sabato 31 dicembre 2011

Il Papa: Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l’uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. L’uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l’umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l’amore, che è eterno

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

VESPRI TE DEUM E VISITA AL PRESEPE: VIDEO INTEGRALE

OMELIA DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

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CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO

OMELIA DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
distinte Autorità,
cari fratelli e sorelle!


Siamo raccolti nella Basilica Vaticana per celebrare i Primi Vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio e per rendere grazie al Signore al termine dell’anno, cantando insieme il Te Deum.
Ringrazio voi tutti che avete voluto unirvi a me in questa circostanza sempre densa di sentimenti e di significato. Saluto in primo luogo i Signori Cardinali, i venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato, i religiosi e le religiose, le persone consacrate ed i fedeli laici che rappresentano l’intera comunità ecclesiale di Roma. In modo speciale saluto le Autorità presenti, ad iniziare dal Sindaco di Roma, ringraziandolo per il dono del calice che, secondo una bella tradizione, ogni anno si rinnova. Auspico di cuore che non manchi l’impegno di tutti affinché il volto della nostra Città sia sempre più consono ai valori di fede, di cultura e di civiltà che appartengono alla sua vocazione e alla sua storia millenaria.
Un altro anno si avvia a conclusione mentre ne attendiamo uno nuovo: con la trepidazione, i desideri e le attese di sempre. Se si pensa all’esperienza della vita, si rimane stupiti di quanto in fondo essa sia breve e fugace. Per questo, non poche volte si è raggiunti dall’interrogativo: quale senso possiamo dare ai nostri giorni? Quale senso, in particolare, possiamo dare ai giorni di fatica e di dolore? Questa è una domanda che attraversa la storia, anzi attraversa il cuore di ogni generazione e di ogni essere umano. Ma a questa domanda c’è una risposta: è scritta nel volto di un Bambino che duemila anni fa è nato a Betlemme e che oggi è il Vivente, per sempre risorto da morte. Nel tessuto dell’umanità lacerato da tante ingiustizie, cattiverie e violenze, irrompe in maniera sorprendente la novità gioiosa e liberatrice di Cristo Salvatore, che nel mistero della sua Incarnazione e della sua Nascita ci fa contemplare la bontà e la tenerezza di Dio. Dio eterno è entrato nella nostra storia e rimane presente in modo unico nella persona di Gesù, il suo Figlio fatto uomo, il nostro Salvatore, venuto sulla terra per rinnovare radicalmente l’umanità e liberarla dal peccato e dalla morte, per elevare l’uomo alla dignità di figlio di Dio. Il Natale non richiama solo il compimento storico di questa verità che ci riguarda direttamente, ma, in modo misterioso e reale, ce la dona di nuovo.
Come è suggestivo, in questo tramonto di un anno, riascoltare l’annuncio gioioso che l’apostolo Paolo rivolgeva ai cristiani della Galazia: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). Queste parole raggiungono il cuore della storia di tutti e la illuminano, anzi la salvano, perché dal giorno del Natale del Signore è venuta a noi la pienezza del tempo. Non c’è, dunque, più spazio per l’angoscia di fronte al tempo che scorre e non ritorna; c’è adesso lo spazio per una illimitata fiducia in Dio, da cui sappiamo di essere amati, per il quale viviamo e al quale la nostra vita è orientata in attesa del suo definitivo ritorno.

Da quando il Salvatore è disceso dal Cielo, l’uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché, o che è segnato dalla fatica, dalla tristezza, dal dolore. L’uomo è figlio di un Dio che è entrato nel tempo per riscattare il tempo dal non senso o dalla negatività e che ha riscattato l’umanità intera, donandole come nuova prospettiva di vita l’amore, che è eterno.

La Chiesa vive e professa questa verità ed intende proclamarla ancora oggi con rinnovato vigore spirituale. In questa celebrazione abbiamo speciali ragioni di lodare Dio per il suo mistero di salvezza, operante nel mondo mediante il ministero ecclesiale. Abbiamo tanti motivi di ringraziamento al Signore per ciò che la nostra comunità ecclesiale, nel cuore della Chiesa universale, compie al servizio del Vangelo in questa Città. A tale proposito, unitamente al Cardinale Vicario, Agostino Vallini, ai Vescovi Ausiliari, ai Parroci e all’intero presbiterio diocesano, desidero ringraziare il Signore, in particolare, per il promettente cammino comunitario volto ad adeguare alle esigenze del nostro tempo la pastorale ordinaria, attraverso il progetto «Appartenenza ecclesiale e corresponsabilità pastorale». Esso ha l’obiettivo di porre l’evangelizzazione al primo posto, al fine di rendere più responsabile e fruttuosa la partecipazione dei fedeli ai Sacramenti, così che ciascuno possa parlare di Dio all’uomo contemporaneo e annunciare con incisività il Vangelo a quanti non lo hanno mai conosciuto o lo hanno dimenticato.
La quaestio fidei è la sfida pastorale prioritaria anche per la Diocesi di Roma. I discepoli di Cristo sono chiamati a far rinascere in se stessi e negli altri la nostalgia di Dio e la gioia di viverlo e di testimoniarlo, a partire dalla domanda sempre molto personale: perché credo? Occorre dare il primato alla verità, accreditare l’alleanza tra fede e ragione come due ali con cui lo spirito umano si innalza alla contemplazione della Verità (cfr GIOVANNI PAOLO II, Enc. Fides et ratio, Prologo); rendere fecondo il dialogo tra cristianesimo e cultura moderna; far riscoprire la bellezza e l’attualità della fede non come atto a sé, isolato, che interessa qualche momento della vita, ma come orientamento costante, anche delle scelte più semplici, che conduce all’unità profonda della persona rendendola giusta, operosa, benefica, buona. Si tratta di ravvivare una fede che fondi un nuovo umanesimo capace di generare cultura e impegno sociale.
In questo quadro di riferimento, nel Convegno diocesano dello scorso giugno la Diocesi di Roma ha avviato un percorso di approfondimento sull’iniziazione cristiana e sulla gioia di generare nuovi cristiani alla fede. Annunciare la fede nel Verbo fatto carne, infatti, è il cuore della missione della Chiesa e l’intera comunità ecclesiale deve riscoprire con rinnovato ardore missionario questo compito imprescindibile. Soprattutto le giovani generazioni, che avvertono maggiormente il disorientamento accentuato anche dall’attuale crisi non solo economica ma anche di valori, hanno bisogno di riconoscere in Gesù Cristo «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (Conc. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 10).
I genitori sono i primi educatori alla fede dei loro figli fin dalla più tenera età; pertanto è necessario sostenere le famiglie nella loro missione educativa attraverso opportune iniziative. In pari tempo, è auspicabile che il cammino battesimale, prima tappa dell’itinerario formativo dell’iniziazione cristiana, oltre a favorire la consapevole e degna preparazione alla celebrazione del Sacramento, ponga adeguata attenzione agli anni immediatamente successivi al Battesimo, con appositi itinerari che tengano conto delle condizioni di vita che le famiglie devono affrontare. Incoraggio quindi le comunità parrocchiali e le altre realtà ecclesiali a proseguire con impegno nella riflessione per promuovere una migliore comprensione e recezione dei Sacramenti attraverso i quali l’uomo è reso partecipe della vita stessa di Dio. Non manchino alla Chiesa di Roma fedeli laici pronti ad offrire il proprio contributo per edificare comunità vive, che permettano alla Parola di Dio di irrompere nel cuore di quanti ancora non hanno conosciuto il Signore o si sono allontanati da Lui. Al tempo stesso, è opportuno creare occasioni di incontro con la Città, che consentano un proficuo dialogo con quanti sono alla ricerca della Verità.
Cari amici, dal momento che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito, perché noi potessimo ottenere la figliolanza adottiva (cfr Gal 4,5), non può esistere per noi compito più grande di quello di essere totalmente al servizio del progetto divino. A tale proposito desidero incoraggiare e ringraziare tutti i fedeli della Diocesi di Roma, che sentono la responsabilità di ridonare un’anima a questa nostra società. Grazie a voi, famiglie romane, prime e fondamentali cellule della società! Grazie ai membri delle molte Comunità, delle Associazioni e dei Movimenti impegnati ad animare la vita cristiana della nostra Città!
«Te Deum laudamus!» Noi ti lodiamo, Dio! La Chiesa ci suggerisce di non terminare l’anno senza rivolgere al Signore il nostro ringraziamento per tutti i suoi benefici. È in Dio che deve terminare l’ultima nostra ora, l’ultima ora del tempo e della storia. Dimenticare questo fine della nostra vita significherebbe cadere nel vuoto, vivere senza senso. Per questo la Chiesa pone sulle nostre labbra l’antico inno Te Deum. È un inno pieno della sapienza di tante generazioni cristiane, che sentono il bisogno di rivolgere in alto il loro cuore, nella consapevolezza che siamo tutti nelle mani piene di misericordia del Signore.
«Te Deum laudamus!». Così canta anche la Chiesa che è in Roma, per le meraviglie che Dio ha operato e opera in essa. Con l’animo colmo di gratitudine ci disponiamo a varcare la soglia del 2012, ricordando che il Signore veglia su di noi e ci custodisce. A Lui questa sera vogliamo affidare il mondo intero. Mettiamo nelle sue mani le tragedie di questo nostro mondo e gli offriamo anche le speranze per un futuro migliore. Deponiamo questi voti nelle mani di Maria, Madre di Dio, Salus Populi Romani. Amen.

