giovedì 30 giugno 2011

Il Papa conferisce il "Premio Ratzinger: La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino. L’iniziativa per questo cammino sta presso Dio, che ha posto nel cuore dell’uomo la ricerca del suo Volto. Fa quindi parte della teologia, da un lato l’umiltà che si lascia "toccare" da Dio, dall’altro la disciplina che si lega all’ordine della ragione, che preserva l’amore dalla cecità e che aiuta a sviluppare la sua forza visiva

LA "FONDAZIONE VATICANA JOSEPH RATZINGER - BENEDETTO XVI"

29 GIUGNO 2011: 60° ANNIVERSARIO DELL'ORDINAZIONE PRESBITERALE DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI: SPECIALE

60° ANNIVERSARIO DI ORDINAZIONE SACERDOTALE DI PAPA BENEDETTO: IL VIDEO-OMAGGIO DELLA FONDAZIONE JOSEPH RATZINGER

CONFERIMENTO DEL PREMIO RATZINGER: IL VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

Vedi anche:

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Manlio Simonetti, vincitore del Premio Ratzinger, a «Famiglia Cristiana»: I Padri della Chiesa valgono Omero e Virgilio (Bobbio)

La teologa e il cardinale. Una storia americana. La censura a un libro su Dio non provoca rottura ma dialogo. Una lezione di papa Benedetto su che cos'è "vera" teologia (Magister)

Intervista a Manlio Simonetti, il grande maestro del cristianesimo dei primi secoli, vincitore del Premio Ratzinger. I Padri della Chiesa e il rigore della scienza (Bobbio)

Premiata facoltà teologica “Joseph Ratzinger” (Magister)

«Premio Ratzinger» elogio della vera teologia (Cardinale)

La presentazione del cardinale Camillo Ruini. Tre cultori della teologia vincono il "Premio Ratzinger"

La grande domanda. Le parole di Benedetto XVI oggi alla consegna del ''Premio Ratzinger'' (Sir)

Il Papa consegna il "Premio Ratzinger" (Rome Reports)

Premio Ratzinger: teologia, sfida che spinge a interrogarsi sul volto di Dio (Zenit)

Benedetto XVI mette in guardia la cultura moderna dal "dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo di tutto" (Izzo)

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Il Papa: "Dio non è un oggetto della sperimentazione umana” (AsiaNews)

Il Papa conferisce il "Premio Ratzinger": “Dio non è un oggetto di sperimentazione umana” (Schwibach)

Il Papa consegna il "Premio Ratzinger" ai professori Simonetti, De Cardedal e Heim (Izzo)

“Dio non è un oggetto di sperimentazione umana”: così, il Papa alla consegna del “Premio Ratzinger” a tre studiosi di teologia (Radio Vaticana)

Premio Ratzinger, Mons. Scotti: Il Papa ci insegna a porre la questione di Dio

Il Papa: Se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio (Asca)

Il Papa: L’uomo ha bisogno” della teologia, perché “ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio” (Sir)

Il Papa consegna il "Premio Ratzinger": Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale

Grazie di cuore alla "Fondazione Ratzinger" per la gioia che sta regalando al Papa

CONFERIMENTO DEL "PREMIO RATZINGER", 30.06.2011

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI conferisce per la prima volta il "Premio Ratzinger" istituito dalla "Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI" a tre studiosi di teologia.
I tre premiati sono: il Prof. Manlio Simonetti, italiano, laico, studioso di Letteratura cristiana antica e Patrologia; il Prof. Olegario González de Cardedal, sacerdote spagnolo, docente di Teologia sistematica; il Prof. Maximilian Heim, cistercense, tedesco, Abate del Monastero di Heiligenkreuz in Austria e docente di Teologia fondamentale e dogmatica.
Dopo il saluto di Mons. Giuseppe Antonio Scotti, Presidente della "Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger - Benedetto XVI", la presentazione dei premiati da parte del Card. Camillo Ruini, Presidente del Comitato scientifico della Fondazione e il discorso di ringraziamento da parte del Prof. P. Maximilian Heim, O. Cist., il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Confratelli,
illustri Signori e Signore!


Innanzitutto vorrei esprimere la mia gioia e gratitudine per il fatto che, con la consegna del suo premio teologico, la Fondazione che porta il mio nome dia pubblico riconoscimento all’opera condotta nell’arco di un’intera vita da due grandi teologi, e ad un teologo della generazione più giovane dia un segno di incoraggiamento per progredire sul cammino intrapreso. Con il Professor González de Cardedal mi lega un cammino comune di molti decenni.

Entrambi abbiamo iniziato con san Bonaventura e da lui ci siamo lasciati indicare la direzione. In una lunga vita di studioso, il Professor Gonzalez ha trattato tutti i grandi temi della teologia, e ciò non semplicemente riflettendone o parlandone a tavolino, bensì sempre confrontato al dramma del nostro tempo, vivendo e anche soffrendo in modo del tutto personale le grandi questioni della fede e con ciò le questioni dell’uomo d’oggi.

In tal modo, la parola della fede non è una cosa del passato; nelle sue opere diventa veramente a noi contemporanea. Il Professor Simonetti ci ha aperto in modo nuovo il mondo dei Padri. Proprio mostrandoci, dal punto di vista storico, con precisione e cura ciò che dicono i Padri, essi diventano persone a noi contemporanee, che parlano con noi. Il Padre Maximilian Heim è stato recentemente eletto Abate del monastero di Heiligenkreuz presso Vienna – un monastero ricco di tradizione – assumendo con ciò il compito di rendere attuale una grande storia e di condurla verso il futuro. In questo, spero che il lavoro sulla mia teologia, che egli ci ha donato, possa essergli utile e che l’Abbazia di Heiligenkreuz possa, in questo nostro tempo, sviluppare ulteriormente la teologia monastica, che sempre ha accompagnato quella universitaria, formando con essa l’insieme della teologia occidentale.

Non è, però, mio compito tenere qui una laudatio dei premiati, che è già stata fatta in maniera competente dal Cardinale Ruini.

Forse però la consegna del premio può offrire l’occasione di dedicarci per un momento alla questione fondamentale di che cosa sia veramente "teologia". La teologia è scienza della fede, ci dice la tradizione. Ma qui sorge subito la domanda: è davvero possibile questo? O non è in sé una contraddizione? Scienza non è forse il contrario di fede? Non cessa la fede di essere fede, quando diventa scienza? E non cessa la scienza di essere scienza quando è ordinata o addirittura subordinata alla fede?

Tali questioni, che già per la teologia medievale rappresentavano un serio problema, con il moderno concetto di scienza sono diventate ancora più impellenti, a prima vista addirittura senza soluzione. Si comprende così perché, nell’età moderna, la teologia in vasti ambiti si sia ritirata primariamente nel campo della storia, al fine di dimostrare qui la sua seria scientificità.

Bisogna riconoscere, con gratitudine, che con ciò sono state realizzate opere grandiose, e il messaggio cristiano ha ricevuto nuova luce, capace di renderne visibile l’intima ricchezza. Tuttavia, se la teologia si ritira totalmente nel passato, lascia oggi la fede nel buio. In una seconda fase ci si è poi concentrati sulla prassi, per mostrare come la teologia, in collegamento con la psicologia e la sociologia, sia una scienza utile che dona indicazioni concrete per la vita. Anche questo è importante, ma se il fondamento della teologia, la fede, non diviene contemporaneamente oggetto del pensiero, se la prassi sarebbe riferita solo a se stessa, oppure vive unicamente dei prestiti delle scienze umane, allora la prassi diventa vuota e priva di fondamento.

Queste vie, quindi, non sono sufficienti. Per quanto siano utili ed importanti, esse diventerebbero sotterfugi, se restasse senza risposta la vera domanda. Essa suona: è vero ciò in cui crediamo oppure no? Nella teologia è in gioco la questione circa la verità; essa è il suo fondamento ultimo ed essenziale. Un’espressione di Tertulliano può qui farci fare un passo avanti; egli scrive che Cristo non ha detto: Io sono la consuetudine, ma: Io sono la verità – non consuetudo sed veritas (Virg. 1,1). Christian Gnilka ha mostrato che il concetto consuetudo può significare le religioni pagane che, secondo la loro natura, non erano fede, ma erano "consuetudine": si fa ciò che si è fatto sempre; si osservano le tradizionali forme cultuali e si spera di rimanere così nel giusto rapporto con l’ambito misterioso del divino.

L’aspetto rivoluzionario del cristianesimo nell’antichità fu proprio la rottura con la "consuetudine" per amore della verità. Tertulliano parla qui soprattutto in base al Vangelo di san Giovanni, in cui si trova anche l’altra interpretazione fondamentale della fede cristiana, che s’esprime nella designazione di Cristo come Logos. Se Cristo è il Logos, la verità, l’uomo deve corrispondere a Lui con il suo proprio logos, con la sua ragione. Per arrivare fino a Cristo, egli deve essere sulla via della verità. Deve aprirsi al Logos, alla Ragione creatrice, da cui deriva la sua stessa ragione e a cui essa lo rimanda. Da qui si capisce che la fede cristiana, per la sua stessa natura, deve suscitare la teologia, doveva interrogarsi sulla ragionevolezza della fede, anche se naturalmente il concetto di ragione e quello di scienza abbracciano molte dimensioni, e così la natura concreta del nesso tra fede e ragione doveva e deve sempre nuovamente essere scandagliata.

Per quanto si presenti dunque chiara nel cristianesimo il nesso fondamentale tra Logos, verità e fede – la forma concreta di tale nesso ha suscitato e suscita sempre nuove domande. È chiaro che in questo momento tale domanda, che ha occupato e occuperà tutte le generazioni, non può essere trattata in dettaglio, e neppure a grandi linee. Vorrei tentare soltanto di proporre una piccolissima nota. San Bonaventura, nel prologo al suo Commento alle Sentenze ha parlato di un duplice uso della ragione – di un uso che è inconciliabile con la natura della fede e di uno che invece appartiene proprio alla natura della fede.

Esiste, così si dice, la violentia rationis, il dispotismo della ragione, che si fa giudice supremo e ultimo di tutto. Questo genere di uso della ragione è certamente impossibile nell’ambito della fede. Cosa intende Bonaventura con ciò? Un’espressione dal Salmo 95,9 può mostrarci di che cosa si tratta. Qui Dio dice al suo popolo: "Nel deserto … mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere". Qui si accenna ad un duplice incontro con Dio: essi hanno "visto". Questo però a loro non basta. Essi mettono Dio "alla prova". Vogliono sottoporlo all’esperimento. Egli viene, per così dire, sottoposto ad un interrogatorio e deve sottomettersi ad un procedimento di prova sperimentale. Questa modalità di uso della ragione, nell’età moderna, ha raggiunto il culmine del suo sviluppo nell’ambito delle scienze naturali. La ragione sperimentale appare oggi ampiamente come l’unica forma di razionalità dichiarata scientifica. Ciò che non può essere scientificamente verificato o falsificato cade fuori dell’ambito scientifico. Con questa impostazione sono state realizzate opere grandiose, come sappiamo; che essa sia giusta e necessaria nell’ambito della conoscenza della natura e delle sue leggi nessuno vorrà seriamente porlo in dubbio. Esiste tuttavia un limite a tale uso della ragione: Dio non è un oggetto della sperimentazione umana. Egli è Soggetto e si manifesta soltanto nel rapporto da persona a persona: ciò fa parte dell’essenza della persona.

In questa prospettiva Bonaventura fa cenno ad un secondo uso della ragione, che vale per l’ambito del "personale", per le grandi questioni dello stesso essere uomini. L’amore vuole conoscere meglio colui che ama.

