Sono grato per la loro presenza ai Rappresentanti del Governo e delle Amministrazioni locali. Rivolgo il mio saluto cordiale ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai responsabili delle associazioni laicali, ai giovani, ai malati e a tutti i fedeli, ed estendo il mio pensiero all’intera popolazione di questa antica e nobile città e della Diocesi.

Nel tempo pasquale la Chiesa ci presenta, domenica per domenica, qualche brano della predicazione con cui gli Apostoli, in particolare Pietro, dopo la Pasqua invitavano Israele alla fede in Gesù Cristo, il Risorto, fondando così la Chiesa. Nell’odierna lettura gli Apostoli stanno davanti al Sinedrio – davanti a quell’istituzione che, avendo dichiarato Gesù reo di morte, non poteva tollerare che questo Gesù, mediante la predicazione degli Apostoli, ora cominciasse ad operare nuovamente; non poteva tollerare che la sua forza risanatrice si facesse di nuovo presente e intorno a questo nome si raccogliessero persone che credevano in Lui come nel Redentore promesso. Gli Apostoli vengono accusati. Il rimprovero è: "Volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo". A questa accusa Pietro risponde con una breve catechesi sull’essenza della fede cristiana: "No, non vogliamo far ricadere il suo sangue su di voi. L’effetto della morte e risurrezione di Gesù è totalmente diverso. Dio lo ha fatto «capo e salvatore» per tutti, proprio anche per voi, per il suo popolo d’Israele". E dove conduce questo "capo", che cosa porta questo "salvatore"? Egli conduce alla conversione – crea lo spazio e la possibilità di ravvedersi, di pentirsi, di ricominciare. Ed Egli dona il perdono dei peccati – ci introduce nel giusto rapporto con Dio.

Questa breve catechesi di Pietro non valeva solo per il Sinedrio. Essa parla a tutti noi. Poiché Gesù, il Risorto, vive anche oggi. E per tutte le generazioni, per tutti gli uomini Egli è il "capo" che precede sulla via e il "salvatore" che rende la nostra vita giusta. Le due parole "conversione" e "perdono dei peccati", corrispondenti ai due titoli di Cristo "capo" e "salvatore", sono le parole-chiave della catechesi di Pietro, parole che in quest’ora vogliono raggiungere anche il nostro cuore.

Il cammino che dobbiamo fare – il cammino che Gesù ci indica, si chiama "conversione". Ma che cosa è? Che cosa bisogna fare? In ogni vita la conversione ha la sua forma propria, perché ogni uomo è qualcosa di nuovo e nessuno è soltanto la copia di un altro.

Ma nel corso della storia della cristianità il Signore ci ha mandato modelli di conversione, guardando ai quali possiamo trovare orientamento. Potremmo per questo guardare a Pietro stesso, a cui il Signore nel cenacolo aveva detto: "Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32). Potremmo guardare a Paolo come a un grande convertito.

La città di Pavia parla di uno dei più grandi convertiti della storia della Chiesa: sant’Aurelio Agostino.

Egli morì il 28 agosto del 430 nella città portuale di Ippona, allora circondata ed assediata dai Vandali. Dopo parecchia confusione di una storia agitata, il re dei Longobardi acquistò le sue spoglie per la città di Pavia, cosicché ora egli appartiene in modo particolare a questa città ed in essa e da essa parla a tutti noi in maniera speciale.

Nel suo libro "Le Confessioni", Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, che col Battesimo amministratogli dal Vescovo Ambrogio nel duomo di Milano aveva raggiunto la sua meta.

Chi legge Le Confessioni può condividere il cammino che Agostino in una lunga lotta interiore dovette percorrere per ricevere finalmente, nella notte di Pasqua del 387, al fonte battesimale il Sacramento che segnò la grande svolta della sua vita.

Seguendo attentamente il corso della vita di sant’Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato.

Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione – fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio.

Così possiamo parlare delle "conversioni" di Agostino che, di fatto, sono state un’unica grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui.

Vorrei parlare di tre grandi tappe in questo cammino di conversione, di tre "conversioni".

La prima conversione fondamentale fu il cammino interiore verso il cristianesimo, verso il "sì" della fede e del Battesimo. Quale fu l’aspetto essenziale di questo cammino? Agostino, da una parte, era figlio del suo tempo, condizionato profondamente dalle abitudini e dalle passioni in esso dominanti, come anche da tutte le domande e i problemi di un giovane. Viveva come tutti gli altri, e tuttavia c’era in lui qualcosa di particolare: egli rimase sempre una persona in ricerca. Non si accontentò mai della vita così come essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. Voleva riuscire a sapere che cosa è l’uomo; da dove proviene il mondo; di dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere ciecamente senza senso e senza meta. La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita. E c’è ancora una peculiarità. Tutto ciò che non portava il nome di Cristo, non gli bastava.
L’amore per questo nome – ci dice – lo aveva bevuto col latte materno (cfr Conf 3,4,8). E sempre aveva creduto – a volte piuttosto vagamente, a volte più chiaramente – che Dio esiste e che Egli si prende cura di noi. Ma conoscere veramente questo Dio e familiarizzare davvero con quel Gesù Cristo e arrivare a dire "sì" a Lui con tutte le conseguenze –questa era la grande lotta interiore dei suoi anni giovanili. Egli ci racconta che, per il tramite della filosofia platonica, aveva appreso e riconosciuto che "in principio era il Verbo" – il Logos, la ragione creatrice. Ma la filosofia non gli indicava alcuna via per raggiungerlo; questo Logos rimaneva lontano e intangibile. Solo nella fede della Chiesa trovò poi la seconda verità essenziale: il Verbo si è fatto carne. E così esso ci tocca, noi lo tocchiamo. All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo; che vive con la Chiesa e solo così entra nella comunione concreta, anzi corporea, con il Dio vivente. Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e fanno. Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù Cristo. Imparare sempre di nuovo l’umiltà della fede nella Chiesa corporea di Gesù Cristo.