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mercoledì 28 dicembre 2011

Il Papa: la Famiglia di Nazaret è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre, che trasforma anche le relazioni interpersonali, umane

CICLO DI CATECHESI SULLA PREGHIERA DI GESU'

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA GENERALE: VIDEO INTEGRALE

CATECHESI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

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Il Papa: nella famiglia si impara a percepire il senso di Dio. San Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno. Ripensare relazioni ed affetti alla luce della Santa Famiglia (Izzo)

A scuola di preghiera nella casa di Nazaret. Durante l’udienza generale il Papa parla della Santa Famiglia (O.R.)

Nel nome della madre. Nella catechesi di oggi in Aula Paolo VI una riflessione particolare su Maria (Sir)

Il Papa all’udienza generale: è in famiglia che si impara a pregare e a percepire il senso di Dio

All'udienza generale il Papa anticipa i contenuti del terzo volume su Gesù (Izzo)

A scuola di preghiera in famiglia (Galeazzi)

Il Papa ricorda le parole di Paolo VI: Silenzio di Nazaret insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri! (Ambrogetti)

Il Papa: "La famiglia prima scuola di preghiera" (Speciale)

Il Papa: se non si insegna a pregare in famiglia, sarà dificile riempire poi questo vuoto (AsiaNews)

Ultima udienza generale dell'anno. Il Papa: riscoprire la bellezza di pregare insieme in famiglia

L’UDIENZA GENERALE, 28.12.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua riflessione sull’importanza della preghiera nella vita della Santa Famiglia di Nazareth.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica
.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

La preghiera e la Santa Famiglia

Cari fratelli e sorelle,

l’odierno incontro si svolge nel clima natalizio, pervaso di intima gioia per la nascita del Salvatore. Abbiamo appena celebrato questo mistero, la cui eco si espande nella liturgia di tutti questi giorni.
È un mistero di luce che gli uomini di ogni epoca possono rivivere nella fede e nella preghiera. Proprio attraverso la preghiera noi diventiamo capaci di accostarci a Dio con intimità e profondità. Perciò, tenendo presente il tema della preghiera che sto sviluppando in questo periodo nelle catechesi, oggi vorrei invitarvi a riflettere su come la preghiera faccia parte della vita della Santa Famiglia di Nazaret. La casa di Nazaret, infatti, è una scuola di preghiera, dove si impara ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato profondo della manifestazione del Figlio di Dio, traendo esempio da Maria, Giuseppe e Gesù.

Rimane memorabile il discorso del Servo di Dio Paolo VI nella sua visita a Nazaret. Il Papa disse che alla scuola della Santa Famiglia noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo». E aggiunse: «In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri» (Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964).

Possiamo ricavare alcuni spunti sulla preghiera, sul rapporto con Dio, della Santa Famiglia dai racconti evangelici dell’infanzia di Gesù. Possiamo partire dall’episodio della presentazione di Gesù al tempio. San Luca narra che Maria e Giuseppe, «quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore» (2,22). Come ogni famiglia ebrea osservante della legge, i genitori di Gesù si recano al tempio per consacrare a Dio il primogenito e per offrire il sacrificio. Mossi dalla fedeltà alle prescrizioni, partono da Betlemme e si recano a Gerusalemme con Gesù che ha appena quaranta giorni; invece di un agnello di un anno presentano l’offerta delle famiglie semplici, cioè due colombi. Quello della Santa Famiglia è il pellegrinaggio della fede, dell’offerta dei doni, simbolo della preghiera, e dell’incontro con il Signore, che Maria e Giuseppe già vedono nel figlio Gesù.

