domenica 30 novembre 2008

Il Papa: "Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno..."


ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

VIDEO REPUBBLICA TV

Il Papa: "San Lorenzo ci ripete che la santità, cioè l’andare incontro a Cristo che viene continuamente a visitarci, non passa di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende in modo luminoso e manifesta la perenne tensione dell’uomo verso Dio" (Omelia occasione della visita pastorale alla parrocchia di San Lorenzo fuori le Mura, 30 novembre 2008)

La preghiera di Benedetto XVI all’Angelus per le vittime in India e in Nigeria di una violenza “crudele e insensata” (Radio Vaticana)

INDIA/ Vian: come i Cristiani vincono la paura del terrorismo (Il Sussidiario)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 30.11.2008

Di ritorno dalla visita pastorale alla Parrocchia romana di San Lorenzo fuori le Mura, a mezzogiorno il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro per il consueto appuntamento domenicale.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana in questa prima Domenica di Avvento:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Iniziamo oggi, con la prima Domenica di Avvento, un nuovo Anno liturgico. Questo fatto ci invita a riflettere sulla dimensione del tempo, che esercita sempre su di noi un grande fascino. Sull’esempio di quanto amava fare Gesù, desidererei tuttavia partire da una constatazione molto concreta: tutti diciamo che "ci manca il tempo", perché il ritmo della vita quotidiana è diventato per tutti frenetico. Anche a tale riguardo la Chiesa ha una "buona notizia" da portare: Dio ci dona il suo tempo. Noi abbiamo sempre poco tempo; specialmente per il Signore non sappiamo o, talvolta, non vogliamo trovarlo. Ebbene, Dio ha tempo per noi! Questa è la prima cosa che l’inizio di un anno liturgico ci fa riscoprire con meraviglia sempre nuova. Sì: Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno, per farla diventare storia di alleanza. In questa prospettiva, il tempo è già in se stesso un segno fondamentale dell’amore di Dio: un dono che l’uomo, come ogni altra cosa, è in grado di valorizzare o, al contrario, di sciupare; di cogliere nel suo significato, o di trascurare con ottusa superficialità.

Tre poi sono i grandi "cardini" del tempo, che scandiscono la storia della salvezza: all’inizio la creazione, al centro l’incarnazione-redenzione e al termine la "parusia", la venuta finale che comprende anche il giudizio universale. Questi tre momenti però non sono da intendersi semplicemente in successione cronologica. Infatti, la creazione è sì all’origine di tutto, ma è anche continua e si attua lungo l’intero arco del divenire cosmico, fino alla fine dei tempi. Così pure l’incarnazione-redenzione, se è avvenuta in un determinato momento storico, il periodo del passaggio di Gesù sulla terra, tuttavia estende il suo raggio d’azione a tutto il tempo precedente e a tutto quello seguente. E a loro volta l’ultima venuta e il giudizio finale, che proprio nella Croce di Cristo hanno avuto un decisivo anticipo, esercitano il loro influsso sulla condotta degli uomini di ogni epoca.

Il tempo liturgico dell’Avvento celebra la venuta di Dio, nei suoi due momenti: dapprima ci invita a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo; quindi, avvicinandosi il Natale, ci chiama ad accogliere il Verbo fatto uomo per la nostra salvezza. Ma il Signore viene continuamente nella nostra vita. Quanto mai opportuno è quindi l’appello di Gesù, che in questa prima Domenica ci viene riproposto con forza: "Vegliate!" (Mc 13,33.35.37). E’ rivolto ai discepoli, ma anche "a tutti", perché ciascuno, nell’ora che solo Dio conosce, sarà chiamato a rendere conto della propria esistenza. Questo comporta un giusto distacco dai beni terreni, un sincero pentimento dei propri errori, una carità operosa verso il prossimo e soprattutto un umile e fiducioso affidamento alle mani di Dio, nostro Padre tenero e misericordioso. Icona dell’Avvento è la Vergine Maria, la Madre di Gesù. InvochiamoLa perché aiuti anche noi a diventare un prolungamento di umanità per il Signore che viene.

DOPO L’ANGELUS

Il 30 novembre ricorre la festa dell’Apostolo sant’Andrea, fratello di Simon Pietro. Entrambi furono dapprima seguaci di Giovanni il Battista e, dopo il battesimo di Gesù nel Giordano, divennero suoi discepoli, riconoscendo in Lui il Messia. Sant’Andrea è patrono del Patriarcato di Costantinopoli, così che la Chiesa di Roma si sente legata a quella costantinopolitana da un vincolo di speciale fraternità. Perciò, secondo la tradizione, in questa felice circostanza una delegazione della Santa Sede, guidata dal Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, si è recata in visita al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I. Di tutto cuore rivolgo il mio saluto e il mio augurio a lui e ai fedeli del Patriarcato, invocando su tutti l’abbondanza delle celesti benedizioni.

Vorrei invitarvi a unirvi nella preghiera per le numerose vittime sia dei brutali attacchi terroristici di Mumbai, in India, sia degli scontri scoppiati a Jos, in Nigeria, come pure per i feriti e quanti, in qualsiasi modo, sono stati colpiti. Diverse sono le cause e le circostanze di quei tragici avvenimenti, ma comuni devono essere l’orrore e la deplorazione per l’esplosione di tanta crudele e insensata violenza. Chiediamo al Signore di toccare il cuore di coloro che si illudono che questa sia la via per risolvere i problemi locali o internazionali e sentiamoci tutti spronati a dare esempio di mitezza e di amore per costruire una società degna di Dio e dell’uomo.

En ce premier dimanche de l’Avent, je suis heureux de vous saluer, chers pèlerins de langue française, particulièrement les membres, présents sur cette place, des Communautés Catholiques Africaines Francophones d’Italie. Voici revenu le temps du désir et de l’espérance où Dieu nous appelle à veiller et à prier ! Puissiez-vous savoir prendre du temps pour méditer la Parole de Dieu afin d’en vivre même dans les moments d’épreuves ! Notre prière rejoint, en ces jours, les victimes et les familles éprouvées par les attentats et les guerres. Avec ma Bénédiction Apostolique.

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for this Angelus prayer. I offer a special welcome to the participants in the Youth Meeting at the European University of Rome. Today, the First Sunday of Advent, the Church begins a new liturgical year. The Gospel invites to be prepared as faithful servants for the coming of Christ. May Advent be a time of preparation that leads us to a life centred on our Christian hope. May God bless you all!

Mit Freude grüße ich alle Pilger und Besucher aus den Ländern deutscher Sprache. Jesus Christus kam in die Welt, um uns Menschen die Liebe Gottes sichtbar zu machen. Er wird wiederkommen, um sein Liebeswerk an uns und in Gemeinschaft mit uns zu vollenden. Die Adventszeit lädt uns ein, mit wachem Herzen das Kommen des Herrn zu erwarten. Wie es im heutigen Tagesgebet heißt, wollen wir auf dem Weg der Gerechtigkeit Christus entgegengehen und uns durch Taten der Liebe auf seine Ankunft vorbereiten. Der Heilige Geist helfe uns dabei und führe uns durch die heilige Zeit des Advents.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular al grupo de profesores y alumnos del Colegio Claret, de Madrid. Deseo recordar el reciente Encuentro Latinoamericano de Pastoral Penitenciaria promovido por el Consejo Episcopal Latinoamericano, y aliento a quienes trabajan en favor de los hombres y mujeres que han perdido la libertad, pero no la dignidad. También en estos casos se han de respetar los derechos humanos fundamentales y buscar una recuperación y reeducación que permita una reinserción de los encarcelados en la sociedad. Expreso mi cercanía a ellos, los encomiendo en la oración y los bendigo, invitándolos a no sentirse solos y a mantener la esperanza en el Señor, que es perennemente fiel a sus promesas de salvación y viene a visitar su viña, que Él mismo ha plantado entre los hombres. Feliz domingo a todos.

Witam Polaków. Pozdrawiam szczególnie uczestników Rzymskiego Spotkania Młodych, którzy przybyli z różnych krajów świata, aby wspólnie szukać w nauczaniu Jana Pawła II inspiracji i perspektyw na dalsze owocne życie. Niech w tej pracy nad budowaniem godnej przyszłości wspiera was opieka Maryi. Wszystkim tu obecnym niech Bóg błogosławi.

[Do il benvenuto ai polacchi. Saluto in particolare i partecipanti all’Incontro Romano dei Giovani, che sono giunti qui da diversi Paesi per cercare insieme nell’insegnamento di Giovanni Paolo II le ispirazioni e le prospettive per una vita fruttuosa. In questo impegno per la costruzione di un futuro di felicità vi sostenga la protezione di Maria. Dio benedica tutti i presenti.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Trieste, Medicina, Praia a Mare, Diamante, Pozzallo e Modica. A tutti auguro una buona domenica e un Avvento ricco di frutti spirituali.

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Il Papa: "San Lorenzo ci ripete che la santità, cioè l’andare incontro a Cristo che viene continuamente a visitarci, non passa di moda..."


VISITE PASTORALI DEL SANTO PADRE NELLA DIOCESI DI ROMA

FESTIVITA' NATALIZIE 2005-2009: LO SPECIALE DEL BLOG

Il Papa all'Angelus: "Dio ci dona il suo tempo, perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’eterno, per farla diventare storia di alleanza"

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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA DI SAN LORENZO FUORI LE MURA, 30.11.2008

Alle ore 9.00 di questa mattina - I Domenica di Avvento - il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita pastorale alla parrocchia di San Lorenzo fuori le Mura, nel settore nord della diocesi di Roma, per il 1750.mo anniversario del martirio di San Lorenzo e nel quadro delle visite annuali alle parrocchie romane.
La Santa Messa inizia alle ore 9.45, introdotta dall’indirizzo di omaggio del Parroco, P. Bruno Mustacchio, O.F.M.Cap.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre sosta davanti alla tomba di San Lorenzo. Quindi saluta i Membri del Comitato Giubilare di San Lorenzo ed i Religiosi Cappuccini e si reca poi nella cripta, dove si sofferma in preghiera davanti alla tomba del beato Pio IX. Uscendo dalla Basilica, il Papa sosta per un momento anche davanti alla tomba di Alcide De Gasperi.
Di seguito riportiamo l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Santa Messa:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

con l’odierna prima domenica di Avvento, entriamo in quel tempo di quattro settimane con cui inizia un nuovo anno liturgico e che immediatamente ci prepara alla festa del Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Il messaggio spirituale dell’Avvento è però più profondo e ci proietta già verso il ritorno glorioso del Signore, alla fine della storia.