La sua seconda conversione Agostino ce la descrive alla fine del secondo libro delle sue Confessioni con le parole: "Oppresso dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu, però, me lo impedisti, confortandomi con queste parole: «Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per tutti»" (2 Cor 5,15; Conf 10,43,70). Che cosa era successo? Dopo il suo Battesimo, Agostino si era deciso a ritornare in Africa e lì aveva fondato, insieme con i suoi amici, un piccolo monastero. Ora la sua vita doveva essere dedita totalmente al colloquio con Dio e alla riflessione e contemplazione della bellezza e della verità della sua Parola. Così egli passò tre anni felici, nei quali si credeva arrivato alla meta della sua vita; in quel periodo nacque una serie di preziose opere filosofiche. Nel 391 egli andò a trovare nella città portuale di Ippona un amico, che voleva conquistare alla vita monastica. Ma nella liturgia domenicale, alla quale partecipò nella cattedrale, venne riconosciuto.
Il Vescovo della città, un uomo di provenienza greca, che non parlava bene il latino e faceva fatica a predicare, nella sua omelia non a caso disse di aver l’intenzione di scegliere un sacerdote al quale affidare anche il compito della predicazione.

Immediatamente la gente afferrò Agostino e lo portò di forza avanti, perché venisse consacrato sacerdote a servizio della città. Subito dopo questa sua consacrazione forzata, Agostino scrisse al Vescovo Valerio: "Mi sentivo come uno che non sa tenere il remo e a cui, tuttavia, è stato assegnato il secondo posto al timone… E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione" (cfr Ep 21,1s). Il bel sogno della vita contemplativa era svanito, la vita di Agostino ne risultava fondamentalmente cambiata. Ora egli doveva vivere con Cristo per tutti. Doveva tradurre le sue conoscenze e i suoi pensieri sublimi nel pensiero e nel linguaggio della gente semplice della sua città. La grande opera filosofica di tutta una vita, che aveva sognato, restò non scritta.

Al suo posto ci venne donata una cosa più preziosa: il Vangelo tradotto nel linguaggio della vita quotidiana. Ciò che ora costituiva la sua quotidianità, lo ha descritto così: "Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti" (cfr Serm 340, 3). "Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica" (Serm 339, 4). Fu questa la seconda conversione che quest’uomo, lottando e soffrendo, dovette continuamente realizzare: sempre di nuovo essere lì per tutti; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita.

C’è ancora una terza tappa decisiva nel cammino di conversione di sant’Agostino. Dopo la sua Ordinazione sacerdotale, egli aveva chiesto un periodo di vacanza per poter studiare più a fondo le Sacre Scritture.

Il suo primo ciclo di omelie, dopo questa pausa di riflessione, riguardò il Discorso della montagna; vi spiegava la via della retta vita, "della vita perfetta" indicata in modo nuovo da Cristo – la presentava come un pellegrinaggio sul monte santo della Parola di Dio. In queste omelie si può percepire ancora tutto l’entusiasmo della fede appena trovata e vissuta: la ferma convinzione che il battezzato, vivendo totalmente secondo il messaggio di Cristo, può essere, appunto, "perfetto". Circa vent’anni dopo, Agostino scrisse un libro intitolato Le Ritrattazioni, in cui passa in rassegna in modo critico le sue opere redatte fino a quel momento, apportando correzioni laddove, nel frattempo, aveva appreso cose nuove. Riguardo all’ideale della perfezione nelle sue omelie sul Discorso della montagna annota: "Nel frattempo ho compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (cfr Retract. I 19,1-3).
Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà – non soltanto l’umiltà di inserire il suo grande pensiero nella fede della Chiesa, non solo l’umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella semplicità dell’annuncio, ma anche l’umiltà di riconoscere che a lui stesso e all’intera Chiesa peregrinante era continuamente necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona; e noi – aggiungeva - ci rendiamo simili a Cristo, il Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia.

In quest’ora ringraziamo Dio per la grande luce che si irradia dalla sapienza e dall’umiltà di sant’Agostino e preghiamo il Signore affinché doni a tutti noi, giorno per giorno, la conversione necessaria e così ci conduca verso la vera vita. Amen.

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

Visita pastorale del Papa a Vigevano e Pavia


VISITA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A VIGEVANO E PAVIA, 21.04.2007

Alle 15.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI parte in aereo dall’aeroporto di Ciampino (Roma) per la Visita Pastorale a Vigevano e Pavia.
Dopo lo scalo tecnico a Milano-Linate, l’arrivo in elicottero allo stadio "Dante Merlo" di Vigevano, dove sono riuniti i ragazzi delle Scuole e delle Società sportive locali, è previsto per le ore 16.50.
Quindi, dopo l’accoglienza delle Autorità politiche, civili ed ecclesiastiche, il Santo Padre si trasferisce in "papamobile" al centro della città. Lungo il tragitto, il corteo passa davanti al Monastero di clausura delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento che salutano il Papa dal sagrato della chiesa.
Alle 17.15 il Santo Padre arriva in Vescovado e dal balcone centrale si affaccia su Piazza Sant’Ambrogio dove sono presenti i Giovani e gli Ammalati.
Qui, introdotto dall’indirizzo di omaggio del Sindaco di Vigevano, Prof. Ambrogio Cotta Ramusino, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia le parole di saluto che riportiamo di seguito:


