6 mesi fa
domenica 30 maggio 2010
Il Papa: Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce
ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA
LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 30.05.2010
Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:
PRIMA DELL’ANGELUS
Cari fratelli e sorelle!
Dopo il tempo pasquale, concluso domenica scorsa con la Pentecoste, la Liturgia è ritornata al "tempo ordinario". Ciò non vuol dire però che l’impegno dei cristiani debba diminuire, anzi, entrati nella vita divina mediante i Sacramenti, siamo chiamati quotidianamente ad essere aperti all’azione della Grazia, per progredire nell’amore verso Dio e il prossimo.
L’odierna domenica della Santissima Trinità, in un certo senso, ricapitola la rivelazione di Dio avvenuta nei misteri pasquali: morte e risurrezione di Cristo, sua ascensione alla destra del Padre ed effusione dello Spirito Santo.
La mente e il linguaggio umani sono inadeguati a spiegare la relazione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e tuttavia i Padri della Chiesa hanno cercato di illustrare il mistero di Dio Uno e Trino vivendolo nella propria esistenza con profonda fede.
La Trinità divina, infatti, prende dimora in noi nel giorno del Battesimo: "Io ti battezzo – dice il ministro – nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".
Il nome di Dio, nel quale siamo stati battezzati, noi lo ricordiamo ogni volta che tracciamo su noi stessi il segno della croce. Il teologo Romano Guardini, a proposito del segno della croce, osserva: "lo facciamo prima della preghiera, affinché … ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera, affinché rimanga in noi quello che Dio ci ha donato … Esso abbraccia tutto l’essere, corpo e anima, … e tutto diviene consacrato nel nome del Dio uno e trino" (Lo spirito della liturgia. I santi segni, Brescia 2000, 125-126).
Nel segno della croce e nel nome del Dio vivente è, perciò, contenuto l’annuncio che genera la fede e ispira la preghiera. E, come nel vangelo Gesù promette agli Apostoli che "quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità" (Gv 16,13), così avviene nella liturgia domenicale, quando i sacerdoti dispensano, di settimana in settimana, il pane della Parola e dell’Eucaristia. Anche il santo Curato d’Ars lo ricordava ai suoi fedeli: "Chi ha accolto la vostra anima – diceva – al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? … sempre il sacerdote" (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).
Cari amici, facciamo nostra la preghiera di sant’Ilario di Poitiers: "Conserva incontaminata questa fede retta che è in me e, fino al mio ultimo respiro, dammi ugualmente questa voce della mia coscienza, affinché io resti sempre fedele a ciò che ho professato nella mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo" (De Trinitate, XII, 57, CCL 62/A, 627). Invocando la Beata Vergine Maria, prima creatura pienamente inabitata dalla Santissima Trinità, domandiamo la sua protezione per proseguire bene il nostro pellegrinaggio terreno.
DOPO L’ANGELUS
Stamani, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, è stata celebrata la beatificazione di Maria Pierina De Micheli, Religiosa dell’Istituto delle Figlie dell’Immacolata Concezione di Buenos Aires. Giuseppina – questo il suo nome di Battesimo – nacque nel 1890 a Milano, in una famiglia profondamente religiosa, dove fiorirono diverse vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. A 23 anni anche lei imboccò questa strada dedicandosi con passione al servizio educativo, in Argentina e in Italia. Il Signore le donò una straordinaria devozione al suo Santo Volto, che la sostenne sempre nelle prove e nella malattia. Morì nel 1945 e le sue spoglie riposano a Roma nell’Istituto "Spirito Santo".
Je salue cordialement les pèlerins francophones ! La Solennité de la Sainte Trinité nous rappelle que Dieu est Amour et qu’il nous appelle à une vie de communion avec Lui et entre nous. Puisse la Vierge Marie vous aider à contempler le mystère de la grandeur et de la beauté de notre Dieu et à reconnaître sa présence dans le prochain. Je recommande aussi à votre prière la Visite Apostolique que j’effectuerai très prochainement à Chypre. Bon dimanche à tous !
On this Trinity Sunday, I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Angelus. This week I am making an Apostolic Journey to Cyprus, to meet and pray with the Catholic and Orthodox faithful there and to consign the Instrumentum Laboris for the upcoming Special Assembly of the Synod of Bishops on the Middle East. I ask for your prayers for the peace and prosperity of all the people of Cyprus, as well as for the preparations for the Special Assembly. Upon each of you and your loved ones at home, I invoke the blessings of the most holy Trinity.
Gerne heiße ich am heutigen Dreifaltigkeitssonntag alle Pilger und Gäste aus den Ländern deutscher Sprache willkommen. Der Kern unseres christlichen Glaubens ist das Geheimnis der heiligsten Dreifaltigkeit. Gott offenbart sich als Vater, Sohn und Heiliger Geist, der alles erschaffen hat, erlöst und heiligt. Durch die Taufe auf den Namen des dreieinigen Gottes erhalten wir Anteil am Leben der göttlichen Dreifaltigkeit. Wir wollen dieser Gemeinschaft mit Gott stets treu bleiben und mithelfen, sein Reich der Gerechtigkeit, der Liebe und des Friedens aufzubauen. Von Herzen segne ich euch alle.
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los fieles de la Parroquia de Nuestra Señora de la Asunción, de Cieza. En la solemnidad de la Santísima Trinidad, os invito a bendecir, alabar y glorificar a Dios Padre, a su Hijo unigénito y al Espíritu Santo, por el inefable misterio de vida y comunión entre las Tres Personas Divinas, de única naturaleza e iguales en su dignidad. Que María Santísima sostenga y acompañe con su intercesión a la Iglesia, que vive para invocar el Santo Nombre de Dios, uno y trino. Feliz Domingo.
Pozdrawiam serdecznie Polaków. Szczególną modlitwą ogarniam wszystkich powodzian. Nasze trudne sprawy zawierzamy dzisiaj Trójcy Świętej. Niech Maryja, nasza Orędowniczka pomoże nam odczytać zamysły Bożej Opatrzności. Pamiętajmy słowa z Księgi Hioba: „Dobro przyjęliśmy z ręki Boga. Czemu zła przyjąć nie możemy?" (Hi 2,10). Wszystko jest objęte Bożym planem zbawienia. Niech Bóg w Trójcy Świętej umocni was i wam błogosławi.
[Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Sono vicino con una speciale preghiera alle persone colpite dall’alluvione. Oggi affidiamo alla Santissima Trinità le nostre difficoltà. Maria che intercede per noi ci aiuti a leggere i disegni della Provvidenza di Dio. Teniamo presenti le parole del libro di Giobbe: "Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare anche il male?" (Gb 2,10). Tutto è racchiuso nel piano divino della salvezza. Vi benedica e vi conforti Dio Uno e Trino.]
Infine, rivolgo con affetto il mio saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare al folto gruppo venuto da Pordenone per onorare la memoria del Cardinale Celso Costantini, del quale è stato presentato due giorni fa a Roma il volume del Diario, dal titolo Ai margini della guerra (1938-1947). Questa pubblicazione è di grande interesse storico. Il Cardinale Costantini, molto legato al Papa Pio XII, la scrisse quando era Segretario della Congregazione di Propaganda Fide. Il suo Diario testimonia l’immensa opera compiuta dalla Santa Sede in quegli anni drammatici per favorire la pace e soccorrere tutti i bisognosi. Saluto, inoltre, il Movimento dell’Amore Familiare che ha promosso alcuni incontri sulle radici cristiane della famiglia e della società, i fedeli provenienti da Sardagna di Trento, quelli di Lallio insieme con i loro amici tedeschi di Schöngeising, la Fondazione "Gigi Ghirotti" per i malati di tumore, l’Associazione Carabinieri da Firenze, i gruppi di ragazzi che hanno ricevuto la Cresima e le varie scolaresche. A tutti auguro una buona domenica.
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sabato 29 maggio 2010
Il Papa: Padre Ricci è un caso singolare di felice sintesi fra l’annuncio del Vangelo e il dialogo con la cultura del popolo a cui lo si porta
SPECIALE: LA LETTERA DEL PAPA ALLA CHIESA CINESE
IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV
Vedi anche:
Il Papa: "Profonda stima per il nobile popolo cinese"
Il Papa: Matteo Ricci ha portato il Vangelo in Cina e di conseguenza il dialogo fra le culture (AsiaNews)
Il Papa celebra padre Matteo Ricci, nel quarto centenario della morte: il suo esempio stimoli un nuovo dialogo tra Vangelo e cultura cinese
UDIENZA AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO PROMOSSO DALLA DIOCESI DI MACERATA-TOLENTINO-RECANATI-CINGOLI-TREIA E DALLE DIOCESI DELLE MARCHE, IN OCCASIONE DEL IV CENTENARIO DI PADRE MATTEO RICCI, 29.05.2010
Alle ore 12.15 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Pellegrinaggio promosso dalla Diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, e dalle Diocesi delle Marche, in occasione del IV Centenario di Padre Matteo Ricci.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
distinte Autorità,
cari fratelli e sorelle,
sono lieto di incontrarvi per ricordare il IV Centenario della morte di Padre Matteo Ricci, s.j. Saluto fraternamente il Vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, Mons. Claudio Giuliodori, che guida questo numeroso pellegrinaggio. Con lui saluto i Confratelli della Conferenza Episcopale marchigiana e le rispettive Diocesi, le Autorità civili, militari e accademiche; i sacerdoti, i seminaristi e gli studenti, ed anche i Pueri Cantores. Macerata è fiera di un cittadino, un religioso e un sacerdote così illustre! Saluto i Membri della Compagnia di Gesù, di cui fece parte P. Ricci, in particolare il Preposito Generale, P. Adolfo Nicolás, i loro amici e collaboratori e le istituzioni educative a loro legate. Un pensiero anche a tutti i Cinesi. 你 們 好! [Salve!]