Adventus è parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico che indicava l’arrivo di un funzionario, in particolare la visita di re o di imperatori nelle province, ma poteva anche essere utilizzato per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la sua presenza veniva solennemente celebrata nel culto.

Adottando il termine Avvento, i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera provincia denominata terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi: percepiamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si è ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e, se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ad ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria della prima venuta del Signore nella carne, pensando già al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero. Questa consapevolezza, cari fratelli e sorelle, alimentata nell’ascolto della Parola di Dio, dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Iddio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando "di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine", come ripeteremo tra poco nel Credo. In questa prospettiva l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare incontro al Signore che viene.

"Vieni, Signore Gesù": tale ardente invocazione della comunità cristiana degli inizi deve diventare, cari amici, anche nostra costante aspirazione, l’aspirazione della Chiesa di ogni epoca, che anela e si prepara all’incontro con il suo Signore. "Vieni oggi Signore, aiutaci, illuminaci, dacci la pace, aiutaci a vincere la violenza, vieni Signore preghiamo proprio in queste settimane, Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi": abbiamo pregato così, poco fa, con le parole del Salmo responsoriale. Ed il profeta Isaia ci ha rivelato, nella prima lettura, che il volto del nostro Salvatore è quello di un padre tenero e misericordioso, che si prende cura di noi in ogni circostanza perché siamo opera delle sue mani: "Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore" (63,16). Il nostro Dio è un padre disposto a perdonare i peccatori pentiti e ad accogliere quanti confidano nella sua misericordia (cfr Is 64,4). Ci eravamo allontanati da Lui a causa del peccato cadendo sotto il dominio della morte, ma Egli ha avuto pietà di noi e di sua iniziativa, senza alcun merito da parte nostra, ha deciso di venirci incontro, inviando il suo unico Figlio come nostro Redentore. Dinanzi a un così grande mistero d’amore, sorge spontaneo il nostro ringraziamento e più fiduciosa si fa la nostra invocazione: "Mostraci, Signore, oggi nel nostro tempo in tutte le parti del mondo la tua misericordia e donaci la tua salvezza" (cfr Canto al Vangelo).

Cari fratelli e sorelle, il pensiero della presenza di Cristo e del suo certo ritorno al compimento dei tempi, è quanto mai significativo in questa vostra Basilica attigua al cimitero monumentale del Verano, dove riposano, in attesa della risurrezione, tanti cari nostri defunti. Quante volte in questo tempio si celebrano liturgie funebri; quante volte risuonano colme di consolazioni le parole della liturgia: "In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura"! (cfr Prefazio dei defunti I).

Ma questa vostra monumentale Basilica, che ci conduce col pensiero a quella primitiva fatta costruire dall’imperatore Costantino e poi trasformata sino ad assumere l’attuale fisionomia, parla soprattutto del glorioso martirio di san Lorenzo, arcidiacono del Papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità. Sono venuto a celebrare quest’oggi la santa Eucaristia per unirmi a voi nel rendergli omaggio in una circostanza quanto mai singolare, in occasione dell’Anno Giubilare Laurentiano, indetto per commemorare i 1750 anni della nascita al cielo del santo Diacono. La storia ci conferma quanto sia glorioso il nome di questo Santo, presso il cui sepolcro siamo riuniti. La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti. San Leone Magno, in una bella omelia, commenta così l’atroce martirio di questo "illustre eroe": "Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e il fuoco che lo bruciava fuori fu più debole di quello che gli ardeva dentro". Ed aggiunge: "Il Signore ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo che dall’Oriente all’Occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano è toccata anche a Roma per merito di Lorenzo" (Homilia 85,4: PL 54, 486).

Cade quest’anno il 50° anniversario della morte del Servo di Dio, Papa Pio XII, e questo ci richiama alla memoria un evento particolarmente drammatico nella storia plurisecolare della vostra Basilica, verificatosi durante il secondo conflitto mondiale, quando, esattamente il 19 luglio 1943, un violento bombardamento inflisse danni gravissimi all’edificio e a tutto il quartiere, seminando morte e distruzione. Non potrà mai essere cancellato dalla memoria della storia il gesto generoso compiuto in quella occasione da quel mio venerato Predecessore, che corse immediatamente a soccorrere e consolare la popolazione duramente colpita, tra le macerie ancora fumanti. Non dimentico inoltre che questa stessa Basilica accoglie le urne di due altre grandi personalità: nell’ipogeo infatti sono poste alla venerazione dei fedeli le spoglie mortali del beato Pio IX, mentre, nell’atrio, è collocata la tomba di Alcide De Gasperi, guida saggia ed equilibrata per l’Italia nei difficili anni della ricostruzione post-bellica e, al tempo stesso, insigne statista capace di guardare all’Europa con un’ampia visione cristiana.

Mentre siamo qui riuniti in preghiera, mi è caro salutare con affetto tutti voi, ad iniziare dal Cardinale Vicario, da Monsignor Vicegerente, che è anche Abate Commendatario della Basilica, dal Vescovo Ausiliare del Settore Nord e dal vostro Parroco, P. Bruno Mustacchio, che ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto all’inizio della celebrazione liturgica. Saluto il Ministro Generale dell’Ordine dei Cappuccini e i Confratelli della Comunità che svolgono il loro servizio con zelo e dedizione, accogliendo i numerosi pellegrini, assistendo con carità i poveri e testimoniando la speranza in Cristo risorto a quanti si recano in visita al cimitero del Verano. Desidero assicurarvi il mio apprezzamento e, soprattutto, il mio ricordo nella preghiera. Saluto inoltre i vari gruppi impegnati per l'animazione della catechesi, della liturgia, della carità, i membri dei due Cori Polifonici, il Terz’Ordine Francescano locale e regionale. Ho appreso poi con piacere che da qualche anno è qui ospitato il "laboratorio missionario diocesano" per educare le comunità parrocchiali alla coscienza missionaria, e mi unisco volentieri a voi nell’auspicare che questa iniziativa della nostra Diocesi contribuisca a suscitare una coraggiosa azione pastorale missionaria, che porti l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio in ogni angolo di Roma, coinvolgendo principalmente i giovani e le famiglie. Vorrei infine estendere il mio pensiero agli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Santa Messa.

Cari fratelli e sorelle, in quest’inizio dell’Avvento, quale miglior messaggio raccogliere da san Lorenzo che quello della santità? Egli ci ripete che la santità, cioè l’andare incontro a Cristo che viene continuamente a visitarci, non passa di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende in modo luminoso e manifesta la perenne tensione dell’uomo verso Dio.

Questa ricorrenza giubilare sia pertanto occasione per la vostra comunità parrocchiale di una rinnovata adesione a Cristo, di un maggiore approfondimento del senso di appartenenza al suo Corpo mistico che è la Chiesa, e di un costante impegno di evangelizzazione attraverso la carità. Lorenzo, testimone eroico di Cristo crocifisso e risorto, sia per ciascuno esempio di docile adesione alla volontà divina perché, come abbiamo sentito l’apostolo Paolo ricordare ai Corinzi, anche noi viviamo in modo da essere trovati "irreprensibili" nel giorno del Signore (cfr 1 Cor 1,7-9).

Prepararci all’avvento di Cristo è pure l’esortazione che raccogliamo dal Vangelo di oggi: "Vegliate", ci dice Gesù nella breve parabola lucana del padrone di casa che parte ma non si sa quando tornerà (cfr Mc 13,33-37). Vegliare significa seguire il Signore, scegliere ciò che Lui ha scelto, amare ciò che Lui ha amato, conformare la propria vita alla sua; vegliare comporta trascorrere ogni attimo del nostro tempo nell’orizzonte del suo amore senza lasciarsi abbattere dalle inevitabili difficoltà e problemi quotidiani. Così ha fatto san Lorenzo, così dobbiamo fare noi e chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia perché l’Avvento sia stimolo per tutti a camminare in questa direzione. Ci guidino e ci accompagnino con la loro intercessione l’umile Vergine di Nazareth, Maria, eletta da Dio per diventare la Madre del Redentore, sant’Andrea, di cui oggi celebriamo la festa, e san Lorenzo, esempio di intrepida fedeltà cristiana sino al martirio. Amen!

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sabato 29 novembre 2008

"L’Avvento è per eccellenza la stagione spirituale della speranza, e in esso la Chiesa intera è chiamata a diventare speranza, per sè e per il mondo"


FESTIVITA' NATALIZIE 2005-2009: LO SPECIALE DEL BLOG

CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA DOMENICA I DI AVVENTO, 29.11.2008

Alle 17 di questo pomeriggio, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione dei Primi Vespri della I Domenica di Avvento.
Nel corso della Celebrazione il Papa pronuncia la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Con questa liturgia vespertina, iniziamo l’itinerario di un nuovo anno liturgico, entrando nel primo dei tempi che lo compongono: l’Avvento. Nella lettura biblica che abbiamo appena ascoltato, tratta dalla Prima Lettera ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo usa proprio questa parola: “venuta”, che in greco è “parusia” e in latino “adventus” (1 Ts 5,23). Secondo la comune traduzione di questo testo, Paolo esorta i cristiani di Tessalonica a conservarsi irreprensibili “per la venuta” del Signore. Ma nel testo originale si legge “nella venuta” (¦< J± B"D@LF\‘), quasi che l’avvento del Signore fosse, più che un punto futuro del tempo, un luogo spirituale in cui camminare già nel presente, durante l’attesa, e dentro il quale appunto essere custoditi perfettamente in ogni dimensione personale.

In effetti, è proprio questo che noi viviamo nella liturgia: celebrando i tempi liturgici, attualizziamo il mistero – in questo caso la venuta del Signore – in modo tale da potere, per così dire, “camminare in essa” verso la sua piena realizzazione, alla fine dei tempi, ma attingendone già la virtù santificatrice, dal momento che i tempi ultimi sono già iniziati con la morte e risurrezione di Cristo.

La parola che riassume questo particolare stato, in cui si attende qualcosa che deve manifestarsi, ma che al tempo stesso si intravede e si pregusta, è “speranza”.

L’Avvento è per eccellenza la stagione spirituale della speranza, e in esso la Chiesa intera è chiamata a diventare speranza, per se stessa e per il mondo. Tutto l’organismo spirituale del Corpo mistico assume, per così dire, il “colore” della speranza.