SALUTO DEL PAPA AI GIOVANI E AGLI AMMALATI A VIGEVANO

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA PIAZZA DUCALE DI VIGEVANO

SALUTO DEL SANTO PADRE AI GIOVANI DELLA DIOCESI DI PAVIA


VISITA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A VIGEVANO E PAVIA ,22.04.2007

VISITA AL POLICLINICO "SAN MATTEO" DI PAVIA

CELEBRAZIONE EUCARISTICA AGLI ORTI DELL’ALMO COLLEGIO BORROMEO DI PAVIA, 22 APRILE 2007

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CAELI

Omelia del Papa sulle reliquie di Sant’Agostino, 22 aprile 2007

INCONTRO CON IL MONDO DELLA CULTURA NELL’UNIVERSITÀ DI PAVIA, 22.04.2007

Vedi anche:

VISITA DEL SANTO PADRE A PAVIA: LO SPECIALE DEL BLOG

I testi sono stati pubblicati dal sito ufficiale della Santa Sede.

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mercoledì 18 aprile 2007

Il Papa: scopo della vita e' diventare simili a Dio


I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI

L’UDIENZA GENERALE , 18.04.2007

Clemente Alessandrino

Cari fratelli e sorelle,

dopo il tempo delle feste ritorniamo alle catechesi normali, anche se visibilmente in Piazza è ancora festa. Con le catechesi ritorniamo, come detto, al filone iniziato prima. Abbiamo parlato dapprima dei Dodici Apostoli, poi dei discepoli degli Apostoli, adesso delle grandi personalità della Chiesa nascente, della Chiesa antica. L’ultima avevamo parlato di Sant’Ireneo di Lione, oggi parliamo di Clemente Alessandrino, un grande teologo che nacque probabilmente ad Atene intorno alla metà del secondo secolo. Da Atene ereditò quello spiccato interesse per la filosofia, che avrebbe fatto di lui uno degli alfieri del dialogo tra fede e ragione nella tradizione cristiana. Ancor giovane, egli giunse ad Alessandria, la "città-simbolo" di quel fecondo incrocio tra culture diverse che caratterizzò l'età ellenistica. Lì fu discepolo di Pànteno, fino a succedergli nella direzione della scuola catechetica. Numerose fonti attestano che fu ordinato presbitero. Durante la persecuzione del 202-203 abbandonò Alessandria per rifugiarsi a Cesarea, in Cappadocia, dove morì verso il 215.

Le opere più importanti che di lui ci rimangono sono tre: il Protrettico, il Pedagogo e gli Stromati. Anche se non pare che fosse questa l'intenzione originaria dell’autore, è un fatto che tali scritti costituiscono una vera trilogia, destinata ad accompagnare efficacemente la maturazione spirituale del cristiano. Il Protrettico, come dice la parola stessa, è un’"esortazione" rivolta a chi inizia e cerca il cammino della fede. Meglio ancora, il Protrettico coincide con una Persona: il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che si fa "esortatore" degli uomini, affinché intraprendano con decisione la via verso la Verità. Lo stesso Gesù Cristo si fa poi Pedagogo, cioè "educatore" di quelli che, in forza del Battesimo, sono ormai diventati figli di Dio. Il medesimo Gesù Cristo, infine, è anche Didascalo, cioè "Maestro" che propone gli insegnamenti più profondi. Essi sono raccolti nella terza opera di Clemente, gli Stromati, parola greca che significa "tappezzerie": si tratta in effetti di una composizione non sistematica di argomenti diversi, frutto diretto dell'insegnamento abituale di Clemente.

Nel suo complesso, la catechesi clementina accompagna passo passo il cammino del catecumeno e del battezzato perché, con le due "ali" della fede e della ragione, essi giungano a un’intima conoscenza della Verità, che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio. Solo questa conoscenza della persona che è la verità, è la "vera gnosi", l’espressione greca che sta per "conoscenza" per "intelligenza". È l’edificio costruito dalla ragione sotto impulso di un principio soprannaturale. La fede stessa costruisce la vera filosofia, cioè la vera conversione nel cammino da prendere nella vita. Quindi l’autentica "gnosi" è uno sviluppo della fede, suscitato da Gesù Cristo nell’anima unita a Lui. Clemente distingue poi due gradini della vita cristiana. Primo gradino: i cristiani credenti che vivono la fede in modo comune, ma pur sempre aperta agli orizzonti della santità. E poi il secondo gradino: gli "gnostici", cioè quelli che conducono gia una vita di perfezione spirituale; in ogni caso il cristiano deve partire dalla base comune della fede attraverso un cammino di ricerca deve lasciarsi guidare da Cristo e così giungere alla conoscenza della Verità e delle verità che formano il contenuto della fede. Tale conoscenza, ci dice Clemente, diventa nell’anima una realtà vivente: non è solo una teoria, è una forza di vita, è una unione di amore trasformante. La conoscenza di Cristo non è solo pensiero, ma è amore che apre gli occhi, trasforma l’uomo e crea comunione con il Logos, con il Verbo divino che è verità e vita. In questa comunione, che è la perfetta conoscenza ed è amore, il perfetto cristiano raggiunge la contemplazione, l’unificazione con Dio.

