sabato 31 ottobre 2009

Il Papa: "Il valore dell'uomo non consiste in ciò che possiede, ma nello sviluppo del suo essere secondo tutte le potenzialità che la sua natura cela"


LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DI BULGARIA PRESSO LA SANTA SEDE, 31.10.2009

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Signor Nikola Ivanov Kaludov, Ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Signor Nikola Ivanov Kaludov:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Questa la traduzione italiana del discorso del Papa all'Ambasciatore.

Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in questa circostanza solenne della presentazione delle Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Bulgaria presso la Santa Sede. La ringrazio, signor Ambasciatore, per le cordiali parole che mi ha rivolto. In cambio, le sarei grato se volesse trasmettere al Presidente della Repubblica, il signor Georgi Parvanov, i miei voti cordiali per la sua persona e anche per la felicità e per il successo del popolo bulgaro.
Mi rallegro, a mia volta, delle buone relazioni che la Bulgaria e la Santa Sede intrattengono, nella dinamica creata dal viaggio del mio predecessore Papa Giovanni Paolo II nel suo Paese nel 2002. Queste relazioni meritano di essere intensificate e sono lieto di apprendere del suo desiderio di operare con ardore per rafforzarle e per ampliarne il campo.
Questo autunno celebriamo il ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino che ha permesso alla Bulgaria di fare la scelta della democrazia e di ristabilire relazioni libere e autonome con l'insieme del Continente europeo. So che il suo Paese sta compiendo oggi importanti sforzi in vista di una maggiore integrazione nell'Unione europea di cui fa parte dal 1º gennaio 2007. È importante che in questo processo di costruzione europea ogni popolo non sacrifichi la propria identità culturale, ma trovi al contrario i mezzi per farle recare buoni frutti, che arricchiranno l'insieme comunitario. Per la sua situazione geografica e culturale, è particolarmente apprezzabile il fatto che, come lei ha appena detto, la sua Nazione non si preoccupi solo del suo destino, ma mostri anche grande attenzione per i Paesi vicini e si adoperi per favorire i loro legami con l'Unione europea. La Bulgaria ha così indubbiamente un ruolo importante da svolgere nella costruzione di relazioni serene fra i paesi che la circondano, come pure nella difesa e nella promozione dei diritti dell'uomo.
Come lei ha altresì appena sottolineato, questa preoccupazione per il bene comune dei popoli non si può limitare al Continente europeo, ma è necessario anche essere attenti e creare le condizioni di una globalizzazione riuscita. Perché quest'ultima possa essere vissuta positivamente, è necessario in effetti che possa servire "ogni uomo e tutti gli uomini". È questo principio che ho voluto sottolineare con forza nella mia recente Enciclica Caritas in veritate.
È essenziale in effetti che lo sviluppo legittimamente cercato non riguardi il solo ambito economico, ma tenga conto anche della persona umana nella sua totalità. Il valore dell'uomo non consiste in ciò che possiede, ma nello sviluppo del suo essere secondo tutte le potenzialità che la sua natura cela. Questo principio trova la sua ragione ultima nell'amore creatore di Dio, che rivela pienamente la Parola divina. In tal senso, affinché lo sviluppo dell'uomo e della società possa essere autentico, deve necessariamente implicare una dimensione spirituale (nn. 76-77). Richiede anche da tutti i responsabili pubblici che siano moralmente molto esigenti con se stessi, al fine di potere gestire la parte di autorità che viene affidata loro in modo efficace e disinteressato. La cultura cristiana che pervade profondamente il vostro popolo non è solo un tesoro del passato da custodire, ma anche il pegno di un futuro veramente promettente in quanto protegge l'uomo dalle tentazioni che minacciano sempre di fargli dimenticare la propria grandezza, come pure l'unità del genere umano e le esigenze di solidarietà che essa comporta.
Animata da questa intenzione, la comunità cattolica in Bulgaria desidera operare per il successo di tutta la popolazione. Questa preoccupazione condivisa del bene comune costituisce uno degli elementi che dovrebbero facilitare il dialogo fra le diverse e numerose comunità religiose che compongono il paesaggio culturale della sua antica Nazione. Questo dialogo, per essere sincero e costruttivo, richiede una conoscenza e una stima reciproche che i poteri pubblici possono favorire ampiamente con la considerazione in cui essi stessi tengono le diverse famiglie spirituali. Da parte sua, la comunità cattolica formula il voto di essere generosamente aperta a tutti e di lavorare con tutti; lo dimostra concretamente attraverso le sue opere sociali i cui benefici non vuole riservare ai suoi soli membri.
È in modo caloroso che, per mezzo di lei, signor Ambasciatore, desidero salutare i vescovi, i sacerdoti, i diaconi e tutti i fedeli che formano la comunità cattolica del suo Paese. Li invito a considerare le grandi ricchezze che Dio, nella sua immensa misericordia, ha posto nei loro cuori di credenti e, per questa ragione, a impegnarsi con audacia, attraverso la cooperazione più stretta possibile con tutti i cittadini di buona volontà, a rendere testimonianza, a tutti i livelli, della dignità che Dio ha inscritto nell'essere dell'uomo.
Mentre lei, Eccellenza, inizia ufficialmente la sua missione presso la Santa Sede, formulo i miei voti migliori per il suo felice compimento. Sia certo, signor Ambasciatore, di trovare sempre presso i miei collaboratori l'attenzione e la comprensione cordiali che la sua alta funzione merita, come pure l'affetto del Successore di Pietro per il suo Paese. Invocando l'intercessione della Vergine Maria e dei santi Cirillo e Metodio, prego il Signore di effondere generose benedizioni su di lei, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, e anche sul popolo bulgaro e sui suoi dirigenti.

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(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2009)

Il Papa: L'operato della Chiesa non si confonde con quello dello Stato, né può identificarsi con alcun programma politico...


LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DI PANAMA PRESSO LA SANTA SEDE, 30.10.2009

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. la Signora Delia Cárdenas Christie, Ambasciatore di Panama presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. la Signora Delia Cárdenas Christie:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Questa la traduzione italiana del discorso del Papa all'Ambasciatore.

Signora Ambasciatore,

1. Sono lieto di riceverla in questo solenne atto in cui lei, Eccellenza, presenta le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica di Panamá presso la Santa Sede.
La ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto, e anche per il deferente saluto da parte del Presidente della Repubblica, l'Eccellentissimo Signor Ricardo Martinelli Berrocal. La prego di volergli trasmettere i miei voti migliori per lo svolgimento della sua missione, ricordando con stima la cortesia e la cordialità da lui mostrate nel nostro recente incontro a Castel Gandolfo.
Lei, Eccellenza, è qui in rappresentanza di una Nazione che mantiene relazioni bilaterali fluide e fruttuose con la Santa Sede. La visita del Signor Presidente di Panamá, che ho menzionato prima, è una significativa dimostrazione della buona intesa esistente, già dimostrata nell'accordo firmato il 1º giugno 2005, che si spera venga prontamente ratificato e si possa così erigere una circoscrizione ecclesiastica che assista pastoralmente le Forze di Sicurezza Panamensi.
Nel quadro delle rispettive competenze e del rispetto reciproco, l'operato della Chiesa che, a motivo della sua missione non si confonde con quello dello Stato, né può identificarsi con alcun programma politico, si muove in un ambito di natura religiosa e spirituale, che tende alla promozione della dignità dell'essere umano e alla tutela dei suoi diritti fondamentali. Tuttavia, questa distinzione non implica indifferenza o mutua ignoranza, poiché, sebbene a diverso titolo, Chiesa e Stato convergono nel bene comune degli stessi cittadini, stando al servizio della loro vocazione personale e sociale (cfr. Gaudium et spes, n. 76). Allo stesso modo, le funzioni diplomatiche cercano di promuovere la grande causa dell'uomo e di far crescere la concordia fra i popoli, e per questo la Santa Sede nutre grande considerazione e stima per il compito che oggi lei, Eccellenza, inizia a svolgere.

2. L'identità del suo Paese, che si è forgiata nel corso dei secoli come un mosaico di etnie, popoli e culture, si presenta come un segno eloquente di fronte all'intera famiglia umana del fatto che è possibile una convivenza pacifica fra persone di origine diversa, in un clima di comunione e di cooperazione. Questa pluralità umana deve essere considerata un elemento di ricchezza e un aspetto che va potenziato ogni giorno di più, nella consapevolezza che il fattore umano è il primo capitale da salvaguardare e da valorizzare (cfr. Caritas in veritate, n. 25). A tal proposito, incoraggio tutti i suoi concittadini a lavorare per una maggiore uguaglianza sociale, economica e culturale fra i diversi settori della società, di modo che, rinunciando agli interessi egoistici, rafforzando la solidarietà e conciliando le volontà, si bandisca, con le parole di Papa Paolo VI, "lo scandalo di disuguaglianze clamorose" (Populorum progressio, n. 9).