Tutto il popolo di Dio si rimette in cammino attratto da questo mistero: che il nostro Dio è “il Dio che viene” e ci chiama ad andargli incontro. In che modo? Anzitutto in quella forma universale della speranza e dell’attesa che è la preghiera, che trova la sua espressione eminente nei Salmi, parole umane in cui Dio stesso ha posto e pone continuamente sulle labbra e nei cuori dei credenti l’invocazione della sua venuta. Soffermiamoci perciò qualche istante sui due Salmi che abbiamo pregato poco fa e che sono consecutivi anche nel Libro biblico: il 141 e il 142, secondo la numerazione ebraica.

Signore, a te grido, accorri in mio aiuto; / ascolta la mia voce quando t’invoco. / Come incenso salga a te la mia preghiera, / le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 141,1-2).

Così inizia il primo salmo dei primi Vespri della prima settimana del Salterio: parole che all’inizio dell’Avvento acquistano un nuovo “colore”, perché lo Spirito Santo le fa risuonare in noi sempre nuovamente, nella Chiesa in cammino tra tempo di Dio e tempi degli uomini.

Signore … accorri in mio aiuto” (v. 1). E’ il grido di una persona che si sente in grave pericolo, ma è anche il grido della Chiesa fra le molteplici insidie che la circondano, che minacciano la sua santità, quell’integrità irreprensibile di cui parla l’apostolo Paolo, che deve invece essere conservata per la venuta del Signore. E in questa invocazione risuona anche il grido di tutti i giusti, di tutti coloro che vogliono resistere al male, alle seduzioni di un benessere iniquo, di piaceri offensivi della dignità umana e della condizione dei poveri. All’inizio dell’Avvento la liturgia della Chiesa fa proprio nuovamente questo grido, e lo innalza a Dio “come incenso” (v. 2). L’offerta vespertina dell’incenso è infatti simbolo della preghiera, dell’effusione dei cuori rivolti al Dio, all’Altissimo, come pure “le mani alzate come sacrificio della sera” (v. 2).

Nella Chiesa non si offrono più sacrifici materiali, come avveniva anche nel tempio di Gerusalemme, ma si eleva l’offerta spirituale della preghiera, in unione a quella di Gesù Cristo, che è al tempo stesso Sacrificio e Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza. Nel grido del Corpo mistico, riconosciamo la voce stessa del Capo: il Figlio di Dio che ha preso su di sé le nostre prove e le nostre tentazioni, per donarci la grazia della sua vittoria.

Questa identificazione di Cristo con il Salmista è particolarmente evidente nel secondo Salmo (142). Qui, ogni parola, ogni invocazione fa pensare a Gesù nella passione, in particolare alla sua preghiera al Padre nel Getsemani. Nella sua prima venuta, con l’incarnazione, il Figlio di Dio ha voluto condividere pienamente la nostra condizione umana. Naturalmente non ha condiviso il peccato, ma per la nostra salvezza ne ha patito tutte le conseguenze. Pregando il Salmo 142, la Chiesa rivive ogni volta la grazia di questa com-passione, di questa “venuta” del Figlio di Dio nell’angoscia umana fino a toccarne il fondo. Il grido di speranza dell’Avvento esprime allora, fin dall’inizio e nel modo più forte, tutta la gravità del nostro stato, il nostro estremo bisogno di salvezza. Come dire: noi aspettiamo il Signore non alla stregua di una bella decorazione su un mondo già salvo, ma come unica via di liberazione da un pericolo mortale.

E noi sappiamo che Lui stesso, il Liberatore, ha dovuto patire e morire per farci uscire da questa prigione (cfr v. 8).

Insomma, questi due Salmi ci mettono al riparo da qualsiasi tentazione di evasione e di fuga dalla realtà; ci preservano da una falsa speranza, che forse vorrebbe entrare nell’Avvento e andare verso il Natale dimenticando la drammaticità della nostra esistenza personale e collettiva.
In effetti, una speranza affidabile, non ingannevole, non può che essere una speranza “pasquale”, come ci ricorda ogni sabato sera il cantico della Lettera ai Filippesi, con il quale lodiamo Cristo incarnato, crocifisso, risorto e Signore universale. A Lui volgiamo lo sguardo e il cuore, in unione spirituale con la Vergine Maria, Nostra Signora dell’Avvento. Mettiamo la nostra mano nella sua ed entriamo con gioia in questo nuovo tempo di grazia che Dio regala alla sua Chiesa, per il bene dell’intera umanità. Come Maria e con il suo materno aiuto, rendiamoci docili all’azione dello Spirito Santo, perché il Dio della pace ci santifichi pienamente, e la Chiesa diventi segno e strumento di speranza per tutti gli uomini. Amen!

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Il Papa ai Seminaristi: "L’uomo del terzo millennio, come del resto in ogni epoca, ha bisogno di Dio e lo cerca talora anche senza rendersene conto"


UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLE COMUNITÀ DEI PONTIFICI SEMINARI REGIONALI MARCHIGIANO, PUGLIESE E ABBRUZZESE-MOLISANO, 29.11.2008

Alle ore 12.15 di oggi, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Seminaristi del Pontificio Seminario Regionale Marchigiano "Pio XI", di Ancona; del Pontificio Seminario Regionale Pugliese "Pio XI", di Molfetta e del Pontificio Seminario Regionale "San Pio X", di Chieti, in occasione del loro centenario di fondazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge loro nel corso dell’Udienza:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari amici dei Seminari Regionali Marchigiano, Pugliese e Abruzzese-Molisano!


Sono particolarmente lieto di accogliervi in occasione del centenario di fondazione dei vostri rispettivi Seminari Regionali, sorti a seguito dell’incoraggiamento del Papa san Pio X, che sollecitò i Vescovi italiani, specialmente del centro-sud della Penisola, ad accordarsi per concentrare i Seminari, al fine di provvedere più efficacemente alla formazione degli aspiranti al sacerdozio. Vi saluto tutti con affetto, ad iniziare dagli Arcivescovi Mons. Edoardo Menichelli, Mons. Carlo Ghidelli e Mons. Francesco Cacucci, che ringrazio per le parole con le quali hanno voluto interpretare i comuni sentimenti. Saluto i rettori, i formatori, i professori e gli alunni e quanti quotidianamente vivono e lavorano in queste vostre istituzioni. In così significativa ricorrenza desidero unirmi a voi nel rendere lode al Signore, che in questo secolo ha accompagnato con la sua grazia la vita di tanti sacerdoti, formati in tali importanti realtà educative. Molti di loro sono impegnati oggi nelle varie articolazioni delle vostre Chiese locali, nella missione ad gentes e in altri servizi alla Chiesa universale; alcuni sono stati chiamati a ricoprire incarichi di alta responsabilità ecclesiale.

Vorrei rivolgermi ora particolarmente a voi, cari Seminaristi, che vi state preparando per essere operai nella vigna del Signore.

Come ha ricordato anche la recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, tra i compiti prioritari del presbitero c’è quello di spargere a larghe mani nel campo del mondo la Parola di Dio che, come il seme della parabola evangelica, sembra in realtà assai piccolo, ma, una volta germinato, diventa un grande arbusto e porta abbondanti frutti (cfr Mt 13, 31-32). La Parola di Dio che voi sarete chiamati a seminare a larghe mani e che porta in sé la vita eterna, è Cristo stesso, il solo che possa cambiare il cuore umano e rinnovare il mondo. Ma potremmo domandarci: l’uomo contemporaneo sente ancora bisogno di Cristo e del suo messaggio di salvezza?

Nell’attuale contesto sociale, una certa cultura pare mostrarci il volto di una umanità autosufficiente, desiderosa di realizzare i propri progetti da sola, che sceglie di essere unica artefice dei propri destini, e che, di conseguenza, ritiene ininfluente la presenza di Dio e perciò la esclude di fatto dalle sue scelte e decisioni.

In un clima segnato talora da un razionalismo chiuso in sé stesso, che considera quello delle scienze pratiche l'unico modello di conoscenza, il resto diventa tutto soggettivo e di conseguenza anche l’esperienza religiosa rischia di essere vista come una scelta soggettiva, non essenziale e determinante per la vita. Certamente oggi, per queste ed altre ragioni, è diventato sicuramente più difficile credere, sempre più difficile accogliere la Verità che è Cristo, sempre più difficile spendere la propria esistenza per la causa del Vangelo.

Tuttavia, come la cronaca quotidianamente registra, l’uomo contemporaneo appare spesso smarrito e preoccupato per il suo futuro, in cerca di certezze e desideroso di punti di riferimento sicuri. L’uomo del terzo millennio, come del resto in ogni epoca, ha bisogno di Dio e lo cerca talora anche senza rendersene conto. Compito dei cristiani, in modo speciale, dei sacerdoti è raccogliere quest’anelito profondo del cuore umano ed offrire a tutti, con mezzi e modi rispondenti alle esigenze dei tempi, l’immutabile e perciò sempre viva e attuale Parola di vita eterna che è Cristo, Speranza del mondo.

In vista di questa importante missione, che sarete chiamati a svolgere nella Chiesa, assumono grande valore gli anni di seminario, tempo destinato alla formazione e al discernimento; anni nei quali al primo posto deve esserci la costante ricerca di un rapporto personale con Gesù, una esperienza intima del suo amore, che si acquisisce attraverso la preghiera innanzitutto e il contatto con la Sacre Scritture, lette, interpretate e meditate nella fede della comunità ecclesiale.
In questo Anno Paolino come non proporvi l’apostolo Paolo, quale modello a cui ispirarvi per la vostra preparazione al ministero apostolico? L’esperienza straordinaria sulla via di Damasco lo trasformò, da persecutore dei cristiani, in testimone della risurrezione del Signore, pronto a dare la vita per il Vangelo. Egli era un fedele osservante di tutte le prescrizioni della Torah e delle tradizioni ebraiche, ma, dopo aver incontrato Gesù, "queste cose che per me erano guadagni – scrive nella Lettera ai Filippesi – io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo". "Per lui – aggiunge – ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui" (cfr 3,7-9). La conversione non ha eliminato quanto c'era di bene e di vero nella sua vita, ma gli ha permesso di interpretare in modo nuovo la saggezza e la verità della legge e dei profeti e di divenire così capace di dialogare con tutti, seguendo l’esempio del divino Maestro.

Ad imitazione di san Paolo, cari Seminaristi, non stancatevi di incontrare Cristo nell’ascolto, nella lettura e nello studio della Sacra Scrittura, nella preghiera e nella meditazione personale, nella liturgia e in ogni altra attività quotidiana.