La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile.
Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo grembo che si è formato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza. Alla contemplazione di Gesù nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Lo sguardo del suo cuore si concentra su di Lui già al momento dell’Annunciazione, quando Lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi ne avverte a poco a poco la presenza, fino al giorno della nascita, quando i suoi occhi possono fissare con tenerezza materna il volto del figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia. I ricordi di Gesù, fissati nella sua mente e nel suo cuore, hanno segnato ogni istante dell’esistenza di Maria. Ella vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola. San Luca dice: «Da parte sua [Maria] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19), e così descrive l’atteggiamento di Maria davanti al Mistero dell’Incarnazione, atteggiamento che si prolungherà in tutta la sua esistenza: custodire le cose meditandole nel cuore. Luca è l’evangelista che ci fa conoscere il cuore di Maria, la sua fede (cfr 1,45), la sua speranza e obbedienza (cfr 1,38), soprattutto la sua interiorità e preghiera (cfr 1,46-56), la sua libera adesione a Cristo (cfr 1,55). E tutto questo procede dal dono dello Spirito Santo che scende su di lei (cfr 1,35), come scenderà sugli Apostoli secondo la promessa di Cristo (cfr At 1,8). Questa immagine di Maria che ci dona san Luca presenta la Madonna come modello di ogni credente che conserva e confronta le parole e le azioni di Gesù, un confronto che è sempre un progredire nella conoscenza di Gesù. Sulla scia del beato Papa Giovanni Paolo II (cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae) possiamo dire che la preghiera del Rosario trae il suo modello proprio da Maria, poiché consiste nel contemplare i misteri di Cristo in unione spirituale con la Madre del Signore. La capacità di Maria di vivere dello sguardo di Dio è, per così dire, contagiosa. Il primo a farne l’esperienza è stato san Giuseppe. Il suo amore umile e sincero per la sua promessa sposa e la decisione di unire la sua vita a quella di Maria ha attirato e introdotto anche lui, che già era un «uomo giusto» (Mt 1,19), in una singolare intimità con Dio. Infatti, con Maria e poi, soprattutto, con Gesù, egli incomincia un nuovo modo di relazionarsi a Dio, di accoglierlo nella propria vita, di entrare nel suo progetto di salvezza, compiendo la sua volontà. Dopo aver seguito con fiducia l’indicazione dell’Angelo - «non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20) - egli ha preso con sé Maria e ha condiviso la sua vita con lei; ha veramente donato tutto se stesso a Maria e a Gesù, e questo l’ha condotto verso la perfezione della risposta alla vocazione ricevuta. Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe: la sua è una presenza silenziosa, ma fedele, costante, operosa. Possiamo immaginare che anche lui, come la sua sposa e in intima consonanza con lei, abbia vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza nella loro famiglia. Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria. Lui, in particolare, lo avrà portato con sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le grandi feste del popolo d’Israele. Giuseppe, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità – al mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose. Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazaret, tra la semplice casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare il pane necessario alla famiglia.

E infine, un altro episodio che vede la Santa Famiglia di Nazaret raccolta insieme in un evento di preghiera. Gesù, l'abbiamo sentito, a dodici anni si reca con i suoi al tempio di Gerusalemme. Questo episodio si colloca nel contesto del pellegrinaggio, come sottolinea san Luca: «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa» (2,41-42). Il pellegrinaggio è un’espressione religiosa che si nutre di preghiera e, al tempo stesso, la alimenta. Qui si tratta di quello pasquale, e l’Evangelista ci fa osservare che la famiglia di Gesù lo vive ogni anno, per partecipare ai riti nella Città santa. La famiglia ebrea, come quella cristiana, prega nell’intimità domestica, ma prega anche insieme alla comunità, riconoscendosi parte del Popolo di Dio in cammino e il pellegrinaggio esprime proprio questo essere in cammino del Popolo di Dio. La Pasqua è il centro e il culmine di tutto questo, e coinvolge la dimensione familiare e quella del culto liturgico e pubblico.

Nell’episodio di Gesù dodicenne, sono registrate anche le prime parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (2,49). Dopo tre giorni di ricerche, i suoi genitori lo ritrovarono nel tempio seduto tra i maestri mentre li ascoltava ed interrogava (cfr 2,46).
Alla domanda perché ha fatto questo al padre e alla madre, Egli risponde che ha fatto soltanto quanto deve fare il Figlio, cioè essere presso il Padre. Così Egli indica chi è il vero Padre, chi è la vera casa, che Egli non fatto niente di strano, di disobbediente. E' rimasto dove deve essere il Figlio, cioè presso il Padre, e ha sottolineato chi è il suo Padre. La parola «Padre» sovrasta quindi l'accento di questa risposta e appare tutto il mistero cristologico. Questa parola apre quindi il mistero, è la chiave al mistero di Cristo, che è il Figlio, e apre anche la chiave al mistero nostro di cristiani, che siamo figli nel Figlio. Nello stesso tempo, Gesù ci insegna come essere figli, proprio nell'essere col Padre nella preghiera. Il mistero cristologico, il mistero dell'esistenza cristiana è intimamente collegato, fondato sulla preghiera. Gesù insegnerà un giorno ai suoi discepoli a pregare, dicendo loro: quando pregate dite «Padre». E, naturalmente, non ditelo solo con una parola, ditelo con la vostra esistenza, imparate sempre più a dire con la vostra esistenza: «Padre»; e così sarete veri figli nel Figlio, veri cristiani.

Qui, quando Gesù è ancora pienamente inserito nella vita della Famiglia di Nazaret, è importante notare la risonanza che può aver avuto nei cuori di Maria e Giuseppe sentire dalla bocca di Gesù quella parola «Padre», e rivelare, sottolineare chi è il Padre, e sentire dalla sua bocca questa parola con la consapevolezza del Figlio Unigenito, che proprio per questo ha voluto rimanere per tre giorni nel tempio, che è la «casa del Padre».

Da allora, possiamo immaginare, la vita nella Santa Famiglia fu ancora più ricolma di preghiera, perché dal cuore di Gesù fanciullo – e poi adolescente e giovane – non cesserà più di diffondersi e di riflettersi nei cuori di Maria e di Giuseppe questo senso profondo della relazione con Dio Padre. Questo episodio ci mostra la vera situazione, l'atmosfera dell'essere col Padre. Così la Famiglia di Nazaret è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre, che trasforma anche le relazioni interpersonali, umane.

Cari amici, per questi diversi aspetti che, alla luce del Vangelo, ho brevemente tratteggiato, la Santa Famiglia è icona della Chiesa domestica, chiamata a pregare insieme. La famiglia è Chiesa domestica e deve essere la prima scuola di preghiera. Nella famiglia i bambini, fin dalla più tenera età, possono imparare a percepire il senso di Dio, grazie all’insegnamento e all’esempio dei genitori: vivere in un'atmosfera segnata dalla presenza di Dio. Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto. E, pertanto, vorrei rivolgere a voi l’invito a riscoprire la bellezza di pregare assieme come famiglia alla scuola della Santa Famiglia di Nazaret. E così divenire realmente un cuor solo e un'anima sola, una vera famiglia.
Grazie

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lunedì 26 dicembre 2011

Il Papa: In questo momento voglio ripetere ancora una volta con forza: la violenza è una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte; il rispetto, la riconciliazione e l’amore sono l’unica via per giungere alla pace


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ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 26.12.2011

Alle ore 12 di oggi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:


PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

All’indomani della solenne liturgia del Natale del Signore, oggi celebriamo la festa di Santo Stefano, diacono e primo martire della Chiesa. Lo storico Eusebio di Cesarea lo definisce il «martire perfetto» (Die Kirchengeschichte V,2,5: GCS II,1, Lipsia 1903, 430), perché è scritto negli Atti degli Apostoli: «Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo» (6,8). San Gregorio di Nissa commenta: «Era un uomo onesto e pieno di Spirito Santo: con la bontà dell’animo adempiva l’incarico di nutrire i poveri e con la libertà della parola e la forza dello Spirito Santo chiudeva la bocca ai nemici della verità» (Sermo in Sanctum Stephanum II: GNO X,1, Leiden 1990, 98). Uomo di preghiera e di evangelizzazione, Stefano, il cui nome significa "corona", ha ricevuto da Dio il dono del martirio. Infatti egli «pieno di Spirito Santo … vide la gloria di Dio» (At 7,55) e mentre fu lapidato pregava: "Signore Gesù, accogli il mio spirito" (At 7,59). Poi, caduto in ginocchio, supplicava il perdono per gli accusatori: «Signore, non imputare loro questo peccato» (At 7,60). Per questo la Chiesa orientale canta negli inni: «Le pietre sono diventate per te gradini e scale per la celeste ascesa … e ti sei accostato gioioso alla festosa adunanza degli angeli» (MHNAIA t. II, Roma 1889, 694.695).