L’amore, l’amore vero, non rende ciechi, ma vedenti. Di esso fa parte proprio la sete di conoscenza, di una vera conoscenza dell’altro. Per questo, i Padri della Chiesa hanno trovato i precursori e gli antesignani del cristianesimo – al di fuori del mondo della rivelazione di Israele – non nell’ambito della religione consuetudinaria, bensì negli uomini in ricerca di Dio, in cerca della verità, nei "filosofi": in persone che erano assetate di verità ed erano quindi sulla strada verso Dio. Quando non c’è questo uso della ragione, allora le grandi questioni dell’umanità cadono fuori dell’ambito della ragione e vengono lasciate all’irrazionalità. Per questo un’autentica teologia è così importante.

La fede retta orienta la ragione ad aprirsi al divino, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio più da vicino. L’iniziativa per questo cammino sta presso Dio, che ha posto nel cuore dell’uomo la ricerca del suo Volto. Fa quindi parte della teologia, da un lato l’umiltà che si lascia "toccare" da Dio, dall’altro la disciplina che si lega all’ordine della ragione, che preserva l’amore dalla cecità e che aiuta a sviluppare la sua forza visiva.

Sono ben consapevole che con tutto ciò non è stata data una risposta alla questione circa la possibilità e il compito della retta teologia, ma è soltanto stata messa in luce la grandezza della sfida insita nella natura della teologia. Tuttavia è proprio di questa sfida che l’uomo ha bisogno, perché essa ci spinge ad aprire la nostra ragione interrogandoci circa la verità stessa, circa il volto di Dio. Perciò siamo grati ai premiati che hanno mostrato nella loro opera che la ragione, camminando sulla pista tracciata dalla fede, non è una ragione alienata, ma è la ragione che risponde alla sua altissima vocazione. Grazie.

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Il Papa agli Arcivescovi Metropoliti: Il Pallio richiama i vescovi alla responsabilità di essere pastori secondo il cuore di Gesù

SOLENNITA' DEI SANTI PIETRO E PAOLO (29 GIUGNO): LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA AGLI ARCIVESCOVI METROPOLITI CHE HANNO RICEVUTO IL PALLIO NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, 30.06.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza gli Arcivescovi Metropoliti ai quali, ieri, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ha imposto il Pallio.
Ai Presuli, accompagnati dai familiari e dai fedeli delle rispettive diocesi, il Papa rivolge il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

Sono ancora vivi nella mente e nel cuore di tutti noi i sentimenti e le emozioni che abbiamo vissuto ieri nella Basilica Vaticana, in occasione della celebrazione della solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, nella quale ho avuto la gioia di imporre il Pallio a voi, Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’ultimo anno. L’odierno incontro, semplice e familiare, mi offre l’opportunità di prolungare il clima di comunione ecclesiale e di rinnovare il mio cordiale saluto a voi, cari Fratelli nell’Episcopato, come pure ai vostri familiari ed alle personalità che hanno voluto partecipare a questo lieto evento. Estendo il mio affettuoso pensiero alle vostre Chiese particolari, che ricordo nella preghiera affinché siano animate da costante slancio apostolico.

Mi rivolgo in primo luogo a voi, cari Pastori di due Diocesi italiane. Saluto Lei, Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, e Lei, Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace. Il Signore vi benedica sempre e vi aiuti, nel vostro quotidiano ministero episcopale, a far crescere le Comunità a voi affidate unite e missionarie, concordi nella carità, ferme nella speranza e ricche del dinamismo della fede.

En cette fête des saints Apôtres Pierre et Paul, je suis heureux d’accueillir les pèlerins de langue française venus à Rome à l’occasion de la remise du Pallium aux nouveaux Archevêques métropolitains. J’adresse mes chaleureuses salutations à Monseigneur Antoine Ganyé, Archevêque de Cotonou au Bénin, Monseigneur Paul Ouédraogo, Archevêque de Bobo-Dioulasso au Burkina Faso, Monseigneur Jean-Pierre Tafunga Mbayo, Archevêque de Lubumbashi, en République Démocratique du Congo, Monseigneur Gérard Lacroix, Archevêque de Québec, au Canada, et Monseigneur Pierre-Marie Carré, Archevêque de Montpellier, en France. Aux évêques, aux prêtres, et à tous les fidèles de vos pays portez mes cordiales salutations et l’assurance de ma proximité spirituelle. Vous qui avez reçu le pallium, signe liturgique qui exprime le lien de communion qui vous unit de façon particulière au Successeur de Pierre, soyez des témoins joyeux et fidèles de l’amour du Seigneur qui cherche à rassembler ses enfants dans l’unité d’une même famille ! Que Dieu vous bénisse !

I extend warm greetings to the English-speaking Metropolitan Archbishops upon whom I conferred the pallium yesterday: Archbishop James Peter Sartain of Seattle, United States; Archbishop Gustavo Garcia-Siller of San Antonio, United States; Archbishop Jose Serofia Palma of Cebu, the Philippines; Archbishop Thaddeus Cho Hwan-kil of Daegu, Korea; Archbishop Jude Ruwa’ichi of Mwanza, Tanzania; Archbishop William Slattery of Pretoria, South Africa; Archbishop Paul S. Coakley of Oklahoma City, United States; Archbishop Rémi Joseph Gustave Sainte-Marie of Lilongwe, Malawi; Archbishop José Horacio Gómez of Los Angeles, United States; Archbishop Thumma Bala of Hyderabad, India; Archbishop Augustine Obiora Akubeze of Benin City, Nigeria; Archbishop Charles Henry Dufour of Kingston in Jamaica; Archbishop George Stack of Cardiff, Wales and Archbishop Sergio Lasam Utleg of Tuguegarao, the Philippines. I also welcome their family members, their relatives, friends and the faithful of their respective Archdioceses who have come to Rome to pray with them and to share their joy. The pallium is received from the hands of the Successor of Peter and worn by the Archbishops as a sign of communion in faith and love and in the governance of God's People. It also recalls to Pastors their responsibilities as shepherds after the Heart of Jesus. To all of you I affectionately impart my Apostolic Blessing as a pledge of peace and joy in the Lord.

Saludo con afecto a los Señores Arzobispos de lengua española y a cuantos los han acompañado en la significativa ceremonia de la imposición del Palio, que los distingue como Metropolitanos. Saludo en particular al Arzobispo de Bogotá, Rubén Salazar Gómez, al de Quito, Fausto Gabriel Trávez Trávez, al de Guatemala, Óscar Julio Vian Morales, al de Manizales, Gonzalo Restrepo Restrepo, al de Paraná, Juan Alberto Puiggari, al de Barranquilla, Jairo Jaramillo Monsalve, al de Santiago de Chile, Ricardo Ezzati Andrello, al de Concepción, Fernando Natalio Chomali Garib, y al de Cali, Darío de Jesús Monsalve Mejía. Si el Palio les recuerda a ellos su especial responsabilidad respecto a las Iglesias sufragáneas y su particular vínculo de unidad con la Sede de Pedro, comporta para ustedes que les acompañan una mayor cercanía en la oración y la colaboración en el ministerio a ellos confiado. Invocando la protección de la Santísima Virgen María, les imparto de corazón la Bendición Apostólica, que complacido hago extensiva a todos los Pastores y fieles de estas Iglesias particulares en Colombia, Ecuador, Guatemala, Argentina y Chile.

Saúdo com gránde afécto os Metropolítas de Angóla e do Brasíl que óntem recebéram o pálio, insígnia litúrgica que expríme úma singulár união das súas arquidiocéses com a Sé de Pédro: Dom Luís María Pérez de Onráita, de Malánje, Dom José Manuél Imbámba, de Saurímo, Dom Murílo Sebastião Rámos Kríeger, de São Salvadór da Bahía, Dom Pédro Bríto Guimarães, de Pálmas, Dom Jacínto Bergmánn, de Pelótas, Dom Hélio Adelár Rúbert, de Sánta María, Dom Pédro Ercílio Simão, de Pásso Fúndo, Dom Dímas Lára Barbósa, de Cámpo Gránde, e Dom Sérgio da Rócha, de Brasília. O Senhór Jesús, que vos escolhéu cómo Pastóres do seu rebánho, vos ampáre no vósso ministério quotidiáno e vos tórne fiéis anunciadóres do Evangélho com a fórça do Espírito Sánto. Dou também as bóas-víndas aos familiáres e amígos e aos fiéis das respectívas Igréjas particuláres que vos acompanháram até Róma. Assegúro a tódos vós e vóssas comunidádes arquidiocesánas a mínha recordação diária na oração e, do íntimo do coração, concédo a Bénçao Apostólica.

Lettone: Sirsnīgi sveicu Rīgas arhibīskapu Zbigņevu Stankeviču un viņa pavadītājus, un novēlu, lai Jūsu kalpošana nes bagātus augļus.

[Rivolgo il mio cordiale saluto a Mons. Zbignev Stankevičs, Arcivescovo di Riga, e a quanti lo accompagnano, formulando i migliori auguri per un proficuo ministero].

Sloveno: Prav lepo pozdravljam mariborskega nadškofa msgr.-ja Marjana Turnška in Slovence, ki ga danes spremljate. V njegovi službi mu želim obilje duhovnih sadov ter vsem podeljujem apostolski blagoslov.

[Rivolgo un cordiale saluto all’Arcivescovo di Maribor, Mons. Marjan Turnšek, e agli sloveni che lo accompagnano, augurandoli un fruttuoso ministero e impartendo a tutti la Benedizione Apostolica.]

Cari amici, ringraziamo il Signore che nella sua infinita bontà non manca di donare Pastori alla sua Chiesa. A voi, cari Arcivescovi Metropoliti, assicuro la mia spirituale vicinanza e il mio orante sostegno al vostro servizio pastorale, il cui requisito necessario è l'amore per Cristo, a cui nulla deve essere anteposto. San Cipriano, Vescovo di Cartagine, nel suo Trattato sul Padre Nostro, afferma: "assolutamente nulla anteporre a Cristo, poiché neanche Lui ha preferito qualcosa a noi. Volontà di stare inseparabilmente uniti al suo amore, rimanere accanto alla sua croce con coraggio e dargli ferma testimonianza". Vegli sempre su di voi, cari Fratelli, e vi sostenga la Vergine Maria, Regina Apostolorum, e vi accompagni la mia Benedizione, che di cuore rinnovo a ciascuno di voi, ai vostri cari e a quanti sono affidati alle vostre cure episcopali.

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Messaggio del Papa al Direttore de "L’Osservatore Romano", Prof. Giovanni Maria Vian, nella ricorrenza del 150° anniversario di fondazione del Quotidiano

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AL DIRETTORE DE "L’OSSERVATORE ROMANO" NELLA RICORRENZA DEL 150° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DEL QUOTIDIANO

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Direttore de "L’Osservatore Romano", Prof. Giovanni Maria Vian, nella ricorrenza del 150° anniversario di fondazione del Quotidiano:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

All’Illustrissimo Signore

Prof. GIOVANNI MARIA VIAN

Direttore de "L’Osservatore Romano"

Per un giornale quotidiano centocinquant’anni di vita sono un periodo davvero considerevole, un lungo e significativo cammino ricco di gioie, di difficoltà, di impegno, di soddisfazioni, di grazia. Pertanto, questo importante anniversario de "L’Osservatore Romano" – il cui primo numero uscì con la data del 1° luglio 1861 – è innanzitutto motivo di ringraziamento a Dio pro universis beneficiis suis: per tutto quello, cioè, che la sua Provvidenza ha disposto in questo secolo e mezzo, durante il quale il mondo è cambiato profondamente, e per quanto dispone oggi, quando i cambiamenti sono continui e sempre più rapidi, soprattutto nell’ambito della comunicazione e dell’informazione.