Importante è, al riguardo, il vostro ruolo, cari responsabili della formazione, chiamati ad essere per i vostri allievi testimoni ancor prima che maestri di vita evangelica. I Seminari Regionali, per le loro tipiche caratteristiche, possono essere luoghi privilegiati per formare i seminaristi alla spiritualità diocesana, iscrivendo con saggezza ed equilibrio tale formazione nel più ampio contesto ecclesiale e regionale. Le vostre istituzioni siano pure "case" di accoglienza vocazionale per imprimere ancor maggiore impulso alla pastorale vocazionale, curando specialmente il mondo giovanile ed educando i giovani ai grandi ideali evangelici e missionari.

Cari amici, mentre vi ringrazio per la vostra visita, invoco su ciascuno di voi la materna protezione della Vergine Madre di Cristo, che la liturgia dell’Avvento ci presenta come modello di chi veglia nell’attesa del ritorno glorioso del suo divin Figlio. A Lei affidatevi con fiducia, ricorrete sovente alla sua intercessione, perché vi aiuti a restare desti e vigilanti. Da parte mia vi assicuro il mio affetto e la mia preghiera quotidiana, mentre di cuore tutti vi benedico.

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mercoledì 26 novembre 2008

"La fede non è un pensiero, un'opinione, un'idea. E' comunione con Cristo, che il Signore ci dona e perciò diventa vita, conformità con Lui"


(San Paolo, Chiesa di San Paolo in Spontricciolo)

CICLO DI CATECHESI DEDICATE A SAN PAOLO APOSTOLO ED ALL'ANNO PAOLINO

GLI APOSTOLI NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO

ARTICOLI E COMMENTI SU SAN PAOLO APOSTOLO E L'ANNO PAOLINO

Papa Benedetto al Catholicos di Cilicia degli Armeni: "Procediamo verso la piena comunione" (Saluto del Santo Padre al Catholicos di Cilicia degli Armeni presente all'udienza generale, 26 novembre 2008)

DISCORSI DEL SANTO PADRE E DI SUA SANTITA' ARAM I E CATECHESI DI BENEDETTO XVI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Energia ‘pulita’ in Vaticano: inaugurato l’impianto fotovoltaico dell’Aula Paolo VI (Radio Vaticana)

Il Papa: non c'è contraddizione tra San Paolo e San Giacomo: è la fede in Dio a salvarci, ma la vera fede diventa carità (Radio Vaticana)

Il Papa: disastrose le conseguenze di una fede che non si incarna nell’amore (Asianews)

Il Papa all'udienza: “Lasciamoci raggiungere dall’amore folle di Dio per noi” (Sir)

Scambio di saluti e abbraccio fraterno fra il Papa ed Aram I

Oggi, in occasione dell'udienza, entrerà in funzione l'impianto fotovoltaico sulla copertura dell'Aula Paolo VI (Osservatore Romano)

Domani "prima Udienza Generale ecologica in Vaticano"

L’UDIENZA GENERALE, 26.11.2008

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
All’Udienza era presente Sua Santità Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni, in Visita ufficiale con una Delegazione di Vescovi e Fedeli laici. Prima dell’Udienza Generale ha avuto luogo lo scambio di saluti tra il Santo Padre Benedetto XVI e Sua Santità Aram I.
Quindi ha avuto inizio l’Udienza nel corso della quale il Santo Padre, continuando il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato ancora sulla sua predicazione sulla giustificazione.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Papa ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Paolo - XIII: La predicazione sulla giustificazione nel pensiero di Paolo [2]

Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato della questione di come l'uomo diventi giusto davanti a Dio.
Seguendo san Paolo, abbiamo visto che l'uomo non è in grado di farsi "giusto" con le sue proprie azioni, ma può realmente divenire "giusto" davanti a Dio solo perché Dio gli conferisce la sua "giustizia" unendolo a Cristo suo Figlio. E questa unione con Cristo l’uomo l’ottiene mediante la fede.

In questo senso san Paolo ci dice: non le nostre opere, ma la fede ci rende "giusti". Questa fede, tuttavia, non è un pensiero, un'opinione, un'idea. Questa fede è comunione con Cristo, che il Signore ci dona e perciò diventa vita, diventa conformità con Lui. O, con altre parole, la fede, se è vera, se è reale, diventa amore, diventa carità, si esprime nella carità. Una fede senza carità, senza questo frutto non sarebbe vera fede. Sarebbe fede morta.

Abbiamo quindi trovato nell'ultima catechesi due livelli: quello della non rilevanza delle nostre azioni, delle nostre opere per il raggiungimento della salvezza e quello della "giustificazione" mediante la fede che produce il frutto dello Spirito. La confusione di questi due livelli ha causato, nel corso dei secoli, non pochi fraintendimenti nella cristianità.
In questo contesto è importante che san Paolo nella stessa Lettera ai Galati ponga, da una parte, l’accento, in modo radicale, sulla gratuità della giustificazione non per le nostre opere, ma che, al tempo stesso, sottolinei pure la relazione tra la fede e la carità, tra la fede e le opere: "In Cristo Gesù non è la circoncisione che vale o la non circoncisione, ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità" (Gal 5,6). Di conseguenza, vi sono, da una parte, le "opere della carne" che sono "fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria..." (Gal 5,19-21): tutte opere contrarie alla fede; dall’altra, vi è l’azione dello Spirito Santo, che alimenta la vita cristiana suscitando "amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22): sono questi i frutti dello Spirito che sbocciano dalla fede.

All’inizio di quest’elenco di virtù è citata l’agape, l'amore, e nella conclusione il dominio di sé. In realtà, lo Spirito, che è l’Amore del Padre e del Figlio, effonde il suo primo dono, l’agape, nei nostri cuori (cfr Rm 5,5); e l’agape, l'amore,per esprimersi in pienezza esige il dominio di sé.

Dell’amore del Padre e del Figlio, che ci raggiunge e trasforma la nostra esistenza in profondità, ho anche trattato nella mia prima Enciclica: Deus caritas est. I credenti sanno che nell'amore vicendevole s'incarna l'amore di Dio e di Cristo, per mezzo dello Spirito. Ritorniamo alla Lettera ai Galati. Qui san Paolo dice che, portando i pesi gli uni degli altri, i credenti adempiono il comandamento dell’amore (cfr Gal 6,2). Giustificati per il dono della fede in Cristo, siamo chiamati a vivere nell’amore di Cristo per il prossimo, perché è su questo criterio che saremo, alla fine della nostra esistenza, giudicati. In realtà, Paolo non fa che ripetere ciò che aveva detto Gesù stesso e che ci è stato riproposto dal Vangelo di domenica scorsa, nella parabola dell'ultimo Giudizio.

Nella Prima Lettera ai Corinzi, san Paolo si diffonde in un famoso elogio dell’amore.
E’ il cosiddetto inno alla carità: "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l'amore, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita... La carità è magnanima, benevola è la carità, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse..." (1 Cor 13,1.4-5).

L’amore cristiano è quanto mai esigente poiché sgorga dall’amore totale di Cristo per noi: quell’amore che ci reclama, ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, sino a tormentarci, poiché costringe ciascuno a non vivere più per se stesso, chiuso nel proprio egoismo, ma per "Colui che è morto e risorto per noi" (cfr 2 Cor 5,15). L’amore di Cristo ci fa essere in Lui quella creatura nuova (cfr 2 Cor 5,17) che entra a far parte del suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Vista in questa prospettiva, la centralità della giustificazione senza le opere, oggetto primario della predicazione di Paolo, non entra in contraddizione con la fede operante nell’amore; anzi esige che la nostra stessa fede si esprima in una vita secondo lo Spirito.

Spesso si è vista un’infondata contrapposizione tra la teologia di san Paolo e quella di san Giacomo, che nella sua Lettera scrive: "Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta" (2,26). In realtà, mentre Paolo è preoccupato anzitutto di dimostrare che la fede in Cristo è necessaria e sufficiente, Giacomo pone l’accento sulle relazioni consequenziali tra la fede e le opere (cfr Gc 2,2-4).

Pertanto sia per Paolo sia per Giacomo la fede operante nell’amore attesta il dono gratuito della giustificazione in Cristo. La salvezza, ricevuta in Cristo, ha bisogno di essere custodita e testimoniata "con rispetto e timore. E’ Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore.

Fate tutto senza mormorare e senza esitare... tenendo salda la parola di vita", dirà ancora san Paolo ai cristiani di Filippi (cfr Fil 2,12-14.16).

Spesso siamo portati a cadere negli stessi fraintendimenti che hanno caratterizzato la comunità di Corinto: quei cristiani pensavano che, essendo stati giustificati gratuitamente in Cristo per la fede, "tutto fosse loro lecito".

E pensavano, e spesso sembra che lo pensino anche cristiani di oggi, che sia lecito creare divisioni nella Chiesa, Corpo di Cristo, celebrare l’Eucaristia senza farsi carico dei fratelli più bisognosi, aspirare ai carismi migliori senza rendersi conto di essere membra gli uni degli altri, e così via. Disastrose sono le conseguenze di una fede che non s’incarna nell’amore, perché si riduce all’arbitrio e al soggettivismo più nocivo per noi e per i fratelli.

Al contrario, seguendo san Paolo, dobbiamo prendere rinnovata coscienza del fatto che, proprio perché giustificati in Cristo, non apparteniamo più a noi stessi, ma siamo diventati tempio dello Spirito e siamo perciò chiamati a glorificare Dio nel nostro corpo con tutta la nostra esistenza (cfr 1 Cor 6,19) .

Sarebbe uno svendere il valore inestimabile della giustificazione se, comprati a caro prezzo dal sangue di Cristo, non lo glorificassimo con il nostro corpo. In realtà, è proprio questo il nostro culto "ragionevole" e insieme "spirituale", per cui siamo esortati da Paolo a "offrire il nostro corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (Rm 12,1). A che cosa si ridurrebbe una liturgia rivolta soltanto al Signore, senza diventare, nello stesso tempo, servizio per i fratelli, una fede che non si esprimesse nella carità? E l’Apostolo pone spesso le sue comunità di fronte al giudizio finale, in occasione del quale tutti "dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male" (2 Cor 5,10; cfr anche Rm 2,16). E questo pensiero del Giudizio deve illuminarci nella nostra vita di ogni giorno.