Dopo la generazione degli Apostoli, i martiri acquistano un posto di primo piano nella considerazione della Comunità cristiana. Nei tempi di maggiore persecuzione, il loro elogio rinfranca il faticoso cammino dei fedeli e incoraggia chi è in cerca della verità a convertirsi al Signore. Perciò la Chiesa, per divina disposizione, venera le reliquie dei martiri e li onora con soprannomi quali «maestri di vita», «testimoni viventi», «colonne animate», «silenziosi messaggeri» (Gregorio di Nazianzo, Oratio 43, 5: PG 36, 500 C).

Cari amici, la vera imitazione di Cristo è l’amore, che alcuni scrittori cristiani hanno definito il «martirio segreto». A tale proposito san Clemente di Alessandria scrive: «Coloro che mettono in pratica i comandamenti del Signore gli rendono testimonianza in ogni azione, poiché fanno ciò che Egli vuole e fedelmente invocano il nome del Signore» (Stromatum IV, 7,43,4: SC 463, Paris 2001, 130). Come nell’antichità anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio. Ma, ci ricorda il Signore, «chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).

A Maria Santissima, Regina dei Martiri, rivolgiamo la nostra supplica per custodire integra la volontà di bene, soprattutto verso coloro che ci avversano. In particolare affidiamo alla misericordia divina oggi i diaconi della Chiesa, affinché, illuminati dall’esempio di Santo Stefano, collaborino, secondo la missione loro propria, all’impegno di evangelizzazione (cfr Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 94).

DOPO L’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Il Santo Natale suscita in noi, in modo ancora più forte, la preghiera a Dio affinché si fermino le mani dei violenti, che seminano morte e nel mondo possano regnare la giustizia e la pace. Ma la nostra terra continua ad essere intrisa di sangue innocente. Ho appreso con profonda tristezza la notizia degli attentati che, anche quest’anno nel Giorno della Nascita di Gesù, hanno portato lutto e dolore in alcune chiese della Nigeria. Desidero manifestare la mia sincera e affettuosa vicinanza alla comunità cristiana e a tutti coloro che sono stati colpiti da questo assurdo gesto e invito a pregare il Signore per le numerose vittime. Faccio appello affinché con il concorso delle varie componenti sociali, si ritrovino sicurezza e serenità. In questo momento voglio ripetere ancora una volta con forza: la violenza è una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte; il rispetto, la riconciliazione e l’amore sono l’unica via per giungere alla pace.

Chers pèlerins de langue française, au lendemain de Noël l’Église fête le premier témoin du Christ ressuscité. Saint Étienne a vécu, jusqu’à sa mort, le message de salut que le Christ a apporté à notre monde. La naissance du Fils de Dieu nous encourage à témoigner de sa présence au milieu de son peuple même dans l’adversité. Pensons à tous les chrétiens persécutés à travers le monde, qui, suivant l’exemple de ce saint, offrent leur vie à cause de leur foi. Le Pape ne les oublie pas. Que Dieu les remplisse de courage et de force et que la Vierge Marie soit leur soutien! Avec ma Bénédiction Apostolique!

I am happy to greet all the English-speaking pilgrims and visitors present for this Angelus prayer. Today we celebrate Saint Stephen, the first Christian martyr. May his example inspire us to be courageous in living our faith in Christ our Saviour and ready to forgive those who harm us. I pray that your stay in Rome may renew your love of Christ and his Church and I wish you all a blessed Christmas Season!

Zum Fest des heiligen Stephanus heiße ich heute alle Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen. Einen Tag nach Weihnachten läßt der erste Martyrer der Kirche uns an all jene denken, die auch in unseren Tagen wegen ihres Zeugnisses für den menschgewordenen Sohn Gottes Verfolgung erleiden. Bitten wir darum, daß wir alle, so wie der heilige Stephanus, im Glauben und in der Liebe standhaft bleiben. Von Herzen wünsche ich euch und allen Familien eine gesegnete Weihnachtszeit.

Saludo con afecto a los fieles de lengua española presentes en esta oración mariana. Sintiendo aún el eco de la Navidad, invito a todos a suplicar al Señor que no deje de suscitar en su Iglesia testigos fieles y valientes del Evangelio, a imitación de San Esteban, cuya fiesta celebramos hoy. Él fue el primero de los diáconos escogidos por los Apóstoles como colaboradores de su ministerio y también fue el primero que, colmado de fe y del Espíritu Santo, derramó su sangre en Jerusalén para proclamar su amor a Jesús, el Verbo de Dios hecho carne. Que el ejemplo y la intercesión de los mártires avive en nosotros el deseo de ser auténticos discípulos y misioneros de Cristo, nuestro Redentor. Muchas gracias.

A minha saudação estende-se também aos peregrinos de língua portuguesa, desejando que esta vinda a Roma encha de paz e alegria natalícia os vossos corações. Assim podereis imitar Santo Estêvão no seu amor apaixonado por Cristo, fazendo-o transbordar sobre os conterrâneos e vossa família, que de coração abençôo.

Pozdrawiam wszystkich Polaków. Wspomnienie męczeństwa św. Szczepana uświadamia nam, że również dzisiaj w wielu zakątkach świata nasi bracia chrześcijanie dają heroiczne świadectwo wiary pośród prześladowań. Niech towarzyszy im nasze duchowe wsparcie, aby zachowali pewność, że „jeśli kto wyznaje, że Jezus jest Synem Bożym, to Bóg trwa w nim, a on w Bogu" (1J 4,15). Niech ta wiara będzie również w nas w naszych małych i wielkich przeciwnościach. Serdecznie wam błogosławię.

[Saluto tutti i polacchi. La memoria del martirio di Santo Stefano ci rende consapevoli che anche oggi in diverse parti del mondo i nostri fratelli cristiani danno testimonianza della fede tra le persecuzioni. Li accompagni il nostro spirituale sostegno, affinché perduri in loro la certezza che "chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio" (1 Gv 4,15). Questa fede resti anche in noi nelle nostre piccole e grandi avversità. Vi benedico di cuore.]

Rivolgo un caloroso saluto ai pellegrini di lingua italiana, in modo particolare alle famiglie e ai bambini. Mentre vi ringrazio per il vostro affetto, vi chiedo di portare i miei auguri ai vostri cari che sono a casa, specialmente agli anziani e agli ammalati. Buone feste a tutti voi! Grazie!