3. Il messaggio del Vangelo ha svolto un ruolo fondamentale e costruttivo nella configurazione dell'identità panamense, formando parte del patrimonio spirituale e del bagaglio culturale di questa Nazione. Una testimonianza luminosa di ciò è la Bolla Pastoralis officii debitum, con la quale, il 9 settembre 1513, Papa Leone x eresse canonicamente la diocesi di Santa María La Antigua, la prima sulla terra ferma del Continente americano. Per commemorare il v Centenario di questo evento tanto significativo, la Chiesa nel Paese sta preparando diverse iniziative, che mostreranno quanto è radicata nella sua Patria la comunità ecclesiale, che non mira ad altro bene oltre a quello del popolo stesso, di cui fa parte e che ha servito e serve con fini nobili e generosità. Chiedo a Dio che questa ricorrenza accresca la vita cristiana di tutti gli amati figli di questa Nazione, di modo che la fede continui a essere in essa fonte ispiratrice per affrontare in modo positivo e proficuo le sfide con cui questa Repubblica deve attualmente confrontarsi.
In tal senso, è giusto riconoscere le numerose attività di promozione umana e sociale che realizzano a Panamá le diocesi, le parrocchie, le comunità religiose, le associazioni laicali e i movimenti di apostolato, contribuendo in modo decisivo a dare dinamismo al presente e a ravvivare l'anelito di un futuro promettente per la sua Patria. Particolare importanza ha la presenza della Chiesa nel campo educativo e nell'assistenza ai poveri, ai malati, ai detenuti e agli emigranti, e nella difesa di aspetti fondamentali come l'impegno per la giustizia sociale, la lotta contro la corruzione, l'operato a favore della pace, l'inviolabilità del diritto alla vita umana dal momento del suo concepimento fino alla sua morte naturale, come pure la salvaguardia della famiglia basata sul matrimonio fra un uomo e una donna. Questi sono elementi insostituibili per creare un sano tessuto sociale ed edificare una società vigorosa, proprio per la solidità dei valori morali che la sostengono, la nobilitano e le danno dignità.
In tale contesto, non posso non riconoscere l'impegno che le autorità panamensi hanno ripetutamente profuso nel rafforzare le istituzioni democratiche e una vita pubblica fondata su solidi pilastri etici. A tale riguardo, non bisogna lesinare sforzi per promuovere un sistema giuridico efficiente e indipendente, e bisogna agire in ogni ambito con onestà, trasparenza nella gestione comunitaria e professionalità e diligenza nella risoluzione dei problemi che riguardano i cittadini. Ciò favorirà lo sviluppo di una società giusta e fraterna, nella quale nessun settore della popolazione si veda dimenticato o esposto alla violenza e alla emarginazione.

4. Il momento presente invita tutti noi, le istituzioni e i responsabili del destino dei popoli, a riflettere seriamente sui fenomeni che si producono a livello internazionale e locale. È degno di menzione il prezioso ruolo che Panamá sta svolgendo per la stabilità politica dell'area centroamericana, in momenti come quello attuale in cui la congiuntura mette in evidenza come un progresso consistente e armonioso della comunità umana non dipende unicamente dallo sviluppo economico e dalle scoperte tecnologiche. Questi aspetti devono essere necessariamente completati con altri di carattere etico e spirituale, poiché una società progredisce soprattutto quando in essa abbondano persone con rettitudine interiore, condotta irreprensibile e ferma volontà di prodigarsi per il bene comune, e che, inoltre, inculchino nelle nuove generazioni un vero umanesimo, seminato nella famiglia e coltivato nella scuola, di modo che la vitalità della Nazione sia frutto della crescita integrale della persona e di tutte le persone (cfr. Caritas in veritate, nn. 61, 70).

5. Signora Ambasciatore, prima di concludere il nostro incontro, rinnovo il mio saluto e il mio benvenuto a lei, Eccellenza, e alle persone a lei care, e allo stesso tempo le auguro un lavoro fecondo, insieme con il personale di questa Missione diplomatica, a favore del suo Paese, tanto vicino al cuore del Papa.
Con questi sentimenti, ripongo nelle mani della Santissima Vergine Maria, Nostra Signora La Antigua, le speranze e le sfide dell'amato popolo panamense, per il quale supplico dal Signore copiose benedizioni.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)

CICLO DI CATECHESI SULLA TEOLOGIA MONASTICA E LA TEOLOGIA SCOLASTICA


CICLO DI CATECHESI SUI GRANDI SCRITTORI DELLA CHIESA DI ORIENTE ED OCCIDENTE NEL MEDIOEVO

CICLO DI CATECHESI SULLE GRANDI FIGURE FEMMINILI NEL MEDIOEVO

UDIENZE GENERALI: VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Lo sviluppo della teologia nel XII secolo (udienza generale, 28 ottobre 2009)

La celebre controversia teologica tra San Bernardo di Chiaravalle e Abelardo nel XII secolo (udienza generale, 4 novembre 2009)

L'Ordine di Cluny e la riforma cluniacense (udienza generale, 11 novembre 2009)

La Cattedrale dall'architettura romanica a quella gotica, il retroterra teologico (udienza generale, 18 novembre 2009)

venerdì 30 ottobre 2009

Il Papa: "I grandi scienziati dell'età delle scoperte ci ricordano anche che la conoscenza autentica è sempre rivolta alla sapienza"


UDIENZA AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO DALLA SPECOLA VATICANA IN OCCASIONE DELL’ANNO INTERNAZIONALE DELL’ASTRONOMIA, 30.10.2009

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Incontro promosso dalla Specola Vaticana, in occasione dell’Anno Internazionale dell’Astronomia, e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Ecco una nostra traduzione italiana del discorso del Pontefice.

Eminenza,
Signore e Signori
,

sono lieto di salutare quest'assemblea d'insigni astronomi provenienti da tutto il mondo, che si incontrano in Vaticano per la celebrazione dell'Anno Internazionale dell'Astronomia, e ringrazio il Cardinale Giovanni Lajolo per le cordiali parole di introduzione. Questa celebrazione, che segna il quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni dei cieli da parte di Galileo Galilei con il telescopio, ci invita a considerare il progresso immenso della conoscenza scientifica nell'età moderna e, in modo particolare, a volgere il nostro sguardo al cielo con uno spirito di meraviglia, contemplazione e impegno per la ricerca della verità, ovunque essa debba essere trovata.
Il vostro incontro coincide anche con l'inaugurazione dei nuovi locali della Specola Vaticana a Castel Gandolfo.

Come sapete, la storia della Specola è legata in modo molto concreto alla figura di Galileo, alle controversie intorno alle sue ricerche nonché al tentativo della Chiesa di ottenere una comprensione corretta e feconda del rapporto fra scienza e religione.

Colgo questa occasione per esprimere gratitudine non solo per gli studi accurati che hanno chiarito il preciso contesto storico della condanna di Galileo, ma anche per gli sforzi di tutti coloro che sono impegnati nel dialogo e nella riflessione costanti sulla complementarità della fede e della ragione al servizio di una comprensione integrale dell'uomo e del suo posto nell'universo.

Sono particolarmente grato al personale della Specola nonché agli amici e ai benefattori della Fondazione della Specola Vaticana per i loro sforzi volti a promuovere la ricerca, opportunità pedagogiche e il dialogo fra la Chiesa e il mondo scientifico.
L'Anno Internazionale dell'Astronomia intende, non da ultimo, catturare nuovamente per le persone di tutto il mondo la meraviglia e lo stupore straordinari che hanno caratterizzato la grande età delle scoperte nel sedicesimo secolo. Penso, per esempio, all'esultanza degli scienziati del Collegio Romano che, proprio a pochi passi da qui, fecero osservazioni e calcoli che portarono all'adozione mondiale del calendario gregoriano. La nostra epoca, che è sull'orlo di scoperte scientifiche forse ancor più grandi e di più vasta portata, trarrebbe beneficio da quello stesso senso di ammirata soggezione e dal desiderio di ottenere una sintesi veramente umanistica della conoscenza che ha ispirato i padri della scienza moderna.

Chi può negare che la responsabilità del futuro dell'umanità, e, di fatto, il rispetto per la natura e per il mondo che ci circonda, richiedano, oggi più che mai, l'attenta osservazione, il giudizio critico, la pazienza e la disciplina che sono essenziali per il metodo scientifico moderno?

Nello stesso tempo, i grandi scienziati dell'età delle scoperte ci ricordano anche che la conoscenza autentica è sempre rivolta alla sapienza, e, invece di restringere gli occhi della mente, ci invita ad alzare lo sguardo verso un più elevato regno dello spirito.

In breve, la conoscenza deve essere compresa e perseguita in tutta la sua ampiezza liberatrice. Essa si può certamente ridurre a calcoli e a esperimenti, ma, se aspira a essere sapienza, capace di orientare l'uomo alla luce dei suoi primi inizi e della sua conclusione finale, si deve impegnare nella ricerca della verità ultima che, pur essendo sempre al di là della nostra completa portata, è, nondimeno, la chiave della nostra felicità e della nostra libertà autentiche (cfr Gv 8, 32), la misura della nostra vera umanità e il criterio per un rapporto giusto con il mondo fisico e con i nostri fratelli e le nostre sorelle nella più grande famiglia umana.

Cari amici, la cosmologia moderna ci ha mostrato che né noi né la terra su cui viviamo siamo il centro del nostro universo, composto da miliardi di galassie, ognuna delle quali con miriadi di stelle e pianeti.

Tuttavia, mentre cerchiamo di rispondere alla sfida di quest'Anno, di alzare gli occhi al cielo per riscoprire il nostro posto nell'universo, in che modo possiamo essere catturati dalla meraviglia espressa dal Salmista così tanto tempo fa? Infatti, contemplando il cielo stellato egli gridò con stupore a Dio: "Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cos'è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo, perché te ne curi?" (Sal 8, 4-5). Spero che lo stupore e l'esultanza che intendono essere i frutti di questo Anno Internazionale dell'Astronomia condurranno oltre la contemplazione delle meraviglie del creato fino alla contemplazione del Creatore e di quell'Amore che è il motivo che sottende la sua creazione, l'Amore che, con le parole di Dante Alighieri, "Move il sole e l'altre stelle" (Paradiso xxxiii, 145). L'Apocalisse ci dice che, nella pienezza dei tempi, la Parola attraverso la quale tutte le cose sono state fatte è venuta a dimorare in mezzo a noi. In Cristo, il nuovo Adamo, riconosciamo il centro autentico dell'universo e di tutta la storia, e in Lui, il Logos incarnato, vediamo la misura colma della nostra grandeur di esseri umani, dotati di ragione e chiamati a un destino eterno.
Cari amici, con queste riflessioni vi saluto tutti con rispetto e stima e offro i miei buoni auspici oranti per la vostra ricerca e per il vostro insegnamento. Su di voi, sulle vostre famiglie e sui vostri cari invoco cordialmente le benedizioni di sapienza, gioia e pace di Dio Onnipotente.