Se l’etica che Paolo propone ai credenti non scade in forme di moralismo e si dimostra attuale per noi, è perché, ogni volta, riparte sempre dalla relazione personale e comunitaria con Cristo, per inverarsi nella vita secondo lo Spirito.

Questo è essenziale: l'etica cristiana non nasce da un sistema di comandamenti, ma è conseguenza della nostra amicizia con Cristo. Questa amicizia influenza la vita: se è vera si incarna e si realizza nell'amore per il prossimo.

Per questo, qualsiasi decadimento etico non si limita alla sfera individuale, ma è nello stesso tempo svalutazione della fede personale e comunitaria: da questa deriva e su essa incide in modo determinante. Lasciamoci quindi raggiungere dalla riconciliazione, che Dio ci ha donato in Cristo, dall'amore "folle" di Dio per noi: nulla e nessuno potranno mai separarci dal suo amore (cfr Rm 8,39). In questa certezza viviamo. E’ questa certezza a donarci la forza di vivere concretamente la fede che opera nell'amore.

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Papa Benedetto al Catholicos di Cilicia degli Armeni: "Procediamo verso la piena comunione"


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

Il Papa: "La fede non è un pensiero, un'opinione, un'idea. E' comunione con Cristo, che il Signore ci dona e perciò diventa vita, conformità con Lui" (Catechesi udienza generale, 26 novembre 2008)

DISCORSI DEL SANTO PADRE E DI SUA SANTITA' ARAM I E CATECHESI DI BENEDETTO XVI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Aram I propone la celebrazione della Pasqua comune (Sir)

Il Papa: non c'è contraddizione tra San Paolo e San Giacomo: è la fede in Dio a salvarci, ma la vera fede diventa carità (Radio Vaticana)

Il Papa: disastrose le conseguenze di una fede che non si incarna nell’amore (Asianews)

Il Papa all'udienza: “Lasciamoci raggiungere dall’amore folle di Dio per noi” (Sir)

Scambio di saluti e abbraccio fraterno fra il Papa ed Aram I

Il saluto di Benedetto XVI al Catholicos di Cilicia degli Armeni presente nell'Aula Paolo VI

Procediamo verso la piena comunione

Presenza inedita all'udienza generale di mercoledì 26 novembre. Il Papa ha fatto ingresso nell'Aula Paolo VI insieme con il Catholicos di Cilicia degli Armeni Aram I - in visita in questi giorni a Roma - e, prima di tenere la catechesi su san Paolo, gli ha rivolto un breve saluto in lingua inglese.

Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione italiana delle parole del Papa.

Questa mattina saluto con grande gioia Sua Santità Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni, insieme alla distinta delegazione che lo accompagna e ai pellegrini armeni dei vari Paesi. Questa visita fraterna è un'occasione significativa per rafforzare i vincoli di unità già esistenti fra noi, mentre procediamo verso la piena comunione che è sia un obiettivo di tutti i seguaci di Cristo sia un dono da implorare ogni giorno dal Signore.
Per questo motivo, Santità, invoco la grazia dello Spirito Santo sul suo pellegrinaggio presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo e invito tutti i presenti a pregare con fervore il Signore affinché la sua visita e i nostri incontri siano un ulteriore passo avanti lungo il cammino verso la piena unità.
Santità, desidero esprimere particolare gratitudine per il suo costante impegno personale nel campo dell'ecumenismo, in particolare nella Commissione congiunta Internazionale per il Dialogo Teologico fra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali e nel Consiglio Mondiale delle Chiese.
Sulla facciata esterna della basilica di San Pietro c'è una statua di San Gregorio l'Illuminatore, fondatore della Chiesa armena, che uno dei vostri storici ha definito "nostro progenitore e padre del Vangelo". La presenza di questa statua evoca le sofferenze che ha sopportato nel condurre il popolo armeno al cristianesimo, ma ricorda anche i numerosi martiri e confessori della fede la cui testimonianza ha recato frutti abbondanti nella storia del vostro popolo. La cultura e la spiritualità armene sono pervase dall'orgoglio di questa testimonianza dei loro antenati, che hanno sofferto con fedeltà e coraggio in comunione con l'Agnello ucciso per la salvezza del mondo.
Benvenuti, Santità, cari Vescovi e cari amici! Insieme invochiamo l'intercessione di San Gregorio l'Illuminatore e soprattutto la Vergine Madre di Dio cosicché illuminino il nostro cammino verso la pienezza di quell'unità che noi tutti desideriamo.

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(©L'Osservatore Romano - 27 novembre 2008)

martedì 25 novembre 2008

Messaggio del Papa alle Pontificie Accademie: "Necessità ed urgenza di un rinnovato dialogo tra estetica ed etica, tra bellezza, verità e bontà"


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA IN OCCASIONE DELLA XIII SEDUTA PUBBLICA DELLE PONTIFICIE ACCADEMIE, 25.11.2008

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre ha inviato stamane al Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, e ai partecipanti alla XIII Seduta pubblica delle Pontificie Accademie sul tema: "Universalità della bellezza: estetica ed etica a confronto":

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al venerato Fratello
Mons. Gianfranco Ravasi
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

Mi è gradito inviare a Lei ed al Consiglio di Coordinamento delle Pontificie Accademie il mio cordiale saluto in occasione dell’annuale Seduta pubblica, appuntamento tradizionale per dare risalto alle attività promosse con impegno e generosa dedizione da ciascuna Accademia, e momento di incontro e di condivisione tra Istituzioni diverse animate da un obiettivo comune: servire la persona umana, per farne risaltare lo splendore e le responsabilità, l'armonia e la missione. Sono lieto di estendere il mio saluto ai Signori Cardinali, ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Signori Ambasciatori ed ai Rappresentanti di ogni Pontificia Accademia riuniti per questo atto solenne e familiare.

Per questa Tredicesima Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie la Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, che organizza quest'anno l'evento, ha scelto come tema: Universalità della bellezza: estetica ed etica a confronto, un argomento quanto mai significativo per approfondire il rapporto o, meglio, il dialogo tra estetica ed etica, tra bellezza ed agire umano, dialogo tanto necessario quanto talvolta dimenticato o eluso.

La necessità e l'urgenza di un rinnovato dialogo tra estetica ed etica, tra bellezza, verità e bontà, ci vengono riproposte non solo dall'attuale dibattito culturale ed artistico, ma anche dalla realtà quotidiana.

A diversi livelli, infatti, emerge drammaticamente la scissione, e talvolta il contrasto tra le due dimensioni, quella della ricerca della bellezza, compresa però riduttivamente come forma esteriore, come apparenza da perseguire a tutti i costi, e quella della verità e bontà delle azioni che si compiono per realizzare una certa finalità. Infatti, una ricerca della bellezza che fosse estranea o avulsa dall'umana ricerca della verità e della bontà si trasformerebbe, come purtroppo succede, in mero estetismo, e, soprattutto per i più giovani, in un itinerario che sfocia nell'effimero, nell'apparire banale e superficiale o addirittura in una fuga verso paradisi artificiali, che mascherano e nascondono il vuoto e l'inconsistenza interiore. Tale apparente e superficiale ricerca non avrebbe certo un afflato universale, ma risulterebbe inevitabilmente del tutto soggettiva, se non addirittura individualistica, per terminare talvolta persino nell'incomunicabilità.

Ho sottolineato più volte la necessità e l'impegno di un allargamento degli orizzonti della ragione, ed in questa prospettiva bisogna tornare a comprendere anche l'intima connessione che lega la ricerca della bellezza con la ricerca della verità e della bontà. Una ragione che volesse spogliarsi della bellezza risulterebbe dimezzata, come anche una bellezza priva di ragione si ridurrebbe ad una maschera vuota ed illusoria. Nell'incontro col Clero della Diocesi di Bressanone, lo scorso 6 agosto, dialogando proprio sul rapporto tra bellezza e ragione, facevo notare che dobbiamo mirare ad una ragione molto ampliata, nella quale cuore e ragione si incontrano, bellezza e verità si toccano. Se questo impegno è valido per tutti, lo è ancor di più per il credente, per il discepolo di Cristo, chiamato dal Signore a "rendere ragione" a tutti della bellezza e della verità della propria fede. Ce lo ricorda il Vangelo di Matteo, in cui leggiamo l'appello rivolto da Gesù ai suoi discepoli: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,16). Va notato che nel testo greco si parla di kalà erga, di opere belle e buone allo stesso tempo, perché la bellezza delle opere manifesta ed esprime, in una sintesi eccellente, la bontà e la verità profonda del gesto, come pure la coerenza e la santità di chi lo compie. La bellezza delle opere di cui ci parla il Vangelo rimanda oltre, ad un’altra bellezza, verità e bontà che soltanto in Dio hanno la loro perfezione e la loro sorgente ultima.

La nostra testimonianza, allora, deve nutrirsi di questa bellezza, il nostro annuncio del Vangelo deve essere percepito nella sua bellezza e novità, e per questo è necessario saper comunicare con il linguaggio delle immagini e dei simboli; la nostra missione quotidiana deve diventare eloquente trasparenza della bellezza dell'amore di Dio per raggiungere efficacemente i nostri contemporanei, spesso distratti e assorbiti da un clima culturale non sempre propenso ad accogliere una bellezza in piena armonia con la verità e la bontà, ma pur sempre desiderosi e nostalgici di una bellezza autentica, non superficiale ed effimera.

Questo è emerso anche durante il recente Sinodo dei Vescovi, convocato per riflettere sul tema: "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa". Diversi interventi hanno evidenziato il valore perenne di una "bella testimonianza" per l'annuncio del Vangelo, sottolineando l'importanza del saper leggere e scrutare la bellezza delle opere d'arte, ispirate dalla fede e promosse dai credenti, per scoprirvi un singolare itinerario che avvicina a Dio e alla sua Parola.

Nel Messaggio conclusivo, poi, rivolto dai Padri Sinodali a tutti i credenti, si ribadisce la bontà e l'efficacia della via pulchritudinis, uno dei possibili itinerari, forse quello più attraente ed affascinante, per comprendere e raggiungere Dio. Nello stesso documento si ricorda la Lettera agli Artisti del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, che invitava a riflettere sull'intimo e fecondo dialogo tra la Sacra Scrittura e le diverse forme artistiche, da cui sono scaturiti innumerevoli capolavori. In questa occasione vorrei suggerire di riprendere in mano quella Lettera, a dieci anni dalla sua pubblicazione, per farne oggetto di una rinnovata riflessione sull'arte, sulla creatività degli artisti, e sul fecondo quanto problematico dialogo tra questi e la fede cristiana, vissuta nella comunità dei credenti. Mi rivolgo particolarmente a voi, cari Accademici ed Artisti, perché è proprio questo il vostro compito, la vostra missione: suscitare meraviglia e desiderio del bello, formare la sensibilità degli animi e alimentare la passione per tutto ciò che è autentica espressione del genio umano e riflesso della Bellezza divina.