L’11 maggio del 1610, a Pechino, terminava la vita terrena di questo grande missionario, vero protagonista dell’annuncio del Vangelo in Cina nell’era moderna dopo la prima evangelizzazione dell’Arcivescovo Giovanni da Montecorvino. Di quale stima fosse circondato nella capitale cinese e nella stessa corte imperiale ne è segno il privilegio straordinario che gli fu concesso, impensabile per uno straniero, di essere sepolto in terra cinese.
Anche oggi è possibile venerare la sua tomba a Pechino, opportunamente restaurata dalle Autorità locali. Le molteplici iniziative promosse in Europa e in Cina per onorare P. Ricci, mostrano il vivo interesse che la sua opera continua a riscuotere nella Chiesa e in ambienti culturali diversi.
La storia delle missioni cattoliche comprende figure di grande statura per lo zelo e il coraggio di portare Cristo in terre nuove e lontane, ma P. Ricci è un caso singolare di felice sintesi fra l’annuncio del Vangelo e il dialogo con la cultura del popolo a cui lo si porta, un esempio di equilibrio tra chiarezza dottrinale e prudente azione pastorale.
Non solo l’apprendimento profondo della lingua, ma anche l’assunzione dello stile di vita e degli usi delle classi colte cinesi, frutto di studio e di esercizio paziente e lungimirante, fecero sì che P. Ricci venisse accettato dai cinesi con rispetto e stima, non più come uno straniero, ma come il "Maestro del grande Occidente". Nel "Museo del Millennio" di Pechino solo due stranieri sono ricordati fra i grandi della storia della Cina: Marco Polo e P. Matteo Ricci.
L’opera di questo missionario presenta due versanti che non devono essere separati: l’inculturazione cinese dell’annuncio evangelico e la presentazione alla Cina della cultura e della scienza occidentali. Spesso gli aspetti scientifici hanno riscosso maggiore interesse, ma non bisogna dimenticare la prospettiva con cui P. Ricci è entrato in rapporto con il mondo e la cultura cinesi: un umanesimo che considera la persona inserita nel suo contesto, ne coltiva i valori morali e spirituali, cogliendo tutto ciò che di positivo si trova nella tradizione cinese e offrendo di arricchirlo con il contributo della cultura occidentale ma, soprattutto, con la sapienza e la verità di Cristo. P. Ricci non si reca in Cina per portarvi la scienza e la cultura dell’Occidente, ma per portarvi il Vangelo, per far conoscere Dio. Egli scrive: "Per più di vent’anni ogni mattina e ogni sera ho pregato in lacrime verso il Cielo. So che il Signore del Cielo ha pietà delle creature viventi e le perdona (…) La verità sul Signore del Cielo è già nei cuori degli uomini. Ma gli esseri umani non la comprendono immediatamente e, inoltre, non sono inclini a riflettere su una simile questione" (Il vero significato del "Signore del Cielo", Roma 2006, pp.69-70). Ed è proprio mentre porta il Vangelo, che P. Ricci trova nei suoi interlocutori la domanda di un confronto più ampio, così che l’incontro motivato dalla fede, diventa anche dialogo fra culture; un dialogo disinteressato, libero da mire di potere economico o politico, vissuto nell’amicizia, che fa dell’opera di P. Ricci e dei suoi discepoli uno dei punti più alti e felici nel rapporto fra la Cina e l’Occidente. Al riguardo, il "Trattato dell’amicizia" (1595), una delle sue prime e più note opere in cinese, è eloquente.
Nel pensiero e nell’insegnamento di P. Ricci scienza, ragione e fede trovano una naturale sintesi: "Chi conosce il cielo e la terra - scrive nella prefazione alla terza edizione del mappamondo - può provare che Colui che governa il cielo e la terra è assolutamente buono, assolutamente grande e assolutamente uno. Gli ignoranti rigettano il Cielo, ma la scienza che non risale all’Imperatore del Cielo come alla prima causa, non è per niente scienza".
L’ammirazione verso P. Ricci non deve, però, far dimenticare il ruolo e l’influsso dei suoi interlocutori cinesi. Le scelte da lui compiute non dipendevano da una strategia astratta di inculturazione della fede, ma dall’insieme degli eventi, degli incontri e delle esperienze che andava facendo, per cui ciò che ha potuto realizzare è stato grazie anche all’incontro con i cinesi; un incontro vissuto in molti modi, ma approfonditosi attraverso il rapporto con alcuni amici e discepoli, specie i quattro celebri convertiti, "pilastri della nascente Chiesa cinese". Di questi il primo e più famoso è Xu Guangqi, nativo di Shanghai, letterato e scienziato, matematico, astronomo, studioso di agricoltura, giunto ai più alti gradi della burocrazia imperiale, uomo integro, di grande fede e vita cristiana, dedito al servizio del suo Paese, e che occupa un posto di rilievo nella storia della cultura cinese. E’ lui, ad esempio, a convincere e aiutare P. Ricci a tradurre in cinese gli "Elementi" di Euclide, opera fondamentale della geometria, o ad ottenere che l’Imperatore affidasse agli astronomi gesuiti la riforma del calendario cinese. Come è un altro degli studiosi cinesi convertiti al Cristianesimo – Li Zhizao - ad aiutare P. Ricci nella realizzazione delle ultime e più sviluppate edizioni del mappamondo, che avrebbe dato ai cinesi una nuova immagine del mondo. Egli descriveva P. Ricci con queste parole: "Io l’ho creduto un uomo singolare perché vive nel celibato, non briga le cariche, parla poco, ha una condotta regolata e questo tutti i giorni, coltiva la virtù di nascosto e serve Dio continuamente". E’ giusto dunque associare a P. Matteo Ricci anche i suoi grandi amici cinesi, che con lui condivisero l’esperienza di fede.
Cari fratelli e sorelle, il ricordo di questi uomini di Dio dediti al Vangelo e alla Chiesa, il loro esempio di fedeltà a Cristo, il profondo amore verso il popolo cinese, l’impegno di intelligenza e di studio, la loro vita virtuosa, siano occasione di preghiera per la Chiesa in Cina e per l’intero popolo cinese, come facciamo ogni anno, il 24 maggio, rivolgendoci a Maria Santissima, venerata nel celebre Santuario di Sheshan a Shanghai; e siano anche di stimolo ed incoraggiamento a vivere con intensità la fede cristiana, nel dialogo con le diverse culture, ma nella certezza che in Cristo si realizza il vero umanesimo, aperto a Dio, ricco di valori morali e spirituali e capace di rispondere ai desideri più profondi dell’animo umano.
Anch’io, come P. Matteo Ricci, esprimo oggi la mia profonda stima al nobile popolo cinese e alla sua cultura millenaria, convinto che un loro rinnovato incontro con il Cristianesimo apporterà frutti abbondanti di bene, come allora favorì una pacifica convivenza tra i popoli. Grazie.
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venerdì 28 maggio 2010
Il Papa: Protagonisti del loro destino, gli abitanti del Benin sono invitati a promuovere un'autentica fratellanza
LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DEL BENIN PRESSO LA SANTA SEDE, 28.05.2010
Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Sig. Comlanvi Théodore Loko, Ambasciatore del Benin presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Sig. Comlanvi Théodore Loko:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Questa la traduzione del discorso del Papa all'ambasciatore.
Signor Ambasciatore,
È con piacere che la ricevo all'inizio della sua missione presso la Santa Sede e la ringrazio per le cortesi parole che mi ha appena rivolto. Le sarei grato se potesse trasmettere in cambio a Sua Eccellenza il Signor Thomas Boni Yayi, la cui visita non dimentico, i voti che formulo per la sua persona e per il compimento della sua alta missione al servizio del popolo del Benin. Lo ringrazi anche per aver voluto che il Benin avesse un Ambasciatore presso la Santa Sede residente a Roma. Apprezzo questo gesto che sottolinea le eccellenti relazioni che esistono fra la Repubblica del Benin e la Santa Sede e la grande considerazione in cui il suo popolo tiene la Chiesa Cattolica. I miei voti vanno anche al Governo e alle altre Autorità del suo Paese e a tutti i suoi abitanti.
Nel suo discorso lei ha ricordato il compianto Cardinale Bernardin Gantin. Scomparso già da due anni, questo importante uomo di Chiesa non è stato solo un nobile figlio della sua nazione, ma anche un autentico costruttore di ponti fra le culture e fra i continenti. Sono certo che la sua figura sarà un esempio per molti abitanti del Benin, in particolare per i più giovani. Il suo ministero ecclesiale stimolerà gli uomini e le donne di Chiesa a svolgere un servizio generoso e sempre più competente per il bene più grande del suo amato Paese, che il prossimo anno festeggerà il centocinquentesimo anniversario della sua evangelizzazione.
Venti anni fa, nel febbraio 1990, si riuniva la Conferenza delle Forze vive della Nazione. Questo importante evento - che non era solo politico, ma che testimoniava anche la relazione intima fra la fede e la sua espressione nella vita pubblica del Benin - ha determinato il vostro futuro e continua a ispirare il vostro presente. Chiedo a Dio di benedire gli sforzi di tutti coloro che lavorano all'edificazione di una società fondata sulla giustizia e sulla pace, nel riconoscimento dei diritti di tutte le componenti della nazione. Per la realizzazione di un simile ideale occorrono unione fraterna, amore per la giustizia e valorizzazione del lavoro.