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(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2009)

giovedì 29 ottobre 2009

Il Papa: "L'Iran è una grande Nazione che possiede eminenti tradizioni spirituali e il suo popolo ha una sensibilità religiosa profonda"


Vedi anche:

Il Papa all'Iran: «Cooperate» (Vincenzo Faccioli Pintozzi)

L'ambasciatore iraniano al Papa: "Collaboriamo contro ateismo e materialismo. Sul nucleare l'Iran rispetta le norme AIEA" (Asca)

Il Papa: l’Iran collabori con la comunità internazionale e tuteli la libertà religiosa (AsiaNews)

Il Papa: speranza per una apertura crescente e una collaborazione fiduciosa con la comunità internazionale (Asca e Apcom)

Il Papa all’ambasciatore iraniano: favorire la nuova fase di cooperazione internazionale. Richiamo sulla libertà religiosa e i diritti dei Cristiani

Discorso del nuovo ambasciatore iraniano nell'udienza con il Papa

LE LETTERE CREDENZIALI DELL’AMBASCIATORE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN PRESSO LA SANTA SEDE, 29.10.2009

Alle ore 11 di questa mattina, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza S.E. il Signor Ali Akbar Naseri, Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede, in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha rivolto al nuovo ambasciatore, nonché i cenni biografici essenziali di S.E. il Signor Ali Akbar Naseri:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Questa la traduzione italiana del discorso del Papa all'Ambasciatore.

Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in questo giorno in cui presenta le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica Islamica dell'Iran presso la Santa Sede. Le esprimo la mia gratitudine per le cordiali parole che mi ha rivolto, come anche per i voti che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza il signor Mahmoud Ahmadinejad, Presidente della Repubblica. In cambio le sarei grato se potesse ringraziarlo e assicurarlo dei miei auguri cordiali per tutta la nazione.
La sua presenza qui, questa mattina, manifesta l'interesse del suo Paese per lo sviluppo di buone relazioni con la Santa Sede. Come lei sa, signor Ambasciatore, con la sua presenza nelle istanze internazionali e le sue relazioni bilaterali con numerosi Paesi, la Santa Sede desidera difendere e promuovere la dignità dell'uomo. Vuole così essere al servizio del bene della famiglia umana, mostrando particolare interesse per gli aspetti etici, morali e umanitari delle relazioni fra i popoli. In questa prospettiva, la Santa Sede desidera consolidare le sue relazioni con la Repubblica Islamica dell'Iran, e favorire la comprensione reciproca e la collaborazione in vista del bene comune.

L'Iran è una grande Nazione che possiede eminenti tradizioni spirituali e il suo popolo ha una sensibilità religiosa profonda. Questo può essere un motivo di speranza per un'apertura crescente e una collaborazione fiduciosa con la comunità internazionale.

Da parte sua, la Santa Sede sarà sempre pronta a lavorare in armonia con coloro che servono la causa della pace e promuovono la dignità di cui il Creatore ha dotato ogni essere umano. Oggi tutti dobbiamo auspicare e sostenere una nuova fase di cooperazione internazionale, più saldamente fondata su principi umanitari e sull'aiuto effettivo a quanti soffrono, meno dipendente da freddi calcoli di scambio e da benefici tecnici ed economici.
La fede nel Dio unico deve avvicinare tutti i credenti e spingerli a lavorare insieme per la difesa e la promozione dei valori umani fondamentali.

Fra i diritti universali, la libertà religiosa e la libertà di coscienza occupano un posto fondamentale, poiché sono alla base delle altre libertà. La difesa di altri diritti che nascono dalla dignità delle persone e dei popoli, in particolare la promozione della tutela della vita, della giustizia e della solidarietà, deve essere a sua volta l'oggetto di una reale collaborazione.

Del resto, come ho avuto spesso occasione di sottolineare, stabilire relazioni cordiali fra i credenti delle diverse religioni è una necessità urgente del nostro tempo, per costruire un mondo più umano e più conforme al progetto di Dio per il creato. Sono dunque lieto dell'esistenza, da diversi anni, d'incontri organizzati regolarmente e congiuntamente dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dall'Organizzazione per la Cultura e le Relazioni Islamiche, su temi d'interesse comune. Contribuendo a ricercare insieme ciò che è giusto e vero, simili incontri permettono a tutti di progredire nella conoscenza reciproca e di cooperare nella riflessione sulle importanti questioni che concernono la vita dell'umanità.
D'altro canto, i cattolici sono presenti in Iran dai primi secoli del cristianesimo e sono sempre stati parte integrante della vita e della cultura della Nazione. Questa comunità è realmente iraniana e la sua esperienza secolare di buona convivenza con i credenti musulmani è di grande utilità per la promozione di una maggiore comprensione e cooperazione.
La Santa Sede confida nel fatto che le Autorità iraniane sapranno rafforzare e garantire ai cristiani la libertà di professare la loro fede e sapranno assicurare alla comunità cattolica le condizioni essenziali per la sua esistenza, in particolare la possibilità di avere personale religioso sufficiente e di spostarsi facilmente nel Paese al fine di garantire il servizio religioso ai fedeli. In tale prospettiva, auspico che un dialogo fiducioso e sincero si sviluppi con le istituzioni del Paese al fine di migliorare la situazione delle comunità cristiane e delle loro attività nel contesto della società civile e anche di far crescere il loro senso di appartenenza alla vita nazionale. Da parte sua, la Santa Sede, della cui natura e della cui missione è proprio l'interessarsi direttamente alla vita delle Chiese locali, desidera compiere gli sforzi necessari per aiutare la comunità cattolica in Iran a mantenere vivi i segni della presenza cristiana, in uno spirito d'intesa benevola con tutti.
Signor Ambasciatore, desidero infine approfittare di questa lieta occasione per salutare calorosamente le comunità cattoliche che vivono in Iran, e anche i loro Pastori. Il Papa è vicino a tutti i fedeli e prega per loro affinché, pur conservando con perseveranza la loro identità propria e restando legati alla loro terra, collaborino generosamente con tutti i loro concittadini allo sviluppo della Nazione.
Eccellenza, mentre inizia la sua missione presso la Santa Sede, le formulo i miei migliori auspici per il suo buon esito. Le posso assicurare che presso i miei collaboratori troverà sempre comprensione e sostegno per il suo felice svolgimento.
Invoco di tutto cuore sulla sua persona, sulla sua famiglia, sui suoi collaboratori, come pure su tutti gli Iraniani, l'abbondanza delle Benedizioni dell'Altissimo.

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(©L'Osservatore Romano - 30 ottobre 2009)

Il Papa: "Grazie alle più moderne tecnologie è in atto una vera e propria rivoluzione nell’ambito delle comunicazioni sociali..."


UDIENZA AI PARTECIPANTI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, 29.10.2009

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti all’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle in Cristo
,

con grande gioia vi porgo il mio cordiale benvenuto in occasione dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.
Desidero anzitutto esprimere la mia gratitudine a Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del vostro Pontificio Consiglio, per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di voi tutti. Estendo il mio saluto ai suoi collaboratori e a voi qui presenti, ringraziandovi per il contributo che offrite ai lavori della Plenaria, e per il servizio che rendete alla Chiesa nel campo delle comunicazioni sociali.
In questi giorni vi soffermate a riflettere sulle nuove tecnologie della comunicazione.

Anche un osservatore poco attento può facilmente costatare che nel nostro tempo, grazie proprio alle più moderne tecnologie, è in atto una vera e propria rivoluzione nell’ambito delle comunicazioni sociali, di cui la Chiesa va prendendo sempre più responsabile consapevolezza. Tali tecnologie, infatti, rendono possibile una comunicazione veloce e pervasiva, con una condivisione ampia di idee e di opinioni; facilitano l’acquisizione di informazioni e di notizie in maniera capillare e accessibile a tutti.
Il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali segue da tempo questa sorprendente e veloce evoluzione dei media, facendo tesoro degli interventi del magistero della Chiesa. Vorrei qui ricordare, in particolare, due Istruzioni Pastorali: la Communio et Progressio del Papa Paolo VI e la Aetatis Novae voluta da Giovanni Paolo II. Due autorevoli documenti dei miei venerati Predecessori, che hanno favorito e promosso nella Chiesa un’ampia sensibilizzazione su queste tematiche. Inoltre, i grandi cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi vent’anni hanno sollecitato e continuano a sollecitare un’attenta analisi sulla presenza e sull’azione della Chiesa in tale campo. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio (1990) ricordava che "l’impegno nei mass media, non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso".
Ed aggiungeva: "Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna" (n. 37.c). In effetti, la cultura moderna scaturisce, ancor prima che dai contenuti, dal dato stesso dell’esistenza di nuovi modi di comunicare che utilizzano linguaggi nuovi, si servono di nuove tecniche e creano nuovi atteggiamenti psicologici. Tutto questo costituisce una sfida per la Chiesa chiamata ad annunciare il Vangelo agli uomini del terzo millennio mantenendone inalterato il contenuto, ma rendendolo comprensibile grazie anche a strumenti e modalità consoni alla mentalità e alle culture di oggi.

I mezzi di comunicazione sociale, così chiamati nel Decreto conciliare Inter Mirifica, hanno oggi assunto potenzialità e funzioni all’epoca forse difficilmente immaginabili. Il carattere multimediale e la interattività strutturale dei singoli nuovi media, ha, in un certo modo, diminuito la specificità di ognuno di essi, generando gradualmente una sorta di sistema globale di comunicazione, per cui, pur mantenendo ciascun mezzo il proprio peculiare carattere, l’evoluzione attuale del mondo della comunicazione obbliga sempre più a parlare di un’unica forma comunicativa, che fa sintesi delle diverse voci o le pone in stretta reciproca connessione. Molti fra voi, cari amici, sono esperti in materia e possono analizzare con più grande professionalità le varie dimensioni di questo fenomeno, incluse soprattutto quelle antropologiche. Vorrei cogliere l’occasione per invitare quanti nella Chiesa operano nell’ambito della comunicazione ed hanno responsabilità di guida pastorale a saper raccogliere le sfide che pongono all’evangelizzazione queste nuove tecnologie.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, sottolineando l’importanza che rivestono le nuove tecnologie, ho incoraggiato i responsabili dei processi comunicativi ad ogni livello, a promuovere una cultura del rispetto per la dignità e il valore della persona umana, un dialogo radicato nella ricerca sincera della verità, dell’amicizia non fine a se stessa, ma capace di sviluppare i doni di ciascuno per metterli a servizio della comunità umana. In tal modo la Chiesa esercita quella che potremmo definire una "diaconia della cultura" nell’odierno "continente digitale", percorrendone le strade per annunciare il Vangelo, la sola Parola che può salvare l’uomo. Al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali tocca approfondire ogni elemento della nuova cultura dei media, a iniziare dagli aspetti etici, ed esercitare un servizio di orientamento e di guida per aiutare le Chiese particolari a cogliere l’importanza della comunicazione, che rappresenta ormai un punto fermo e irrinunciabile di ogni piano pastorale. Proprio le caratteristiche dei nuovi mezzi rendono, peraltro, possibile, anche su larga scala e nella dimensione globalizzata che essa ha assunto, un’azione di consultazione, di condivisione e di coordinamento che, oltre a incrementare un’efficace diffusione del messaggio evangelico, evita talvolta un’inutile dispersione di forze e di risorse. Per i credenti la necessaria valorizzazione delle nuove tecnologie mediatiche va sempre però sostenuta da una costante visione di fede, sapendo che, al di là dei mezzi che si utilizzano, l’efficacia dell’annuncio del Vangelo dipende in primo luogo dall’azione dello Spirito Santo, che guida la Chiesa e il cammino dell’umanità.