Allo stesso tempo, la presente lieta ricorrenza offre anche l’occasione per alcune riflessioni sulla storia e sul ruolo di tale quotidiano, chiamato abitualmente "il giornale del Papa". Siamo invitati, quindi, – come disse Pio XI, di v.m., nel 1936, esattamente settantacinque anni fa –, a dare "una occhiata al cammino percorso e darne un’altra al cammino che resta da percorrere", sottolineando soprattutto la singolarità e la responsabilità di un quotidiano che da un secolo e mezzo fa conoscere il Magistero dei Papi ed è uno degli strumenti privilegiati a servizio della Santa Sede e della Chiesa.

"L’Osservatore Romano" ebbe origine in un contesto difficile e decisivo per il Papato, con la consapevolezza e la volontà di difendere e sostenere le ragioni della Sede Apostolica, che sembrava essere messa in pericolo da forze ostili. Fondato per iniziativa privata con l’appoggio del Governo pontificio, questo foglio serale si definì "politico religioso", proponendosi come obiettivo la difesa del principio di giustizia, nella convinzione, fondata sulla parola di Cristo, che il male non avrà l’ultima parola. Tale obiettivo e tale convinzione furono espressi dai due celebri motti latini – il primo tratto dal diritto romano e il secondo dal testo evangelico – che, sin dal primo numero del 1862, si leggono sotto la sua testata: Unicuique suum e, soprattutto, Non praevalebunt (Mt 16,18)

Nel 1870 la fine del potere temporale – avvertita poi come provvidenziale nonostante soprusi e atti ingiusti subiti dal Papato – non travolse "L’Osservatore Romano", né rese inutili la sua presenza e la sua funzione. Anzi, un quindicennio più tardi, la Santa Sede decise di acquisirne la proprietà. Il controllo diretto del giornale da parte dell’autorità pontificia ne aumentò con il tempo prestigio e autorevolezza, che crebbero ulteriormente in seguito, soprattutto per la linea di imparzialità e di coraggio mantenuta di fronte alle tragedie e agli orrori che segnarono la prima metà del Novecento, eco "fedele di un istituto internazionale e supernazionale", come scrisse il Cardinale Gasparri nel 1922.

Si susseguirono allora avvenimenti tragici: il primo conflitto mondiale, che devastò l’Europa cambiandone il volto; l’affermarsi dei totalitarismi, con ideologie nefaste che hanno negato la verità e oppresso l’uomo; infine, gli orrori della shoah e della seconda guerra mondiale. In quegli anni tremendi, e poi durante il periodo della guerra fredda e della persecuzione anticristiana attuata dai regimi comunisti in molti Paesi, nonostante la ristrettezza dei mezzi e delle forze, il giornale della Santa Sede seppe informare con onestà e libertà, sostenendo l’opera coraggiosa di Benedetto XV, di Pio XI e di Pio XII in difesa della verità e della giustizia, unico fondamento della pace.

Dal secondo conflitto mondiale "L’Osservatore Romano" poté così uscire a testa alta, come subito riconobbero autorevoli voci laiche e come nel 1961, in occasione del centenario del quotidiano, scrisse il Cardinale Montini, che due anni dopo sarebbe diventato Papa con il nome di Paolo VI: "Avvenne come quando in una sala si spengono tutte le luci, e ne rimane accesa una sola: tutti gli sguardi si dirigono verso quella rimasta accesa; e per fortuna questa era la luce vaticana, la luce tranquilla e fiammante, alimentata da quella apostolica di Pietro. «L’Osservatore» apparve allora quello che, in sostanza, è sempre: un faro orientatore".

Nella seconda metà del Novecento il giornale ha iniziato a circolare in tutto il mondo attraverso una corona di edizioni periodiche in diverse lingue, stampate non più soltanto in Vaticano: attualmente otto, tra cui, dal 2008, anche la versione in malayalam pubblicata in India, la prima interamente in caratteri non latini. A partire dallo stesso anno, in una stagione difficile per i media tradizionali, la diffusione è sostenuta da abbinamenti con altre testate in Spagna, in Italia, in Portogallo, e ora anche da una presenza in internet sempre più efficace.

Quotidiano "singolarissimo" per le sue caratteristiche uniche, "L’Osservatore Romano", in questo secolo e mezzo, ha innanzitutto dato conto del servizio reso alla verità e alla comunione cattolica da parte della Sede del Successore di Pietro. Il quotidiano ha così riportato puntualmente gli interventi pontifici, ha seguito i due Concili celebrati in Vaticano e le molte Assemblee sinodali, espressione della vitalità e della ricchezza di doni della Chiesa, ma non ha dimenticato mai di evidenziare anche la presenza, l’opera e la situazione delle comunità cattoliche nel mondo, che vivono talvolta in condizioni drammatiche.

In questo tempo – segnato spesso dalla mancanza di punti di riferimento e dalla rimozione di Dio dall’orizzonte di molte società, anche di antica tradizione cristiana – il quotidiano della Santa Sede si presenta come un "giornale di idee", come un organo di formazione e non solo di informazione. Perciò deve sapere mantenere fedelmente il compito svolto in questo secolo e mezzo, con attenzione anche all’Oriente cristiano, all’irreversibile impegno ecumenico delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, alla ricerca costante di amicizia e collaborazione con l’Ebraismo e con le altre religioni, al dibattito e al confronto culturale, alla voce delle donne, ai temi bioetici che pongono questioni per tutti decisive. Continuando l’apertura a nuove firme – tra cui quelle di un numero crescente di collaboratrici – e accentuando la dimensione e il respiro internazionali presenti sin dalle origini del quotidiano, dopo centocinquant’anni di una storia di cui può andare orgoglioso, "L’Osservatore Romano" sa così esprimere la cordiale amicizia della Santa Sede per l’umanità del nostro tempo, in difesa della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio e redenta da Cristo.

Per tutto questo, desidero rivolgere il mio pensiero riconoscente a tutti coloro che, dal 1861 fino ad oggi, hanno lavorato al giornale della Santa Sede: ai Direttori, ai Redattori e a tutto il Personale. A Lei, Signor Direttore, e a quanti cooperano attualmente in questo entusiasmante, impegnativo e benemerito servizio alla verità e alla giustizia, come pure ai benefattori e ai sostenitori, assicuro la mia costante vicinanza spirituale e invio di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 giugno 2011

BENEDICTUS PP. XVI

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mercoledì 29 giugno 2011

Il Papa: Sono grato al Signore per la sua chiamata e per il ministero affidatomi, e ringrazio coloro che, in questa circostanza, mi hanno manifestato la loro vicinanza e sostengono la mia missione con la preghiera, che da ogni comunità ecclesiale sale incessantemente a Dio (cfr At 12,5), traducendosi in adorazione a Cristo Eucaristia per accrescere la forza e la libertà di annunciare il Vangelo


29 GIUGNO 2011: 60° ANNIVERSARIO DELL'ORDINAZIONE PRESBITERALE DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI: SPECIALE

PREGHIERA DEL PAPA PER IL SUO 60° ANNIVERSARIO DI SACERDOZIO

SOLENNITA' DEI SANTI PIETRO E PAOLO (29 GIUGNO): LO SPECIALE DEL BLOG

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 29.06.2011

Al termine della Santa Messa celebrata nella Basilica Vaticana nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e nella ricorrenza del 60° anniversario della Sua Ordinazione presbiterale, con la partecipazione di una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e con l’imposizione dei Palli a 41 Arcivescovi Metropoliti, il Papa si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico e guida la recita dell’Angelus con i fedeli e i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Santo Padre Benedetto XVI nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Scusate il lungo ritardo. La Messa in onore dei Santi Pietro e Paolo è stata lunga e bella. E abbiamo pensato anche a quel bell’inno della Chiesa di Roma che comincia: "O Roma felix!". Oggi nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Patroni di questa Città, cantiamo così: "Felice Roma, perché fosti imporporata dal prezioso sangue di così grandi Principi. Non per tua lode, ma per i loro meriti ogni bellezza superi!".

Come cantano gli inni della tradizione orientale, i due grandi Apostoli sono le "ali" della conoscenza di Dio, che hanno percorso la terra sino ai suoi confini e si sono innalzate al cielo; essi sono anche le "mani" del Vangelo della grazia, i "piedi" della verità dell’annuncio, i "fiumi" della sapienza, le "braccia" della croce
(cfr MHN, t. 5, 1899, p. 385).

La testimonianza di amore e di fedeltà dei Santi Pietro e Paolo illumina i Pastori della Chiesa, per condurre gli uomini alla verità, formandoli alla fede in Cristo. San Pietro, in particolare, rappresenta l’unità del collegio apostolico. Per tale motivo, durante la liturgia celebrata questa mattina nella Basilica Vaticana, ho imposto a 41 Arcivescovi Metropoliti il pallio, che manifesta la comunione con il Vescovo di Roma nella missione di guidare il popolo di Dio alla salvezza. Scrive sant’Ireneo, Vescovo di Lione, che alla Chiesa di Roma "propter potentiorem principalitatem [per la sua peculiare principalità] deve convergere ogni altra Chiesa, cioè i fedeli che sono dovunque, perché in essa è stata sempre custodita la tradizione che viene dagli Apostoli" (Adversus haereses, III,3,2); così nel II secolo.

È la fede professata da Pietro a costituire il fondamento della Chiesa: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" – si legge nel Vangelo di Matteo (16,16). Il primato di Pietro è predilezione divina, come lo è anche la vocazione sacerdotale: "Né la carne né il sangue te lo hanno rivelato – dice Gesù – ma il Padre mio che è nei cieli" (Mt 16,17). Così accade a chi decide di rispondere alla chiamata di Dio con la totalità della propria vita.

Lo ricordo volentieri in questo giorno, nel quale si compie per me il sessantesimo anniversario di Ordinazione sacerdotale. Grazie per la vostra presenza, per le vostre preghiere! Sono grato a voi, sono grato soprattutto al Signore per la sua chiamata e per il ministero affidatomi, e ringrazio coloro che, in questa circostanza, mi hanno manifestato la loro vicinanza e sostengono la mia missione con la preghiera, che da ogni comunità ecclesiale sale incessantemente a Dio (cfr At 12,5), traducendosi in adorazione a Cristo Eucaristia per accrescere la forza e la libertà di annunciare il Vangelo.

In questo clima, sono lieto di salutare cordialmente la Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, presente oggi a Roma, secondo la significativa consuetudine, per venerare i Santi Pietro e Paolo e condividere con me l’auspicio dell’unità dei cristiani voluta dal Signore. Invochiamo con fiducia la Vergine Maria, Regina degli Apostoli, affinché ogni battezzato diventi sempre più una "pietra viva" che costruisce il Regno di Dio.

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle, nella festa dei Santi Patroni di Roma desidero rivolgere un saluto speciale ai fedeli della mia Diocesi, come pure ai Parroci e a tutti i Sacerdoti impegnati nel lavoro pastorale. All’intera cittadinanza estendo il mio augurio di pace e di bene!

Je salue cordialement les pèlerins francophones, en particulier les délégations venues à l’occasion de la remise du Pallium. Chers amis, la Solennité des saints Apôtres Pierre et Paul nous invite à accueillir et à suivre le Christ pour être aujourd’hui les missionnaires de l’Évangile. Renouvelons notre désir d’être, là où nous sommes, des artisans résolus et persévérants de l’unité pour que le monde croie ! Je vous bénis de grand cœur.

I welcome all the English-speaking pilgrims and visitors present in Rome for this Solemnity of Saints Peter and Paul. I am especially happy to greet the Metropolitan Archbishops who have received the Pallium today, accompanied by their relatives and friends. May the courageous example of the Apostles Peter and Paul inspire the Archbishops as they preach the life-giving word of God. May all Christians, following in the footsteps of Peter and Paul, bear courageous witness to the Gospel that sets us free. God bless you all!