Clemente riprende finalmente la dottrina secondo cui il fine ultimo dell’uomo è divenire simili a Dio. Siamo creati ad immagine e similitudine di Dio, ma questo è anche una sfida, un cammino; infatti lo scopo della vita, l’ultima destinazione è veramente divenire simili a Dio. Ciò è possibile grazie alla connaturalità con Lui, che l’uomo ha ricevuto nel momento della creazione, per cui egli è già di per sè – già di per sè – immagine di Dio. Tale connaturalità permette di conoscere le realtà divine, a cui l’uomo aderisce anzitutto per fede e, attraverso la fede vissuta, la pratica della virtù, può crescere fino alla contemplazione di Dio. Così nel cammino della perfezione Clemente annette al requisito morale tanta importanza quanta ne attribuisce a quello intellettuale. I due vanno insieme perché non si può conoscere senza vivere e non si può vivere senza conoscere. L'assimilazione a Dio e la contemplazione di Lui non possono essere raggiunte con la sola conoscenza razionale: a questo scopo è necessaria una vita secondo il Logos una vita secondo la verità. E di conseguenza, le buone opere devono accompagnare la conoscenza intellettuale come l’ombra segue il corpo.

Due virtù soprattutto ornano l’anima del "vero gnostico". La prima è la libertà dalle passioni (apátheia); l’altra è l’amore, la vera passione, che assicura l’intima unione con Dio. L'amore dona la pace perfetta, e pone "il vero gnostico" in grado di affrontare i più grandi sacrifici, anche il sacrificio supremo nella sequela di Cristo, e lo fa salire di gradino in gradino fino al vertice delle virtù. Così l’ideale etico della filosofia antica, cioè la liberazione dalle passioni, viene da Clemente ridefinito e coniugato con l’amore, nel processo incessante di assimilazione a Dio.

In questo modo l’Alessandrino costruisce la seconda grande occasione di dialogo tra l'annuncio cristiano e la filosofia greca. Sappiamo che San Paolo sull’Areopago in Atene, dove Clemente è nato, aveva fatto il primo tentativo di dialogo con la filosofia greca – e in gran parte era fallito -, ma gli avevano detto: "Ti sentiremo un’altra volta". Ora Clemente, riprende questo dialogo, e lo nobilita in massimo grado nella tradizione filosofica greca. Come ha scritto il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, l’Alessandrino giunge a interpretare la filosofia come "un’istruzione propedeutica alla fede cristiana" (n. 38). E, di fatto, Clemente è arrivato fino al punto di sostenere che Dio avrebbe dato la filosofia ai Greci "come un Testamento loro proprio" (Strom. 6,8,67,1). Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge per gli Ebrei, è ambito di "rivelazione", sono due rivoli che in definitiva vanno al Logos stesso. Così Clemente continua a segnare con decisione il cammino di chi intende "dare ragione" della propria fede in Gesù Cristo. Egli può servire d’esempio ai cristiani, ai catechisti e ai teologi del nostro tempo, ai quali Giovanni Paolo II, nella medesima Enciclica, raccomandava di "recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verità, per entrare in un dialogo critico ed esigente tanto con il pensiero filosofico contemporaneo".

Concludiamo facendo nostra qualche espressione della celebre "preghiera a Cristo Logos", con la quale Clemente conclude il suo Pedagogo. Egli supplica così: "Sii propizio ai tuoi figli"; "Concedi a noi di vivere nella tua pace, di essere trasferiti nella tua città, di attraversare senza esserne sommersi i flutti del peccato, di essere trasportati in tranquillità dallo Spirito Santo e dalla Sapienza ineffabile: noi, che di notte e di giorno, fino all’ultimo giorno cantiamo un canto di ringraziamento all’unico Padre, … al Figlio pedagogo e maestro, insieme allo Spirito Santo. Amen!" (Ped. 3,12,101).

Saluto in lingua italiana

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli delle Diocesi della Toscana, qui convenuti con i loro Vescovi in occasione della Visita ad Limina Apostolorum. Cari amici, anche le vostre comunità ecclesiali sono chiamate a proseguire con rinnovato slancio la loro missione spirituale nella società. Il nostro tempo ha più che mai bisogno dell’apporto generoso dei discepoli di Cristo per affrontare le attuali sfide culturali, sociali e religiose. Non stancatevi, pertanto, di attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per contribuire alla realizzazione di un’autentica rinascita morale e sociale della vostra Regione. Siate testimoni gioiosi del Signore risorto e infaticabili costruttori del suo Regno di giustizia e di amore. Saluto, inoltre, le Religiose partecipanti all’incontro promosso dall’USMI e i rappresentanti dell’Istituto Ospedaliero "Gaslini" di Genova, come anche quelli dell’Istituto "Giovanni Cena" di Cerveteri.

Sono lieto poi, di salutare con affetto i numerosi ragazzi e studenti, specialmente quelli della Diocesi di Foligno, accompagnati dal Vescovo Mons. Arduino Bertoldo, e qui convenuti a conclusione del Sinodo diocesano dei Giovani. Cari giovani, come ai primi discepoli, Gesù rivolge anche voi l’invito ad essere suoi amici. Se rispondete con gioia a questo suo appello, sarete seminatori di speranza nel cuore dei vostri coetanei. Il mio pensiero va infine ai malati e agli sposi novelli. Per voi, cari malati, la risurrezione di Cristo sia fonte inesauribile di conforto e di speranza. E voi, cari sposi novelli, siate testimoni del Signore risorto con il vostro fedele amore coniugale.