Cari fratelli e sorelle, il Premio delle Pontificie Accademie, istituito dal mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, ha una sua peculiare finalità: suscitare nuovi talenti in vari campi del sapere ed incoraggiare l'impegno di giovani studiosi, artisti ed istituzioni che dedicano le loro attività alla promozione dell'umanesimo cristiano. Accogliendo, pertanto, la proposta formulata dal Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie, in questa solenne Seduta Pubblica sono veramente lieto che venga assegnato il Premio delle Pontificie Accademie al Dott. Daniele Piccini, distintosi per il suo impegno sia nello studio critico della poesia e della letteratura - particolarmente di quella italiana delle origini e del Rinascimento - sia per la sua militanza attiva in campo poetico, espressa in alcune significative raccolte.

Sono, inoltre, contento che quale segno di apprezzamento e di incoraggiamento, si offra una Medaglia del Pontificato al Dott. Giulio Catelli, giovane pittore, per la sua ricerca artistica, apprezzata già dalla critica d'arte; nonché alla Fondazione Stauròs Italiana, Onlus, per la realizzazione del Museo d'Arte Sacra Contemporanea e per l'organizzazione della Biennale d'Arte Sacra, appuntamento ormai tradizionale per gli artisti che si impegnano nel settore dell'Arte Sacra.

Vorrei infine manifestare a tutti gli Accademici, e specialmente ai Membri delle Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, il mio vivo apprezzamento per l'attività svolta, ed esprimere l'augurio di un impegno appassionato e creativo, soprattutto in campo artistico, per promuovere nelle culture contemporanee un nuovo umanesimo cristiano, che sappia percorrere con chiarezza e decisione la via dell'autentica bellezza. Con tali sentimenti, affido ciascuno di voi, come pure la vostra preziosa opera di studio e di ricerca creativa, alla materna protezione della Vergine Maria, che con tutta la Chiesa invochiamo come Tota Pulchra, la Tutta bella, e di cuore imparto a Lei, Signor Presidente, ed a tutti i presenti una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 Novembre 2008

BENEDICTUS PP. XVI

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lunedì 24 novembre 2008

Il Papa ad Aram I, Catholicos di Cilicia degli Armeni: "In Medio Oriente la pace nasce dal rispetto reciproco"


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

Saluto al Papa del Catholicos di Cilicia degli Armeni

Vedi anche:

Il Papa incontra il Catholicos armeno di Cilicia: preoccupazione per le persecuzioni anticristiane (Radio Vaticana)

Il Papa al catholicos Aram I: "La santità del popolo armeno è patrimonio di tutta la Chiesa". Preoccupazione per i Cristiani in Medio Oriente (Sir)

Il Papa ricorda il genocidio degli Armeni: indicibile sofferenza

L'incontro del Papa con il Catholicos di Cilicia degli Armeni

In Medio Oriente la pace nasce dal rispetto reciproco

Un nuovo appello per la pace fondata sul rispetto reciproco tra gruppi etnici e religiosi in Medio Oriente è stato rivolto da Benedetto XVI e dal Catholicos di Cilicia degli Armeni Aram i, che lunedì mattina, 24 novembre, hanno pregato insieme nella cappella Redemptoris Mater. Prima della celebrazione ecumenica - svoltasi alla presenza, tra gli altri, del cardinale Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e di una cinquantina di armeni giunti da vari Paesi del mondo - il Pontefice aveva ricevuto il capo della Chiesa apostolica armena nella Biblioteca privata. Al termine del colloquio, durato 25 minuti, nella Sala dei Papi Benedetto XVI ha ricevuto il saluto dei vescovi al seguito del Catholicos. Al termine della visita il Pontefice ha donato ad Aram i una raffigurazione artistica degli Apostoli Taddeo e Bartolomeo, evangelizzatori della Cilicia, mentre il Catholicos ha donato al Papa un antico manoscritto di san Gregorio.

Ecco una nostra traduzione italiana del discorso del Papa.

Santità,

con sincero affetto nel Signore saluto Lei e i distinti membri della sua delegazione in occasione della sua visita alla Chiesa di Roma. Il nostro incontro di oggi è il proseguimento della visita che Lei ha reso al mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo ii nel gennaio del 1997, dei numerosi altri contatti e delle visite reciproche che, per grazia di Dio, hanno condotto negli ultimi anni a rapporti più stretti fra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena.
In questo Anno Paolino, visiterà la tomba dell'Apostolo delle Genti e pregherà con la comunità monastica presso la basilica eretta in sua memoria. In quella preghiera, si unirà alla grande schiera di santi e martiri, insegnanti e teologi, la cui eredità di dottrina, santità e risultati missionari sono parte del patrimonio di tutta la Chiesa. Pensiamo ai santi Nerses Shnorkhali e Nerses di Lambon che, quale Vescovo di Tarso, era noto come "secondo Paolo di Tarso". Quella testimonianza ebbe il suo culmine nel XX secolo, un tempo di indicibile sofferenza per il suo popolo.
La fede e la devozione del popolo armeno sono state sostenute costantemente dal ricordo dei numerosi martiri che hanno testimoniato il Vangelo nel corso dei secoli.
Che la grazia di quella testimonianza continui a plasmare la cultura della sua nazione e a ispirare ai seguaci di Cristo una fiducia sempre maggiore nella forza salvifica e donatrice di vita della Croce. Da molto tempo la Sede di Cilicia partecipa a positivi contatti ecumenici fra le Chiese. Infatti, il dialogo fra le Chiese ortodosse orientali e la Chiesa cattolica ha beneficiato in maniera significativa della presenza dei suoi delegati armeni. Dobbiamo sperare che questo dialogo prosegua poiché promette di chiarire questioni teologiche che ci hanno diviso in passato, ma che ora sembrano aperte a un maggiore consenso. Confido nel fatto che l'opera attuale della Commissione Internazionale sul tema "La Natura, la costituzione e la missione della Chiesa" permetta a molte specifiche questioni del nostro dialogo teologico di trovare il proprio contesto e la propria soluzione.
Di certo l'aumento di comprensione, rispetto e cooperazione che è emerso dal dialogo ecumenico è molto promettente per l'annuncio del Vangelo del nostro tempo. Nel mondo gli armeni vivono fianco a fianco con fedeli della Chiesa cattolica. Una comprensione e un apprezzamento maggiori della nostra comune tradizione apostolica contribuirà a una testimonianza ancora più efficace dei valori spirituali e morali senza i quali non può esistere un ordine sociale autenticamente giusto e umano. Per questo motivo, confido nell'elaborazione di strumenti nuovi e concreti che esprimano le dichiarazioni comuni che abbiamo già firmato.
Santità, non posso non assicurarla delle mie preghiere quotidiane e della profonda preoccupazione che nutro per il popolo del Libano e del Medio Oriente. Come possiamo non essere rattristati dalle tensioni e dai conflitti che continuano a frustrare tutti gli sforzi per promuovere la riconciliazione e la pace a ogni livello della vita civile e politica nella regione? Recentemente siamo stati tutti rattristati dall'intensificarsi della persecuzione e della violenza contro i cristiani in aree del Medio Oriente e altrove. Solo quando i Paesi coinvolti potranno determinare il proprio destino e i vari gruppi etnici e le varie comunità religiose si accetteranno e si rispetteranno reciprocamente, si potrà edificare la pace su solide basi di solidarietà, giustizia e rispetto per i diritti legittimi degli individui e dei popoli.
Con questi sentimenti e con affetto nel Signore, La ringrazio, Santità, ed esprimo la speranza che questi giorni trascorsi a Roma saranno fonte di numerose grazie per Lei e per quanti sono affidati alla sua sollecitudine pastorale. Su di Lei e su tutti i fedeli della Chiesa apostolica armena invoco gioia e pace in abbondanza nel Signore.

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(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)

domenica 23 novembre 2008

Il Papa: "La regalità di Cristo è rivelazione e attuazione di quella di Dio Padre, il quale governa tutte le cose con amore e con giustizia"


ANGELUS DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Papa Benedetto: Né onori né apparenze. Dio rifiuta le ipocrisie (Zavattaro)

Il Papa: se ognuno pensa a se stesso mondo in rovina (Chirri)

Il card. Saraiva Martins ha presieduto, a Nagasaki, il rito di beatificazione di 188 martiri giapponesi (Radio Vaticana)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 23.11.2008

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana
:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo oggi, ultima domenica dell’anno liturgico, la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo. Sappiamo dai Vangeli che Gesù rifiutò il titolo di re quando esso era inteso in senso politico, alla stregua dei "capi delle nazioni" (cfr Mt 20,24). Invece, durante la sua passione, egli rivendicò una singolare regalità davanti a Pilato, il quale lo interrogò esplicitamente: "Tu sei re?", e Gesù rispose: "Tu lo dici, io sono re" (Gv 18,37); poco prima però aveva dichiarato: "il mio regno non è di questo mondo" (Gv 18,36).

La regalità di Cristo, infatti, è rivelazione e attuazione di quella di Dio Padre, il quale governa tutte le cose con amore e con giustizia. Il Padre ha affidato al Figlio la missione di dare agli uomini la vita eterna amandoli fino al supremo sacrificio, e nello stesso tempo gli ha conferito il potere di giudicarli, dal momento che si è fatto Figlio dell’uomo, in tutto simile a noi (cfr Gv 5,21-22.26-27).

Il Vangelo odierno insiste proprio sulla regalità universale di Cristo giudice, con la stupenda parabola del giudizio finale, che san Matteo ha collocato immediatamente prima del racconto della Passione (25,31-46).

Le immagini sono semplici, il linguaggio è popolare, ma il messaggio è estremamente importante: è la verità sul nostro destino ultimo e sul criterio con cui saremo valutati. "Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto" (Mt 25,35) e così via. Chi non conosce questa pagina? Fa parte della nostra civiltà. Ha segnato la storia dei popoli di cultura cristiana: la gerarchia di valori, le istituzioni, le molteplici opere benefiche e sociali. In effetti, il regno di Cristo non è di questo mondo, ma porta a compimento tutto il bene che, grazie a Dio, esiste nell’uomo e nella storia.