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domenica 25 dicembre 2011

MESSAGGIO URBI ET ORBI DI PAPA BENEDETTO XVI (25 DICEMBRE 2011)

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

MESSAGGIO E BENEDIZIONE URBI ET ORBI: VIDEO INTEGRALE

MESSAGGIO E BENEDIZIONE URBI ET ORBI: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA



AUGURI DEL SANTO PADRE AI POPOLI E ALLE NAZIONI IN OCCASIONE DEL SANTO NATALE

Vedi anche:

No alla violenza. I Messaggi di Natale di Papa Benedetto (Mazza)

Messaggio Urbi et Orbi (Rome Reports)

Il Messaggio Urbi et Orbi del Santo Padre nel servizio di Lucio Brunelli

Il Papa: Dio “è apparso”, la nascita del Bambino porti pace e riconciliazione al mondo (AsiaNews)

Guardare oltre la festa dei negozi: così Papa nella Messa della notte di Natale (Radio Vaticana)

Messaggio Urbi et Orbi: servizio di Lucio Brunelli

Il Papa: Gesù è la mano tesa di Dio all' uomo accecato dall'orgoglio (Ambrogetti)

Messaggio Urbi et Orbi: servizio di Marina Ricci

Una mano più forte. Dio e l’uomo nel messaggio natalizio. La benedizione Urbi ed Orbi (Sir)

Benedetto XVI augura all'Italia un futuro di speranza, piu' fraterno e solidale (Ansa)

Il Papa: «Gesù aiuti l’umanità ferita da tanti conflitti» (Tornielli)

Benedizione «Urbi et Orbi» di Benedetto XVI. Il commento di Vecchi

URBI ET ORBI: FOTO TGCOM

Benedetto XVI nel messaggio di Natale: Cristo è nato per salvarci dal “male profondo” che ci separa da Dio. Il Papa ricorda tutti i popoli sofferenti. Poi gli auguri e la benedizione Urbi et Orbi

URBI ET ORBI: FOTO ANSA

Messaggio Urbi et Orbi: video Repubblica

MESSAGGIO NATALIZIO DEL SANTO PADRE E BENEDIZIONE URBI ET ORBI, 25.12.2011

Alle ore 12 di oggi, Solennità del Natale del Signore, dalla Loggia della Benedizione il Santo Padre Benedetto XVI rivolge il tradizionale Messaggio natalizio ai fedeli presenti in Piazza San Pietro e a quanti lo ascoltano attraverso la radio e la televisione.
Questo il testo del Messaggio del Santo Padre per il Natale 2011:


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!

Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti.

Così lo invoca un’antica antifona liturgica: "O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio". Veni ad salvandum nos! Vieni a salvarci! Questo è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui. Cari fratelli e sorelle, questa mano è Cristo, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Lui è la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi sulla roccia, la salda roccia della sua Verità e del suo Amore (cfr Sal 40,3).

Sì, questo significa il nome di quel Bambino, il nome che, per volere di Dio, gli hanno dato Maria e Giuseppe: si chiama Gesù, che significa "Salvatore" (cfr Mt 1,21; Lc 1,31). Egli è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte (cfr Gen 3,1-7). Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: "Veni ad salvandum nos! - Vieni a salvarci!".

Il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati (cfr Est [greco] 10,3f). Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati. Riconoscerlo, è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso.

Gesù Cristo è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non solo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Se stesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione (cfr Es 3,7-12). La risposta che Dio ha dato in Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giungendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, ma divina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva scegliere di salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma è quella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione, del dialogo, della collaborazione.

Perciò, cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero, in questo Natale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme, al Figlio della Vergine Maria, e diciamo: "Vieni a salvarci!". Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce.

Insieme invochiamo il divino soccorso per le popolazioni del Corno d’Africa, che soffrono a causa della fame e delle carestie, talvolta aggravate da un persistente stato di insicurezza. La Comunità internazionale non faccia mancare il suo aiuto ai numerosi profughi provenienti da tale Regione, duramente provati nella loro dignità.

Il Signore doni conforto alle popolazioni del Sud-Est asiatico, particolarmente della Thailandia e delle Filippine, che sono ancora in gravi situazioni di disagio a causa delle recenti inondazioni.

Il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora oggi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pace e stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo, incoraggiando la ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi. Faccia cessare le violenze in Siria, dove tanto sangue è già stato versato. Favorisca la piena riconciliazione e la stabilità in Iraq ed in Afghanistan. Doni un rinnovato vigore nell’edificazione del bene comune a tutte le componenti della società nei Paesi nord africani e mediorientali.

La nascita del Salvatore sostenga le prospettive di dialogo e di collaborazione in Myanmar, nella ricerca di soluzioni condivise. Il Natale del Redentore garantisca stabilità politica ai Paesi della Regione africana dei Grandi Laghi ed assista l’impegno degli abitanti del Sud Sudan per la tutela dei diritti di tutti i cittadini.

Cari fratelli e sorelle, rivolgiamo lo sguardo alla Grotta di Betlemme: il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita. Ripetiamogli con fiducia e speranza: "Veni ad salvandum nos!".

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sabato 24 dicembre 2011

Il Papa: Se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

SANTA MESSA: VIDEO INTEGRALE

OMELIA DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Vedi anche:

Sembra che Benedetto con una ostinazione mite vada, ogni volta che parla, sca­vando con una pala in questa nostra crosta di a­bitudine opaca...(Corradi)

Il Papa e Francesco (Galeazzi)

La straordinaria omelia del Papa nella Notte di Natale nel commento di Salvatore Izzo

Santa Messa di Natale: video Repubblica

Il Papa: Nella stalla di Betlemme si può toccare Dio…(Tornielli)

Il Papa celebra la Messa di Natale (Repubblica)

BUON NATALE A TUTTI :-)))

Messa di Natale, Benedetto XVI: Dio ferma i bastoni degli aguzzini (Tgcom)

Davanti a un bambino. L’omelia del Papa alla messa della notte di Natale (Sir)

Omelia di Natale in San Pietro Il Papa: «Dio, ferma gli aguzzini e i soldati» (Vecchi)

SANTA MESSA DI NATALE: FOTO REPUBBLICA

SANTA MESSA DELLA NOTTE NELLA SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE, 24.12.2011

Alle ore 22, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2011.
Nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene la seguente omelia:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato,
inizia solennemente con la parola “apparuit”, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è apparso”.
È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno).
Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso.
Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Egli è “apparso”.
Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente? La lettura della Messa dell’aurora dice al riguardo: “apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4).
Per gli uomini del tempo precristiano, che di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele ed arbitrario, questa era una vera “epifania”, la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà.

Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo.

“Apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini”: questa è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.
In tutte e tre le Messe del Natale la liturgia cita un brano tratto dal Libro del Profeta Isaia, che descrive ancora più concretamente l’epifania avvenuta a Natale: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine” (Is 9,5s).

Non sappiamo se il profeta con questa parola abbia pensato a un qualche bambino nato nel suo periodo storico. Sembra però impossibile. Questo è l’unico testo nell’Antico Testamento in cui di un bambino, di un essere umano si dice: il suo nome sarà Dio potente, Padre per sempre.

Siamo di fronte ad una visione che va di gran lunga al di là del momento storico verso ciò che è misterioso, collocato nel futuro. Un bambino, in tutta la sua debolezza, è Dio potente.
Un bambino, in tutta la sua indigenza e dipendenza, è Padre per sempre.
“E la pace non avrà fine”.
Il profeta ne aveva prima parlato come di “una grande luce” e a proposito della pace proveniente da Lui aveva affermato che il bastone dell’aguzzino, ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando, ogni mantello intriso di sangue sarebbero stati bruciati (cfr Is 9,1.3-4).