Protagonisti del loro destino, gli abitanti del Benin sono invitati a promuovere un'autentica fratellanza. Quest'ultima è una condizione fondamentale per la pace sociale e un fattore di promozione umana integrale. È una perla preziosa che bisogna saper conservare e coltivare bandendo le divisioni che possono costituire una minaccia per l'unità della nazione e per l'armonia all'interno stesso delle famiglie. Dinanzi a tali possibili fattori di destabilizzazione, i valori attinti dal vostro patrimonio culturale saranno un aiuto prezioso per affermare la loro identità e la loro vocazione. Fra questi valori, vorrei sottolineare in particolare il rispetto del carattere sacro della vita, di cui è necessario tener conto dinanzi a tutto ciò che lo minaccia, in particolare nell'ambito delle legislazioni. Espressione concreta dell'uguale dignità di tutti i cittadini, la fratellanza è un principio fondamentale e una virtù basilare per costruire una società realmente sviluppata, poiché permette di valorizzare tutte le potenzialità umane e spirituali. La fratellanza deve anche condurre alla ricerca della giustizia, la cui assenza è sempre causa di tensioni sociali e comporta numerose conseguenze nefaste. "La pace è in pericolo quando all'uomo non è riconosciuto ciò che gli è dovuto in quanto uomo, quando non viene rispettata la sua dignità e quando la convivenza non è orientata verso il bene comune" (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 494).
La ricerca dell'interesse personale a detrimento del bene comune è un male che corrode lentamente le istituzioni, frenando così lo sviluppo integrale dell'essere umano. Gli attori politici, economici e sociali di una nazione sono la sua "coscienza che vigila", che garantisce la trasparenza nelle sue strutture e l'etica che anima la vita di ogni società. Essi devono essere giusti. La giustizia accompagna sempre la fratellanza. Costituisce un fattore di efficacia e di equilibrio sociale che permette agli abitanti del Benin di prendere parte alle risorse umane e naturali, di vivere degnamente e di assicurare il futuro dei propri figli.
Nello sviluppo di una società, il lavoro occupa un posto di prim'ordine. In effetti, è coesistenziale alla condizione umana (cfr. Ibidem, n. 256), poiché l'essere umano si realizza pienamente attraverso il lavoro. L'amore per il lavoro lo nobilita e crea una vera simbiosi fra le persone, come pure fra l'essere umano e gli altri elementi del creato. Valorizzando il lavoro, l'uomo può provvedere ai suoi bisogni vitali e può contribuire alla costruzione di una società prospera, giusta e fraterna. Il motto del Benin Fraternità - Giustizia - Lavoro, è dunque un vero compendio della carta di una nazione dagli alti ideali umani. La loro attuazione contribuisce anche ad estendere la solidarietà alle altre nazioni. A tale proposito, desidero porgere il mio ringraziamento a tutti gli abitanti del Benin per la fraternità attiva che hanno dimostrato per il popolo haitiano in occasione del recente terremoto.
Desidero salutare calorosamente, per mezzo di lei, la comunità cattolica del Benin e i suoi pastori. Li incoraggio a essere sempre più testimoni autentici della fede e dell'amore fraterno che Cristo ci insegna. Vorrei anche rendere omaggio agli sforzi di tutti, in particolare delle Autorità, per consolidare le relazioni di rispetto e di stima reciproche fra le confessioni religiose del vostro Paese. La libertà religiosa non può che contribuire ad arricchire la democrazia e a favorire lo sviluppo.
Nel momento in cui inizia la sua funzione di primo Capo Missione del Benin residente a Roma, accreditato presso la Santa Sede, formulo per lei, signor Ambasciatore, i miei voti migliori, assicurandola della piena disponibilità dei miei collaboratori a fornirle tutto l'aiuto di cui potrà aver bisogno nello svolgimento della sua funzione. Chiedo a Dio di sostenere il popolo del Benin e, di cuore, imparto la Benedizione Apostolica a lei, a suoi collaboratori e ai suoi familiari.
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(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2010)
I diritti fondamentali della persona possono essere il punto focale dell'impegno di corresponsabilità delle istituzioni nazionali e internazionali
UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, 28.05.2010
Alle ore 12.15 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti sul tema: "Pastorale della mobilità umana oggi, nel contesto della corresponsabilità degli Stati e degli Organismi Internazionali".
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!
Con grande gioia vi accolgo in occasione della Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Saluto il Presidente del Dicastero, Mons. Antonio Maria Vegliò, che ringrazio per le parole di lieta cordialità, il Segretario, i Membri, i Consultori e gli Officiali. A tutti rivolgo l'augurio di un proficuo lavoro.
Avete scelto come tema per questa Sessione quello della "Pastorale della mobilità umana oggi, nel contesto della corresponsabilità degli Stati e degli Organismi Internazionali". La circolazione delle persone è da tempo oggetto di convenzioni internazionali, che mirano a garantire la protezione dei diritti umani fondamentali e a combattere la discriminazione, la xenofobia e l’intolleranza. Si tratta di documenti che forniscono principi e tecniche di tutela sovranazionali.
E’ apprezzabile lo sforzo di costruire un sistema di norme condivise che contemplino i diritti e i doveri dello straniero, come pure quelli delle comunità di accoglienza, tenendo conto, in primo luogo, della dignità di ogni persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza (cfr Gen 1,26). Ovviamente, l'acquisizione di diritti va di pari passo con l'accoglienza di doveri. Tutti, infatti, godono di diritti e doveri non arbitrari, perché scaturiscono dalla stessa natura umana, come afferma l'Enciclica Pacem in terris del beato Papa Giovanni XXIII: "ogni essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libera; e quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che sono perciò universali, inviolabili, inalienabili" (n. 5).
La responsabilità degli Stati e degli Organismi Internazionali, pertanto, si esplica specialmente nell'impegno di incidere su questioni che, fatte salve le competenze del legislatore nazionale, coinvolgono l'intera famiglia dei popoli, ed esigono una concertazione tra i Governi e gli Organismi più direttamente interessati. Penso a problematiche quali l'ingresso o l'allontanamento forzato dello straniero, la fruibilità dei beni della natura, della cultura e dell'arte, della scienza e della tecnica, che a tutti deve essere accessibile. Non si deve poi dimenticare l'importante ruolo di mediazione affinché le risoluzioni nazionali e internazionali, che promuovono il bene comune universale, trovino accoglienza presso le istanze locali e si ripercuotano nella vita quotidiana.
In tale contesto, gli ordinamenti a livello nazionale e internazionale che promuovono il bene comune ed il rispetto della persona incoraggiano la speranza e gli sforzi per il raggiungimento di un ordine sociale mondiale basato sulla pace, sulla fraternità e sulla cooperazione di tutti, nonostante la fase critica che le istituzioni internazionali stanno attraversando, impegnate a risolvere le questioni cruciali della sicurezza e dello sviluppo, a beneficio di tutti. È vero che, purtroppo, assistiamo al riemergere di istanze particolaristiche in alcune aree del mondo, ma è pure vero che ci sono latitanze ad assumere responsabilità che dovrebbero essere condivise. Inoltre, non si è ancora spento l'anelito di molti ad abbattere i muri che dividono e a stabilire ampie intese, anche mediante disposizioni legislative e prassi amministrative che favoriscano l’integrazione, il mutuo scambio e l’arricchimento reciproco. In effetti, prospettive di convivenza tra i popoli possono essere offerte tramite linee oculate e concertate per l’accoglienza e l’integrazione, consentendo occasioni di ingresso nella legalità, favorendo il giusto diritto al ricongiungimento familiare, all'asilo e al rifugio, compensando le necessarie misure restrittive e contrastando il deprecabile traffico di persone. Proprio qui le diverse organizzazioni a carattere internazionale, in cooperazione tra di loro e con gli Stati, possono fornire il loro peculiare apporto nel conciliare, con varie modalità, il riconoscimento dei diritti della persona e il principio di sovranità nazionale, con specifico riferimento alle esigenze della sicurezza, dell'ordine pubblico e del controllo delle frontiere.
I diritti fondamentali della persona possono essere il punto focale dell'impegno di corresponsabilità delle istituzioni nazionali e internazionali.
Esso, poi, è strettamente legato all’"apertura alla vita, che è al centro del vero sviluppo", come ho ribadito nell'Enciclica Caritas in veritate (cfr n. 28), dove pure facevo appello agli Stati affinché promuovano politiche in favore della centralità e integrità della famiglia (cfr ibid., n. 44). D'altro canto, è evidente che l’apertura alla vita e i diritti della famiglia devono essere ribaditi nei diversi contesti, poiché "in una società in via di globalizzazione, il bene comune e l'impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell'intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni" (ibid., n. 7). L’avvenire delle nostre società poggia sull'incontro tra i popoli, sul dialogo tra le culture nel rispetto delle identità e delle legittime differenze. In questo scenario la famiglia mantiene il suo ruolo fondamentale. Perciò la Chiesa, con l’annuncio del Vangelo di Cristo in ogni settore dell’esistenza, porta avanti "l'impegno… a favore non solo dell'individuo migrante, ma anche della sua famiglia, luogo e risorsa della cultura della vita e fattore di integrazione di valori", come ho riaffermato nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato dell'anno 2006.
Cari fratelli e sorelle, spetta anche a voi sensibilizzare verso forme di corresponsabilità le Organizzazioni che si dedicano al mondo dei migranti e degli itineranti. Questo settore pastorale è legato a un fenomeno in continua espansione e, quindi, il vostro ruolo dovrà tradursi in risposte concrete di vicinanza e di accompagnamento pastorale delle persone, tenendo conto delle diverse situazioni locali. Su ciascuno di voi invoco la luce dello Spirito Santo e la materna protezione della Madonna, rinnovando il mio ringraziamento per il servizio che rendete alla Chiesa e alla società. L'ispirazione del Beato Giovanni Battista Scalabrini, definito "Padre dei migranti" dal Venerabile Giovanni Paolo II e di cui ricorderemo i 105 anni della nascita al cielo il prossimo 1° giugno, illumini la vostra azione a favore dei migranti e degli itineranti e vi sproni ad una carità sempre più attenta, che testimoni loro l’amore indefettibile di Dio. Da parte mia vi assicuro la preghiera, mentre di cuore vi benedico.