Se mettiamo in pratica l’amore per il nostro prossimo, secondo il messaggio evangelico, allora facciamo spazio alla signoria di Dio, e il suo regno si realizza in mezzo a noi. Se invece ciascuno pensa solo ai propri interessi, il mondo non può che andare in rovina.

Cari amici, il regno di Dio non è una questione di onori e di apparenze, ma, come scrive san Paolo, è "giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17). Al Signore sta a cuore il nostro bene, cioè che ogni uomo abbia la vita, e che specialmente i suoi figli più "piccoli" possano accedere al banchetto che lui ha preparato per tutti. Perciò, non sa che farsene di quelle forme ipocrite di chi dice "Signore, Signore" e poi trascura i suoi comandamenti (cfr Mt 7,21). Nel suo regno eterno, Dio accoglie quanti si sforzano giorno per giorno di mettere in pratica la sua parola. Per questo la Vergine Maria, la più umile di tutte le creature, è la più grande ai suoi occhi e siede Regina alla destra di Cristo Re. Alla sua celeste intercessione vogliamo affidarci ancora una volta con fiducia filiale, per poter realizzare la nostra missione cristiana nel mondo.

DOPO L’ANGELUS

Domani, in Giappone, nella città di Nagasaki, avrà luogo la beatificazione di 188 martiri, tutti giapponesi, uomini e donne, uccisi nella prima parte del XVII secolo. In questa circostanza, così significativa per la comunità cattolica e per tutto il Paese del Sol Levante, assicuro la mia spirituale vicinanza. Sabato prossimo, inoltre, a Cuba sarà proclamato beato Fratel José Olallo Valdés, dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio. Alla sua celeste protezione affido il popolo cubano, specialmente i malati e gli operatori sanitari.

Je vous salue cordialement, chers pèlerins de langue française. Aujourd’hui, prenons le temps de contempler le Christ, Roi de l’univers. En s’identifiant au plus pauvre et au plus petit d’entre-nous, Il est le pasteur et le roi qui veille sur nous pour nous aider à grandir dans la foi et dans l’amour, dans la justice et dans la charité. Laissons-nous conduire vers le Père, en lui offrant dans la prière, par l’intercession de Notre-Dame, nos vies, nos joies et nos peines. Avec ma Bénédiction Apostolique.

I greet all the English-speaking visitors present at this Angelus. In today’s Solemnity of Christ the King we pray that the Lord may reign in our hearts. Sustained by his grace in faith and love, we trust that by bearing witness to him on earth we may be found worthy of his promises in heaven. I wish you all a pleasant stay in Rome and a blessed Sunday! Let us also rejoice in anticipation with our brothers and sisters in Japan, who celebrate tomorrow in Nagasaki the beatification of the Venerable Servants of God Peter Kibe Kasui and his 187 companion martyrs. May their victory in Christ over sin and death fill us all with hope and courage!

Einen frohen Gruß richte ich an alle deutschsprachigen Brüder und Schwestern hier auf dem Petersplatz. Heute feiern wir das Hochfest Christkönig. Das Königreich Christi folgt jedoch nicht den Kriterien dieser Welt; sein Maßstab ist vielmehr die Liebe, die Hingabe, der Einsatz für die Bedürftigen an Leib und Seele. Wenn wir daher im Vaterunser darum beten, daß sein Reich komme, dann erfordert das von uns die Bereitschaft, den Willen unseres Königs im eigenen Leben umzusetzen. Der Herr zeige uns, wo wir unseren Mitmenschen helfen können. Gesegneten Sonntag!

Saludo con afecto a los fieles de lengua española, y de modo muy especial a los Pastores y fieles cubanos, que el próximo sábado celebrarán en Camagüey la beatificación del Padre José Olallo Valdés. Que el ejemplo y la intercesión del nuevo Beato ayude a la Iglesia en su misión evangelizadora, y conceda una renovada vitalidad apostólica a todos los cubanos que se glorían de ser discípulos y misioneros de Jesucristo.

Щиро вітаю українських паломників. Дорогі брати й сестри, цими днями припадає 75-та річниця Голодомору – «великого голоду», який у 1932-1933 роках викликав мільйони смертей в Україні та в інших регіонах Радянського Союзу під час комуністичного режиму. Щиро бажаючи, щоб ніякий політичний устрій в ім’я ідеології більше ніколи не зміг заперечити прав людської особи та її свободи й гідності, запевняю свою молитву за всі невинні жертви цієї жахливої трагедії, і молю Пресвяту Богородицю, щоб допомагала народам прямувати дорогами примирення й будувати теперішнє та майбутнє у взаємопошані та щирому шуканні миру. Слава Ісусу Христу!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini ucraini. Cari fratelli e sorelle, in questi giorni ricorre il 75° anniversario dell’Holodomor – la "grande carestia" – che negli anni 1932-1933 ha causato milioni di morti in Ucraina e in altre regioni dell’Unione Sovietica durante il regime comunista. Nell’auspicare vivamente che nessun ordinamento politico possa più, in nome di una ideologia, negare i diritti della persona umana e la sua libertà e dignità, assicuro la mia preghiera per tutte le vittime innocenti di quella immane tragedia, e invoco la santa Madre di Dio perché aiuti le Nazioni a procedere sulle vie della riconciliazione e costruire il presente e il futuro nel rispetto reciproco e nella ricerca sincera della pace. Sia lodato Gesù Cristo!]

Z radością pozdrawiam Polaków. „Chrystus Wodzem, Chrystus Królem, Chrystus Władcą nam". Te słowa słychać dzisiaj w świecie ze szczególną mocą. Przypomina je każdego dnia dobrze wam znany sygnał Radia Watykańskiego. Jutro Sekcja Polska tego Radia obchodzi 70 lat działalności. Dziękuję jej redaktorom za ofiarną pracę. Im i wam wszystkim serdecznie błogosławię.

[Sono lieto di salutare i Polacchi. "Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat". Queste parole risuonano oggi nel mondo con forza particolare. Ogni giorno ve lo ricorda il ben noto segnale della Radio Vaticana. La Sezione Polacca di questa Radio celebra domani il 70° anniversario della sua attività. Il mio grazie va ai suoi redattori per il loro generoso lavoro. Ad essi e a voi tutti imparto di cuore la mia benedizione.]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai dirigenti e ai cantori dell’Associazione Italiana Santa Cecilia, che ha tenuto il suo convegno, con uno speciale concerto, presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura. Saluto inoltre le due associazioni OARI e AVULSS, impegnate nel volontariato accanto ai malati e ai sofferenti; come pure i fedeli provenienti da Marsico Nuovo, Reggio Calabria, Avola, Priolo e Vallelunga. A tutti auguro una buona domenica.

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sabato 22 novembre 2008

Il Papa agli Amalfitani:"Sta a noi decidere se praticare la giustizia o l’iniquità,se abbracciare l’amore e il perdono o la vendetta e l’odio omicida"


UDIENZA AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DELL’ARCIDIOCESI DI AMALFI-CAVA DE’ TIRRENI (ITALIA), 22.11.2008

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni (Italia) e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Benvenuti nella casa del Successore di Pietro: vi accolgo con affetto e a tutti rivolgo il mio cordiale saluto. In primo luogo va al Pastore della vostra comunità ecclesiale, l’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli, al quale sono grato anche per le parole che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto poi i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi, i religiosi e le religiose, i laici impegnati nelle varie attività pastorali, i giovani, la corale e gli ammalati con i volontari dell’UNITALSI.
Saluto le Autorità civili, i Sindaci dei Comuni della Diocesi con i gonfaloni. Estendo infine il mio pensiero all’intera Arcidiocesi di Amalfi–Cava de’ Tirreni, venuta a Roma in pellegrinaggio presso la tomba dell’apostolo Pietro con le venerate reliquie di sant’Andrea, vostro augusto Patrono, conservate sin dal secolo IV nella cripta della vostra Cattedrale. Anzi, questo pellegrinaggio si compie proprio nel nome dell’apostolo Andrea, in occasione dell’VIII Centenario della traslazione delle sue reliquie dalla grande Costantinopoli alla vostra città di Amalfi, piccola per dimensione ma grande anch’essa per la sua storia civile e religiosa, come ha ricordato poc’anzi il vostro Arcivescovo. Dinanzi a questo prezioso reliquiario ho potuto sostare in preghiera anch’io in occasione della festa di Sant’Andrea del 30 novembre 1996, e di quella visita conservo ancora grata memoria.

In tale ricorrenza ormai imminente, si concluderà questo anno giubilare con la Santa Messa celebrata nella vostra Cattedrale dal Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato. E’ stato un anno singolare, che ha avuto il suo culmine nel solenne atto commemorativo dell’8 maggio scorso, presieduto dal Cardinale Walter Kasper quale mio Inviato speciale. Guardando all’esempio e ricorrendo all’intercessione di sant’Andrea, voi volete infatti ridare nuovo slancio alla vostra vocazione apostolica e missionaria, allargando le prospettive del vostro cuore alle attese di pace tra i popoli, intensificando la preghiera per l’unità tra tutti i cristiani. Vocazione, missione ed ecumenismo sono pertanto le tre parole-chiave che vi hanno orientato in questo impegno spirituale e pastorale, che oggi riceve dal Papa un incoraggiamento a proseguire con generosità ed entusiasmo. Sant’Andrea, il primo degli Apostoli ad essere chiamato da Gesù sulle rive del fiume Giordano (cfr Gv 1,35-40), vi aiuti a riscoprire sempre più l’importanza e l’urgenza di testimoniare il Vangelo in ogni ambito della società. Possa l’intera vostra comunità diocesana, ad imitazione della Chiesa delle origini, crescere nella fede e comunicare a tutti la speranza cristiana.

Cari fratelli e sorelle, questo nostro incontro avviene proprio alla vigilia della solennità di Cristo Re. Pertanto, vi invito a volgere lo sguardo del cuore al nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo. Nel volto del Pantocrator, noi riconosciamo, come affermava mirabilmente il Papa Paolo VI durante il Concilio Vaticano II, "Cristo, nostro principio! Cristo, nostra via e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine!" (Discorso di apertura del II periodo, 29.9.1963). La Parola di Dio, che domani ascolteremo, ci ripeterà che il suo volto, rivelazione del mistero invisibile del Padre, è quello del Pastore buono, pronto a prendersi cura delle sue pecore disperse, a radunarle per farle pascolare e poi riposare al sicuro. Egli va in cerca con pazienza della pecora smarrita e cura quella malata (cfr Ez 34,11-12.15-17). Solo in Lui possiamo trovare quella pace che Egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue, prendendo su di sé i peccati del mondo e ottenendoci la riconciliazione.