Cari fratelli e sorelle, quest’anno ricorre il 50.mo anniversario della fondazione della Filmoteca Vaticana, voluta dal mio venerato predecessore, il Beato Giovanni XXIII, e che ha raccolto e catalogato materiale filmato dal 1896 a oggi in grado di illustrare la storia della Chiesa. La Filmoteca Vaticana possiede pertanto un ricco patrimonio culturale, che appartiene all’intera umanità. Mentre esprimo viva gratitudine per ciò che è già stato compiuto, incoraggio a proseguire tale interessante lavoro di raccolta, che documenta le tappe del cammino della cristianità, attraverso la suggestiva testimonianza dell’immagine, affinché questi beni siano custoditi e conosciuti. A voi qui presenti ancora una volta grazie per l’apporto che offrite alla Chiesa in un ambito quanto mai importante, com’è quello delle Comunicazioni Sociali, e vi assicuro la mia preghiera perché l’azione del vostro Pontificio Consiglio continui a portare molti frutti. Invoco su ciascuno l’intercessione della Madonna ed imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica.

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mercoledì 28 ottobre 2009

Il Papa: "Fede e ragione, in reciproco dialogo, vibrano di gioia quando sono entrambe animate dalla ricerca dell’intima unione con Dio"


CICLO DI CATECHESI SULLA TEOLOGIA MONASTICA E LA TEOLOGIA SCOLASTICA

CICLO DI CATECHESI SUI GRANDI SCRITTORI DELLA CHIESA DI ORIENTE ED OCCIDENTE NEL MEDIOEVO

SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO (5-26 OTTOBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA GENERALE: IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Catechesi dell'udienza generale del 28 ottobre 2009: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)

Vedi anche:

La teologia che piace al Papa teologo (Magister)

Paul e Wilma, mano nella mano, coronano il sogno di parlare al Papa (Giansoldati)

Il Papa dedica l'Udienza generale alla teologia monastica e scolastica (Zenit)

Gli Olandesi aggrediti accolti a Roma. Sono stati ricevuti da Benedetto XVI e dal sindaco Alemanno (De Crescenzo)

Il Papa all'udienza generale: migliore attenzione alla Messa e alla lettura della Bibbia per arrivare alla verità attraverso la fede e la ragione

Il Papa: ascolto più attento del Vangelo nella Messa domenicale (Izzo)

Visita del Papa a Brescia: tutte le informazioni sul sito speciale della diocesi

Il Papa: tra fede e ragione “una naturale amicizia” quando cercano la verità (AsiaNews)

Il Papa: "Poiché la teologia monastica è ascolto della Parola di Dio, non si può non purificare il cuore per accoglierla" (Sir)

Novità all'udienza: la lettura iniziale, i saluti ed il riassunto della catechesi anche in portoghese

Il Papa: "Nutrire la nostra esistenza della Parola di Dio" (Sir)

L’UDIENZA GENERALE, 28.10.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sullo sviluppo della teologia nel XII secolo.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Lo sviluppo della teologia nel XII secolo

Cari fratelli e sorelle,

oggi mi soffermo su un’interessante pagina di storia, relativa alla fioritura della teologia latina nel secolo XII, avvenuta per una serie provvidenziale di coincidenze.

Nei Paesi dell’Europa occidentale regnava allora una relativa pace, che assicurava alla società sviluppo economico e consolidamento delle strutture politiche, e favoriva una vivace attività culturale grazie pure ai contatti con l’Oriente.

All’interno della Chiesa si avvertivano i benefici della vasta azione nota come “riforma gregoriana”, che, promossa vigorosamente nel secolo precedente, aveva apportato una maggiore purezza evangelica nella vita della comunità ecclesiale, soprattutto nel clero, e aveva restituito alla Chiesa e al Papato un’autentica libertà di azione.

Inoltre si andava diffondendo un vasto rinnovamento spirituale, sostenuto dal rigoglioso sviluppo della vita consacrata: nascevano e si espandevano nuovi Ordini religiosi, mentre quelli già esistenti conoscevano una promettente ripresa.

Rifiorì anche la teologia acquisendo una più grande consapevolezza della propria natura: affinò il metodo, affrontò problemi nuovi, avanzò nella contemplazione dei Misteri di Dio, produsse opere fondamentali, ispirò iniziative importanti della cultura, dall’arte alla letteratura, e preparò i capolavori del secolo successivo, il secolo di Tommaso d’Aquino e di Bonaventura da Bagnoregio.

Due furono gli ambienti nei quali ebbe a svolgersi questa fervida attività teologica: i monasteri e le scuole cittadine, le scholae, alcune delle quali ben presto avrebbero dato vita alle Università, che costituiscono una delle tipiche “invenzioni” del Medioevo cristiano.

Proprio a partire da questi due ambienti, i monasteri e le scholae, si può parlare di due differenti modelli di teologia: la “teologia monastica” e la “teologia scolastica”.

I rappresentanti della teologia monastica erano monaci, in genere Abati, dotati di saggezza e di fervore evangelico, dediti essenzialmente a suscitare e ad alimentare il desiderio amoroso di Dio.
I rappresentanti della teologia scolastica erano uomini colti, appassionati della ricerca; dei magistri desiderosi di mostrare la ragionevolezza e la fondatezza dei Misteri di Dio e dell’uomo, creduti con la fede, certo, ma compresi pure dalla ragione. La diversa finalità spiega la differenza del loro metodo e del loro modo di fare teologia.

Nei monasteri del XII secolo il metodo teologico era legato principalmente alla spiegazione della Sacra Scrittura, della sacra pagina per esprimerci come gli autori di quel periodo; si praticava specialmente la teologia biblica.

I monaci, cioè, erano tutti devoti ascoltatori e lettori delle Sacre Scritture, e una delle principali loro occupazioni consisteva nella lectio divina, cioè nella lettura pregata della Bibbia. Per loro la semplice lettura del Testo sacro non bastava per percepirne il senso profondo, l’unità interiore e il messaggio trascendente. Occorreva, pertanto, praticare una “lettura spirituale”, condotta in docilità allo Spirito Santo.

Alla scuola dei Padri, la Bibbia veniva così interpretata allegoricamente, per scoprire in ogni pagina, dell’Antico come del Nuovo Testamento, quanto dice di Cristo e della sua opera di salvezza.

Il Sinodo dei Vescovi dell’anno scorso sulla “Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” ha richiamato l’importanza dell’approccio spirituale alle Sacre Scritture.
A tale scopo, è utile far tesoro della teologia monastica, un’ininterrotta esegesi biblica, come pure delle opere composte dai suoi rappresentanti, preziosi commentari ascetici ai libri della Bibbia. Alla preparazione letteraria la teologia monastica univa dunque quella spirituale.

Era cioè consapevole che una lettura puramente teorica e profana non basta: per entrare nel cuore della Sacra Scrittura, la si deve leggere nello spirito in cui è stata scritta e creata. La preparazione letteraria era necessaria per conoscere l’esatto significato delle parole e facilitare la comprensione del testo, affinando la sensibilità grammaticale e filologica.

Lo studioso benedettino del secolo scorso Jean Leclercq ha così intitolato il saggio con cui presenta le caratteristiche della teologia monastica: L’amour des lettres et le désir de Dieu (L’amore delle parole e il desiderio di Dio). In effetti, il desiderio di conoscere e di amare Dio, che ci viene incontro attraverso la sua Parola da accogliere, meditare e praticare, conduce a cercare di approfondire i testi biblici in tutte le loro dimensioni. Vi è poi un’altra attitudine sulla quale insistono coloro che praticano la teologia monastica, e cioè un intimo atteggiamento orante, che deve precedere, accompagnare e completare lo studio della Sacra Scrittura.

Poiché, in ultima analisi, la teologia monastica è ascolto della Parola di Dio, non si può non purificare il cuore per accoglierla e, soprattutto, non si può non accenderlo di fervore per incontrare il Signore. La teologia diventa pertanto meditazione, preghiera, canto di lode e spinge a una sincera conversione.

Non pochi rappresentanti della teologia monastica sono giunti, per questa via, ai più alti traguardi dell’esperienza mistica, e costituiscono un invito anche per noi a nutrire la nostra esistenza della Parola di Dio, ad esempio, mediante un ascolto più attento delle letture e del Vangelo specialmente nella Messa domenicale. E’ importante inoltre riservare un certo tempo ogni giorno alla meditazione della Bibbia, perché la Parola di Dio sia lampada che illumina il nostro cammino quotidiano sulla terra.

La teologia scolastica, invece, - come dicevo - era praticata nelle scholae, sorte accanto alle grandi cattedrali dell’epoca, per la preparazione del clero, o attorno a un maestro di teologia e ai suoi discepoli, per formare dei professionisti della cultura, in un’epoca in cui il sapere era sempre più apprezzato.

Nel metodo degli scolastici era centrale la quaestio, cioè il problema che si pone al lettore nell’affrontare le parole della Scrittura e della Tradizione. Davanti al problema che questi testi autorevoli pongono, si sollevano questioni e nasce il dibattito tra il maestro e gli studenti.