Dio è apparso – come bambino. Proprio così Egli si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così
Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la Tua pace vinca in questo nostro mondo.

Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re.

Quando, nel 1223, Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787).

Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi).

Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso.

Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù.

Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore.

“Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.

Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore.

Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.

Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello
immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471).

Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470).

Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.

Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato.


È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio.

Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”.
Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere.


Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice.

E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.

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giovedì 22 dicembre 2011

Il Papa alla curia romana: Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa – come ho detto a Friburgo – è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

AUGURI DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA: VIDEO INTEGRALE

Vedi anche:

Gli auguri del Papa alla chiesa: più che “fare”, sconfiggere l’incredulità (Rodari)

Salvatore Martinez sulle parole del Papa alla Curia: la fede viva cambia la storia (Radio Vaticana)

Cinque passi verso la gioia: l’editoriale di padre Lombardi sul discorso del Papa alla Curia Romana

L'analisi di Papa Ratzinger: «La crisi economica ha radici etiche» (Liberati)

Il Papa e la «forza motivante» capace di far affrontare il sacrificio (Marina Corradi)

Il Papa e la caduta dei valori: "Nel mondo serve più fede" (Scaraffia)

Il discorso del Papa alla curia romana nel commento di Vecchi

Il Papa: in Europa manca la forza motivante per indurre singoli e grandi gruppi sociali ad accettare i sacrifici (Il Velino)

Il Papa: gli egoismi rallentano l'uscita dalla crisi. Il commento di Salvatore Izzo

Benedetto XVI incontra la Curia romana: Ripartire dall'etica Ritrovare nella fede la forza motivante per accettare i sacrifici (Gagliarducci)

La crisi della fede, e la risposta che viene dall’Africa (Tornielli)

Il Papa: l'egoismo è la grande tentazione dell'uomo di oggi. Ad Assisi ribadita la volontà delle religioni di servire la pace. L'adorazione eucaristica sia al centro della vita cristiana (Izzo)

Il Papa: E' la fede che insegna a non ripiegarsi in se stessi, sul proprio benessere. Il commento di Giovanna Chirri

Il Papa: Gmg, medicina contro la stanchezza del credere. Nocciolo crisi Chiesa in Europa è la crisi della fede (Asca)

Benedetto XVI ricorda la gioia delle Giornate Mondiali della Gioventù. Il discorso del Papa in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana

Il Papa: la crisi della Chiesa in Europa è una crisi di fede. Crisi economica, Benedetto XVI: essa nasce da crisi etica dell'Europa. Gli interessi personali oscurano la capacità di capirla (Izzo)

Un modo nuovo dell'essere cristiani. Benedetto XVI al collegio cardinalizio, alla Curia romana e al Governatorato (O.R.)

Un modo nuovo dell'essere cristiani. Benedetto XVI al collegio cardinalizio, alla Curia romana e al Governatorato (O.R.)

Vian: il Papa non è né stanco né pessimista. Sodano: ai cardinali molto è stato dato e molto sarà chiesto (Izzo)

Esserci per gli altri senza guardare a se stessi (Tornielli)

Osservatore Romano: Papa Ratzinger non è pessimista né stanco

Il Papa alla curia romana: crisi economica si fonda su crisi etica (Sir)

Il Papa e la moglie di Lot. Benedetto XVI non è pessimista né stanco...(Vian)

Il Papa: l'Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente

Il Papa: la tentazione degli uomini è quella di guardare indietro a se stessi, diventando così interiormente vuoti, statue di sale!

Non basta fare. La crisi della Chiesa in Europa nel discorso di oggi alla Curia Romana (Sir)

Il Papa: "L'egoismo è la grande tentazione dell'uomo di oggi" (Tgcom)

La tentazione della moglie di Lot. Che guardando indietro divenne una statua di sale (Magister)

La fede da la certezza di essere accettati ed amati: gli auguri del Papa alla Curia (Angela Ambrogetti)

Il Papa alla Curia: la risposta alla crisi di fede viene dalla gioia delle Gmg, "medicina contro la stanchezza del credere"

Il Papa: Gmg esempi di “nuova evangelizzazione vissuta” contro la crisi della fede (AsiaNews)

Sono l'Africa e la vitalità dei giovani alla Giornata mondiale della gioventù, per Papa Benedetto XVI, la "medicina contro la stanchezza del credere" che c'è in Europa

Discorso programmatico del Papa alla Curia: Nuova evangelizzazione

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO

UDIENZA DEL SANTO PADRE ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI , 22.12.2011

Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Cardinali, i membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi.
Nel corso dell’incontro, dopo l’indirizzo di omaggio al Santo Padre del Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!


È sempre un momento particolarmente intenso quello che viviamo oggi.
Il Santo Natale è ormai vicino e spinge anche la grande famiglia della Curia Romana a ritrovarsi insieme per compiere il bel gesto dello scambio degli auguri, che contengono l’auspicio reciproco di vivere con gioia e vero frutto spirituale la festa di Dio che si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1,14).
Per me questa è l’occasione non solo per porgervi il mio personale augurio, ma anche per esprimere a ciascuno di voi il ringraziamento mio e della Chiesa per il vostro generoso servizio; vi prego di trasmetterlo anche a tutti i collaboratori della nostra grande famiglia. Un grazie particolare lo rivolgo al Cardinale Decano Angelo Sodano, che si è fatto interprete dei sentimenti dei presenti e di quanti lavorano nei differenti Uffici della Curia, del Governatorato, compresi quelli che svolgono il loro ministero nelle Rappresentanze Pontificie sparse in tutto il mondo. Tutti siamo impegnati affinché l’annuncio che gli angeli hanno proclamato nella notte di Betlemme, “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14), risuoni in tutta la terra per portare gioia e speranza.
Alla fine dell’anno, l’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente. Anche se valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti sono in gran parte indiscussi, manca spesso la forza motivante, capace di indurre il singolo e i grandi gruppi sociali a rinunce e sacrifici. La conoscenza e la volontà non vanno necessariamente di pari passo. La volontà che difende l’interesse personale oscura la conoscenza e la conoscenza indebolita non è in grado di rinfrancare la volontà. Perciò, da questa crisi emergono domande molto fondamentali: dove è la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinché il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita.
La grande tematica di quest’anno come anche degli anni futuri è in effetti: come annunciare oggi il Vangelo?
In che modo la fede, quale forza viva e vitale, può oggi diventare realtà? Gli avvenimenti ecclesiali dell’anno che sta per concludersi sono stati, in definitiva, tutti riferiti a questo tema. Ci sono stati viaggi in Croazia, in Spagna per la Giornata Mondiale della Gioventù, nella mia Patria, la Germania, e infine in Africa – Benin per la consegna del Documento postsinodale su giustizia, pace e riconciliazione – un documento dal quale deve nascere una realtà concreta nelle varie Chiese particolari.
Sono indimenticabili anche i viaggi a Venezia, a San Marino, ad Ancona per il Congresso eucaristico e in Calabria. E c’è stata, infine, l’importante giornata dell’incontro tra le religioni e tra le persone in ricerca di verità e di pace in Assisi – giornata concepita come un nuovo slancio nel pellegrinaggio verso la verità e la pace.