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giovedì 27 maggio 2010
Anche in Italia la presente stagione è marcata da un’incertezza sui valori, evidente nella fatica di tanti adulti a tener fede agli impegni assunti
Altro titolo:
Il Papa alla Cei: "La volontà di promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione non nasconde le ferite da cui la comunità ecclesiale è segnata, per la debolezza e il peccato di alcuni suoi membri. Questa umile e dolorosa ammissione non deve, però, far dimenticare il servizio gratuito e appassionato di tanti credenti, a partire dai sacerdoti"
CHIESA E PEDOFILIA: LA TOLLERANZA ZERO DI PAPA BENEDETTO XVI
IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG
Il testo del saluto del card. Bagnasco al Papa: «Padre Santo, il Popolo di Dio che è in Italia Le vuole bene e si stringe a Lei»
Vedi anche:
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Il Papa: il peccato di alcuni spinga tutti a reimparare la penitenza. Bagnasco: i vescovi appoggiano la linea del Papa ed il popolo è con noi (Izzo)
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Il Papa: è illusorio affrontare la crisi italiana solo sul versante economico (Izzo)
Il Papa: la Chiesa non nasconde le ferite da cui la comunità ecclesiale è segnata, per la debolezza e il peccato di alcuni suoi membri (Ansa)
Il Papa invita i vescovi italiani a non cedere alla sfiducia ma a percorrere con passione l'impegno educativo (Radio Vaticana)
Pedofili, l'invito del Papa: "Ora penitenza e giustizia. Serve un rinnovamento"
Il Papa ai vescovi italiani: non perdere mai la fiducia nei giovani
UDIENZA ALL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.), 27.05.2010
Alle ore 11 di questa mattina, nell’Aula del Sinodo, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato i Membri dell’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (C.E.I.) e ha loro rivolto il discorso che riportiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Venerati e cari Fratelli,
nel Vangelo proclamato domenica scorsa, Solennità di Pentecoste, Gesù ci ha promesso: "Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv 14, 26).
Lo Spirito Santo guida la Chiesa nel mondo e nella storia. Grazie a questo dono del Risorto, il Signore resta presente nello scorrere degli eventi; è nello Spirito che possiamo riconoscere in Cristo il senso delle vicende umane.
Lo Spirito Santo ci fa Chiesa, comunione e comunità incessantemente convocata, rinnovata e rilanciata verso il compimento del Regno di Dio. È nella comunione ecclesiale la radice e la ragione fondamentale del vostro convenire e del mio essere ancora una volta con voi, con gioia, in occasione di questo appuntamento annuale; è la prospettiva con la quale vi esorto ad affrontare i temi del vostro lavoro, nel quale siete chiamati a riflettere sulla vita e sul rinnovamento dell’azione pastorale della Chiesa in Italia.
Sono grato al Cardinale Angelo Bagnasco per le cortesi e intense parole che mi ha rivolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: il Papa sa di poter contare sempre sui Vescovi italiani. In voi saluto le comunità diocesane affidate alle vostre cure, mentre estendo il mio pensiero e la mia vicinanza spirituale all’intero popolo italiano.
Corroborati dallo Spirito, in continuità con il cammino indicato dal Concilio Vaticano II, e in particolare con gli orientamenti pastorali del decennio appena concluso, avete scelto di assumere l’educazione quale tema portante per i prossimi dieci anni. Tale orizzonte temporale è proporzionato alla radicalità e all’ampiezza della domanda educativa. E mi sembra necessario andare fino alle radici profonde di questa emergenza per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida. Io ne vedo soprattutto due.
Una radice essenziale consiste - mi sembra - in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’"io" diventa se stesso solo dal "tu" e dal "voi", è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il "tu" e con il "noi" apre l’"io" a se stesso.
Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo "tu" e "noi" nel quale si apre l’"io" a se stesso. Quindi un primo punto mi sembra questo: superare questa falsa idea di autonomia dell’uomo, come un "io" completo in se stesso, mentre diventa "io" anche nell’incontro collettivo con il "tu" e con il "noi".
L’altra radice dell’emergenza educativa io la vedo nello scetticismo e nel relativismo o, con parole più semplici e chiare, nell’esclusione delle due fonti che orientano il cammino umano. La prima fonte dovrebbe essere la natura secondo la Rivelazione. Ma la natura viene considerata oggi come una cosa puramente meccanica, quindi che non contiene in sé alcun imperativo morale, alcun orientamento valoriale: è una cosa puramente meccanica, e quindi non viene alcun orientamento dall’essere stesso. La Rivelazione viene considerata o come un momento dello sviluppo storico, quindi relativo come tutto lo sviluppo storico e culturale, o - si dice - forse c’è rivelazione, ma non comprende contenuti, solo motivazioni. E se tacciono queste due fonti, la natura e la Rivelazione, anche la terza fonte, la storia, non parla più, perché anche la storia diventa solo un agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro. Fondamentale è quindi ritrovare un concetto vero della natura come creazione di Dio che parla a noi; il Creatore, tramite il libro della creazione, parla a noi e ci mostra i valori veri. E poi così anche ritrovare la Rivelazione: riconoscere che il libro della creazione, nel quale Dio ci dà gli orientamenti fondamentali, è decifrato nella Rivelazione, è applicato e fatto proprio nella storia culturale e religiosa, non senza errori, ma in una maniera sostanzialmente valida, sempre di nuovo da sviluppare e da purificare. Così, in questo "concerto" – per così dire – tra creazione decifrata nella Rivelazione, concretizzata nella storia culturale che sempre va avanti e nella quale noi ritroviamo sempre più il linguaggio di Dio, si aprono anche le indicazioni per un’educazione che non è imposizione, ma realmente apertura dell’"io" al "tu", al "noi" e al "Tu" di Dio.
Quindi le difficoltà sono grandi: ritrovare le fonti, il linguaggio delle fonti, ma, pur consapevoli del peso di queste difficoltà, non possiamo cedere alla sfiducia e alla rassegnazione. Educare non è mai stato facile, ma non dobbiamo arrenderci: verremmo meno al mandato che il Signore stesso ci ha affidato, chiamandoci a pascere con amore il suo gregge. Risvegliamo piuttosto nelle nostre comunità quella passione educativa, che è una passione dell’"io" per il "tu", per il "noi", per Dio, e che non si risolve in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi aridi. Educare è formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio.
I giovani portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. È desiderio di un futuro, reso meno incerto da una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili.
La nostra risposta è l’annuncio del Dio amico dell’uomo, che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno. La trasmissione della fede è parte irrinunciabile della formazione integrale della persona, perché in Gesù Cristo si realizza il progetto di una vita riuscita: come insegna il Concilio Vaticano II, "chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo" (Gaudium et spes, 41). L’incontro personale con Gesù è la chiave per intuire la rilevanza di Dio nell’esistenza quotidiana, il segreto per spenderla nella carità fraterna, la condizione per rialzarsi sempre dalle cadute e muoversi a costante conversione.
Il compito educativo, che avete assunto come prioritario, valorizza segni e tradizioni, di cui l’Italia è così ricca. Necessita di luoghi credibili: anzitutto la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola, orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, "fontana del villaggio", luogo ed esperienza che inizia alla fede nel tessuto delle relazioni quotidiane. In ognuno di questi ambiti resta decisiva la qualità della testimonianza, via privilegiata della missione ecclesiale. L’accoglienza della proposta cristiana passa, infatti, attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. In un tempo nel quale la grande tradizione del passato rischia di rimanere lettera morta, siamo chiamati ad affiancarci a ciascuno con disponibilità sempre nuova, accompagnandolo nel cammino di scoperta e assimilazione personale della verità. E facendo questo anche noi possiamo riscoprire in modo nuovo le realtà fondamentali.
La volontà di promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione non nasconde le ferite da cui la comunità ecclesiale è segnata, per la debolezza e il peccato di alcuni suoi membri. Questa umile e dolorosa ammissione non deve, però, far dimenticare il servizio gratuito e appassionato di tanti credenti, a partire dai sacerdoti.
L’anno speciale a loro dedicato ha voluto costituire un’opportunità per promuoverne il rinnovamento interiore, quale condizione per un più incisivo impegno evangelico e ministeriale. Nel contempo, ci aiuta anche a riconoscere la testimonianza di santità di quanti – sull’esempio del Curato d’Ars – si spendono senza riserve per educare alla speranza, alla fede e alla carità. In questa luce, ciò che è motivo di scandalo, deve tradursi per noi in richiamo a un "profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia" (Benedetto XVI, Intervista ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010).
Cari Fratelli, vi incoraggio a percorrere senza esitazioni la strada dell’impegno educativo. Lo Spirito Santo vi aiuti a non perdere mai la fiducia nei giovani, vi spinga ad andare loro incontro, vi porti a frequentarne gli ambienti di vita, compreso quello costituito dalle nuove tecnologie di comunicazione, che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione. Non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza. Torniamo, dunque, a proporre ai giovani la misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione: chiamati alla vita consacrata, al sacerdozio, al matrimonio, sappiano rispondere con generosità all’appello del Signore, perché solo così potranno cogliere ciò che è essenziale per ciascuno. La frontiera educativa costituisce il luogo per un’ampia convergenza di intenti: la formazione delle nuove generazioni non può, infatti, che stare a cuore a tutti gli uomini di buona volontà, interpellando la capacità della società intera di assicurare riferimenti affidabili per lo sviluppo armonico delle persone.