In tale dibattito appaiono da una parte gli argomenti dell’autorità, dall’altra quelli della ragione e il dibattito si sviluppa nel senso di trovare, alla fine, una sintesi tra autorità e ragione per giungere a una comprensione più profonda della parola di Dio.
Al riguardo, san Bonaventura dice che la teologia è “per additionem” (cfr Commentaria in quatuor libros sententiarum, I, proem., q. 1, concl.), cioè la teologia aggiunge la dimensione della ragione alla parola di Dio e così crea una fede più profonda, più personale e quindi anche più concreta nella vita dell’uomo. In questo senso, si trovavano diverse soluzioni e si formavano conclusioni che cominciavano a costruire un sistema di teologia. L’organizzazione delle quaestiones conduceva alla compilazione di sintesi sempre più estese, cioè si componevano le diverse quaestiones con le risposte scaturite, creando così una sintesi, le cosiddette summae, che erano, in realtà, ampi trattati teologico-dogmatici nati dal confronto della ragione umana con la parola di Dio. La teologia scolastica mirava a presentare l’unità e l’armonia della Rivelazione cristiana con un metodo, detto appunto “scolastico”, della scuola, che concede fiducia alla ragione umana: la grammatica e la filologia sono al servizio del sapere teologico, ma lo è ancora di più la logica, cioè quella disciplina che studia il “funzionamento” del ragionamento umano, in modo che appaia evidente la verità di una proposizione.

Ancora oggi, leggendo le summae scolastiche si rimane colpiti dall’ordine, dalla chiarezza, dalla concatenazione logica degli argomenti, e dalla profondità di alcune intuizioni. Con linguaggio tecnico, viene attribuito ad ogni parola un preciso significato e, tra il credere e il comprendere, viene a stabilirsi un reciproco movimento di chiarificazione.

Cari fratelli e sorelle, facendo eco all’invito della Prima Lettera di Pietro, la teologia scolastica ci stimola ad essere sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 3,15). Sentire le domande come nostre e così essere capaci anche di dare una risposta. Ci ricorda che tra fede e ragione esiste una naturale amicizia, fondata nell’ordine stesso della creazione.

Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nell’incipit dell’Enciclica Fides et ratio scrive: “La fede e la ragione sono come le due ali, con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità”.

La fede è aperta allo sforzo di comprensione da parte della ragione; la ragione, a sua volta, riconosce che la fede non la mortifica, anzi la sospinge verso orizzonti più ampi ed elevati. Si inserisce qui la perenne lezione della teologia monastica.

Fede e ragione, in reciproco dialogo, vibrano di gioia quando sono entrambe animate dalla ricerca dell’intima unione con Dio. Quando l’amore vivifica la dimensione orante della teologia, la conoscenza, acquisita dalla ragione, si allarga. La verità è ricercata con umiltà, accolta con stupore e gratitudine: in una parola, la conoscenza cresce solo se ama la verità. L’amore diventa intelligenza e la teologia autentica sapienza del cuore, che orienta e sostiene la fede e la vita dei credenti.

Preghiamo dunque perché il cammino della conoscenza e dell’approfondimento dei Misteri di Dio sia sempre illuminato dall’amore divino.

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Il Papa a Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni: Dialogo e amicizia per una più stretta unità


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

Il Papa nel decennale dell'elezione di Karekin II a Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni

Dialogo e amicizia per una più stretta unità

Con "il ripristino della libertà per la Chiesa in Armenia verso la fine del secolo scorso" è spettato a Karekin II "il compito immenso di riedificare la comunità ecclesiale". Lo ricorda Benedetto XVI nel messaggio indirizzato al Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, nel decennale dell'elezione e dell'insediamento alla Sede Madre di Santa Etchmiadzin.

Ecco una nostra traduzione italiana del messaggio del Pontefice.

A Sua Santità
Karekin II
Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni


"Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (Gal, 1, 3).

Nella gioiosa occasione del decimo anniversario della sua elezione e del suo insediamento quale Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni, le porgo, Santità, i miei saluti affettuosi e fraterni. Rendo grazie a Dio per le benedizioni che ha riversato sulla Chiesa apostolica armena attraverso il suo ministero, Santità. Conosco anche il suo impegno personale per il dialogo, la cooperazione e l'amicizia fra la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica, espressi chiaramente dai vari incontri che hanno avuto luogo di recente fra Lei, Santità, e il Successore di Pietro. Prego affinché i buoni rapporti che abbiamo instaurato continuino a crescere nei prossimi anni.
Il ripristino della libertà per la Chiesa in Armenia verso la fine del secolo scorso ha colmato di gioia i cristiani di tutto il mondo. Il compito immenso di riedificare la comunità ecclesiale è spettato a Lei, Santità. Ciò che è stato già ottenuto, in un periodo così breve, è veramente notevole: nuove iniziative sono state prese relativamente all'educazione cristiana dei giovani, alla formazione del clero, alla creazione di nuove parrocchie, all'edificazione di nuove chiese e centri comunitari e alla promozione di valori cristiani nella vita sociale e culturale della nazione.
Santità, imploro Dio Onnipotente affinché, per intercessione di san Gregorio l'Illuminatore, possiamo essere sempre più strettamente uniti in un vincolo santo di fede, speranza e carità cristiane. In questo importante anniversario, prego affinché Dio Uno e Trino riversi su di Lei, Santità, le sue benedizioni: che l'amore di Dio Padre l'avvolga, la sapienza del Figlio la illumini e il fuoco dello Spirito Santo la ispiri!
Con sentimenti di stima, l'assicuro del mio affetto fraterno nel Signore.
Dal Vaticano, 27 ottobre 2009

BENEDETTO PP. XVI

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(©L'Osservatore Romano - 28 ottobre 2009)

lunedì 26 ottobre 2009

Il Papa: La Sacra Scrittura diventi in questo mondo secolarizzato non solo l’anima della teologia, bensì pure la fonte della spiritualità..."


Vedi anche:

Il Papa: la fede della Chiesa «vera chiave» della Bibbia (Rosoli)

Il Papa: non c'è opposizione fra Bibbia e Tradizione Cattolica (Izzo)

Il Papa: La Sacra Scrittura, interpretata dalla Chiesa, dia forza ai credenti per affrontare le sfide del mondo secolarizzato

Il Papa: "Fui diretto testimone dell'elaborazione della Dei Verbum partecipando come teologo alle discussioni che ne hanno preceduto l’approvazione"

UDIENZA AI DOCENTI, AGLI STUDENTI E AL PERSONALE DEL PONTIFICIO ISTITUTO BIBLICO, 26.10.2009

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Docenti, gli Studenti e il Personale del Pontificio Istituto Biblico in occasione del centenario di fondazione.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Reverendissimo Preposito Generale della Compagnia di Gesù,
Illustre Rettore,
Illustri docenti e cari alunni del Pontificio Istituto Biblico
!

Con vero piacere vi incontro in occasione del 100° anniversario della fondazione del vostro Istituto, voluto dal mio santo predecessore Pio X al fine di costituire nella città di Roma un centro di studi specializzati sulla Sacra Scrittura e le discipline connesse. Saluto con deferenza il Cardinale Zenon Grocholewski, a cui va il mio ringraziamento per le cortesi parole che mi ha voluto rivolgere a nome vostro. Saluto parimenti il Preposito Generale, Padre Adolfo Nicolás Pachón, e colgo volentieri l’opportunità che mi è data per manifestare sincera gratitudine alla Compagnia di Gesù, la quale, non senza notevole sforzo, dispiega investimenti finanziari e risorse umane nella gestione della Facoltà dell’Oriente antico, della Facoltà biblica qui a Roma e della sede dell’Istituto a Gerusalemme. Saluto il Rettore e i docenti, che hanno consacrato la vita allo studio e alla ricerca in costante ascolto della parola di Dio. Saluto e ringrazio il personale, gli impiegati e gli operai per la loro apprezzata collaborazione, come pure i benefattori che hanno messo e continuano a porre a diposizione le risorse necessarie per la manutenzione delle strutture e per le attività del Pontifico Istituto Biblico. Saluto gli ex allievi spiritualmente uniti a noi in questo momento, e specialmente saluto voi, cari alunni, che provenite da ogni parte del mondo.

Sono trascorsi 100 anni dalla nascita del Pontificio Istituto Biblico. Nel corso di questo secolo, è certamente aumentato l’interesse per la Bibbia, e, grazie al Concilio Vaticano II, soprattutto alla Costituzione dogmatica Dei Verbum - della cui elaborazione fui diretto testimone partecipando come teologo alle discussioni che ne hanno preceduto l’approvazione – si è avvertita molto più l’importanza della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa.
Ciò ha favorito nelle comunità cristiane un autentico rinnovamento spirituale e pastorale, che ha interessato soprattutto la predicazione, la catechesi, lo studio della teologia, e il dialogo ecumenico. A questo rinnovamento il vostro Pontificio Istituto ha dato un proprio significativo contributo con la ricerca scientifica biblica, con l’insegnamento delle discipline bibliche e la pubblicazione di qualificati studi e riviste specializzate. Nel corso dei decenni si sono succedute varie generazioni di illustri docenti - qui vorrei ricordare, tra gli altri, il Cardinale Bea -, che hanno formato più di 7 mila professori di Sacra Scrittura e promotori di gruppi biblici, come pure molti esperti inseriti attualmente in diversi servizi ecclesiali, in ogni regione del mondo. Rendiamo grazie al Signore per questa vostra attività tesa ad interpretare i testi biblici nello spirito nel quale sono stati scritti (cfr Dei Verbum, 12), ed aperta al dialogo con le altre discipline, con le diverse culture e religioni. Anche se ha conosciuto momenti di difficoltà, essa è stata condotta in costante fedeltà al magistero secondo le finalità proprie del vostro Istituto, sorto appunto "ut in Urbe Roma altiorum studiorum ad Libros sacros pertinentium habeatur centrum, quod efficaciore, quo liceat, modo doctrinam biblicam et studia omnia eidem adiuncta, sensu Ecclesiae catholicae promoveat" (Pius PP. X, Litt. Ap. Vinea electa (7 maggio 1909): AAS 1 (1909), 447-448).