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Clemente Alessandrino in "Monastero Virtuale"

COMMENTI DI AGENZIA

PAPA/RAPPORTO FEDE-RAGIONE,IN UDIENZA SPIEGA SUO LIBRO AI FEDELI
Cristiano è colui che intraprende con decisione via della Verità

Città del Vaticano, 18 apr. (Apcom) - Rapporto fra fede e ragione: il Papa teologo si sofferma su questa speciale relazione, tornando sui temi del suo primo libro da Papa, 'Gesù di Nazaret'. Udienza generale a San Pietro da record: oltre 50mila fedeli, davanti ai quali, Benedetto XVI, alla vigilia del secondo anniversario del pontificato, ha spiegato la figura di San Clemente d'Alessandria, "uno degli alfieri del dialogo tra fede e ragione nella tradizione cristiana".

Il cristiano è colui che con le "due ali della fede e della ragione" intraprende "con decisione la via della Verità", ha scandito il pontefice. In ogni caso, il cristiano, "partendo dalla base della fede comune, attraverso un cammino di ricerca guidato da Cristo stesso, può e deve giungere alla conoscenza delle verità che formano il contenuto della fede".


PAPA/ RATZINGER AI TOSCANI: AVANTI PER RINASCITA MORALE REGIONE
Attingete con coraggio dal Vangelo per averne la forza

Città del Vaticano, 18 apr. (Apcom) - Saluto speciale ai pellegrini della Toscana e l'invito ad "attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per contribuire alla realizzazione di una autentica rinascita morale e sociale della vostra Regione". Lo ha detto Papa Ratzinger al termine dell'udienza generale del mercoledì in una piazza San Pietro gremita, salutando i numerosi pellegrini provenienti dalla Toscana, giunti oggi in Vaticano a conclusione della loro visita ad limina dal Papa.

"Cari amici - ha affermato il pontefice - anche le vostre comunità ecclesiali sono chiamate a proseguire con rinnovato slancio la loro missione spirituale nella società. Il nostro tempo ha più che mai bisogno dell'apporto generoso dei discepoli di Cristo per affrontare le attuali sfide culturali, sociali e religiose", ha concluso Benedetto XVI.


Papa record/ Oltre 50 mila fedeli in piazza San Pietro per l'Udienza Generale di Benedetto XVI. "Non c'è vita cristiana se manca la coerenza"

La perfezione della vita cristiana "non può essere raggiunta con sola conoscenza razionale: è necessaria la vita. Le opere debbono accompagnare la conoscenza come l'ombra segue il corpo". E la coerenza con la fede può richiedere anche "il sacrificio supremo". Lo ha ricordato Benedetto XVI nella straordinaria Udienza Generale che, alla vigilia del secondo anniversario della sua elezione, ha raccolto in piazza San Pietro oltre 50 mila fedeli (cifra record). Alla "contemplazione di Dio", ha spiegato il Papa, si arriva "attraverso la pratica della virtu'", e nella fede il "requisito morale" riveste "tanta importanza quanta quella intellettuale".

La catechesi era dedicata alla figura di Clemente Alessandrino, e Papa Ratzinger ha affermato che "l'assimilazione a Dio e la contemplazione di Lui non possono essere raggiunte con la sola conoscenza razionale: a questo scopo sono necessarie anche le virù". Per questo "le buone opere devono accompagnare la conoscenza intellettuale come l'ombra segue il corpo: mai sono separate da quella e, d'altra parte, la "vera gnosi" non può coesistere con le opere cattive". Due virtù, per Clemente, costituiscono in particolare l'anima del "vero gnostico": la "libertà dalle passioni" e l'amore, che "assicura l'intima unione con Dio e la contemplazione". "L'amore - ha detto il Papa - dona la pace perfetta, e pone il vero gnostico in grado di affrontare i più grandi sacrifici, anche il sacrificio supremo, e lo fa salire di gradino in gradino fino al vertice delle virtù. Così l'ideale etico della filosofia antica, cioè la liberazione dalle passioni, viene da Clemente ridefinito e coniugato con l'amore, nel processo incessante di assimilazione a Dio, che rappresenta l'itinerario di conoscenza della vera gnosi".

Nell'incontro di oggi, il Papa è tornato poi sul tema del rapporto tra fede e ragione. Il cristiano, ha spiegato, è colui che con le "due ali della fede e della ragione" intraprende "con decisione la via della Verità". In proposito, Benedetto XVI, ha citato ancora Clemente Alessandrino che con il suo insegnamento "accompagna passo passo il cammino del catecumeno e del battezzato perché, con le due ali della fede e della ragione, essi giungano a un'intima conoscenza della Verità, che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio".

Su questi stessi temi il Servizio Informazione Religiosa della Chiesa Italiana ha diffuso una riflessione del cardinale di Bologna Carlo Caffarra, per il quale "pensare cristianamente non è facile: non lo è mai stato", ma oggi, in particolare, "il pensare cristianamente è insidiato continuamente da un soggettivismo che imprigiona l'uomo dentro al reticolato di opinioni senza senso obiettivo, da una crisi di senso che ritiene inutile la ricerca di un significato unitario dell'esistenza, da una disintegrazione, ritenuta definitiva, del sapere, incapace di cogliere l'unità dei distinti". Eppure, "pensare cristianamente è necessario per ogni credente, se non vuole che il credere sia separato dalla vita. La vita è atto della libertà e la libertà si radica nel pensiero".

Benedetto XVI è tornato a denunciare il rischio di una visione elitaria della fede che ripropone di fatto l'eresia gnostica, combattuta da Clemente Alessandrino con i suoi scritti che, ha detto all'Udienza generale, costituiscono "una vera trilogia destinata ad accompagnare efficacemente la maturazione del cristiano". La catechesi clementina, ha spiegato, "accompagna passo passo il cammino del catecumeno e del battezzato perché, con le due ali della fede e della ragione, essi giungano a un'intima conoscenza della Verità, che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio".