Anche in Italia la presente stagione è marcata da un’incertezza sui valori, evidente nella fatica di tanti adulti a tener fede agli impegni assunti: ciò è indice di una crisi culturale e spirituale, altrettanto seria di quella economica. Sarebbe illusorio – questo vorrei sottolinearlo – pensare di contrastare l’una, ignorando l’altra.
Per questa ragione, mentre rinnovo l’appello ai responsabili della cosa pubblica e agli imprenditori a fare quanto è nelle loro possibilità per attutire gli effetti della crisi occupazionale, esorto tutti a riflettere sui presupposti di una vita buona e significativa, che fondano quell’autorevolezza che sola educa e ritorna alle vere fonti dei valori. Alla Chiesa, infatti, sta a cuore il bene comune, che ci impegna a condividere risorse economiche e intellettuali, morali e spirituali, imparando ad affrontare insieme, in un contesto di reciprocità, i problemi e le sfide del Paese. Questa prospettiva, ampiamente sviluppata nel vostro recente documento su Chiesa e Mezzogiorno, troverà ulteriore approfondimento nella prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani, prevista in ottobre a Reggio Calabria, dove, insieme alle forze migliori del laicato cattolico, vi impegnerete a declinare un’agenda di speranza per l’Italia, perché "le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili" (Enc. Deus caritas est, 28). Il vostro ministero, cari Confratelli, e la vivacità delle comunità diocesane alla cui guida siete posti, sono la migliore assicurazione che la Chiesa continuerà responsabilmente ad offrire il suo contributo alla crescita sociale e morale dell’Italia.
Chiamato per grazia ad essere Pastore della Chiesa universale e della splendida Città di Roma, porto costantemente con me le vostre preoccupazioni e le vostre attese, che nei giorni scorsi ho deposto – con quelle dell’intera umanità – ai piedi della Madonna di Fatima.
A Lei va la nostra preghiera: "Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, la tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo! Così sia!" (Fatima, 12 maggio 2010). Di cuore vi ringrazio e vi benedico.
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mercoledì 26 maggio 2010
Benedetto XVI: il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella "regula fidei", nel Credo della Chiesa
ANNO SACERDOTALE (19 GIUGNO 2009-19 GIUGNO 2010): LO SPECIALE DEL BLOG
OMELIE, DISCORSI, MESSAGGI E TESTI DEL SANTO PADRE SUI SACERDOTI E L'ANNO SACERDOTALE
IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV
CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA
Vedi anche:
Il Papa: I sacerdoti devono evitare ogni abuso di autorità e non devono seguire il "carrierismo" (Apcom)
Il Papa: nella Chiesa il potere è servizio, è obbedienza a Cristo (AsiaNews)
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Benedetto XVI all'udienza generale: l'autorità è servizio. Anche il Papa non può fare quello che vuole, ma è custode dell'obbedienza a Cristo (R.V.)
Benedetto XVI: Anche il Papa, punto di riferimento di tutti gli altri pastori, non può fare quanto vuole
Il Papa: il sacerdote guidi il popolo con l'autorità di Dio, non con la propria (Sir)
L’UDIENZA GENERALE, 26.05.2010
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, nell’ambito delle meditazioni sull’Anno Sacerdotale, ha trattato oggi del "munus regendi" del sacerdote, cioè della sua missione di guida.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.
Munus regendi
CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA
Cari fratelli e sorelle,
L’Anno Sacerdotale volge al termine; perciò avevo cominciato nelle ultime catechesi a parlare sui compiti essenziali del sacerdote, cioè: insegnare, santificare e governare. Ho già tenuto due catechesi, una sul ministero della santificazione, i Sacramenti soprattutto, e una su quello dell’insegnamento.
Quindi, mi rimane oggi di parlare sulla missione del sacerdote di governare, di guidare, con l’autorità di Cristo, non con la propria, la porzione del Popolo che Dio gli ha affidato.
Come comprendere nella cultura contemporanea una tale dimensione, che implica il concetto di autorità e ha origine dal mandato stesso del Signore di pascere il suo gregge? Che cos’è realmente, per noi cristiani, l’autorità? Le esperienze culturali, politiche e storiche del recente passato, soprattutto le dittature in Europa dell’Est e dell’Ovest nel XX secolo, hanno reso l’uomo contemporaneo sospettoso nei confronti di questo concetto. Un sospetto che, non di rado, si traduce nel sostenere come necessario l’abbandono di ogni autorità, che non venga esclusivamente dagli uomini e sia ad essi sottoposta, da essi controllata. Ma proprio lo sguardo sui regimi che, nel secolo scorso, seminarono terrore e morte, ricorda con forza che l’autorità, in ogni ambito, quando viene esercitata senza un riferimento al Trascendente, se prescinde dall’Autorità suprema, che è Dio, finisce inevitabilmente per volgersi contro l’uomo. E’ importante allora riconoscere che l’autorità umana non è mai un fine, ma sempre e solo un mezzo e che, necessariamente ed in ogni epoca, il fine è sempre la persona, creata da Dio con la propria intangibile dignità e chiamata a relazionarsi con il proprio Creatore, nel cammino terreno dell’esistenza e nella vita eterna; è un’autorità esercitata nella responsabilità davanti a Dio, al Creatore. Un’autorità così intesa, che abbia come unico scopo servire il vero bene delle persone ed essere trasparenza dell’unico Sommo Bene che è Dio, non solo non è estranea agli uomini, ma, al contrario, è un prezioso aiuto nel cammino verso la piena realizzazione in Cristo, verso la salvezza.
La Chiesa è chiamata e si impegna ad esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo, che dal Padre ha ricevuto ogni potere in Cielo e sulla terra (cfr Mt 28,18).
Attraverso i Pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce il suo gregge: è Lui che lo guida, lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, Pastore supremo delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i Vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, e i sacerdoti, loro più preziosi collaboratori, partecipassero a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana, o, come dice il Concilio, "curando, soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito Santo a vivere secondo il Vangelo la loro propria vocazione, a praticare una carità sincera ed operosa e ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati" (Presbyterorum Ordinis, 6).
Ogni Pastore, quindi, è il tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini: è mediante il nostro ministero – cari sacerdoti – è attraverso di noi che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida.
Sant’Agostino, nel suo Commento al Vangelo di san Giovanni, dice: "Sia dunque impegno d’amore pascere il gregge del Signore" (123,5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore, pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani (cfr S. Agostino, Discorso 340, 1; Discorso 46, 15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i semplici, i peccatori, per manifestare l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr Id., Lettera 95, 1).
Se tale compito pastorale è fondato sul Sacramento, tuttavia la sua efficacia non è indipendente dall’esistenza personale del presbitero. Per essere Pastore secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3,15) occorre un profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo dell’intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una chiara coscienza dell’identità ricevuta nell’Ordinazione Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile. Ciò richiede, anzitutto, la continua e progressiva disponibilità a lasciare che Cristo stesso governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri.
Infatti, nessuno è realmente capace di pascere il gregge di Cristo, se non vive una profonda e reale obbedienza a Cristo e alla Chiesa, e la stessa docilità del Popolo ai suoi sacerdoti dipende dalla docilità dei sacerdoti verso Cristo; per questo alla base del ministero pastorale c’è sempre l’incontro personale e costante con il Signore, la conoscenza profonda di Lui, il conformare la propria volontà alla volontà di Cristo.
Negli ultimi decenni, si è utilizzato spesso l’aggettivo "pastorale" quasi in opposizione al concetto di "gerarchico", così come, nella medesima contrapposizione, è stata interpretata anche l’idea di "comunione". E’ forse questo il punto dove può essere utile una breve osservazione sulla parola "gerarchia", che è la designazione tradizionale della struttura di autorità sacramentale nella Chiesa, ordinata secondo i tre livelli del Sacramento dell’Ordine: episcopato, presbiterato, diaconato. Nell’opinione pubblica prevale, per questa realtà "gerarchia", l’elemento di subordinazione e l’elemento giuridico; perciò a molti l’idea di gerarchia appare in contrasto con la flessibilità e la vitalità del senso pastorale e anche contraria all’umiltà del Vangelo. Ma questo è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall’essere stesso della realtà "gerarchia". L’opinione comune è che "gerarchia" sia sempre qualcosa di legato al dominio e così non corrispondente al vero senso della Chiesa, dell’unità nell’amore di Cristo. Ma, come ho detto, questa è un’interpretazione sbagliata, che ha origine in abusi della storia, ma non risponde al vero significato di quello che è la gerarchia. Cominciamo con la parola. Generalmente, si dice che il significato della parola gerarchia sarebbe "sacro dominio", ma il vero significato non è questo, è "sacra origine", cioè: questa autorità non viene dall’uomo stesso, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento; sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con Cristo. Perciò chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la "gerarchia", non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo: è legato a Lui in comunione con gli altri membri del sacro Ordine, del Sacerdozio.
E anche il Papa - punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa - non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella "regula fidei", nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa.
Gerarchia implica quindi un triplice legame: quello, innanzitutto, con Cristo e l’ordine dato dal Signore alla sua Chiesa; poi il legame con gli altri Pastori nell’unica comunione della Chiesa; e, infine, il legame con i fedeli affidati al singolo, nell’ordine della Chiesa.