Cari amici, la ricorrenza del centenario costituisce un traguardo e al tempo stesso un punto di partenza. Arricchiti dell’esperienza del passato, proseguite il vostro cammino con rinnovato impegno, consapevoli del servizio alla Chiesa che vi è richiesto, quello cioè di avvicinare la Bibbia alla vita del Popolo di Dio, perché sappia affrontare in maniera adeguata le inedite sfide che i tempi moderni pongono alla nuova evangelizzazione.

Comune auspicio è che la Sacra Scrittura diventi in questo mondo secolarizzato non solo l’anima della teologia, bensì pure la fonte della spiritualità e del vigore della fede di tutti i credenti in Cristo.

Il Pontificio Istituto Biblico continui, pertanto, a crescere come centro ecclesiale di studio di alta qualità nell’ambito della ricerca biblica, avvalendosi delle metodologie critiche moderne e in collaborazione con gli specialisti in dogmatica e in altre aree teologiche; assicuri un’accurata formazione ai futuri professori di Sacra Scrittura perché, avvalendosi delle lingue bibliche e delle diverse metodologie esegetiche, possano accedere direttamente ai testi biblici.

La già citata Costituzione dogmatica Dei Verbum, a tale riguardo, ha sottolineato la legittimità e la necessità del metodo storico-critico, riconducendolo a tre elementi essenziali: l’attenzione ai generi letterari; lo studio del contesto storico; l’esame di ciò che si usa chiamare Sitz im Leben.

Il documento conciliare al tempo stesso mantiene fermo il carattere teologico dell’esegesi indicando i punti di forza del metodo teologico nell’interpretazione del testo. Questo perché il presupposto fondamentale sul quale riposa la comprensione teologica della Bibbia è l’unità della Scrittura, ed a tale presupposto corrisponde come cammino metodologico l’analogia della fede, cioè la comprensione dei singoli testi a partire dall’insieme.

Il testo conciliare aggiunge un’ulteriore indicazione metodologica. Essendo la Scrittura una cosa sola a partire dall’unico popolo di Dio, che ne è stato il portatore attraverso la storia, conseguentemente leggere la Scrittura come un’unità significa leggerla a partire dalla Chiesa come dal suo luogo vitale e ritenere la fede della Chiesa come la vera chiave d’interpretazione.

Se l’esegesi vuole essere anche teologia, deve riconoscere che la fede della Chiesa è quella forma di "sim-patia" senza la quale la Bibbia resta un libro sigillato: la Tradizione non chiude l’accesso alla Scrittura, ma piuttosto lo apre; d’altro canto, spetta alla Chiesa, nei suoi organismi istituzionali, la parola decisiva nell’interpretazione della Scrittura. È alla Chiesa, infatti, che è affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta e trasmessa, esercitando la sua autorità nel nome di Gesù Cristo (cfr Dei Verbum, 10)

Cari fratelli e sorelle, mentre ringrazio per la vostra gradita visita, vi incoraggio a proseguire il vostro servizio ecclesiale, in costante adesione al magistero della Chiesa ed assicurando a ciascuno di voi il sostegno della preghiera, di cuore imparto a tutti, quale pegno dei divini favori, la Benedizione Apostolica.

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domenica 25 ottobre 2009

Il Papa: "Il discorso di un pastore deve essere realistico, deve toccare la realtà, ma nella prospettiva di Dio e della sua Parola"


SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE NEL CORSO DEL SINODO SPECIALE PER L'AFRICA

DISCORSO DEL SANTO PADRE: AUDIO DI RADIO VATICANA

SERVIZIO THE VATICAN

PAROLE PRONUNCIATE DAL SANTO PADRE AL TERMINE DEL PRANZO CON I PADRI SINODALI (24 OTTOBRE 2009), 25.10.2009

Pubblichiamo di seguito le parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato ieri, sabato 24 ottobre, al termine del pranzo con i Padri sinodali nell’Atrio dell’Aula Paolo VI:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

è adesso l’ora di dire grazie.
Grazie anzitutto al Signore che ci ha convocato, ci ha riunito, ci ha aiutato ad ascoltare la sua Parola, la voce dello Spirito Santo, e così ha dato anche la possibilità di trovare la strada dell’unità nella molteplicità delle esperienze, l’unità della fede e la comunione nel Signore. Perciò l’espressione "Chiesa-Famiglia di Dio" non è più solo un concetto, un’idea, ma è un’esperienza viva di queste settimane: siamo stati realmente riuniti, qui, come Famiglia di Dio. Abbiamo fatto anche, con l’aiuto del Signore, un buon lavoro.
Il tema, di per sé, era una sfida non facile, con due pericoli, direi.
Il tema "Riconciliazione, giustizia e pace" implica certamente una forte dimensione politica, anche se è evidente che riconciliazione, giustizia e pace non sono possibili senza una profonda purificazione del cuore, senza un rinnovamento del pensiero, una metanoia, senza una novità che deve risultare proprio dall’incontro con Dio. Ma anche se questa dimensione spirituale è profonda e fondamentale, pure la dimensione politica è molto reale, perché senza realizzazioni politiche, queste novità dello Spirito comunemente non si realizzano. Perciò la tentazione poteva essere di politicizzare il tema, di parlare meno da pastori e più da politici, con una competenza, così, che non è la nostra.
L’altro pericolo è stato - proprio per fuggire da questa tentazione - quello di ritirarsi in un mondo puramente spirituale, in un mondo astratto e bello, ma non realistico.

Il discorso di un pastore, invece, deve essere realistico, deve toccare la realtà, ma nella prospettiva di Dio e della sua Parola. Quindi questa mediazione comporta, da una parte essere realmente legati alla realtà, attenti a parlare di quanto c’è, e dall’altra non cadere in soluzioni tecnicamente politiche; ciò vuol dire indicare una parola concreta, ma spirituale.

Era questo il grande problema del Sinodo e mi sembra che, grazie a Dio, siamo riusciti a risolverlo, e per me questo è anche motivo di gratitudine perché facilita molto l’elaborazione del documento post-sinodale.

Vorrei adesso ritornare ai ringraziamenti. Ringrazio soprattutto i presidenti delegati, che hanno moderato, con grande "sovranità" e anche con allegria, le sedute del Sinodo. Ringrazio i relatori: abbiamo visto anche adesso e toccato – per così dire – con mano, che essi hanno portato il più grande peso del lavoro, hanno lavorato di notte e anche di domenica, hanno lavorato durante il pranzo e adesso meritano realmente un grande applauso da parte nostra.

Posso qui comunicare che ho deciso di nominare il cardinale Turkson nuovo presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, successore del cardinale Martino. Grazie, Eminenza, per aver accettato; siamo contenti di averla fra poco tra noi.

Grazie poi a tutti i Padri, ai delegati fraterni, agli uditori, agli esperti e grazie soprattutto ai traduttori perché hanno una parte nella trama di "creare Pentecoste". Pentecoste vuol dire capirsi reciprocamente; senza traduttore questo ponte di comprensione mancherebbe. Grazie! E grazie soprattutto anche al Segretario generale, al suo team, che ci ha guidato e ha organizzato silenziosamente tutto molto bene.

Il Sinodo finisce e non finisce, non solo perché i lavori vanno avanti con l’Esortazione Post-Sinodale: Synodos vuol dire cammino comune. Rimaniamo nel comune cammino col Signore, andiamo avanti al Signore per preparargli le strade, per aiutarlo, aprirgli le porte del mondo perché possa creare il suo Regno tra di noi.

In questo senso la mia Benedizione per voi tutti. Recitiamo adesso la preghiera di ringraziamento per il pranzo.

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Il Papa: "Cari fratelli e sorelle che mi ascoltate dall’Africa! Affido in modo speciale alla vostra preghiera i frutti del lavoro dei Padri sinodali"


SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE NEL CORSO DEL SINODO SPECIALE PER L'AFRICA

SINODO DEI VESCOVI PER IL MEDIO ORIENTE (10-24 OTTOBRE 2010): LO SPECIALE DEL BLOG

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Angelus del 25 ottobre 2009: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)

Il Papa chiude il Sinodo dei vescovi per l'Africa: "Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace per tutti. E ciò implica la sua predilezione per quanti di libertà e di pace sono privi, per quanti sono violati nella propria dignità di persone umane. Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate" (Omelia del Santo Padre nel corso della concelebrazione dell’Eucaristia con i Padri Sinodali, in occasione della conclusione della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, 25 ottobre 2009)


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 25.10.2009

Al termine della Santa Messa celebrata questa mattina nella Basilica Vaticana per la conclusione della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, il Santo Padre Benedetto XVI esce sul sagrato della Basilica per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini presenti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Poco fa, con la celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, si è conclusa la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.
Tre settimane di preghiera e di ascolto reciproco, per discernere ciò che lo Spirito Santo dice oggi alla Chiesa che vive nel Continente africano, ma al tempo stesso alla Chiesa universale. I Padri sinodali, venuti da tutti i Paesi dell’Africa, hanno presentato la ricca realtà delle Chiese locali.
Insieme abbiamo condiviso le loro gioie per il dinamismo delle comunità cristiane, che continuano a crescere in quantità e qualità. Siamo grati a Dio per lo slancio missionario che ha trovato terreno fertile in numerose diocesi e che si esprime nell’invio di missionari in altri Paesi africani e in diversi Continenti. Particolare rilievo è stato dato alla famiglia, che anche in Africa costituisce la cellula primaria della società, ma che oggi viene minacciata da correnti ideologiche provenienti anche dall’esterno. Che dire, poi, dei giovani esposti a questo tipo di pressione, influenzati da modelli di pensiero e di comportamento che contrastano con i valori umani e cristiani dei popoli africani? Naturalmente sono emersi in Assemblea i problemi attuali dell’Africa e il suo grande bisogno di riconciliazione, di giustizia e di pace. Proprio a questo la Chiesa risponde riproponendo, con rinnovato slancio, l’annuncio del Vangelo e l’azione di promozione umana. Animata dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia, essa si sforza di far sì che nessuno sia privo del necessario per vivere e che tutti possano condurre un’esistenza degna dell’essere umano.