L’istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione è, al contempo, un rimando in anticipo al Sinodo sullo stesso tema che avrà luogo nel prossimo anno. Rientra in tale contesto anche l’Anno della Fede nel ricordo dell’inizio del Concilio cinquant’anni fa. Ciascuno di questi eventi ha avuto le proprie accentuazioni. In Germania, il Paese d’origine della Riforma, naturalmente, la questione ecumenica con tutte le sue fatiche e speranze ha avuto un’importanza particolare.

Inscindibilmente legata ad essa, sta sempre di nuovo al centro delle dispute la domanda: che cosa è una riforma della Chiesa? Come avviene? Quali sono le sue vie e i suoi obiettivi? Con preoccupazione, non soltanto fedeli credenti, ma anche estranei osservano come le persone che vanno regolarmente in chiesa diventino sempre più anziane e il loro numero diminuisca continuamente; come ci sia una stagnazione nelle vocazioni al sacerdozio; come crescano scetticismo e incredulità. Che cosa, dunque, dobbiamo fare?

Esistono infinite discussioni sul da farsi perché si abbia un’inversione di tendenza. Certamente occorre fare tante cose. Ma il fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci.

In questo senso, l’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile. Con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene che certamente proprio in Africa vi sono, si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere. Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa.

Una medicina contro la stanchezza del credere è stata anche la magnifica esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. È stata una nuova evangelizzazione vissuta. Sempre più chiaramente si delinea nelle Giornate Mondiali della Gioventù un modo nuovo, ringiovanito, dell’essere cristiani che vorrei tentare di caratterizzare in cinque punti.

1. C’è come prima cosa una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa. È questo che ha colpito in modo molto immediato i giovani e tutti i presenti: proveniamo da tutti i continenti, e, pur non essendoci mai visti prima, ci conosciamo. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia. Separazione e diversità esteriori sono relativizzate. Siamo tutti toccati dall’unico Signore Gesù Cristo, nel quale si è manifestato a noi il vero essere dell’uomo e, insieme, il Volto stesso di Dio. Le nostre preghiere sono le stesse. In virtù dello stesso incontro interiore con Gesù Cristo abbiamo ricevuto nel nostro intimo la stessa formazione della ragione, della volontà e del cuore. E, infine, la comune liturgia costituisce una sorta di patria del cuore e ci unisce in una grande famiglia. Il fatto che tutti gli esseri umani sono fratelli e sorelle è qui non soltanto un’idea, ma diventa una reale esperienza comune che crea gioia. E così abbiamo compreso anche in modo molto concreto che, nonostante tutte le fatiche e le oscurità, è bello appartenere alla Chiesa universale, alla Chiesa Cattolica, che il Signore ci ha donato.

2. Da questo nasce poi un nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani. Una delle esperienze più importanti di quei giorni è stata per me l’incontro con i volontari della Giornata Mondiale della Gioventù: erano circa 20.000 giovani che, senza eccezione, avevano messo a disposizione settimane o mesi della loro vita per collaborare alle preparazioni tecniche, organizzative e contenutistiche della Giornata Mondiale della Gioventù e che proprio così avevano reso possibile lo svolgimento ordinato del tutto. Con il proprio tempo l’uomo dona sempre una parte della propria vita. Alla fine, questi giovani erano visibilmente e “tangibilmente” colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo - donato - aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita. E allora per me è diventata evidente una cosa fondamentale: questi giovani avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perché questo era stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo; neppure perché così si sfugge al pericolo dell’inferno. Non l’avevano fatto perché volevano essere perfetti. Non guardavano indietro, a se stessi. Mi è venuta in mente l’immagine della moglie di Lot che, guardando indietro, divenne una statua di sale. Quante volte la vita dei cristiani è caratterizzata dal fatto che guardano soprattutto a se stessi, fanno il bene, per così dire, per se stessi! E quanto è grande la tentazione per tutti gli uomini di essere preoccupati anzitutto di se stessi, di guardare indietro a se stessi, diventando così interiormente vuoti, “statue di sale”! Qui invece non si trattava di perfezionare se stessi o di voler avere la propria vita per se stessi. Questi giovani hanno fatto del bene – anche se quel fare è stato pesante, anche se ha richiesto sacrifici –, semplicemente perché fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello. Occorre soltanto osare il salto. Tutto ciò è preceduto dall’incontro con Gesù Cristo, un incontro che accende in noi l’amore per Dio e per gli altri e ci libera dalla ricerca del nostro proprio “io”. Una preghiera attribuita a san Francesco Saverio dice: Faccio il bene non perché in cambio entrerò in cielo e neppure perché altrimenti mi potresti mandare all’inferno. Lo faccio, perché Tu sei Tu, il mio Re e mio Signore. Questo stesso atteggiamento l’ho incontrato anche in Africa, ad esempio nelle suore di Madre Teresa che si prodigano per i bambini abbandonati, malati, poveri e sofferenti, senza porsi domande su se stesse, e proprio così diventano interiormente ricche e libere. È questo l’atteggiamento propriamente cristiano. Indimenticabile rimane per me anche l’incontro con i giovani disabili nella fondazione di San José in Madrid, dove nuovamente ho incontrato la stessa generosità di mettersi a disposizione degli altri – una generosità che, in definitiva, nasce dall’incontro con Cristo che ha dato se stesso per noi.

3. Un terzo elemento, che in modo sempre più naturale e centrale fa parte delle Giornate Mondiali della Gioventù e della spiritualità da esse proveniente, è l’adorazione. Rimane indimenticabile per me il momento durante il mio viaggio nel Regno Unito, quando, in Hydepark, decine di migliaia di persone, in maggioranza giovani, hanno risposto con un intenso silenzio alla presenza del Signore nel Santissimo Sacramento, adorandolo. La stessa cosa è avvenuta, in misura più ridotta, a Zagrabia e, di nuovo, a Madrid dopo il temporale che minacciava di guastare l’insieme dell’incontro notturno, a causa del mancato funzionamento dei microfoni. Dio è onnipresente, sì. Ma la presenza corporea del Cristo risorto è ancora qualcosa d’altro, è qualcosa di nuovo. Il Risorto entra in mezzo a noi. E allora non possiamo che dire con l’apostolo Tommaso: Mio Signore e mio Dio! L’adorazione è anzitutto un atto di fede – l’atto di fede come tale. Dio non è una qualsiasi possibile o impossibile ipotesi sull’origine dell’universo. Egli è lì. E se Egli è presente, io mi inchino davanti a Lui. Allora, ragione, volontà e cuore si aprono verso di Lui e a partire da Lui. In Cristo risorto è presente il Dio fattosi uomo, che ha sofferto per noi perché ci ama. Entriamo in questa certezza dell’amore corporeo di Dio per noi, e lo facciamo amando con Lui. Questo è adorazione, e questo dà poi un’impronta alla mia vita. Solo così posso anche celebrare l’Eucaristia in modo giusto e ricevere rettamente il Corpo del Signore.