Quindi, si capisce che comunione e gerarchia non sono contrarie l’una all’altra, ma si condizionano. Sono insieme una cosa sola (comunione gerarchica). Il Pastore è quindi tale proprio guidando e custodendo il gregge, e talora impedendo che esso si disperda. Al di fuori di una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale, non è comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti. Esso, invece, sostenuto dal vero amore per la salvezza di ciascun fedele, è particolarmente prezioso e necessario anche nel nostro tempo. Se il fine è portare l’annuncio di Cristo e condurre gli uomini all’incontro salvifico con Lui perché abbiano la vita, il compito di guidare si configura come un servizio vissuto in una donazione totale per l’edificazione del gregge nella verità e nella santità, spesso andando controcorrente e ricordando che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr Lumen gentium, 27).
Dove può attingere oggi un sacerdote la forza per tale esercizio del proprio ministero, nella piena fedeltà a Cristo e alla Chiesa, con una dedizione totale al gregge? La risposta è una sola: in Cristo Signore. Il modo di governare di Gesù non è quello del dominio, ma è l’umile ed amoroso servizio della Lavanda dei piedi, e la regalità di Cristo sull’universo non è un trionfo terreno, ma trova il suo culmine sul legno della Croce, che diventa giudizio per il mondo e punto di riferimento per l’esercizio dell’autorità che sia vera espressione della carità pastorale. I santi, e tra essi san Giovanni Maria Vianney, hanno esercitato con amore e dedizione il compito di curare la porzione del Popolo di Dio loro affidata, mostrando anche di essere uomini forti e determinati, con l’unico obiettivo di promuovere il vero bene delle anime, capaci di pagare di persona, fino al martirio, per rimanere fedeli alla verità e alla giustizia del Vangelo.
Cari sacerdoti, «pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri [...], facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,2). Dunque, non abbiate paura di guidare a Cristo ciascuno dei fratelli che Egli vi ha affidati, sicuri che ogni parola ed ogni atteggiamento, se discendono dall’obbedienza alla volontà di Dio, porteranno frutto; sappiate vivere apprezzando i pregi e riconoscendo i limiti della cultura in cui siamo inseriti, con la ferma certezza che l’annuncio del Vangelo è il maggiore servizio che si può fare all’uomo. Non c’è, infatti, bene più grande, in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio, risvegliare la fede, sollevare l’uomo dall’inerzia e dalla disperazione, dare la speranza che Dio è vicino e guida la storia personale e del mondo: questo, in definitiva, è il senso profondo ed ultimo del compito di governare che il Signore ci ha affidato. Si tratta di formare Cristo nei credenti, attraverso quel processo di santificazione che è conversione dei criteri, della scala di valori, degli atteggiamenti, per lasciare che Cristo viva in ogni fedele. San Paolo così riassume la sua azione pastorale: "figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi" (Gal 4,19).
Cari fratelli e sorelle, vorrei invitarvi a pregare per me, Successore di Pietro, che ho uno specifico compito nel governare la Chiesa di Cristo, come pure per tutti i vostri Vescovi e sacerdoti. Pregate perché sappiamo prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del gregge a noi affidato.
A voi, cari sacerdoti, rivolgo il cordiale invito alle Celebrazioni conclusive dell’Anno Sacerdotale, il prossimo 9, 10 e 11 giugno, qui a Roma: mediteremo sulla conversione e sulla missione, sul dono dello Spirito Santo e sul rapporto con Maria Santissima, e rinnoveremo le nostre promesse sacerdotali, sostenuti da tutto il Popolo di Dio. Grazie!
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domenica 23 maggio 2010
Il Papa: La Chiesa vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze
SOLENNITA' DI PENTECOSTE: LO SPECIALE DEL BLOG
Il Papa: "La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane" (Omelia)
REGINA COELI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA
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Il Papa: L'unità della Chiesa segno e strumento per l'umanità (Sir)
Il Papa: senza lo Spirito la Chiesa sarebbe una barca a vela senza vento. Da Benedetto XVI un pensiero alla Cina ed al Movimento per la Vita
Il Papa: l'unità è il biglietto da visita della Chiesa (Sir)
In Piazza San Pietro col Papa per promuovere una cultura del diritto a non abortire (Radio Vaticana)
Il Papa: domani tutta la Chiesa pregherà per la Cina (Izzo)
Il Papa: Non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. La preghiera per la Cina (AsiaNews)
Benedetto XVI: "Bene chi aiuta le donne con gravidanze difficili"
Il Papa: il Concilio e Fatima hanno rinnovatato la Pentecoste nella Chiesa. Poi il saluto al Movimento per la Vita (Izzo)
Benedetto XVI nella Solennità di Pentecoste: lo Spirito Santo unisce la Chiesa nella diversità, Babele impone la cultura dell'unità (Radio Vaticana)
Il Papa: aiutare le donne a portare a termine la gravidanza
LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CAELI, 23.05.2010
Conclusa la Celebrazione Eucaristica nella Basilica Vaticana per la Solennità di Pentecoste, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare il Regina Caeli con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana del tempo pasquale:
PRIMA DEL REGINA CAELI
Cari fratelli e sorelle!
Cinquanta giorni dopo la Pasqua, celebriamo la solennità della Pentecoste, in cui ricordiamo la manifestazione della potenza dello Spirito Santo, il quale – come vento e come fuoco – scese sugli Apostoli radunati nel Cenacolo e li rese capaci di predicare con coraggio il Vangelo a tutte le genti (cfr At 2,1-13). Il mistero della Pentecoste, che giustamente noi identifichiamo con quell’evento, vero "battesimo" della Chiesa, non si esaurisce però in esso.
La Chiesa infatti vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento.
La Pentecoste si rinnova in modo particolare in alcuni momenti forti, a livello sia locale sia universale, sia in piccole assemblee che in grandi convocazioni. I Concili, ad esempio, hanno avuto sessioni gratificate da speciali effusioni dello Spirito Santo, e tra questi vi è certamente il Concilio Ecumenico Vaticano II.
Possiamo ricordare anche il celebre incontro dei movimenti ecclesiali con il Venerabile Giovanni Paolo II, qui in Piazza San Pietro, proprio nella Pentecoste del 1998. Ma la Chiesa conosce innumerevoli "pentecoste" che vivificano le comunità locali: pensiamo alle Liturgie, in particolare a quelle vissute in momenti speciali per la vita della comunità, nelle quali la forza di Dio si è percepita in modo evidente infondendo negli animi gioia ed entusiasmo. Pensiamo a tanti convegni di preghiera, in cui i giovani sentono chiaramente la chiamata di Dio a radicare la loro vita nel suo amore, anche consacrandosi interamente a Lui.
Non c’è dunque Chiesa senza Pentecoste. E vorrei aggiungere: non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. Così è stato all’inizio, nel Cenacolo, dove i discepoli "erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la Madre di Gesù, e ai fratelli di lui" – come ci riferisce il libro degli Atti degli Apostoli (1,14).
E così è sempre, in ogni luogo e in ogni tempo. Ne sono stato testimone anche pochi giorni fa, a Fatima. Che cosa ha vissuto, infatti, quell’immensa moltitudine, nella spianata del Santuario, dove tutti eravamo un cuore solo e un’anima sola, se non una rinnovata Pentecoste? In mezzo a noi c’era Maria, la Madre di Gesù.
E’ questa l’esperienza tipica dei grandi Santuari mariani - Lourdes, Guadalupe, Pompei, Loreto - o anche di quelli più piccoli: dovunque i cristiani si radunano in preghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito.
Cari amici, in questa festa di Pentecoste, anche noi vogliamo essere spiritualmente uniti alla Madre di Cristo e della Chiesa invocando con fede una rinnovata effusione del divino Paraclito. La invochiamo per tutta la Chiesa, in particolare, in quest’Anno Sacerdotale, per tutti i ministri del Vangelo, affinché il messaggio della salvezza sia annunciato a tutte le genti.
DOPO IL REGINA CAELI
Ieri, a Benevento, è stata proclamata Beata Teresa Manganiello, fedele laica, appartenente al Terz’Ordine Francescano. Nata a Montefusco, undicesima figlia di una famiglia di contadini, trascorse una vita semplice e umile, tra le faccende di casa e l’impegno spirituale nella chiesa dei Cappuccini. Come san Francesco d’Assisi cercava di imitare Gesù Cristo offrendo sofferenze e penitenze per riparare i peccati, ed era piena di amore per il prossimo: si prodigava per tutti, specialmente per i poveri e i malati. Sempre sorridente e dolce, a soli 27 anni è partita per il Cielo, dove già il suo cuore abitava. Rendiamo grazie a Dio per questa luminosa testimone del Vangelo!
La memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, ci offre - domani 24 maggio - la possibilità di celebrare la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Mentre i fedeli che sono in Cina pregano affinché l'unità tra di loro e con la Chiesa universale si approfondisca sempre di più, i cattolici nel mondo intero - specialmente quelli che sono di origine cinese - si uniscono a loro nell’orazione e nella carità, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori particolarmente nella solennità odierna.
Je salue cordialement les pèlerins francophones ! En ce jour où l’Église célèbre la Solennité de la Pentecôte, nous nous souvenons que la Vierge Marie était présente avec les Apôtres au Cénacle, participant fidèlement à la prière, dans l’attente de l’Esprit Saint. Don du Ressuscité, l’Esprit vient faire toutes choses nouvelles dans la vie du baptisé et dans la vie du monde. Puissiez-vous vous laisser toujours envahir par sa présence bienfaisante ! Que la Vierge Marie vous y aide ! Bonne fête de la Pentecôte !
I offer a warm welcome to the English-speaking visitors gathered here today. On this Pentecost Sunday let us pray for a fresh outpouring of the Holy Spirit upon the Church. May the Spirit’s gifts of life and holiness confirm our witness to the Risen Lord and fill our hearts with fervent hope in his promises! Upon all of you I cordially invoke Spirit’s abundant gifts of wisdom, joy and peace.