Ricordando il viaggio apostolico che ho compiuto in Camerun e Angola nello scorso mese di marzo, e che aveva anche lo scopo di avviare la preparazione immediata del secondo Sinodo per l’Africa, oggi desidero rivolgermi a tutte le popolazioni africane, in particolare a quanti condividono la fede cristiana, per consegnare loro idealmente il Messaggio finale di questa Assemblea sinodale.
E’ un Messaggio che parte da Roma, sede del Successore di Pietro, che presiede alla comunione universale, ma si può dire, in un senso non meno vero, che esso ha origine nell’Africa, di cui raccoglie le esperienze, le attese, i progetti, e adesso ritorna all’Africa, portando la ricchezza di un evento di profonda comunione nello Spirito Santo.
Cari fratelli e sorelle che mi ascoltate dall’Africa! Affido in modo speciale alla vostra preghiera i frutti del lavoro dei Padri sinodali, e vi incoraggio con le parole del Signore Gesù: siate sale e luce nell’amata terra africana!

Mentre si conclude questo Sinodo, desidero ora ricordare che per il prossimo anno è prevista un’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.
In occasione della mia Visita a Cipro, avrò il piacere di consegnare l’Instrumentum laboris di tale assise. Ringraziamo il Signore, che non si stanca mai di edificare la sua Chiesa nella comunione, e invochiamo con fiducia la materna intercessione della Vergine Maria.

DOPO L’ANGELUS

Rivolgo anzitutto uno speciale saluto alle migliaia di fedeli radunati a Milano, in Piazza del Duomo, dove stamani è stata celebrata la liturgia di beatificazione del sacerdote Don Carlo Gnocchi. Egli fu dapprima valido educatore di ragazzi e giovani. Nella seconda guerra mondiale divenne cappellano degli Alpini, con i quali fece la tragica ritirata di Russia, scampando alla morte per miracolo. Fu allora che progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità. Così, nella Milano in ricostruzione, Don Gnocchi lavorò per "restaurare la persona umana" raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla fine, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi. La sua opera ha continuato a svilupparsi ed oggi la Fondazione Don Gnocchi è all’avanguardia nella cura di persone di ogni età che necessitano di terapie riabilitative. Mentre saluto il Cardinale Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, e mi rallegro con l’intera Chiesa ambrosiana, faccio mio il motto di questa beatificazione: "Accanto alla vita, sempre".

Je vous accueille avec joie, pour la prière de l’Angélus, chers pèlerins francophones. En ce jour où s’achève la deuxième Assemblée Spéciale pour l’Afrique du Synode des Évêques, la liturgie nous rappelle que seul le Christ Jésus peut guérir pleinement la personne humaine de la misère d’un cœur blessé. Que notre prière se fasse instante pour que tous les peuples de la terre, et particulièrement les peuples d’Afrique, marchent avec Lui sur les chemins de la vie, de la réconciliation, de la justice et de la paix. Que Notre-Dame d’Afrique protège et guide les hommes et les femmes de ce bien aimé continent ! Bon dimanche !

I am happy to greet all the English-speaking visitors present today in Saint Peter’s Square. We have just concluded the Second Special Assembly for Africa of the Synod of Bishops which has been a period of grace. I invite all of you to pray for our brothers and sisters of Africa. May the Lord, who granted sight to the blind man of the Gospel, renew their faith that they may always see and follow clearly the path of reconciliation, justice and peace which leads to salvation. Upon all of you and upon all the people of Africa I invoke God’s abundant blessings.

Von Herzen grüße ich die deutschsprachigen Gäste hier auf dem Petersplatz. Das Evangelium dieses Sonntags, das wir auch soeben im Petersdom bei der Eucharistiefeier zum Abschluß der Bischofssynode für Afrika gehört haben, berichtet uns von der Heilung eines Blinden. Jesus hat das inständige Rufen des Bartimäus gehört und ihm sein Augenlicht wiedergeschenkt. Das ermutigt uns, mit all unseren persönlichen Schwierigkeiten, in den Anliegen der Kirche und ebenso mit den Herausforderungen und Nöten des afrikanischen Kontinents voll Glauben und Vertrauen zu Christus zu kommen. Er schenkt auch uns Hilfe und Heil. Der Herr behüte euch und eure Familien.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española. Con la celebración eucarística en la Basílica de San Pedro ha concluido esta mañana la Segunda Asamblea Especial para África del Sínodo de los Obispos. En un clima de profunda y fraterna comunión eclesial, hemos escuchado testimonios elocuentes del gran dinamismo misionero de la Iglesia africana, así como de los importantes desafíos que tiene que afrontar en el momento presente. Pidamos al Señor, por intercesión de la Santísima Virgen María, que conceda al Pueblo de Dios en África un renovado impulso evangelizador, al servicio de la reconciliación y la paz. ¡Feliz domingo!

Dirijo agora uma saudação cordial aos peregrinos de língua portuguesa, de modo particular aos grupos das dioceses brasileiras de Jundiaí e São Carlos, desejando que a vinda a Roma fortaleça a vossa fé e vos encha de paz e alegria em Cristo. A Santíssima Virgem guie maternalmente os vossos passos. Acompanho estes votos, com a minha Bênção Apostólica.

Pozdravljam romarje iz Kamnika v Sloveniji! Kakor nekoč sveti Frančišek ste se tudi vi, člani njegovega svetnega reda in prijatelji, podali na božjo pot v Rim in prišli na srečanje s Petrovim naslednikom. Naj vam bo to vaše romanje v pomoč, da boste tudi sami napredovali v svetosti in veselo služili Bogu v Njegovi Cerkvi!

[Saluto i pellegrini provenienti da Kamnik in Slovenia! Sulle orme di S. Francesco anche voi, membri del suo Terzo Ordine ed amici, siete venuti in pellegrinaggio a Roma e all'incontro con il Successore di Pietro. Questo vostro pellegrinaggio vi sia d'aiuto affinché anche voi possiate progredire nella santità e servire Iddio con gioia nella Sua Chiesa!]

Słowa pozdrowienia kieruję do Polaków. Zamykając prace Synodu dla Afryki, dziękuję Bogu za dar polskich misjonarzy, duchownych i świeckich, którzy służą Kościołowi na tym kontynencie. Wszystkich wierzących proszę o duchowe i materialne wsparcie tego dzieła. Niech wam Bóg błogosławi.

[Parole di saluto rivolgo ai polacchi. Concludendo i lavori del Sinodo per l’Africa, ringrazio Dio per il dono dei missionari polacchi, religiosi e laici, che servono la Chiesa in quel continente. A tutti i credenti chiedo il sostegno spirituale e materiale di quest’opera. Dio vi benedica!]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare il gruppo di catechisti della Diocesi di Rimini e i fedeli provenienti da Lamezia Terme, Altamura e Caselle in Pittari. Saluto inoltre l’Istituto Europeo "Marcello Candia" di Seregno, i dipendenti dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e il Cooper Club Roma. Auguro a tutti una buona domenica.

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Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace


SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI ED OMELIE DEL SANTO PADRE NEL CORSO DEL SINODO SPECIALE PER L'AFRICA

Il Papa: "Cari fratelli e sorelle che mi ascoltate dall’Africa! Affido in modo speciale alla vostra preghiera i frutti del lavoro dei Padri sinodali, e vi incoraggio con le parole del Signore Gesù: siate sale e luce nell’amata terra africana!" (Parole del Santo Padre alla recita dell'Angelus, 25 ottobre 2009)

CAPPELLA PAPALE PER LA CONCLUSIONE DELLA II ASSEMBLEA SPECIALE PER L’AFRICA DEL SINODO DEI VESCOVI, 25.10.2009

Alle ore 10 di questa mattina, XXX Domenica del tempo "per annum", il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la concelebrazione dell’Eucaristia con i Padri Sinodali, in occasione della conclusione della II Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi sul tema: «La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. "Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo" (Mt 5, 13.14)».
Nel corso del Sacro Rito, dopo la proclamazione del Vangelo, il Santo Padre pronuncia l’omelia che pubblichiamo di seguito:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli!
Cari fratelli e sorelle
!

Ecco un messaggio di speranza per l’Africa: l’abbiamo ascoltato or ora dalla Parola di Dio.
E’ il messaggio che il Signore della storia non si stanca di rinnovare per l’umanità oppressa e sopraffatta di ogni epoca e di ogni terra, da quando rivelò a Mosè la sua volontà sugli israeliti schiavi in Egitto: "Ho osservato la miseria del mio popolo… ho udito il suo grido… conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo… e per farlo salire verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele" (Es 3,7-8). Qual è questa terra? Non è forse il Regno della riconciliazione, della giustizia e della pace, a cui è chiamata l’umanità intera? Il disegno di Dio non muta.
E’ lo stesso che fu profetizzato da Geremia, nei magnifici oracoli denominati "Libro della consolazione", da cui oggi è tratta la prima lettura.
E’ un annuncio di speranza per il popolo d’Israele, prostrato dall’invasione dell’esercito di Nabucodonosor, dalla devastazione di Gerusalemme e del Tempio e dalla deportazione in Babilonia. Un messaggio di gioia per il "resto" dei figli di Giacobbe, che annuncia un futuro per essi, perché il Signore li ricondurrà nella loro terra, attraverso una strada diritta e agevole. Le persone bisognose di sostegno, come il cieco e lo zoppo, la donna gravida e la partoriente, sperimenteranno la forza e la tenerezza del Signore: Egli è un padre per Israele, pronto a prendersene cura come del primogenito (cfr Ger 31,7-9).

Il disegno di Dio non muta. Attraverso i secoli e i rivolgimenti della storia, Egli punta sempre alla stessa meta: il Regno della libertà e della pace per tutti. E ciò implica la sua predilezione per quanti di libertà e di pace sono privi, per quanti sono violati nella propria dignità di persone umane. Pensiamo in particolare ai fratelli e alle sorelle che in Africa soffrono povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate.