La Parola di Dio ci ricorderà anche che il volto di Cristo, Re universale, è quello del giudice, perché Dio è al tempo stesso Pastore buono e misericordioso e Giudice giusto.
In particolare, la pagina evangelica (Mt 25,31-46) ci presenterà il grande quadro del giudizio finale. In tale parabola il Figlio dell’uomo nella sua gloria, circondato dai suoi angeli, si comporta come il pastore, che separa le pecore dalle capre e pone i giusti alla sua destra e i reprobi alla sinistra. I giusti li invita ad entrare nell’eredità preparata da sempre per loro, mentre i reprobi li condanna al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per gli altri angeli ribelli. Decisivo è il criterio del giudizio. Questo criterio è l’amore, la carità concreta nei confronti del prossimo, in particolare dei "piccoli", delle persone in maggiore difficoltà: affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati. Il re dichiara solennemente a tutti che ciò che hanno fatto, o non hanno fatto nei loro confronti, l’hanno fatto o non fatto a Lui stesso. Cioè Cristo si identifica con i suoi "fratelli più piccoli", e il giudizio finale sarà il rendiconto di quanto è già avvenuto nella vita terrena.

Cari fratelli e sorelle, è questo ciò che interessa a Dio. A Lui non importa la regalità storica, ma vuole regnare nei cuori delle persone, e da lì sul mondo: Egli è re dell’universo intero, ma il punto critico, la zona dove il suo regno è a rischio, è il nostro cuore, perché lì Dio si incontra con la nostra libertà.

Noi, e solo noi, possiamo impedirgli di regnare su noi stessi, e quindi possiamo porre ostacolo alla sua regalità sul mondo: sulla famiglia, sulla società, sulla storia. Noi uomini e donne abbiamo la facoltà di scegliere con chi vogliamo allearci: se con Cristo e con i suoi angeli oppure con il diavolo e con i suoi adepti, per usare lo stesso linguaggio del Vangelo. Sta a noi decidere se praticare la giustizia o l’iniquità, se abbracciare l’amore e il perdono o la vendetta e l’odio omicida. Da questo dipende la nostra salvezza personale, ma anche la salvezza del mondo.

Ecco perché Gesù vuole associarci alla sua regalità; ecco perchè ci invita a collaborare all’avvento del suo Regno di amore, di giustizia e di pace. Sta a noi rispondergli, non con le parole, ma con i fatti: scegliendo la via dell’amore fattivo e generoso verso il prossimo, noi permettiamo a Lui di estendere la sua signoria nel tempo e nello spazio. Vi aiuti sant’Andrea a rinnovare con coraggio la vostra decisione di appartenere a Cristo e di porvi al servizio del suo Regno, e la Vergine Maria, Madre di Gesù nostro Re, protegga sempre le vostre comunità. Da parte mia, vi assicuro il ricordo nella preghiera mentre, ringraziandovi ancora per la vostra visita, di cuore tutti vi benedico.

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giovedì 20 novembre 2008

Il Papa: "Possano i monasteri essere sempre più oasi di vita ascetica, dove si avverte il fascino dell’unione sponsale con Cristo..."


Vedi anche:

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La clausura si apre al mondo: oggi le suore usano Internet e il telefono. E nei monasteri cresce il numero delle novizie (Vecchi)

Giornata delle Claustrali: quattro testimonianze (Osservatore Romano)

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA

Sala Clementina
Giovedì, 20 novembre 2008

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!


Con gioia vi incontro in occasione della Plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che celebra i suoi cento anni di vita e di attività. E’ passato infatti un secolo da quando il mio venerato predecessore San Pio X, con la Costituzione apostolica Sapienti Consilio,del 29 giugno 1908, rese autonomo il vostro Dicastero come Congregatio negotiis religiosorum sodalium praeposita, denominazione successivamente modificata più volte. Per ricordare questo evento avete programmato, il 22 novembre prossimo, un Congresso dal significativo titolo “Cento anni al servizio della vita consacrata”; auguro perciò pieno successo all’opportuna iniziativa.

L’odierno incontro è per me occasione quanto mai propizia per salutare e ringraziare tutti coloro che lavorano nel vostro Dicastero. Saluto in primo luogo, il Prefetto, Cardinale Franc Rodé, a cui sono grato anche per essersi fatto interprete dei comuni sentimenti. Insieme con lui saluto i Membri del Dicastero, il Segretario, i Sotto-Segretari e gli altri Officiali che, con mansioni diverse, prestano il loro quotidiano servizio con competenza e sapienza, per “promuovere e regolare” la pratica dei consigli evangelici nelle varie forme di vita consacrata, come anche l’attività delle Società di vita apostolica (cfr Cost. ap. Pastor bonus, n. 105).

I consacrati costituiscono una eletta porzione del Popolo di Dio: sostenerne e custodirne la fedeltà alla divina chiamata, carissimi fratelli e sorelle, è il fondamentale impegno che svolgete secondo modalità ormai ben collaudate grazie all’esperienza accumulata in questi cento anni di attività.

Questo servizio della Congregazione è stato ancor più assiduo nei decenni successivi al Concilio Vaticano II, che hanno visto lo sforzo di rinnovamento, sia nella vita che nella legislazione, di tutti gli Istituti religiosi e secolari e delle Società di vita apostolica. Mentre, pertanto, mi unisco a voi nel rendere grazie a Dio, datore di ogni bene, per i buoni frutti prodotti in questi anni dal vostro Dicastero, ricordo con pensiero riconoscente tutti coloro che nel corso di questo secolo di attività hanno profuso le loro energie a beneficio dei consacrati e delle consacrate.

La Plenaria della vostra Congregazione ha focalizzato quest’anno la sua attenzione su un tema che mi è particolarmente caro: il monachesimo, forma vitae che si è sempre ispirata alla Chiesa nascente, generata dalla Pentecoste (cfr At 2,42-47; 4,32-35). Dalle conclusioni dei vostri lavori, incentrati specialmente sulla vita monastica femminile, potranno scaturire indicazioni utili a quanti, monaci e monache, “cercano Dio”, realizzando questa loro vocazione per il bene di tutta la Chiesa. Anche recentemente (cfr Discorso al mondo della cultura, Parigi, 12 settembre 2008) ho voluto evidenziare l’esemplarità della vita monastica nella storia, sottolineando come il suo scopo sia semplice ed insieme essenziale: quaerere Deum, cercare Dio e cercarlo attraverso Gesù Cristo che lo ha rivelato (cfr Gv 1,18), cercarlo fissando lo sguardo sulle realtà invisibili che sono eterne (cfr 2 Cor 4,18), nell’attesa della manifestazione gloriosa del Salvatore (cfr Tt 2,13).

Christo omnino nihil praeponere (cfr RB 72,11; Agostino, Enarr. in Ps. 29,9; Cipriano, Ad Fort 4). Questa espressione, che la Regola di san Benedetto riprende dalla tradizione precedente, esprime bene il tesoro prezioso della vita monastica praticata fino ad oggi sia nell’occidente che nell’oriente cristiano. E’ un invito pressante a plasmare la vita monastica fino a renderla memoria evangelica della Chiesa e, quando è autenticamente vissuta, “esemplarità di vita battesimale” (cfr Giovanni Paolo II, Orientale lumen 9). In virtù del primato assoluto riservato a Cristo, i monasteri sono chiamati a essere luoghi in cui si fa spazio alla celebrazione della gloria di Dio, si adora e si canta la misteriosa ma reale presenza divina nel mondo, si cerca di vivere il comandamento nuovo dell’amore e del servizio reciproco, preparando così la finale “manifestazione dei figli di Dio” (Rm 8,19). Quando i monaci vivono il Vangelo in modo radicale, quando coloro che sono dediti alla vita integralmente contemplativa coltivano in profondità l’unione sponsale con Cristo, su cui si è ampiamente soffermata l’Istruzione di codesta Congregazione Verbi Sponsa (13.V.1999), il monachesimo può costituire per tutte le forme di vita religiosa e di consacrazione una memoria di ciò che è essenziale e ha il primato in ogni vita battesimale: cercare Cristo e nulla anteporre al suo amore.

La via additata da Dio per questa ricerca e per questo amore è la sua stessa Parola, che nei libri delle Sacre Scritture si offre con dovizia alla riflessione degli uomini. Desiderio di Dio e amore per la sua Parola si alimentano pertanto reciprocamente e generano nella vita monastica l’esigenza insopprimibile dell’opus Dei, dello studium orationis e della lectio divina, che è ascolto della Parola di Dio, accompagnata dalle grandi voci della tradizione dei Padri e dei Santi, e poi preghiera orientata e sostenuta da questa Parola. La recente Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, celebrata a Roma il mese scorso sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, rinnovando l’appello a tutti i cristiani a radicare la loro esistenza nell’ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture, ha invitato specialmente le comunità religiose e ogni uomo e donna consacrati a fare della Parola di Dio il cibo quotidiano, in particolare attraverso la pratica della lectio divina (cfr Elenchus praepositionum n. 4).

Cari fratelli e sorelle, chi entra in monastero vi cerca un’oasi spirituale dove apprendere a vivere da veri discepoli di Gesù in serena e perseverante comunione fraterna, accogliendo pure eventuali ospiti come Cristo stesso (cfr RB 53,1). E’ questa la testimonianza che la Chiesa chiede al monachesimo anche in questo nostro tempo. Invochiamo Maria, la Madre del Signore, la “donna dell’ascolto”, che nulla antepose all’amore del Figlio di Dio da lei nato, perché aiuti le comunità di vita consacrata e specialmente quelle monastiche ed essere fedeli alla loro vocazione e missione. Possano i monasteri essere sempre più oasi di vita ascetica, dove si avverte il fascino dell’unione sponsale con Cristo e dove la scelta dell’Assoluto di Dio è avvolta da un costante clima di silenzio e di contemplazione. Mentre per questo assicuro la mia preghiera, di cuore imparto la Benedizione Apostolica a tutti voi che partecipate alla Plenaria, a quanti operano nel vostro Dicastero e ai membri dei vari Istituti di vita consacrata, specialmente a quelli di vita integralmente contemplativa. Il Signore effonda su ciascuno l’abbondanza delle sue consolazioni.

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