Einen frohen Pfingstgruß richte ich an alle Pilger und Besucher deutscher Sprache und heute besonders an die Teilnehmer der großen Parade von Musikkapellen aus Deutschland und Österreich, die zum fünften Mal hier in Rom stattfindet. Am Pfingsttag in Jerusalem hörten Menschen aus verschiedenen Ländern die Jünger in ihrer eigenen Sprache reden. Was sie hörten, ist die Sprache der Liebe, die vom Heiligen Geist kommt und sich allen erschließt, welche sich der Liebe öffnen. Auch in unserer Zeit schafft dieser Geist der Liebe Einsicht und Verständnis. Er ist der Kirche geschenkt, daß sie ihn weitergebe und fruchtbar mache in den Herzen der Menschen. Der Heilige Geist geleite euch auf euren Wegen!
Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, así como a los que se unen a ella a través de la radio y la televisión. En este día, en el que se celebra la solemnidad de Pentecostés, os invito a rezar de un modo especial por la Iglesia, para que sus miembros, fortalecidos con la gracia del Espíritu Santo, sientan cada día más la alegría de pertenecer a la gran familia de los discípulos de Cristo y, con fe viva, esperanza firme y ardiente caridad, den testimonio en el mundo del Evangelio de la salvación. Feliz domingo a todos.
Щиро вітаю групу салезіянських співробітників, які прибули з України з міста Одеси. Дорогі в Христі, нехай святий Петро завжди підтримує вашу віру, а Пречиста Діва Марія нехай допомагає вашому апостолятові.
[Saluto con affetto il gruppo di Cooperatori Salesiani provenienti da Odessa, in Ucraina. Cari fratelli, san Pietro sostenga sempre la vostra fede e la Vergine Maria vi assista nel vostro apostolato.]
Witam Polaków, uczestników wielkanocnej modlitwy „Regina caeli". „Królowo nieba, wesel się" powtarzamy, bo Chrystus, Twój Syn, zmartwychwstał! Ten, który założył Kościół, zamieszkał między nami. Posyła nam swego Ducha Pocieszyciela. Niech Duch Prawdy umacnia nas i prowadzi Kościół, by wzrastał aż po krańce ziemi. Prośmy dzisiaj, by Maryja, Matka Kościoła pomogła nam jeszcze bardziej otworzyć serca na działanie Bożego Ducha. Z serca wszystkim błogosławię.
[Saluto i Polacchi che partecipano alla preghiera pasquale Regina caeli. "Regina dei cieli, rallegrati", ripetiamo, perché il Cristo, tuo Figlio, è risorto. Colui che ha fondato la Chiesa rimane fra noi. Ci manda il suo Spirito Consolatore. Che lo Spirito della Verità ci rafforzi e conduca la Chiesa nel suo sviluppo fino ai confini del mondo. Chiediamo oggi che Maria, Madre della Chiesa, ci aiuti ad aprire ancora di più i nostri cuori all’azione dello Spirito Divino. Vi benedico di cuore.]
Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i membri del Movimento per la Vita, che promuove la cultura della vita e concretamente aiuta tante giovani donne a portare a termine una gravidanza difficile. Cari amici, con voi ricordo le parole della Beata Teresa di Calcutta: "Quel piccolo bambino, nato e non ancora nato, è stato creato per una grande cosa: amare ed essere amato". Saluto la delegazione del Comune di Vedelago (provincia di Treviso), gli alunni di scuola elementare di Casarano, l’associazione "Il Disegno" di Cesena e gli scout di Cetraro. A tutti auguro una buona festa di Pentecoste, una buona domenica e una buona settimana.
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Il Papa: La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità
SOLENNITA' DI PENTECOSTE: LO SPECIALE DEL BLOG
Il Papa: "La Chiesa vive costantemente della effusione dello Spirito Santo, senza il quale essa esaurirebbe le proprie forze, come una barca a vela a cui venisse a mancare il vento" (Regina Coeli)
Vedi anche:
Il Papa: L'unità della Chiesa segno e strumento per l'umanità (Sir)
Il Papa: senza lo Spirito la Chiesa sarebbe una barca a vela senza vento. Da Benedetto XVI un pensiero alla Cina ed al Movimento per la Vita
Il Papa: l'unità è il biglietto da visita della Chiesa (Sir)
In Piazza San Pietro col Papa per promuovere una cultura del diritto a non abortire (Radio Vaticana)
Il Papa: domani tutta la Chiesa pregherà per la Cina (Izzo)
Il Papa: Non c’è Pentecoste senza la Vergine Maria. La preghiera per la Cina (AsiaNews)
Benedetto XVI: "Bene chi aiuta le donne con gravidanze difficili"
Il Papa: il Concilio e Fatima hanno rinnovatato la Pentecoste nella Chiesa. Poi il saluto al Movimento per la Vita (Izzo)
Benedetto XVI nella Solennità di Pentecoste: lo Spirito Santo unisce la Chiesa nella diversità, Babele impone la cultura dell'unità (Radio Vaticana)
Il Papa: aiutare le donne a portare a termine la gravidanza
Il Papa: la Chiesa sia la casa di tutti, autonoma da ogni Stato e cultura particolare. I dittatori di ogni epoca hanno lasciato terra bruciata (Izzo)
Il Papa: il fuoco dello Spirito infiamma la Chiesa, la terra, gli Stati (AsiaNews)
Il Papa: Il "fuoco" di Dio "arde, ma non distrugge", a differenza delle guerre, delle bombe e dei dittatori
Il Papa: superare le divisioni, l'unità è il biglietto da visita della Chiesa (Apcom)
Il Papa: ci si allontana dallo Spirito se ci si chiude in se stessi. La Chiesa Universale precede le chiese particolari (Izzo)
CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE, 23.05.2010
Alle ore 10 di oggi, Domenica di Pentecoste, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Santa Messa della Solennità.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che pubblichiamo di seguito:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
nella celebrazione solenne della Pentecoste siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero. Facciamo nostra, dunque, e con particolare intensità, l’invocazione della Chiesa stessa: Veni, Sancte Spiritus!
Un’invocazione tanto semplice e immediata, ma insieme straordinariamente profonda, sgorgata prima di tutto dal cuore di Cristo. Lo Spirito, infatti, è il dono che Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i suoi amici; il primo e principale dono che ci ha ottenuto con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo.
Di questa preghiera di Cristo ci parla il brano evangelico odierno, che ha come contesto l’Ultima Cena. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre» (Gv 14,15-16). Qui ci viene svelato il cuore orante di Gesù, il suo cuore filiale e fraterno. Questa preghiera raggiunge il suo vertice e il suo compimento sulla croce, dove l’invocazione di Cristo fa tutt’uno con il dono totale che Egli fa di se stesso, e così il suo pregare diventa per così dire il sigillo stesso del suo donarsi in pienezza per amore del Padre e dell’umanità: invocazione e donazione dello Spirito s’incontrano, si compenetrano, diventano un’unica realtà. «E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre». In realtà, la preghiera di Gesù – quella dell’Ultima Cena e quella sulla croce – è una preghiera che permane anche in Cielo, dove Cristo siede alla destra del Padre. Gesù, infatti, vive sempre il suo sacerdozio d’intercessione a favore del popolo di Dio e dell’umanità e quindi prega per tutti noi chiedendo al Padre il dono dello Spirito Santo.
Il racconto della Pentecoste nel libro degli Atti degli Apostoli – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr At 2,1-11) – presenta il "nuovo corso" dell’opera di Dio iniziato con la risurrezione di Cristo, opera che coinvolge l’uomo, la storia e il cosmo. Dal Figlio di Dio morto e risorto e ritornato al Padre spira ora sull’umanità, con inedita energia, il soffio divino, lo Spirito Santo. E cosa produce questa nuova e potente auto-comunicazione di Dio?
Là dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa. Questo è l’effetto dell’opera di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno di riconoscimento, il "biglietto da visita" della Chiesa nel corso della sua storia universale. Fin dall’inizio, dal giorno di Pentecoste, essa parla tutte le lingue.
La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le Federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare tutte le frontiere umane.
Da questo, cari fratelli, deriva un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana: quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo.
Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso. Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire "tecnica". La Bibbia, infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9) che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione. La Chiesa è per sua natura una e molteplice, destinata com’è a vivere presso tutte le nazioni, tutti i popoli, e nei più diversi contesti sociali. Essa risponde alla sua vocazione, di essere segno e strumento di unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1), solo se rimane autonoma da ogni Stato e da ogni cultura particolare. Sempre e in ogni luogo la Chiesa dev’essere veramente, cattolica e universale, la casa di tutti in cui ciascuno si può ritrovare.
Il racconto degli Atti degli Apostoli ci offre anche un altro spunto molto concreto. L’universalità della Chiesa viene espressa dall’elenco dei popoli, secondo l’antica tradizione: "Siamo Parti, Medi, Elamiti…", eccetera. Si può osservare qui che san Luca va oltre il numero 12, che già esprime sempre un’universalità. Egli guarda oltre gli orizzonti dell’Asia e dell’Africa nord-occidentale, e aggiunge altri tre elementi: i "Romani", cioè il mondo occidentale; i "Giudei e prosèliti", comprendendo in modo nuovo l’unità tra Israele e il mondo; e infine "Cretesi e Arabi", che rappresentano Occidente e Oriente, isole e terra ferma. Questa apertura di orizzonti conferma ulteriormente la novità di Cristo nella dimensione dello spazio umano, della storia delle genti: lo Spirito Santo coinvolge uomini e popoli e, attraverso di essi, supera muri e barriere.