Von Herzen heiße ich am heutigen Hochfest Peter und Paul alle deutschsprachigen Pilger und Besucher willkommen. Besonders grüße ich die Delegation aus Bayern, die anläßlich meines 60jährigen Priesterjubiläums nach Rom gekommen ist. Ich danke für das Gebet, das mir von vielen Gläubigen in den vergangenen Tagen geschenkt wurde. Ich erbitte es auch für die 41 Erzbischöfe, denen ich an diesem Hochfest das Pallium aufgelegt habe. Das wollene Band läßt uns an Christus, den Guten Hirten, denken, der jedem einzelnen Menschen in Liebe nachgeht und ihn nach Hause trägt. Und es erinnert an die Einheit mit dem Apostel Petrus, dem Christus seine Herde anvertraut hat. Ich lade euch ein, die Hirten bei ihrem Dienst zu unterstützen und wünsche euch allen einen gesegneten Festtag!

Dirijo mi cordial saludo a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los provenientes de Argentina, Chile, Colombia, Ecuador y Guatemala, que acompañan a los arzobispos metropolitanos que acaban de recibir el Palio. Invito a todos a rezar intensamente en esta solemnidad de los Santos Apóstoles Pedro y Pablo, para que, estimulados por su ejemplo y ayudados por su intercesión, la Iglesia permanezca en el mundo como signo de santidad e instrumento de reconciliación. Que Dios os bendiga.

Saúdo os peregrínos de língua portuguésa, em particulár os Arcebíspos de Angóla e do Brasíl a quem hóje impús o Pálio, com os familiáres e amígos que os acompánham. À Vírgem María confío as vóssas vídas, famílias e diocéses, pára tódos implorándo o precióso dom do amór e da unidáde sóbre a rócha de Pédro, ao dár-vos a Bénçao Apostólica.

Pozdrawiam polskich pielgrzymów. W uroczystość Apostołów Piotra i Pawła stajemy u ich grobów i modlimy się o światło Ducha Świętego do poznawania i do życia przesłaniem Ewangelii, które nam przekazali, oraz do dawania wobec świata świadectwa wiary w Chrystusa zmartwychwstałego. Niech Bóg wam błogosławi!

[Saluto i pellegrini polacchi. Nella solennità degli Apostoli Pietro e Paolo sostiamo davanti alle loro tombe e chiediamo la luce dello Spirito Santo per conoscere e vivere il messaggio del Vangelo che ci hanno trasmesso e per dare al mondo la testimonianza della fede in Cristo risorto. Dio vi benedica!]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare a quelli venuti per festeggiare gli Arcivescovi Metropoliti nominati nell’ultimo anno, che stamani hanno ricevuto il Pallio, segno di comunione con la Sede di Pietro. A tutti auguro un pellegrinaggio ricco di frutti. Buona festa a tutti voi. Grazie!

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Il Papa: Sessant’anni di ministero sacerdotale – cari amici, forse ho indugiato troppo nei particolari. Ma in quest’ora mi sono sentito spinto a guardare a ciò che ha caratterizzato i decenni. Mi sono sentito spinto a dire a voi – a tutti i sacerdoti e Vescovi come anche ai fedeli della Chiesa – una parola di speranza e di incoraggiamento; una parola, maturata nell’esperienza, sul fatto che il Signore è buono. Soprattutto, però, questa è un’ora di gratitudine: gratitudine al Signore per l’amicizia che mi ha donato e che vuole donare a tutti noi. Gratitudine alle persone che mi hanno formato ed accompagnato

29 GIUGNO 2011: 60° ANNIVERSARIO DELL'ORDINAZIONE PRESBITERALE DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI: SPECIALE

PREGHIERA DEL PAPA PER IL SUO 60° ANNIVERSARIO DI SACERDOZIO

SOLENNITA' DEI SANTI PIETRO E PAOLO (29 GIUGNO): LO SPECIALE DEL BLOG

SANTA MESSA NELLA SOLENNITA' DEI SANTI PIETRO E PAOLO E NEL 60° DI ORDINAZIONE DEL PAPA: VIDEO INTEGRALE SU BENEDICT XVI TV

CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, 29.06.2011

Alle ore 9.30 di oggi, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e nella ricorrenza del 60° anniversario della Sua Ordinazione presbiterale, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Concelebrazione Eucaristica con 41 Arcivescovi Metropoliti ai quali, nel corso del Sacro Rito, impone i Palli presi dalla Confessione di San Pietro.
Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, è presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli composta da: Sua Eminenza Emmanuel (Adamakis), Metropolita di Francia; S.E. Athenagoras (Yves Peckstadt), Vescovo di Sinope, Ausiliare del Metropolita del Belgio; Rev.do Archimandrita Maxime Pothos, Vicario Generale della Metropolia della Svizzera.
Dopo la lettura del Vangelo e prima del Rito di benedizione e imposizione dei Palli agli Arcivescovi Metropoliti, il Papa tiene l’omelia.
Ne riportiamo di seguito il testo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

Non vi chiamo più servi ma amici” (cfr Gv 15,15).

A sessant’anni dal giorno della mia Ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande Arcivescovo, il Cardinale Faulhaber, con la voce ormai un po’ debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di Ordinazione. Secondo l’ordinamento liturgico di quel tempo, quest’acclamazione significava allora l’esplicito conferimento ai sacerdoti novelli del mandato di rimettere i peccati.

Non più servi ma amici”: io sapevo e avvertivo che, in quel momento, questa non era solo una parola “cerimoniale”, ed era anche più di una citazione della Sacra Scrittura. Ne ero consapevole: in questo momento, Egli stesso, il Signore, la dice a me in modo del tutto personale. Nel Battesimo e nella Cresima, Egli ci aveva già attirati verso di sé, ci aveva accolti nella famiglia di Dio. Tuttavia, ciò che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più.

Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo. Nella cerchia di coloro che Egli conosce in modo del tutto particolare e che così Lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati.

Egli vuole che io – per suo mandato – possa pronunciare con il suo “Io” una parola che non è soltanto parola bensì azione che produce un cambiamento nel più profondo dell’essere. So che dietro tale parola c’è la sua Passione per causa nostra e per noi. So che il perdono ha il suo prezzo: nella sua Passione, Egli è disceso nel fondo buio e sporco del nostro peccato. È disceso nella notte della nostra colpa, e solo così essa può essere trasformata.

E mediante il mandato di perdonare Egli mi permette di gettare uno sguardo nell’abisso dell’uomo e nella grandezza del suo patire per noi uomini, che mi lascia intuire la grandezza del suo amore. Egli si confida con me: “Non più servi ma amici”. Egli mi affida le parole della Consacrazione nell’Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me. “Non siete più servi ma amici”: questa è un’affermazione che reca una grande gioia interiore e che, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà.

Non più servi ma amici”: in questa parola è racchiuso l’intero programma di una vita sacerdotale.

Che cosa è veramente l’amicizia?

Idem velle, idem nolle – volere le stesse cose e non volere le stesse cose, dicevano gli antichi. L’amicizia è una comunione del pensare e del volere. Il Signore ci dice la stessa cosa con grande insistenza: “Conosco i miei e i miei conoscono me” (cfr Gv 10,14). Il Pastore chiama i suoi per nome (cfr Gv 10,3). Egli mi conosce per nome. Non sono un qualsiasi essere anonimo nell’infinità dell’universo. Mi conosce in modo del tutto personale. Ed io, conosco Lui?

L’amicizia che Egli mi dona può solo significare che anch’io cerchi di conoscere sempre meglio Lui; che io, nella Scrittura, nei Sacramenti, nell’incontro della preghiera, nella comunione dei Santi, nelle persone che si avvicinano a me e che Egli mi manda, cerchi di conoscere sempre di più Lui stesso.

L’amicizia non è soltanto conoscenza, è soprattutto comunione del volere. Significa che la mia volontà cresce verso il “sì” dell’adesione alla sua. La sua volontà, infatti, non è per me una volontà esterna ed estranea, alla quale mi piego più o meno volentieri oppure non mi piego.

No, nell’amicizia la mia volontà crescendo si unisce alla sua, la sua volontà diventa la mia, e proprio così divento veramente me stesso. Oltre alla comunione di pensiero e di volontà, il Signore menziona un terzo, nuovo elemento: Egli dà la sua vita per noi (cfr Gv 15,13; 10,15).


Signore, aiutami a conoscerti sempre meglio! Aiutami ad essere sempre più una cosa sola con la tua volontà! Aiutami a vivere la mia vita non per me stesso, ma a viverla insieme con Te per gli altri! Aiutami a diventare sempre di più Tuo amico! La parola di Gesù sull’amicizia sta nel contesto del discorso sulla vite.

Il Signore collega l’immagine della vite con un compito dato ai discepoli: “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Il primo compito dato ai discepoli – agli amici – è quello di mettersi in cammino, di uscire da se stessi e di andare verso gli altri. Possiamo qui sentire insieme anche la parola del Risorto rivolta ai suoi, con la quale san Matteo conclude il suo Vangelo: “Andate ed insegnate a tutti i popoli…” (cfr Mt 28,19s). Il Signore ci esorta a superare i confini dell’ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio. Ciò può ricordarci che Dio stesso è uscito da sé, ha abbandonato la sua gloria, per cercare noi, per portarci la sua luce e il suo amore. Vogliamo seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinché Egli stesso possa entrare nel mondo. Dopo la parola sull’incamminarsi, Gesù continua: portate frutto, un frutto che rimanga! Quale frutto Egli attende da noi? Qual è il frutto che rimane? Ebbene, il frutto della vite è l’uva, dalla quale si prepara poi il vino. Fermiamoci per il momento su questa immagine. Perché possa maturare uva buona, occorre il sole ma anche la pioggia, il giorno e la notte. Perché maturi un vino pregiato, c’è bisogno della pigiatura, ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serve ai processi di maturazione. Del vino pregiato è caratteristica non soltanto la dolcezza, ma anche la ricchezza delle sfumature, l’aroma variegato che si è sviluppato nei processi della maturazione e della fermentazione.

Non è forse questa già un’immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti?

Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici.

In entrambe riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta. Ora, tuttavia, dobbiamo domandarci: di che genere è il frutto che il Signore attende da noi? Il vino è immagine dell’amore: questo è il vero frutto che rimane, quello che Dio vuole da noi. Non dimentichiamo, però, che nell’Antico Testamento il vino che si attende dall’uva pregiata è soprattutto immagine della giustizia, che si sviluppa in una vita vissuta secondo la legge di Dio! E non diciamo che questa è una visione veterotestamentaria e ormai superata: no, ciò rimane vero sempre.

L’autentico contenuto della Legge, la sua summa, è l’amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore, tuttavia, non è semplicemente qualcosa di dolce. Esso porta in sé il carico della pazienza, dell’umiltà, della maturazione nella formazione ed assimilazione della nostra volontà alla volontà di Dio, alla volontà di Gesù Cristo, l’Amico. Solo così, nel diventare l’intero nostro essere vero e retto, anche l’amore è vero, solo così esso è un frutto maturo. La sua esigenza intrinseca, la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, richiede sempre di essere realizzata anche nella sofferenza. Proprio così cresce la vera gioia.