Questi figli prediletti del Padre celeste sono come il cieco del Vangelo, Bartimeo, che "sedeva lungo la strada a mendicare" (Mc 10,46), alle porte di Gerico. Proprio per quella strada passa Gesù Nazareno. E’ la strada che conduce a Gerusalemme, dove si consumerà la Pasqua, la sua Pasqua sacrificale, alla quale il Messia va incontro per noi. E’ la strada del suo esodo che è anche il nostro: l’unica via che conduce alla terra della riconciliazione, della giustizia e della pace. Su quella via il Signore incontra Bartimeo, che ha perduto la vista. Le loro vie si incrociano, diventano un’unica via. "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!", grida il cieco con fiducia. Replica Gesù: "Chiamatelo!", e aggiunge: "Che cosa vuoi che io faccia per te?".

Dio è luce e creatore della luce. L’uomo è figlio della luce, fatto per vedere la luce, ma ha perso la vista, e si trova costretto a mendicare. Accanto a lui passa il Signore, che si è fatto mendicante per noi: assetato della nostra fede e del nostro amore. "Che cosa vuoi che io faccia per te?". Dio sa, ma chiede; vuole che sia l’uomo a parlare.

Vuole che l’uomo si alzi in piedi, che ritrovi il coraggio di domandare ciò che gli spetta per la sua dignità. Il Padre vuole sentire dalla viva voce del figlio la libera volontà di vedere di nuovo la luce, quella luce per la quale lo ha creato. "Rabbunì, che io veda di nuovo!". E Gesù a lui: "Va’, la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada" (Mc 10,51-52).

Cari Fratelli, rendiamo grazie perché questo "misterioso incontro tra la nostra povertà e la grandezza" di Dio si è realizzato anche nell’Assemblea sinodale per l’Africa che oggi si conclude. Dio ha rinnovato la sua chiamata: "Coraggio! Alzati…" (Mc 10,49). E anche la Chiesa che è in Africa, attraverso i suoi Pastori, venuti da tutti i Paesi del Continente, dal Madagascar e dalle altre isole, ha accolto il messaggio di speranza e la luce per camminare sulla via che conduce al Regno di Dio. "Va’, la tua fede ti ha salvato" (Mc 10,52).

Sì, la fede in Gesù Cristo – quando è bene intesa e praticata – guida gli uomini e i popoli alla libertà nella verità, o, per usare le tre parole del tema sinodale, alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace.

Bartimeo che, guarito, segue Gesù lungo la strada, è immagine dell’umanità che, illuminata dalla fede, si mette in cammino verso la terra promessa. Bartimeo diventa a sua volta testimone della luce, raccontando e dimostrando in prima persona di essere stato guarito, rinnovato, rigenerato. Questo è la Chiesa nel mondo: comunità di persone riconciliate, operatrici di giustizia e di pace; "sale e luce" in mezzo alla società degli uomini e delle nazioni.

Perciò il Sinodo ha ribadito con forza – e lo ha manifestato – che la Chiesa è Famiglia di Dio, nella quale non possono sussistere divisioni su base etnica, linguistica o culturale.

Testimonianze commoventi ci hanno mostrato che, anche nei momenti più bui della storia umana, lo Spirito Santo è all’opera e trasforma i cuori delle vittime e dei persecutori perché si riconoscano fratelli. La Chiesa riconciliata è potente lievito di riconciliazione nei singoli Paesi e in tutto il Continente africano.

La seconda lettura ci offre un’ulteriore prospettiva: la Chiesa, comunità che segue Cristo sulla via dell’amore, ha una forma sacerdotale.

La categoria del sacerdozio, come chiave interpretativa del mistero di Cristo e, di conseguenza, della Chiesa, è stata introdotta nel Nuovo Testamento dall’Autore della Lettera agli Ebrei.

La sua intuizione prende origine dal Salmo 110, citato nel brano odierno, là dove il Signore Dio, con solenne giuramento, assicura al Messia: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek" (v. 4). Riferimento che ne richiama un altro, tratto dal Salmo 2, nel quale il Messia annuncia il decreto del Signore che dice di lui: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato" (v. 7). Da questi testi deriva l’attribuzione a Gesù Cristo del carattere sacerdotale, non in senso generico, bensì "secondo l’ordine di Melchisedek", vale a dire il sacerdozio sommo ed eterno, di origine non umana ma divina. Se ogni sommo sacerdote "è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio" (Eb 5,1), solo Lui, il Cristo, il Figlio di Dio, possiede un sacerdozio che si identifica con la sua stessa Persona, un sacerdozio singolare e trascendente, da cui dipende la salvezza universale.

Questo suo sacerdozio Cristo l’ha trasmesso alla Chiesa mediante lo Spirito Santo; pertanto la Chiesa ha in se stessa, in ogni suo membro, in forza del Battesimo, un carattere sacerdotale.

Ma – qui c’è un aspetto decisivo – il sacerdozio di Gesù Cristo non è più primariamente rituale, bensì esistenziale. La dimensione del rito non viene abolita, ma, come appare chiaramente nell’istituzione dell’Eucaristia, prende significato dal Mistero pasquale, che porta a compimento i sacrifici antichi e li supera.

Nascono così contemporaneamente un nuovo sacrificio, un nuovo sacerdozio ed anche un nuovo tempio, e tutti e tre coincidono con il Mistero di Gesù Cristo. Unita a Lui mediante i Sacramenti, la Chiesa prolunga la sua azione salvifica, permettendo agli uomini di essere risanati mediante la fede, come il cieco Bartimeo. Così la Comunità ecclesiale, sulle orme del suo Maestro e Signore, è chiamata a percorrere decisamente la strada del servizio, a condividere fino in fondo la condizione degli uomini e delle donne del suo tempo, per testimoniare a tutti l’amore di Dio e così seminare speranza.

Cari amici, questo messaggio di salvezza la Chiesa lo trasmette coniugando sempre l’evangelizzazione e la promozione umana. Prendiamo ad esempio la storica Enciclica Populorum progressio: ciò che il Servo di Dio Paolo VI elaborò in termini di riflessione, i missionari l’hanno realizzato e continuano a realizzarlo sul campo, promuovendo uno sviluppo rispettoso delle culture locali e dell’ambiente, secondo una logica che ora, dopo più di 40 anni, appare l’unica in grado di far uscire i popoli africani dalla schiavitù della fame e delle malattie.

Questo significa trasmettere l’annuncio di speranza secondo una "forma sacerdotale", cioè vivendo in prima persona il Vangelo, cercando di tradurlo in progetti e realizzazioni coerenti con il principio dinamico fondamentale, che è l’amore. In queste tre settimane, la Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi ha confermato ciò che il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II aveva già messo bene a fuoco, e che ho voluto anch’io approfondire nella recente Enciclica Caritas in veritate: occorre, cioè, rinnovare il modello di sviluppo globale, in modo che sia capace di "includere tutti i popoli e non solamente quelli adeguatamente attrezzati" (n. 39). Quanto la dottrina sociale della Chiesa ha sempre sostenuto a partire dalla sua visione dell’uomo e della società, oggi è richiesto anche dalla globalizzazione (cfr ibid.). Questa – occorre ricordare – non va intesa fatalisticamente come se le sue dinamiche fossero prodotte da anonime forze impersonali e indipendenti dalla volontà umana. La globalizzazione è una realtà umana e come tale è modificabile secondo l’una o l’altra impostazione culturale. La Chiesa lavora con la sua concezione personalista e comunitaria, per orientare il processo in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione (cfr ibid., n. 42).

"Coraggio, alzati!…". Così quest’oggi il Signore della vita e della speranza si rivolge alla Chiesa e alle popolazioni africane, al termine di queste settimane di riflessione sinodale.

Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio, perché ti chiama il Padre celeste che i tuoi antenati invocavano come Creatore, prima di conoscerne la vicinanza misericordiosa, rivelatasi nel suo Figlio unigenito, Gesù Cristo.

Intraprendi il cammino di una nuova evangelizzazione con il coraggio che proviene dallo Spirito Santo. L’urgente azione evangelizzatrice, di cui molto si è parlato in questi giorni, comporta anche un appello pressante alla riconciliazione, condizione indispensabile per instaurare in Africa rapporti di giustizia tra gli uomini e per costruire una pace equa e duratura nel rispetto di ogni individuo e di ogni popolo; una pace che ha bisogno e si apre all’apporto di tutte le persone di buona volontà al di là delle rispettive appartenenze religiose, etniche, linguistiche, culturali e sociali. In tale impegnativa missione tu, Chiesa pellegrina nell’Africa del terzo millennio, non sei sola. Ti è vicina con la preghiera e la solidarietà fattiva tutta la Chiesa cattolica, e dal Cielo ti accompagnano i santi e le sante africani, che, con la vita talora sino al martirio, hanno testimoniato piena fedeltà a Cristo.

Coraggio! Alzati, Continente africano, terra che ha accolto il Salvatore del mondo quando da bambino dovette rifugiarsi con Giuseppe e Maria in Egitto per aver salva la vita dalla persecuzione del re Erode. Accogli con rinnovato entusiasmo l’annuncio del Vangelo perché il volto di Cristo possa illuminare con il suo splendore la molteplicità delle culture e dei linguaggi delle tue popolazioni.

Mentre offre il pane della Parola e dell’Eucaristia, la Chiesa si impegna anche ad operare, con ogni mezzo disponibile, perché a nessun africano manchi il pane quotidiano. Per questo, insieme all’opera di primaria urgenza dell’evangelizzazione, i cristiani sono attivi negli interventi di promozione umana.

Cari Padri Sinodali, al termine di queste mie riflessioni, desidero rivolgervi il mio saluto più cordiale, ringraziandovi per la vostra edificante partecipazione. Tornando a casa, voi, Pastori della Chiesa in Africa, portate la mia benedizione alle vostre Comunità. Trasmettete a tutti l’appello risuonato sovente in questo Sinodo alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. Mentre si chiude l’Assemblea sinodale non posso non rinnovare la mia viva riconoscenza al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e a tutti i suoi collaboratori. Un grato pensiero esprimo ai cori della comunità nigeriana di Roma e del Collegio Etiopico, che contribuiscono all’animazione di questa liturgia. E infine voglio ringraziare quanti hanno accompagnato i lavori sinodali con la preghiera. La Vergine Maria ricompensi tutti e ciascuno, e ottenga alla Chiesa in Africa di crescere in ogni parte di quel grande Continente, diffondendo dappertutto il "sale" e la "luce" del Vangelo.

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