A Pentecoste lo Spirito Santo si manifesta come fuoco. La sua fiamma è discesa sui discepoli riuniti, si è accesa in essi e ha donato loro il nuovo ardore di Dio. Si realizza così ciò che aveva predetto il Signore Gesù: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Gli Apostoli, insieme ai fedeli delle diverse comunità, hanno portato questa fiamma divina fino agli estremi confini della Terra; hanno aperto così una strada per l’umanità, una strada luminosa, e hanno collaborato con Dio che con il suo fuoco vuole rinnovare la faccia della terra.
Com’è diverso questo fuoco da quello delle guerre e delle bombe! Com’è diverso l’incendio di Cristo, propagato dalla Chiesa, rispetto a quelli accesi dai dittatori di ogni epoca, anche del secolo scorso, che lasciano dietro di sé terra bruciata. Il fuoco di Dio, il fuoco dello Spirito Santo, è quello del roveto che divampa senza bruciare (cfr Es 3,2). E’ una fiamma che arde, ma non distrugge; che, anzi, divampando fa emergere la parte migliore e più vera dell’uomo, come in una fusione fa emergere la sua forma interiore, la sua vocazione alla verità e all’amore.
Un Padre della Chiesa, Origene, in una delle sue Omelie su Geremia, riporta un detto attribuito a Gesù, non contenuto nelle Sacre Scritture ma forse autentico, che recita così: «Chi è presso di me è presso il fuoco» (Omelia su Geremia L. I [III]). In Cristo, infatti, abita la pienezza di Dio, che nella Bibbia è paragonato al fuoco.
Abbiamo osservato poco fa che la fiamma dello Spirito Santo arde ma non brucia. E tuttavia essa opera una trasformazione, e perciò deve consumare qualcosa nell’uomo, le scorie che lo corrompono e lo ostacolano nelle sue relazioni con Dio e con il prossimo. Questo effetto del fuoco divino però ci spaventa, abbiamo paura di essere "scottati", preferiremmo rimanere così come siamo. Ciò dipende dal fatto che molte volte la nostra vita è impostata secondo la logica dell’avere, del possedere e non del donarsi. Molte persone credono in Dio e ammirano la figura di Gesù Cristo, ma quando viene chiesto loro di perdere qualcosa di se stessi, allora si tirano indietro, hanno paura delle esigenze della fede.
C’è il timore di dover rinunciare a qualcosa di bello, a cui siamo attaccati; il timore che seguire Cristo ci privi della libertà, di certe esperienze, di una parte di noi stessi. Da un lato vogliamo stare con Gesù, seguirlo da vicino, e dall’altro abbiamo paura delle conseguenze che ciò comporta.
Cari fratelli e sorelle, abbiamo sempre bisogno di sentirci dire dal Signore Gesù quello che spesso ripeteva ai suoi amici: "Non abbiate paura". Come Simon Pietro e gli altri, dobbiamo lasciare che la sua presenza e la sua grazia trasformino il nostro cuore, sempre soggetto alle debolezze umane. Dobbiamo saper riconoscere che perdere qualcosa, anzi, se stessi per il vero Dio, il Dio dell’amore e della vita, è in realtà guadagnare, ritrovarsi più pienamente.
Chi si affida a Gesù sperimenta già in questa vita la pace e la gioia del cuore, che il mondo non può dare, e non può nemmeno togliere una volta che Dio ce le ha donate. Vale dunque la pena di lasciarsi toccare dal fuoco dello Spirito Santo! Il dolore che ci procura è necessario alla nostra trasformazione. E’ la realtà della croce: non per nulla nel linguaggio di Gesù il "fuoco" è soprattutto una rappresentazione del mistero della croce, senza il quale non esiste cristianesimo.
Perciò, illuminati e confortati da queste parole di vita, eleviamo la nostra invocazione: Vieni, Spirito Santo! Accendi in noi il fuoco del tuo amore! Sappiamo che questa è una preghiera audace, con la quale chiediamo di essere toccati dalla fiamma di Dio; ma sappiamo soprattutto che questa fiamma – e solo essa – ha il potere di salvarci. Non vogliamo, per difendere la nostra vita, perdere quella eterna che Dio ci vuole donare. Abbiamo bisogno del fuoco dello Spirito Santo, perché solo l’Amore redime. Amen.
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sabato 22 maggio 2010
La famiglia umana può crescere come società libera di popoli liberi quando la globalizzazione viene guidata dalla solidarietà e dal bene comune
IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG
DISCORSO DEL PAPA ALLA FONDAZIONE CENTESIMUS ANNUS: SERVIZIO DI SKYTG24
UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS-PRO PONTIFICE", 22.05.2010
Alle ore 12.30 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Convegno promosso dalla Fondazione "Centesimus Annus-Pro Pontifice" e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e Sacerdozio,
illustri e cari amici,
sono lieto di salutarvi in occasione del Convegno di studio promosso dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice. Saluto il Cardinale Attilio Nicora, Mons. Claudio Maria Celli e gli altri Presuli e Sacerdoti presenti. Un particolare pensiero al Presidente, Dottor Domingo Sugranyes Bickel, che ringrazio per le cortesi parole, e a voi, cari Consiglieri e Soci della Fondazione, che avete voluto rendermi visita con i vostri familiari.
Ho apprezzato che il vostro incontro ponga al centro della riflessione la relazione tra "sviluppo, progresso, bene comune".
In effetti, oggi più che mai, la famiglia umana può crescere come società libera di popoli liberi quando la globalizzazione viene guidata dalla solidarietà e dal bene comune, come pure dalla relativa giustizia sociale, che trovano nel messaggio di Cristo e della Chiesa una sorgente preziosa.
La crisi e le difficoltà di cui al presente soffrono le relazioni internazionali, gli Stati, la società e l'economia, infatti, sono in larga misura dovute alla carenza di fiducia e di un’adeguata ispirazione solidaristica creativa e dinamica orientata al bene comune, che porti a rapporti autenticamente umani di amicizia, di solidarietà e di reciprocità anche "dentro" l’attività economica. Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo, i quali diversamente si limiterebbero alla sola produzione di beni materiali; essi sono necessari, ma senza l'orientamento al bene comune finiscono per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri; fattori negativi per il progresso e lo sviluppo.
Come rilevavo nell’enciclica Caritas in veritate, uno dei maggiori rischi nel mondo attuale è quello che "all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano" (n. 9). Una tale interazione, ad esempio, appare essere troppo debole presso quei governanti che, a fronte di rinnovati episodi di speculazioni irresponsabili nei confronti dei Paesi più deboli, non reagiscono con adeguate decisioni di governo della finanza. La politica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deve orientare ogni attività.
Senza il punto di riferimento rappresentato dal bene comune universale non si può dire che esista un vero ethos mondiale e la corrispettiva volontà di viverlo, con adeguate istituzioni. È allora decisivo che siano identificati quei beni a cui tutti i popoli debbono accedere in vista del loro compimento umano. E questo non in qualsiasi maniera, ma in una maniera ordinata ed armonica. Infatti, il bene comune è composto da più beni: da beni materiali, cognitivi, istituzionali e da beni morali e spirituali, quest’ultimi superiori a cui i primi vanno subordinati. L’impegno per il bene comune della famiglia dei popoli, come per ogni società, comporta, dunque, il prendersi cura e l’avvalersi di un complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale mondiale, in modo tale che prenda forma di pólis, di città dell’uomo (cfr ibid., 7). Pertanto, si deve assicurare che l’ordine economico-produttivo sia socialmente responsabile e a misura d’uomo, con un’azione congiunta e unitaria su più piani, anche quello internazionale (cfr ibid., 57.67). Parimenti, si dovrà sostenere il consolidamento di sistemi costituzionali, giuridici e amministrativi nei Paesi che non ne godono ancora in modo pieno. Accanto agli aiuti economici, devono esserci, quindi, quelli finalizzati a rafforzare le garanzie proprie dello Stato di diritto, un sistema di ordine pubblico giusto ed efficiente, nel pieno rispetto dei diritti umani, come pure istituzioni veramente democratiche e partecipative (cfr ibid., 41).
Ciò che, però, è fondamentale e prioritario, in vista dello sviluppo dell’intera famiglia dei popoli, è l’adoperarsi per riconoscere la vera scala dei beni-valori. Solo grazie ad una corretta gerarchia dei beni umani è possibile comprendere quale tipo di sviluppo dev’essere promosso. Lo sviluppo integrale dei popoli, obiettivo centrale del bene comune universale, non è dato solo dalla diffusione dell’imprenditorialità (cfr ibidem), dei beni materiali e cognitivi come la casa e l’istruzione, delle scelte disponibili. Esso è dato specialmente dall’incremento di quelle scelte buone che sono possibili quando esista la nozione di un bene umano integrale, quando ci sia un telos, un fine, alla cui luce viene pensato e voluto lo sviluppo. La nozione di sviluppo umano integrale presuppone coordinate precise, quali la sussidiarietà e la solidarietà, nonché l’interdipendenza tra Stato, società e mercato. In una società mondiale, composta da molti popoli e da religioni diverse, il bene comune e lo sviluppo integrale vanno conseguiti con il contributo di tutti. In questo, le religioni sono decisive, specie quando insegnano la fraternità e la pace, perché educano a dare spazio a Dio e ad essere aperti al trascendente, nelle nostre società segnate dalla secolarizzazione. L’esclusione delle religioni dall’ambito pubblico, come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità; la vita della società si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente ed aggressivo (cfr ibid. 56).
Cari amici, la visione cristiana dello sviluppo, del progresso e del bene comune, come emerge nella Dottrina Sociale della Chiesa, risponde alle attese più profonde dell’uomo e il vostro impegno di approfondirla e diffonderla è un valido apporto per edificare la "civiltà dell’amore". Per questo vi esprimo la mia riconoscenza e il mio augurio, e di cuore Vi benedico tutti.
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