"Solo questa conoscenza, indissolubilmente legata alla Rivelazione - ha ammonito Benedetto XVI - è la vera gnosi, mentre non lo è di certo quella propugnata e diffusa dagli eretici gnostici". Secondo Clemente, infatti, la "vera gnosi" è "un'elaborazione scientifica - autenticamente teologica - dei contenuti della fede. E' l'edificio costruito dalla ragione sotto l'impulso di un principio soprannaturale, che è la fede stessa. L'autentica gnosi è uno sviluppo della fede, suscitato da Gesù Cristo". Per questo "Clemente giunge a dividere i cristiani in due classi: i semplici e gli gnostici". "Non si tratta di una differenza essenziale, ma solo di grado", puntualizza il Papa: "i primi sono i credenti che vivono la fede in modo comune, ma pur sempre aperta agli orizzonti della santità, gli altri quelli che conducono gia' una vita di perfezione spirituale". In ogni caso, il cristiano, "partendo dalla base della fede comune, attraverso un cammino di ricerca guidato da Cristo stesso, può e deve giungere alla conoscenza delle verità che formano il contenuto della fede": in questo modo, il "perfetto gnostico" raggiunge la contemplazione, che è "la forma più alta della conoscenza di Dio".

Affari italiani

domenica 15 aprile 2007

AUGURI PAPA BENEDETTO, umile lavoratore nella vigna del Signore!


CAPPELLA PAPALE IN OCCASIONE DELL’ 80° GENETLIACO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI , 15.04.2007

Alle ore 10.00 di oggi, II Domenica di Pasqua «de Divina Misericordia», il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto, sul sagrato della Basilica Vaticana, la Celebrazione Eucaristica in occasione del Suo 80° Genetliaco.
Hanno concelebrato con il Papa sessanta Cardinali, gli Arcivescovi e Vescovi Capi Dicastero della Curia Romana, i Vescovi Ausiliari ed una rappresentanza dei Presbiteri della diocesi di Roma.
Era presente una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidata da Sua Eminenza Ioannis (Zizioulas), Metropolita di Pergamo, inviato personalmente dal S.S. Bartolomeo I.
Nel corso della Santa Messa, il Decano del Collegio Cardinalizio, Card. Angelo Sodano, ha rivolto al Santo Padre un indirizzo di omaggio. Dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato la seguente omelia:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

secondo una vecchia tradizione, l’odierna domenica prende il nome di Domenica "in Albis". In questo giorno, i neofiti della veglia pasquale indossavano ancora una volta la loro veste bianca, simbolo della luce che il Signore aveva loro donato nel Battesimo. In seguito avrebbero poi deposto la veste bianca, ma la nuova luminosità ad essi comunicata la dovevano introdurre nella loro quotidianità; la fiamma delicata della verità e del bene che il Signore aveva acceso in loro, la dovevano custodire diligentemente per portare così in questo nostro mondo qualcosa della luminosità e della bontà di Dio.

Il Santo Padre Giovanni Paolo II volle che questa domenica fosse celebrata come la Festa della Divina Misericordia: nella parola "misericordia", egli trovava riassunto e nuovamente interpretato per il nostro tempo l’intero mistero della Redenzione. Egli visse sotto due regimi dittatoriali e, nel contatto con povertà, necessità e violenza, sperimentò profondamente la potenza delle tenebre, da cui è insidiato il mondo anche in questo nostro tempo. Ma sperimentò pure, e non meno fortemente, la presenza di Dio che si oppone a tutte queste forze con il suo potere totalmente diverso e divino: con il potere della misericordia. È la misericordia che pone un limite al male. In essa si esprime la natura tutta peculiare di Dio – la sua santità, il potere della verità e dell’amore. Due anni orsono, dopo i primi Vespri di questa Festività, Giovanni Paolo II terminava la sua esistenza terrena. Morendo egli è entrato nella luce della Divina Misericordia di cui, al di là della morte e a partire da Dio, ora ci parla in modo nuovo. Abbiate fiducia – egli ci dice – nella Divina Misericordia! Diventate giorno per giorno uomini e donne della misericordia di Dio! La misericordia è la veste di luce che il Signore ci ha donato nel Battesimo. Non dobbiamo lasciare che questa luce si spenga; al contrario essa deve crescere in noi ogni giorno e così portare al mondo il lieto annuncio di Dio.

Proprio in questi giorni particolarmente illuminati dalla luce della divina misericordia, cade una coincidenza per me significativa: posso volgere indietro lo sguardo su 80 anni di vita.

Saluto quanti sono qui convenuti per celebrare con me questa ricorrenza. Saluto innanzitutto i Signori Cardinali, con un particolare pensiero di gratitudine al Decano del Collegio cardinalizio, il Signor Cardinale Angelo Sodano, che s’è fatto autorevole interprete dei comuni sentimenti. Saluto gli Arcivescovi e Vescovi, tra i quali gli Ausiliari della Diocesi di Roma, della mia Diocesi; saluto i Prelati e gli altri membri del Clero, i Religiosi e le Religiose e tutti i fedeli presenti. Un pensiero deferente e grato rivolgo inoltre alle Personalità politiche e ai membri del Corpo Diplomatico, che hanno voluto onorarmi con la loro presenza. Saluto infine, con fraterno affetto, l’inviato personale del Patriarca ecumenico Bartolomeo I, Sua Eminenza Ioannis, Metropolita di Pergamo, esprimendo apprezzamento per il gesto gentile e auspicando che il dialogo teologico cattolico-ortodosso possa proseguire con lena rinnovata.