Nel fondo, l’essenza dell’amore, del vero frutto, corrisponde con la parola sul mettersi in cammino, sull’andare: amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in sé il segno della croce. In tale contesto Gregorio Magno ha detto una volta: Se tendete verso Dio, badate di non raggiungerlo da soli (cfr H Ev 1,6,6: PL 76, 1097s) – una parola che a noi, come sacerdoti, deve essere intimamente presente ogni giorno.
Cari amici, forse mi sono trattenuto troppo a lungo con la memoria interiore sui sessant’anni del mio ministero sacerdotale. Adesso è tempo di pensare a ciò che è proprio di questo momento. Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo rivolgo anzitutto il mio più cordiale saluto al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I e alla Delegazione che ha inviato, e che ringrazio vivamente per la gradita visita nella lieta circostanza dei Santi Apostoli Patroni di Roma. Saluto anche i Signori Cardinali, i Fratelli nell’Episcopato, i Signori Ambasciatori e le Autorità civili, come pure i sacerdoti, i compagnia della mia prima Messa, i religiosi e i fedeli laici. Tutti ringrazio per la presenza e la preghiera. Agli Arcivescovi Metropoliti nominati dopo l’ultima Festa dei grandi Apostoli viene ora imposto il pallio. Che cosa significa? Questo può ricordarci innanzitutto il giogo dolce di Cristo che ci viene posto sulle spalle (cfr Mt 11,29s). Il giogo di Cristo è identico alla sua amicizia. È un giogo di amicizia e perciò un “giogo dolce”, ma proprio per questo anche un giogo che esige e che plasma. È il giogo della sua volontà, che è una volontà di verità e di amore. Così è per noi soprattutto anche il giogo di introdurre altri nell’amicizia con Cristo e di essere a disposizione degli altri, di prenderci come Pastori cura di loro. Con ciò siamo giunti ad un ulteriore significato del pallio: esso viene intessuto con la lana di agnelli, che vengono benedetti nella festa di sant’Agnese. Ci ricorda così il Pastore diventato Egli stesso Agnello, per amore nostro. Ci ricorda Cristo che si è incamminato per le montagne e i deserti, in cui il suo agnello, l’umanità, si era smarrito. Ci ricorda Lui, che ha preso l’agnello, l’umanità – me – sulle sue spalle, per riportarmi a casa. Ci ricorda in questo modo che, come Pastori al suo servizio, dobbiamo anche noi portare gli altri, prendendoli, per così dire, sulle nostre spalle e portarli a Cristo. Ci ricorda che possiamo essere Pastori del suo gregge che rimane sempre suo e non diventa nostro. Infine, il pallio significa molto concretamente anche la comunione dei Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori – significa che noi dobbiamo essere Pastori per l’unità e nell’unità e che solo nell’unità di cui Pietro è simbolo guidiamo veramente verso Cristo.

Sessant’anni di ministero sacerdotale – cari amici, forse ho indugiato troppo nei particolari. Ma in quest’ora mi sono sentito spinto a guardare a ciò che ha caratterizzato i decenni. Mi sono sentito spinto a dire a voi – a tutti i sacerdoti e Vescovi come anche ai fedeli della Chiesa – una parola di speranza e di incoraggiamento; una parola, maturata nell’esperienza, sul fatto che il Signore è buono. Soprattutto, però, questa è un’ora di gratitudine: gratitudine al Signore per l’amicizia che mi ha donato e che vuole donare a tutti noi. Gratitudine alle persone che mi hanno formato ed accompagnato.

E in tutto ciò si cela la preghiera che un giorno il Signore nella sua bontà ci accolga e ci faccia contemplare la sua gioia. Amen.

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martedì 28 giugno 2011

Il Papa alla Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli: L'intima vicinanza spirituale che sperimentiamo ogni volta che ci incontriamo è per me motivo di profonda gioia e di gratitudine a Dio. Al tempo stesso, però, la comunione non completa che già ci unisce deve crescere fino a raggiungere la piena unità visibile

IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

SOLENNITA' DEI SANTI PIETRO E PAOLO (29 GIUGNO): LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA ALLA DELEGAZIONE DEL PATRIARCATO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO, 28.06.2011

Alle ore 13 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza la Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, giunta come da tradizione a Roma in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo.
La Delegazione inviata da S.S. Bartolomeo I è composta da: Sua Eminenza Emmanuel (Adamakis), Metropolita di Francia; S.E. Athenagoras (Yves Peckstadt), Vescovo di Sinope, Ausiliare del Metropolita del Belgio; Rev.do Archimandrita Maxime Pothos, Vicario Generale della Metropolia della Svizzera.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha rivolto ai Membri della Delegazione, poi invitati a colazione, dopo l’Udienza:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli in Cristo,

Siate benvenuti a Roma in occasione della Festa dei Patroni di questa Chiesa, i Santi Apostoli Pietro e Paolo. Mi è particolarmente gradito salutarvi con le parole che San Paolo rivolgeva ai cristiani di questa città: "Il Dio della pace sia con tutti voi" (Rm 15,32). Ringrazio di tutto cuore il Venerato fratello, il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomeo I e il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico che hanno voluto inviare voi, cari Fratelli, come loro rappresentanti per partecipare qui con noi a questa solenne celebrazione.

Il Signore Gesù Cristo, apparso ai suoi discepoli dopo la sua risurrezione, conferì loro il compito di essere testimoni del Vangelo di Salvezza. Gli Apostoli hanno portato a compimento fedelmente questa missione, testimoniando sino al sacrificio cruento della vita la fede in Cristo Salvatore e l'amore verso Dio Padre. In questa città di Roma gli Apostoli Pietro e Paolo hanno affrontato il martirio e da allora le loro tombe sono oggetto di venerazione. La vostra partecipazione a questa nostra Festa, come la presenza di nostri rappresentanti a Costantinopoli per la Festa dell'Apostolo Andrea, esprime l'amicizia e l'autentica fraternità che unisce la Chiesa di Roma ed il Patriarcato Ecumenico, vincoli che sono solidamente fondati su quella fede ricevuta dalla testimonianza degli Apostoli.

L'intima vicinanza spirituale che sperimentiamo ogni volta che ci incontriamo è per me motivo di profonda gioia e di gratitudine a Dio. Al tempo stesso, però, la comunione non completa che già ci unisce deve crescere fino a raggiungere la piena unità visibile.

Seguiamo con grande attenzione il lavoro della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Ad uno sguardo puramente umano, si potrebbe essere presi dall'impressione che il dialogo teologico fatichi a procedere. In realtà, il ritmo del dialogo è legato alla complessità dei temi in discussione, che esigono uno straordinario impegno di studio, di riflessione e di apertura reciproca. Siamo chiamati a continuare insieme nella carità questo cammino, invocando dallo Spirito Santo luce e ispirazione, nella certezza che egli vuole condurci al pieno compimento della volontà di Cristo: che tutti siano uno (Gv 17,21). Sono particolarmente grato a tutti i membri della Commissione mista e in particolare ai Co-Presidenti Sua Eminenza il Metropolita di Pergamo Ioannis e Sua Eminenza il Cardinale Kurt Koch, per la loro infaticabile dedizione, la loro pazienza e competenza.

In un contesto storico di violenze, indifferenza ed egoismo, tanti uomini e donne del nostro tempo si sentono smarriti. È proprio con la testimonianza comune della verità del Vangelo che potremo aiutare l'uomo del nostro tempo a ritrovare la strada che lo conduce alla verità. La ricerca della verità, infatti, è sempre anche ricerca della giustizia e della pace, ed è con grande gioia che costato il grande impegno con cui Sua Santità Bartolomeo si prodiga su questi temi. In unione di intenti, e ricordando il bell’esempio del mio predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, ho voluto invitare i fratelli cristiani, gli esponenti delle altre tradizioni religiose del mondo e personalità del mondo della cultura e della scienza, a partecipare il prossimo 27 ottobre nella città di Assisi ad una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che avrà come tema "Pellegrini nella verità, pellegrini nella pace". Il camminare insieme sulle strade della città di San Francesco sarà il segno della volontà di continuare a percorrere la via del dialogo e della fraternità.

Eminenza, cari membri della Delegazione, ringraziandovi ancora una volta della vostra presenza a Roma in questa solenne circostanza, vi chiedo di recare il mio fraterno saluto al venerato fratello il Patriarca Bartolomeo I, al Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli del Patriarcato Ecumenico, assicurandoli dell'affetto e della solidarietà della Chiesa di Roma, che oggi è in festa per i suoi Santi fondatori.

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lunedì 27 giugno 2011

PREGHIERA DEL PAPA PER IL SUO 60° ANNIVERSARIO DI SACERDOZIO

29 GIUGNO 2011: 60° ANNIVERSARIO DELL'ORDINAZIONE PRESBITERALE DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI: SPECIALE

Il Papa: "Sessant’anni di ministero sacerdotale – cari amici, forse ho indugiato troppo nei particolari. Ma in quest’ora mi sono sentito spinto a guardare a ciò che ha caratterizzato i decenni. Mi sono sentito spinto a dire a voi – a tutti i sacerdoti e Vescovi come anche ai fedeli della Chiesa – una parola di speranza e di incoraggiamento; una parola, maturata nell’esperienza, sul fatto che il Signore è buono. Soprattutto, però, questa è un’ora di gratitudine: gratitudine al Signore per l’amicizia che mi ha donato e che vuole donare a tutti noi. Gratitudine alle persone che mi hanno formato ed accompagnato" (Omelia del Santo Padre nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo e nel Sessantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale di Sua Santità Benedetto XVI, 29 giugno 2011)

Il Papa: "Sono grato al Signore per la sua chiamata e per il ministero affidatomi, e ringrazio coloro che, in questa circostanza, mi hanno manifestato la loro vicinanza e sostengono la mia missione con la preghiera, che da ogni comunità ecclesiale sale incessantemente a Dio (cfr At 12,5), traducendosi in adorazione a Cristo Eucaristia per accrescere la forza e la libertà di annunciare il Vangelo" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 29 giugno 2011)

Preghiera del Papa per il suo 60° anniversario di sacerdozio

CITTA' DEL VATICANO, domenica, 26 giugno 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della preghiera che Papa Benedetto XVI ha composto per il 60° anniversario della sua ordinazione sacerdotale - che si celebrerà mercoledì 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo - e che è stata diffusa dalla Santa Sede.

* * *

Signore,

noi ti ringraziamo

perché hai aperto il tuo cuore per noi;

perché nella tua morte e nella tua resurrezione

sei diventato fonte di vita.

Fa’ che siamo persone viventi,

viventi dalla tua fonte,

e donaci di poter essere anche noi fonti,

in grado di donare a questo nostro tempo

acqua della vita.

Ti ringraziamo

per la grazia del ministero sacerdotale.

Signore, benedici noi

e benedici tutti gli uomini di questo tempo

che sono assetati e in ricerca.

Amen.

Benedictus PP XVI

1951 – 29 giugno – 2011

60° di Ordinazione sacerdotale

[© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]

domenica 26 giugno 2011

Il Papa: In una cultura sempre più individualistica, quale è quella in cui siamo immersi nelle società occidentali, e che tende a diffondersi in tutto il mondo, l’Eucaristia costituisce una sorta di “antidoto”, che opera nelle menti e nei cuori dei credenti e continuamente semina in essi la logica della comunione, del servizio, della condivisione, insomma, la logica del Vangelo


SOLENNITA' DEL CORPUS DOMINI: LO SPECIALE DEL BLOG

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il Papa: «Senza l'Eucaristia la Chiesa semplicemente non esisterebbe». L'omaggio del card. Comastri al Santo Padre (Chirri)

La riflessione dell’arcivescovo Menichelli sull’Angelus di Benedetto XVI

Il Papa: i nuovi Beati sono testimoni luminosi del Vangelo. Benedetto XVI ringrazia i fedeli per la Colletta di oggi (Izzo)

Il Papa: l'Eucaristia è il tesoro più prezioso della Chiesa (TMNews)

Eucaristia, farmaco dell'intelligenza (Tornielli)

Il Papa: L’Eucaristia è come il cuore pulsante che dà vita a tutto il corpo mistico della Chiesa (Schwibach)

Il Papa: "Attraverso i secoli, la Chiesa, malgrado i limiti e gli errori umani, ha continuato ad essere nel mondo una forza di comunione" (Izzo)

Il Papa all’Angelus: l’Eucaristia, cuore della Chiesa, è l’antidoto alla cultura individualistica del nostro tempo (R.V.)