Siamo qui raccolti per riflettere sul compiersi di un non breve periodo della mia esistenza. Ovviamente, la liturgia non deve servire per parlare del proprio io, di se stesso; tuttavia, la propria vita può servire per annunciare la misericordia di Dio. "Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto", dice un Salmo (65 [66], 16).

Ho sempre considerato un grande dono della Misericordia Divina che la nascita e la rinascita siano state a me concesse, per così dire insieme, nello stesso giorno, nel segno dell’inizio della Pasqua. Così, in uno stesso giorno, sono nato membro della mia propria famiglia e della grande famiglia di Dio. Sì, ringrazio Dio perché ho potuto fare l’esperienza di che cosa significa "famiglia"; ho potuto fare l’esperienza di che cosa vuol dire paternità, cosicché la parola su Dio come Padre mi si è resa comprensibile dal di dentro; sulla base dell’esperienza umana mi si è schiuso l’accesso al grande e benevolo Padre che è nel cielo. Davanti a Lui noi portiamo una responsabilità, ma allo stesso tempo Egli ci dona la fiducia, perché nella sua giustizia traspare sempre la misericordia e la bontà con cui accetta anche la nostra debolezza e ci sorregge, così che man mano possiamo imparare a camminare diritti. Ringrazio Dio perché ho potuto fare l’esperienza profonda di che cosa significa bontà materna, sempre aperta a chi cerca rifugio e proprio così in grado di darmi la libertà. Ringrazio Dio per mia sorella e mio fratello che, con il loro aiuto, mi sono stati fedelmente vicini lungo il corso della vita. Ringrazio Dio per i compagni incontrati nel mio cammino, per i consiglieri e gli amici che Egli mi ha donato. Ringrazio in modo particolare perché, fin dal primo giorno, ho potuto entrare e crescere nella grande comunità dei credenti, nella quale è spalancato il confine tra vita e morte, tra cielo e terra; ringrazio per aver potuto apprendere tante cose attingendo alla sapienza di questa comunità, nella quale sono racchiuse non solo le esperienze umane fin dai tempi più remoti: la sapienza di questa comunità non è soltanto sapienza umana, ma in essa ci raggiunge la sapienza stessa di Dio – la Sapienza eterna.

Nella prima lettura di questa domenica ci viene raccontato che, agli albori della Chiesa nascente, la gente portava i malati nelle piazze, perché, quando Pietro passava, la sua ombra li coprisse: a quest’ombra si attribuiva una forza risanatrice.

Quest’ombra, infatti, proveniva dalla luce di Cristo e perciò recava in sé qualcosa del potere della sua bontà divina. L’ombra di Pietro, mediante la comunità della Chiesa cattolica, ha coperto la mia vita fin dall’inizio, e ho appreso che essa è un’ombra buona – un’ombra risanatrice, perché, appunto, proviene in definitiva da Cristo stesso. Pietro era un uomo con tutte le debolezze di un essere umano, ma soprattutto era un uomo pieno di una fede appassionata in Cristo, pieno di amore per Lui. Per il tramite della sua fede e del suo amore la forza risanatrice di Cristo, la sua forza unificante, è giunta agli uomini pur frammista a tutta la debolezza di Pietro. Cerchiamo anche oggi l’ombra di Pietro, per stare nella luce di Cristo!

Nascita e rinascita; famiglia terrena e grande famiglia di Dio – è questo il grande dono delle molteplici misericordie di Dio, il fondamento sul quale ci appoggiamo. Proseguendo nel cammino della vita mi venne incontro poi un dono nuovo ed esigente: la chiamata al ministero sacerdotale. Nella festa dei santi Pietro e Paolo del 1951, quando noi – c’erano oltre quaranta compagni – ci trovammo nella cattedrale di Frisinga prostrati sul pavimento e su di noi furono invocati tutti i santi, la consapevolezza della povertà della mia esistenza di fronte a questo compito mi pesava. Sì, era una consolazione il fatto che la protezione dei santi di Dio, dei vivi e dei morti, venisse invocata su di noi. Sapevo che non sarei rimasto solo. E quale fiducia infondevano le parole di Gesù, che poi durante la liturgia dell’Ordinazione potemmo ascoltare dalle labbra del Vescovo: "Non vi chiamo più servi, ma amici". Ho potuto farne un’esperienza profonda: Egli, il Signore, non è soltanto Signore, ma anche amico. Egli ha posto la sua mano su di me e non mi lascerà. Queste parole venivano allora pronunciate nel contesto del conferimento della facoltà di amministrare il Sacramento della riconciliazione e così, nel nome di Cristo, di perdonare i peccati. È la stessa cosa che oggi abbiamo ascoltato nel Vangelo: il Signore alita sui suoi discepoli. Egli concede loro il suo Spirito – lo Spirito Santo: "A chi rimetterete i peccati saranno rimessi…". Lo Spirito di Gesù Cristo è potenza di perdono. È potenza della Divina Misericordia. Dà la possibilità di iniziare da capo – sempre di nuovo. L’amicizia di Gesù Cristo è amicizia di Colui che fa di noi persone che perdonano, di Colui che perdona anche a noi, ci risolleva di continuo dalla nostra debolezza e proprio così ci educa, infonde in noi la consapevolezza del dovere interiore dell’amore, del dovere di corrispondere alla sua fiducia con la nostra fedeltà.

Nel brano evangelico di oggi abbiamo anche ascoltato il racconto dell’incontro dell’apostolo Tommaso col Signore risorto: all’apostolo viene concesso di toccare le sue ferite e così egli lo riconosce – lo riconosce, al di là dell’identità umana del Gesù di Nazaret, nella sua vera e più profonda identità: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28). Il Signore ha portato con sé le sue ferite nell’eternità. Egli è un Dio ferito; si è lasciato ferire dall’amore verso di noi. Le ferite sono per noi il segno che Egli ci comprende e che si lascia ferire dall’amore verso di noi. Queste sue ferite – come possiamo noi toccarle nella storia di questo nostro tempo! Egli, infatti, si lascia sempre di nuovo ferire per noi. Quale certezza della sua misericordia e quale consolazione esse significano per noi! E quale sicurezza ci danno circa quello che Egli è: "Mio Signore e mio Dio!" E come costituiscono per noi un dovere di lasciarci ferire a nostra volta per Lui!

Le misericordie di Dio ci accompagnano giorno per giorno. Basta che abbiamo il cuore vigilante per poterle percepire. Siamo troppo inclini ad avvertire solo la fatica quotidiana che a noi, come figli di Adamo, è stata imposta. Se però apriamo il nostro cuore, allora possiamo, pur immersi in essa, constatare continuamente quanto Dio sia buono con noi; come Egli pensi a noi proprio nelle piccole cose, aiutandoci così a raggiungere quelle grandi. Con il peso accresciuto della responsabilità, il Signore ha portato anche nuovo aiuto nella mia vita. Ripetutamente vedo con gioia riconoscente quanto è grande la schiera di coloro che mi sostengono con la loro preghiera; che con la loro fede e con il loro amore mi aiutano a svolgere il mio ministero; che sono indulgenti con la mia debolezza, riconoscendo anche nell’ombra di Pietro la luce benefica di Gesù Cristo. Per questo vorrei in quest’ora ringraziare di cuore il Signore e tutti voi. Vorrei concludere questa omelia con la preghiera del santo Papa Leone Magno, quella preghiera che, proprio trent’anni fa, scrissi sull’immagine-ricordo della mia consacrazione episcopale: "Pregate il nostro buon Dio, affinché voglia nei nostri giorni rafforzare la fede, moltiplicare l’amore e aumentare la pace. Egli renda me, suo misero servo, sufficiente per il suo compito e utile per la vostra edificazione e mi conceda uno svolgimento del servizio tale che, insieme con il tempo donato, cresca la mia dedizione. Amen".

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CÆLI , 15.04.2007

Al termine della Celebrazione Eucaristica presieduta sul sagrato della Basilica Vaticana in occasione del Suo 80° Genetliaco, il Santo Padre Benedetto XVI recita il Regina Cæli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:


PRIMA DEL REGINA CÆLI

Cari fratelli e sorelle!

A tutti voi rinnovo l’augurio di buona Pasqua, nella Domenica che ne chiude l’Ottava ed è tradizionalmente detta Domenica "in Albis". Per volere del mio venerato Predecessore il Servo di Dio Giovanni Paolo II, che morì proprio dopo i primi Vespri della Festività, questa Domenica è intitolata anche alla Divina Misericordia. In così singolare ricorrenza ho celebrato questa mattina, in Piazza San Pietro, una santa Messa accompagnato da Cardinali, Vescovi e sacerdoti, da fedeli di Roma e da tanti pellegrini, che hanno voluto stringersi intorno al Papa, alla vigilia dei suoi 80 anni. A tutti rinnovo dal profondo del cuore il mio grazie più sincero, che estendo alla Chiesa intera, la quale come una vera famiglia, specialmente in questi giorni, mi circonda del suo affetto.

Questa Domenica – come dicevo – conclude la settimana o, più propriamente, l’"Ottava" di Pasqua, che la liturgia considera come un unico giorno: "il giorno che ha fatto il Signore" (Sal 117,24). Non è un tempo cronologico, ma spirituale, che Dio ha aperto nel tessuto dei giorni quando ha risuscitato Cristo dai morti. Lo Spirito Creatore, infondendo la vita nuova ed eterna nel corpo sepolto di Gesù di Nazaret, ha portato a compimento l’opera della creazione dando origine ad una "primizia": primizia di un’umanità nuova che al tempo stesso è primizia di un nuovo mondo e di una nuova era. Questo rinnovamento del mondo si può riassumere in una parola: la stessa che Gesù risorto pronunciò come saluto, e ben più come annuncio della sua vittoria ai discepoli: "Pace a voi!" (Lc 24,36; Gv 20,19.21.26). La Pace è il dono che Cristo ha lasciato ai suoi amici (cfr Gv 14,27) come benedizione destinata a tutti gli uomini e a tutti i popoli. Non la pace secondo la mentalità del "mondo", come equilibrio di forze, ma una realtà nuova, frutto dell’Amore di Dio, della sua Misericordia. E’ la pace che Gesù Cristo ha guadagnato a prezzo del suo Sangue e che comunica a quanti confidano in Lui. "Gesù, confido in te": in queste parole si riassume la fede del cristiano, che è fede nell’onnipotenza dell’Amore misericordioso di Dio.

Cari fratelli e sorelle, mentre vi ringrazio nuovamente per la vostra vicinanza spirituale in occasione del mio genetliaco e dell’anniversario della mia elezione a Successore di Pietro, vi affido tutti a Maria Mater Misericordiae, Madre di Gesù che è l’incarnazione della Divina Misericordia. Con il suo aiuto lasciamoci rinnovare dallo Spirito per cooperare all’opera di pace che Dio sta compiendo nel mondo e che non fa rumore, ma si attua negli innumerevoli gesti di carità di tutti i suoi figli.

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