Il Papa: nell’individualismo di oggi l’eucaristia crea la logica di comunione (AsiaNews)

Il Papa: L'Eucaristia, cioè la capacità dei Cristiani di condividere il bene, di vivere in comunione, rappresenta l'antidoto all'individualismo che si vive oggi in particolare in Occidente

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.06.2011

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra il Corpus Domini, la festa dell’Eucaristia, il Sacramento del Corpo e Sangue del Signore, che Egli ha istituito nell’Ultima Cena e che costituisce il tesoro più prezioso della Chiesa.

L’Eucaristia è come il cuore pulsante che dà vita a tutto il corpo mistico della Chiesa: un organismo sociale tutto basato sul legame spirituale ma concreto con Cristo. Come afferma l’apostolo Paolo: "Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane" (1Cor 10,17). Senza l’Eucaristia la Chiesa semplicemente non esisterebbe.

E’ l’Eucaristia, infatti, che fa di una comunità umana un mistero di comunione, capace di portare Dio al mondo e il mondo a Dio. Lo Spirito Santo, che trasforma il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, trasforma anche quanti lo ricevono con fede in membra del corpo di Cristo, così che la Chiesa è realmente sacramento di unità degli uomini con Dio e tra di loro.

In una cultura sempre più individualistica, quale è quella in cui siamo immersi nelle società occidentali, e che tende a diffondersi in tutto il mondo, l’Eucaristia costituisce una sorta di "antidoto", che opera nelle menti e nei cuori dei credenti e continuamente semina in essi la logica della comunione, del servizio, della condivisione, insomma, la logica del Vangelo.

I primi cristiani, a Gerusalemme, erano un segno evidente di questo nuovo stile di vita, perché vivevano in fraternità e mettevano in comune i loro beni, affinché nessuno fosse indigente (cfr At 2,42-47).

Da che cosa derivava tutto questo?

Dall’Eucaristia, cioè da Cristo risorto, realmente presente in mezzo ai suoi discepoli e operante con la forza dello Spirito Santo. E anche nelle generazioni seguenti, attraverso i secoli, la Chiesa, malgrado i limiti e gli errori umani, ha continuato ad essere nel mondo una forza di comunione.

Pensiamo specialmente ai periodi più difficili, di prova: che cosa ha significato, ad esempio, per i Paesi sottoposti a regimi totalitari, la possibilità di ritrovarsi alla Messa Domenicale! Come dicevano gli antichi martiri di Abitene: "Sine Dominico non possumus" – senza il "Dominicum", cioè senza l’Eucaristia domenicale non possiamo vivere. Ma il vuoto prodotto dalla falsa libertà può essere altrettanto pericoloso, e allora la comunione con il Corpo di Cristo è farmaco dell’intelligenza e della volontà, per ritrovare il gusto della verità e del bene comune.

Cari amici, invochiamo la Vergine Maria, che il mio Predecessore, il beato Giovanni Paolo II ha definito "Donna eucaristica" (Ecclesia de Eucharistia, 53-58). Alla sua scuola, anche la nostra vita diventi pienamente "eucaristica", aperta a Dio e agli altri, capace di trasformare il male in bene con la forza dell’amore, protesa a favorire l’unità, la comunione, la fraternità.

DOPO L’ANGELUS DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle, anche oggi ho la gioia di annunciare la proclamazione di alcuni nuovi Beati. Ieri, ad Amburgo, dove furono uccisi dai nazisti nel 1943, sono stati beatificati Johannes Prassek, Eduard Müller ed Hermann Lange. Oggi, a Milano, è la volta di Don Serafino Morazzone, parroco esemplare nel Lecchese tra XVIII e XIX secolo; di Padre Clemente Vismara, eroico missionario del PIME in Birmania; e di Enrichetta Alfieri, Suora della Carità, detta "angelo" del carcere milanese di San Vittore. Lodiamo il Signore per questi luminosi testimoni del Vangelo!

In questa domenica che precede la solennità dei Santi Pietro e Paolo si celebra in Italia la Giornata per la carità del Papa. Desidero ringraziare vivamente tutti coloro che, con la preghiera e con le offerte, danno il loro appoggio al mio ministero apostolico e di carità. Grazie! Il Signore vi ricompensi!

Je salue les pèlerins francophones, particulièrement les anciens élèves de l’Institut Saint-Dominique de Rome. En ce jour, de nombreux pays célèbrent la Solennité du Saint-Sacrement du Corps et du Sang du Christ. Nous avons toujours à redécouvrir le don inouï de son Fils que Dieu nous fait dans l’Eucharistie en participant chaque dimanche à la messe. Faisons une large place à l’adoration eucharistique ! « Le Seigneur est là, dans le sacrement de son amour, il nous attend jour et nuit », répétait le saint Curé d’Ars. Puisons à cette source d’amour et de pardon la force de conformer toujours plus notre vie à l’Evangile ! Tant de chrétiens aujourd’hui lui rendent témoignage jusqu’au don de leur vie. Que notre prière fraternelle les soutienne sans relâche !

I am happy to welcome all the English-speaking pilgrims and visitors, particularly the group from Saint Fidelis Parish in Toronto. In many places today the Church celebrates the Solemnity of the Body and Blood of Christ. May our hearts rejoice in the great gift of Jesus, the Bread of Life, who has given himself for us and has come to nourish us. As we open our hearts to others and walk the path of life, may he always sustain and guide us. God bless you all!

Von Herzen heiße ich alle deutschsprachigen Pilger und Besucher auf dem Petersplatz willkommen. Zugleich geht mein Gruß an die Gläubigen des Erzbistums Hamburg, die gestern die Seligsprechung der „Lübecker Märtyrer" gefeiert haben. Die katholischen Kapläne Johannes Prassek, Hermann Lange und Eduard Müller sowie der evangelische Pastor Karl Friedrich Stellbrink haben mit ihrem gemeinsam getragenen Leiden im Gefängnis bis zu ihrer Hinrichtung im Jahre 1943 ein großartiges, geradezu ökumenisches Zeugnis der Menschlichkeit und der Hoffnung gegeben. Es ist beeindruckend, wie sie in ihren Kerkerzellen stets den Blick zum Himmel richteten. So schreibt Johannes Prassek: „Wie ist Gott so gut, daß er mir alle Furcht nimmt und die Freude und Sehnsucht schenkt". Lassen wir uns von ihrem Gottvertrauen anstecken und bringen wir das Evangelium der Liebe zu den Menschen unserer Zeit. Der Herr begleite euer Reden und euer Tun.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los miembros de la Asociación de la Medalla Milagrosa, así como a los directivos de la Radiotelevisión "El sembrador por la nueva evangelización". En la solemnidad del Santísimo Cuerpo y Sangre de Cristo, la Iglesia hace memoria agradecida del don de la Eucaristía y la adora con devoción. Que nuestros corazones se abran con humildad ante Jesús Sacramentado, para que, transformados por su gracia, seamos testigos valientes de su amor por todos los hombres. Que Dios os bendiga.

Słowo pozdrowienia kieruję do wszystkich Polaków, a szczególnie do Episkopatu Polski i wiernych, uczestników jubileuszu 600-lecia konsekracji katedry włocławskiej. W modlitwie polecam was Najświętszej Maryi Pannie Wniebowziętej, Patronce katedry. Niech wymowne dzieje tej świątyni będą dla wszystkich zachętą do trwania w wierze Ojców i świadczenia o Chrystusie w codziennym życiu. Z serca wam błogosławię.

[Il mio saluto va a tutti i Polacchi e, in modo particolare, all'Episcopato polacco e ai fedeli, partecipanti alla celebrazione del Giubileo del 600° anniversario della consacrazione della Cattedrale di Włocławek. Nella preghiera vi raccomando tutti alla Beata Vergine Maria, Assunta al Cielo, a cui essa è intitolata. La storia eloquente di questo tempio sia per tutti incoraggiamento a perseverare nella fede dei Padri e nella testimonianza resa a Cristo nella vita di ogni giorno. Vi benedico di cuore.]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo dell’associazione "Laici Betlemiti". A tutti auguro una buona domenica.

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sabato 25 giugno 2011

Il Papa all'Associazione Santi Pietro e Paolo: Cari amici, vi ringrazio anche per gli auguri, e soprattutto per le preghiere, in occasione del mio 60° anniversario di Sacerdozio. Il dono che mi avete voluto offrire, una bella casula, mi ricorda che sono sempre prima di tutto Sacerdote di Cristo, e mi invita anche a ricordarmi di voi quando celebro il Sacrificio redentore. Grazie di cuore!

UDIENZA ALL’ASSOCIAZIONE SANTI PIETRO E PAOLO, 25.06.2011

Alle ore 12.15 di questa mattina, presso l’Altare della Cattedra della Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Soci dell’Associazione Santi Pietro e Paolo in occasione del 40° anniversario della fondazione del Sodalizio.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti
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DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari amici dell’Associazione Santi Pietro e Paolo!

Vi saluto con gioia e con affetto! Sono lieto di incontrarvi mentre siete riuniti in occasione del 40° anniversario del sodalizio: una ricorrenza felice, che invita al ringraziamento, al Signore innanzitutto, e all’amato Servo di Dio Paolo VI, che tanto ha fatto per rinnovare anche l’ambiente Vaticano secondo le esigenze contemporanee. Saluto in particolare il Presidente, Dottor Calvino Gasparini, e lo ringrazio per le sue cortesi parole; saluto l’Assistente spirituale, Mons. Joseph Murphy, gli altri responsabili e tutti i soci, come pure gli ex-Assistenti, tra i quali vi è il Cardinale Coppa, che ci onora della sua presenza, e il Cardinale Bertone, che da giovane sacerdote fu aiutante formatore dell’allora Guardia Palatina. Presso l’altare del Signore e la tomba di San Pietro, eleviamo in questo momento uno speciale ricordo per tutti coloro che in questi 40 anni si sono succeduti alla guida dell’Associazione e che con dedizione ne hanno fatto parte. A quanti tra loro hanno lasciato questo mondo, il Signore doni la pace e la beatitudine del suo Regno.

Anche nel mio animo, incontrandovi, domina il sentimento di riconoscenza, ed è rivolto a voi, per il servizio che offrite, soprattutto per l’amore e lo spirito di fede con cui lo svolgete. Voi dedicate parte del vostro tempo, armonizzandolo con gli impegni di famiglia e sottraendolo spesso allo svago, per venire in Vaticano e collaborare al buon ordine delle celebrazioni. Inoltre, date vita a numerose iniziative caritative, in collaborazione con le Suore Figlie della Carità e con le Missionarie della Carità. Tali impegni richiedono una motivazione profonda, che va sempre rinnovata, grazie ad una intensa vita spirituale. Per aiutare gli altri a pregare, bisogna avere il cuore rivolto a Dio; per richiamarli al rispetto dei luoghi santi e delle cose sante, occorre avere in se stessi il senso cristiano della sacralità; per aiutare il prossimo con vero amore cristiano, dobbiamo avere un animo umile e uno sguardo di fede. Il vostro atteggiamento, spesso senza parole, costituisce un’indicazione, un esempio, un richiamo, e come tale ha anche un valore educativo.

Presupposto di tutto questo è naturalmente la vostra formazione personale; e desidero dirvi che proprio per essa, come pure per tutto ciò che fate, vi sono particolarmente grato. L’Associazione Santi Pietro e Paolo, come ogni autentica associazione ecclesiale, si propone anzitutto la formazione dei suoi aderenti, mai in sostituzione o in alternativa alle parrocchie, ma sempre in modo complementare rispetto ad esse. Perciò, mi rallegro che voi siate ben inseriti nelle vostre comunità parrocchiali e educhiate i vostri figli al senso della parrocchia. Al tempo stesso, mi compiaccio del fatto che l’Associazione sia in giusta misura esigente nel prevedere specifici periodi formativi per coloro che desiderano diventare soci effettivi e offra regolarmente opportuni momenti a sostegno della perseveranza. Un pensiero particolare rivolgo proprio a coloro che stamani hanno pronunciato la solenne Promessa di fedeltà; auguro loro di avere sempre la gioia di sentirsi discepoli di Cristo nella Chiesa, e li esorto a dare buona testimonianza del Vangelo in ogni ambito della loro vita. Sempre in questa prospettiva, ho appoggiato fin dall’inizio il progetto di dar vita ad un gruppo giovanile. Saluto i giovani con speciale affetto, e li incoraggio a seguire l’esempio del Beato Pier Giorgio Frassati, amando Dio con tutto il cuore, gustando la bellezza dell’amicizia cristiana e servendo Cristo con grande discrezione nei fratelli più poveri.

Cari amici, vi ringrazio anche per gli auguri, e soprattutto per le preghiere, in occasione del mio 60° anniversario di Sacerdozio. Il dono che mi avete voluto offrire, una bella casula, mi ricorda che sono sempre prima di tutto Sacerdote di Cristo, e mi invita anche a ricordarmi di voi quando celebro il Sacrificio redentore. Grazie di cuore!

Infine, voglio affidarvi tutti alla Vergine Maria. So che nella vostra Associazione è venerata col titolo di Virgo Fidelis. Oggi più che mai c’è bisogno di fedeltà! Viviamo in una società che ha smarrito questo valore. Si esalta molto l’attitudine al cambiamento, la "mobilità", la "flessibilità", per motivi economici e organizzativi anche legittimi. Ma la qualità di una relazione umana si vede dalla fedeltà! La Sacra Scrittura ci mostra che Dio è fedele. Con la sua grazia e l’aiuto di Maria, siate dunque fedeli a Cristo e alla Chiesa, pronti a sopportare con umiltà e pazienza il prezzo che questo comporta. La Virgo Fidelis vi ottenga la pace nelle vostre famiglie, come pure che da esse nascano autentiche vocazioni cristiane, al Matrimonio, al Sacerdozio e alla Vita consacrata. Per questo assicuro uno speciale ricordo nella mia preghiera, mentre di cuore benedico tutti voi e i vostri cari.

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venerdì 24 giugno 2011

Il Papa: La Processione Eucaristica, che ho presieduto dalla Cattedrale Lateranense fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, reca sempre un appello all’amata Città di Roma e all’intera Comunità cattolica di rimanere e camminare sulle vie non facili della storia, tra le grandi povertà spirituali e materiali del mondo, per offrire la carità di Cristo e della Chiesa, che scaturisce dal Mistero Pasquale, mistero di amore, di dono totale che genera vita

Vedi anche:

Benedetto XVI chiede libertà per i cristiani nel Vicino e Medio Oriente e la fine delle violenze in Nord Africa (O.R.)

Il Papa: si cerchi “ogni possibile forma di mediazione” per il Medio Oriente e il Nordafrica (AsiaNews)

Appello del Papa per i rifugiati: non cessi la necessaria assistenza (Sir)

Il Papa alla Roaco: i cristiani del Medio Oriente sono cittadini e non stranieri, rispettare i loro diritti (R.V.)

UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA DELLA RIUNIONE DELLE OPERE IN AIUTO ALLE CHIESE ORIENTALI (R.O.A.C.O.), 24.06.2011

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Assemblea della Riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali (R.O.A.C.O.).
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale,
Beatitudine,
venerati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari Membri ed Amici della ROACO
,

Desidero esprimere a ciascuno di voi il più cordiale benvenuto e ricambio volentieri con ogni miglior augurio le cortesi parole di omaggio che mi ha rivolto il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali e Presidente della Riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali, accompagnato dall’Arcivescovo Segretario, dal Sottosegretario e dai Collaboratori ecclesiastici e laici del Dicastero. Porgo un fraterno saluto al nuovo Patriarca Maronita, Sua Beatitudine Bechara Boutros Rai, ed estendo il mio pensiero agli altri Presuli, ai Rappresentanti delle Agenzie Internazionali e dell’Università di Betlemme, come pure ai Benefattori qui convenuti. Tutti ringrazio per la cooperazione generosa al mandato di universale carità che il Signore Gesù affida incessantemente al Vescovo di Roma quale Successore del beato Apostolo Pietro.

Ieri abbiamo celebrato la Solennità del Corpo e Sangue del Signore.

La Processione Eucaristica, che ho presieduto dalla Cattedrale Lateranense fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, reca sempre un appello all’amata Città di Roma e all’intera Comunità cattolica di rimanere e camminare sulle vie non facili della storia, tra le grandi povertà spirituali e materiali del mondo, per offrire la carità di Cristo e della Chiesa, che scaturisce dal Mistero Pasquale, mistero di amore, di dono totale che genera vita.

La carità "non avrà mai fine" (1Cor 13,8), dice l’Apostolo Paolo, ed è capace di cambiare i cuori e il mondo con la forza di Dio, seminando e risvegliando ovunque la solidarietà, la comunione e la pace. Sono doni affidati alle nostre fragili mani, ma il loro sviluppo è sicuro, perché la potenza di Dio opera proprio nella debolezza, se sappiamo aprirci alla sua azione, se siamo veri discepoli che cercano di esserGli fedeli (cfr 2Cor 12,10).

Chers amis de la ROACO, n’oubliez jamais la dimension eucharistique de votre objectif pour vous maintenir constamment dans le mouvement de la charité ecclésiale. Celui-ci désire rejoindre tout particulièrement la Terre Sainte mais aussi le Moyen Orient dans son ensemble, pour y soutenir la présence chrétienne. Je vous demande de faire tout votre possible - y compris en intéressant les autorités publiques avec lesquelles vous êtes en contact à un niveau International - pour qu’en Orient où ils sont nés, les pasteurs et les fidèles du Christ puissent demeurer non comme des "étrangers" mais comme des "concitoyens" (Eph 2, 19) qui témoignent de Jésus Christ, comme l’ont fait avant eux les saints du passé, fils eux-aussi des Eglises Orientales. L’Orient est à juste titre leur patrie terrestre. C’est là qu’ils sont appelés aujourd’hui encore à promouvoir, sans faire de distinction, le bien de tous, par leur foi. Une égale dignité et une réelle liberté doivent être reconnues à toute personne qui professe cette foi, permettant ainsi une collaboration œcuménique et interreligieuse plus fructueuse.

[Cari amici della roaco, non dimenticate mai la dimensione eucaristica delle vostre finalità per mantenervi costantemente nel movimento della carità ecclesiale. Desidero che esso giunga in modo del tutto particolare alla Terra Santa ed anche all'intero Medio Oriente per sostenervi la presenza cristiana. Vi chiedo di fare tutto il possibile, anche interessando le Istanze Pubbliche con le quali venite in contatto ad un livello internazionale, perché in Oriente, dove sono nati, i Pastori e i fedeli di Cristo possano rimanere «non da stranieri», ma quali «concittadini» (Ef 2, 19), testimoniando Gesù, come i Santi del passato, figli anch'essi delle Chiese orientali. L'Oriente è ad ogni buon diritto la loro patria terrena. Proprio là sono chiamati anche oggi a costruire il bene di tutti, indistintamente, grazie alla loro fede. Una eguale dignità e una reale libertà dovranno essere riconosciute a coloro che professano tale fede, permettendo così una più fruttuosa collaborazione ecumenica e interreligiosa.]

I thank you for your reflections on the changes that are taking place in the countries of North Africa and the Middle East, which are a source of anxiety throughout the world. Through the communications received at this time from the Coptic-Catholic Cardinal-Patriarch and from the Maronite Patriarch, as well as the Pontifical Representative in Jerusalem and the Franciscan Custos of the Holy Land, the Congregation and the agencies will be able to assess the situation on the ground for the Church and the peoples of that region, which is so important for world peace and stability. The Pope wishes to express his closeness, also through you, to those who are suffering and to those who are trying desperately to escape, thereby increasing the flow of migration that often remains without hope. I pray that the necessary emergency assistance will be forthcoming, but above all I pray that every possible form of mediation will be explored, so that violence may cease and social harmony and peaceful coexistence may everywhere be restored, with respect for the rights of individuals as well as communities. Fervent prayer and reflection will help us at the same time to read the signs emerging from the present season of toil and tears: may the Lord of history always turn them to the common good.

[Vi sono grato per avere riflettuto sui mutamenti in atto nei Paesi del Nord Africa e del Vicino Oriente, che mantengono ancora in ansia il mondo. Grazie anche all'apporto offerto in questi giorni dal Cardinale Patriarca Copto-cattolico e dal Patriarca Maronita, come dal Rappresentante Pontificio a Gerusalemme e dal Custode Francescano di Terra Santa, la Congregazione e le Agenzie potranno rendersi conto delle condizioni concrete in cui vivono la Chiesa e le popolazioni in una Regione di somma importanza per l'equilibrio e la pace mondiali. Il Papa vuole farsi vicino, anche attraverso di voi, a quanti sono nella sofferenza e a quanti da essa tentano disperatamente di fuggire incrementando flussi migratori talora senza speranza. Auspico al riguardo la necessaria assistenza immediata, ma soprattutto ogni possibile mediazione, affinché cessino le violenze e, nel rispetto dei diritti dei singoli e delle comunità, siano ristabilite ovunque la concordia sociale e la pacifica convivenza. La fervida preghiera e la riflessione ci aiuteranno, nel contempo, a leggere le prospettive emergenti dalla presente stagione di fatica e di lacrime: voglia il Signore della storia volgerle sempre al bene comune.]

Die Sonderversammlung der Bischofssynode für den Nahen Osten, die vergangenen Oktober im Vatikan stattgefunden hat und an der einige von euch teilgenommen haben, führte dazu, daß die Kirche die Brüder und Schwestern des Orients noch tiefer ins Herz geschlossen hat. Die Synode hat uns auch Zeichen von etwas Neuem in der heutigen Zeit erkennen lassen. Bald darauf wurden jedoch wehrlose Personen in der syrisch-katholischen Kathedrale von Bagdad durch einen Akt sinnloser Gewalt grausam getroffen, dem in den Monaten danach weitere Vorfälle an verschiedenen anderen Orten folgten. Dieses für Christus erlittene Leid vermag allerdings den guten Samen der Synode zu bewässern und wird die Früchte noch reicher machen. Ich vertraue daher den Mitgliedern der ROACO und ihrem guten Willen die Ergebnisse der Synode an wie auch den kostbaren spirituellen Schatz, den der Leidenskelch so vieler Christen darstellt. Dies ist Richtschnur für einen klugen und großherzigen Dienst, der bei den Geringsten beginnt und niemanden ausschließt und der in seiner Echtheit immer am Geheimnis der Eucharistie Maß nehmen soll.

[L'Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi celebrata lo scorso ottobre in Vaticano e alla quale hanno partecipato alcuni di voi, ha portato i fratelli e le sorelle dell'Oriente ancor più decisamente nel cuore della Chiesa e ci ha introdotti a scorgere i segni di novità del tempo odierno. Ma subito dopo quell'assise l'assurda violenza ha colpito ferocemente persone inermi (cfr. Angelus del 1° novembre 2010) nella Cattedrale siro-cattolica di Bagdad e, nei mesi successivi, in diversi altri luoghi. Questo dolore provato per Cristo può essere d'aiuto alla crescita del buon seme e rendere i frutti ancor più fecondi, a Dio piacendo. Consegno, perciò, alla buona volontà dei membri della roaco quanto è emerso nel Sinodo ed anche il prezioso patrimonio spirituale costituito dal calice della passione di molti cristiani quale riferimento per un servizio intelligente e generoso, che parta dagli ultimi e nessuno escluda, e sempre misuri la sua autenticità sul Mistero Eucaristico].

Cari amici, sotto la guida dei loro generosi Pastori e anche con il vostro insostituibile sostegno, le Chiese Orientali Cattoliche sapranno sempre confermare la comunione con la Sede Apostolica, gelosamente custodita lungo i secoli, e dare un contributo originale alla nuova evangelizzazione sia in madrepatria, sia nella crescente diaspora. Pongo questi auspici sotto la protezione della Santissima Madre di Dio e del Precursore di Cristo, san Giovanni Battista, nella solennità liturgica della sua nascita.

Si avvicina anche la solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo: in quel giorno renderò grazie al Buon Pastore, come ha ricordato il Cardinale Sandri, nel 60° anniversario della mia Ordinazione sacerdotale. Sono molto riconoscente per la preghiera e l’augurio, di cui mi fate gradito dono. Vi chiedo di condividere la mia supplica al "Padrone della messe" (Mt 9,38) perché conceda alla Chiesa e al mondo numerosi e ardenti operai del Vangelo. E come segno del mio affetto sono ben lieto di impartire a ciascuno di voi, a quanti vi sono cari e alle comunità a voi affidate la confortatrice Benedizione Apostolica.

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giovedì 23 giugno 2011

Il Papa: Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento

SOLENNITA' DEL CORPUS DOMINI: LO SPECIALE DEL BLOG

SANTA MESSA DEL CORPUS DOMINI: VIDEO BENEDICT XVI TV

PROCESSIONE DEL CORPUS DOMINI: VIDEO BENEDICT XVI TV

Vedi anche:

Padre Lombardi sulla Festa del Corpus Domini: l'Eucaristia è il segno dell'amore "globale" (R.V.)

La Messa del Corpus Domini celebrata da Papa Benedetto XVI e la processione eucaristica lungo via Merulana (Tanturri)

L'Eucaristia per le vie centrali di Roma (Osservatore Romano)

Il Papa alla celebrazione del Corpus Domini: chi riconoscere Cristo nell'ostia, lo riconosce nel fratello che soffre (R.V.)

Il Papa guida la Processione del Corpus Domini per le strade di Roma (Rome Reports)

Il Papa ha partecipato alla tradizionale processione da San Giovanni alla Basilica di Santa Maria Maggiore dal cui sagrato ha poi benedetto la folla (Izzo)

Nell’Eucaristia la via per il rinnovamento del mondo. Così il Papa alla Messa del Corpus Domini in S. Giovanni in Laterano (Radio Vaticana)

Il Papa: La "speciale responsabilità" dei cristiani "nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna" e' inscindibilmente legata alla dimensione della fede. Non c'è nulla di magico nel Cristianesimo (Izzo)

Il Papa: Non c'è nulla di magico nel Cristianesimo

Il Papa: l'amore di Cristo è destinato a tutti (Sir)

SANTA MESSA E PROCESSIONE EUCARISTICA NELLA SOLENNITÀ DEL SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO, 23.06.2011

Alle ore 19 di oggi, Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Santo Padre Benedetto XVI celebra la Santa Messa nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
Presiede quindi la Processione Eucaristica che, percorrendo via Merulana, raggiunge la Basilica di Santa Maria Maggiore.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa rivolge ai fedeli nel corso della Celebrazione Eucaristica:


Cari fratelli e sorelle!

La festa del Corpus Domini è inseparabile dal Giovedì Santo, dalla Messa in Caena Domini, nella quale si celebra solennemente l’istituzione dell’Eucaristia. Mentre nella sera del Giovedì Santo si rivive il mistero di Cristo che si offre a noi nel pane spezzato e nel vino versato, oggi, nella ricorrenza del Corpus Domini, questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio, e il Santissimo Sacramento viene portato in processione per le vie delle città e dei villaggi, per manifestare che Cristo risorto cammina in mezzo a noi e ci guida verso il Regno dei cieli.

Quello che Gesù ci ha donato nell’intimità del Cenacolo, oggi lo manifestiamo apertamente, perché l’amore di Cristo non è riservato ad alcuni, ma è destinato a tutti. Nella Messa in Caena Domini dello scorso Giovedì Santo ho sottolineato che nell’Eucaristia avviene la trasformazione dei doni di questa terra – il pane e il vino – finalizzata a trasformare la nostra vita e ad inaugurare così la trasformazione del mondo. Questa sera vorrei riprendere tale prospettiva.
Tutto parte, si potrebbe dire, dal cuore di Cristo, che nell’Ultima Cena, alla vigilia della sua passione, ha ringraziato e lodato Dio e, così facendo, con la potenza del suo amore, ha trasformato il senso della morte alla quale andava incontro.

Il fatto che il Sacramento dell’altare abbia assunto il nome “Eucaristia” – “rendimento di grazie” – esprime proprio questo: che il mutamento della sostanza del pane e del vino nel Corpo e Sangue di Cristo è frutto del dono che Cristo ha fatto di se stesso, dono di un Amore più forte della morte, Amore divino che lo ha fatto risuscitare dai morti. Ecco perché l’Eucaristia è cibo di vita eterna, Pane della vita. Dal cuore di Cristo, dalla sua “preghiera eucaristica” alla vigilia della passione, scaturisce quel dinamismo che trasforma la realtà nelle sue dimensioni cosmica, umana e storica. Tutto procede da Dio, dall’onnipotenza del suo Amore Uno e Trino, incarnato in Gesù. In questo Amore è immerso il cuore di Cristo; perciò Egli sa ringraziare e lodare Dio anche di fronte al tradimento e alla violenza, e in questo modo cambia le cose, le persone e il mondo.

Questa trasformazione è possibile grazie ad una comunione più forte della divisione, la comunione di Dio stesso. La parola “comunione”, che noi usiamo anche per designare l’Eucaristia, riassume in sé la dimensione verticale e quella orizzontale del dono di Cristo. E’ bella e molto eloquente l’espressione “ricevere la comunione” riferita all’atto di mangiare il Pane eucaristico. In effetti, quando compiamo questo atto, noi entriamo in comunione con la vita stessa di Gesù, nel dinamismo di questa vita che si dona a noi e per noi. Da Dio, attraverso Gesù, fino a noi: un’unica comunione si trasmette nella santa Eucaristia. Lo abbiamo ascoltato poco fa, nella seconda Lettura, dalle parole dell’apostolo Paolo rivolte ai cristiani di Corinto: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (1 Cor 10,16-17).

Sant’Agostino ci aiuta a comprendere la dinamica della comunione eucaristica quando fa riferimento ad una sorta di visione che ebbe, nella quale Gesù gli disse: “Io sono il cibo dei forti. Cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me” (Conf. VII, 10, 18). Mentre dunque il cibo corporale viene assimilato dal nostro organismo e contribuisce al suo sostentamento, nel caso dell’Eucaristia si tratta di un Pane differente: non siamo noi ad assimilarlo, ma esso ci assimila a sé, così che diventiamo conformi a Gesù Cristo, membra del suo corpo, una cosa sola con Lui. Questo passaggio è decisivo. Infatti, proprio perché è Cristo che, nella comunione eucaristica, ci trasforma in Sé, la nostra individualità, in questo incontro, viene aperta, liberata dal suo egocentrismo e inserita nella Persona di Gesù, che a sua volta è immersa nella comunione trinitaria. Così l’Eucaristia, mentre ci unisce a Cristo, ci apre anche agli altri, ci rende membra gli uni degli altri: non siamo più divisi, ma una cosa sola in Lui. La comunione eucaristica mi unisce alla persona che ho accanto, e con la quale forse non ho nemmeno un buon rapporto, ma anche ai fratelli lontani, in ogni parte del mondo. Da qui, dall’Eucaristia, deriva dunque il senso profondo della presenza sociale della Chiesa, come testimoniano i grandi Santi sociali, che sono stati sempre grandi anime eucaristiche. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa, lo riconosce nel fratello che soffre, che ha fame e ha sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona, si impegna, in modo concreto, per tutti coloro che sono in necessità. Dal dono di amore di Cristo proviene pertanto la nostra speciale responsabilità di cristiani nella costruzione di una società solidale, giusta, fraterna.

Specialmente nel nostro tempo, in cui la globalizzazione ci rende sempre più dipendenti gli uni dagli altri, il Cristianesimo può e deve far sì che questa unità non si costruisca senza Dio, cioè senza il vero Amore, il che darebbe spazio alla confusione, all’individualismo, alla sopraffazione di tutti contro tutti. Il Vangelo mira da sempre all’unità della famiglia umana, un’unità non imposta dall’alto, né da interessi ideologici o economici, bensì a partire dal senso di responsabilità gli uni verso gli altri, perché ci riconosciamo membra di uno stesso corpo, del corpo di Cristo, perché abbiamo imparato e impariamo costantemente dal Sacramento dell’Altare che la condivisione, l’amore è la via della vera giustizia.

Ritorniamo ora all’atto di Gesù nell’Ultima Cena. Che cosa è avvenuto in quel momento? Quando Egli disse: Questo è il mio corpo che è donato per voi, questo è il mio sangue versato per voi e per la moltitudine, che cosa accadde? Gesù in quel gesto anticipa l’evento del Calvario. Egli accetta per amore tutta la passione, con il suo travaglio e la sua violenza, fino alla morte di croce; accettandola in questo modo la trasforma in un atto di donazione. Questa è la trasformazione di cui il mondo ha più bisogno, perché lo redime dall’interno, lo apre alle dimensioni del Regno dei cieli. Ma questo rinnovamento del mondo Dio vuole realizzarlo sempre attraverso la stessa via seguita da Cristo, quella via, anzi, che è Lui stesso.

Non c’è nulla di magico nel Cristianesimo. Non ci sono scorciatoie, ma tutto passa attraverso la logica umile e paziente del chicco di grano che si spezza per dare vita, la logica della fede che sposta le montagne con la forza mite di Dio. Per questo Dio vuole continuare a rinnovare l’umanità, la storia ed il cosmo attraverso questa catena di trasformazioni, di cui l’Eucaristia è il sacramento.

Mediante il pane e il vino consacrati, in cui è realmente presente il suo Corpo e Sangue, Cristo trasforma noi, assimilandoci a Lui: ci coinvolge nella sua opera di redenzione, rendendoci capaci, per la grazia dello Spirito Santo, di vivere secondo la sua stessa logica di donazione, come chicchi di grano uniti a Lui ed in Lui. Così si seminano e vanno maturando nei solchi della storia l’unità e la pace, che sono il fine a cui tendiamo, secondo il disegno di Dio.

Senza illusioni, senza utopie ideologiche, noi camminiamo per le strade del mondo, portando dentro di noi il Corpo del Signore, come la Vergine Maria nel mistero della Visitazione. Con l’umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l’amore di Dio, incarnato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte. Sappiamo che Dio prepara per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova, in cui regnano la pace e la giustizia – e nella fede intravediamo il mondo nuovo, che è la nostra vera patria. Anche questa sera, mentre tramonta il sole su questa nostra amata città di Roma, noi ci mettiamo in cammino: con noi c’è Gesù Eucaristia, il Risorto, che ha detto: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Grazie, Signore Gesù! Grazie per la tua fedeltà, che sostiene la nostra speranza. Resta con noi, perché si fa sera. “Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, pietà di noi; nutrici, difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi!”. Amen.

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