4. Un altro elemento importante delle Giornate Mondiali della Gioventù è la presenza del Sacramento della Penitenza che appartiene con naturalezza sempre maggiore all’insieme. Con ciò riconosciamo che abbiamo continuamente bisogno di perdono e che perdono significa responsabilità. Proveniente dal Creatore, esiste nell’uomo la disponibilità ad amare e la capacità di rispondere a Dio nella fede. Ma proveniente dalla storia peccaminosa dell’uomo (la dottrina della Chiesa parla del peccato originale) esiste anche la tendenza contraria all’amore: la tendenza all’egoismo, al chiudersi in se stessi, anzi, la tendenza al male. Sempre di nuovo la mia anima viene insudiciata da questa forza di gravità in me, che mi attira verso il basso. Perciò abbiamo bisogno dell’umiltà che sempre nuovamente chiede perdono a Dio; che si lascia purificare e che ridesta in noi la forza contraria, la forza positiva del Creatore, che ci attira verso l’alto.

5. Infine, come ultima caratteristica da non trascurare nella spiritualità delle Giornate Mondiali della Gioventù vorrei menzionare la gioia. Da dove viene? Come la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è, secondo il mio parere, la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato. Josef Pieper, nel suo libro sull’amore, ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettato da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’“io” può trovare se stesso. Solo se è accettato, l’“io” può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dall’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro, so definitivamente: è bene che io ci sia. È bene essere una persona umana. Dove viene meno la percezione dell’uomo di essere accolto da parte di Dio, di essere amato da Lui, la domanda se sia veramente bene esistere come persona umana non trova più alcuna risposta. Il dubbio circa l’esistenza umana diventa sempre più insuperabile. Laddove diventa dominante il dubbio riguardo a Dio, segue inevitabilmente il dubbio circa lo stesso essere uomini. Vediamo oggi come questo dubbio si diffonde. Lo vediamo nella mancanza di gioia, nella tristezza interiore che si può leggere su tanti volti umani. Solo la fede mi dà la certezza: è bene che io ci sia. È bene esistere come persona umana, anche in tempi difficili. La fede rende lieti a partire dal di dentro. È questa una delle esperienze meravigliose delle Giornate Mondiali della Gioventù.
Porterebbe troppo lontano parlare adesso in modo dettagliato anche dell’incontro di Assisi, così come meriterebbe l’importanza dell’avvenimento. Ringraziamo semplicemente Dio perché noi – rappresentanti delle religioni del mondo e anche rappresentanti del pensiero in ricerca della verità – abbiamo potuto incontrarci quel giorno in un clima di amicizia e di rispetto reciproco, nell’amore per la verità e nella comune responsabilità per la pace. Possiamo quindi sperare che da questo incontro sia nata una nuova disponibilità a servire la pace, la riconciliazione e la giustizia.
Infine, vorrei ringraziare di cuore tutti voi per il sostegno nel portare avanti la missione che il Signore ci ha affidato come testimoni della sua verità, e auguro a tutti voi la gioia che Dio, nell’incarnazione del suo Figlio, ha voluto donarci. Buon Natale a tutti Voi !

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mercoledì 21 dicembre 2011

Il Papa: A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora "carne" e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto

FESTIVITA' NATALIZIE: LO SPECIALE DEL BLOG

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Il Papa: Celebrare un Natale veramente cristiano

L’UDIENZA GENERALE, 21.12.2011

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sul mistero del Natale ormai prossimo.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.


CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Il Santo Natale

Cari fratelli e sorelle,

Sono lieto di accogliervi in Udienza generale a pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore. Il saluto che corre in questi giorni sulle labbra di tutti è "Buon Natale! Auguri di buone feste natalizie!". Facciamo in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda.

Con la liturgia natalizia la Chiesa ci introduce nel grande Mistero dell’Incarnazione. Il Natale, infatti, non è un semplice anniversario della nascita di Gesù, è anche questo, ma è di più, è celebrare un Mistero che ha segnato e continua a segnare la storia dell’uomo – Dio stesso è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14), si è fatto uno di noi -; un Mistero che interessa la nostra fede e la nostra esistenza; un Mistero che viviamo concretamente nelle celebrazioni liturgiche, in particolare nella Santa Messa. Qualcuno potrebbe chiedersi: come è possibile che io viva adesso questo evento così lontano nel tempo? Come posso prendere parte fruttuosamente alla nascita del Figlio di Dio avvenuta più di duemila anni fa? Nella Santa Messa della Notte di Natale, ripeteremo come ritornello al Salmo Responsoriale queste parole: «Oggi è nato per noi il Salvatore».

Questo avverbio di tempo, «oggi», ricorre più volte in tutte le celebrazioni natalizie ed è riferito all’evento della nascita di Gesù e alla salvezza che l’Incarnazione del Figlio di Dio viene a portare. Nella Liturgia tale avvenimento oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e diventa attuale, presente; il suo effetto perdura, pur nello scorrere dei giorni, degli anni e dei secoli. Indicando che Gesù nasce «oggi», la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia, rimane una realtà anche oggi alla quale possiamo arrivare proprio nella liturgia. A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora "carne" e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto.

Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del "sensibile", dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui. I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza.

Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria - e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22, In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL 54,213).

C’è un secondo aspetto al quale vorrei accennare brevemente: l’evento di Betlemme deve essere considerato alla luce del Mistero Pasquale: l’uno e l’altro sono parte dell’unica opera redentrice di Cristo. L’Incarnazione e la nascita di Gesù ci invitano già ad indirizzare lo sguardo verso la sua morte e la sua risurrezione: Natale e Pasqua sono entrambe feste della redenzione. La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba. Ma proprio come l’alba precede e fa già presagire la luce del giorno, così il Natale annuncia già la Croce e la gloria della Risurrezione. Anche i due periodi dell’anno, in cui sono collocate le due grandi feste, almeno in alcune aree del mondo, possono aiutare a comprendere questo aspetto. Infatti, mentre la Pasqua cade all’inizio della primavera, quando il sole vince le dense e fredde nebbie e rinnova la faccia della terra, il Natale cade proprio all’inizio dell’inverno, quando la luce e il calore del sole non riescono a risvegliare la natura, avvolta dal freddo, sotto la cui coltre, però, pulsa la vita e comincia di nuovo la vittoria del sole e del calore.

I Padri della Chiesa leggevano sempre la nascita di Cristo alla luce dall’intera opera redentrice, che trova il suo vertice nel Mistero Pasquale. L’Incarnazione del Figlio di Dio appare non solo come l’inizio e la condizione della salvezza, ma come la presenza stessa del Mistero della nostra salvezza: Dio si fa uomo, nasce bambino come noi, prende la nostra carne per vincere la morte e il peccato. Due significativi testi di san Basilio lo illustrano bene. San Basilio diceva ai fedeli: «Dio assume la carne proprio per distruggere la morte in essa nascosta. Come gli antidoti di un veleno una volta ingeriti ne annullano gli effetti, e come le tenebre di una casa si dissolvono alla luce del sole, così la morte che dominava sull’umana natura fu distrutta dalla presenza di Dio. E come il ghiaccio rimane solido nell’acqua finché dura la notte e regnano le tenebre, ma subito si scioglie al calore del sole, così la morte che aveva regnato fino alla venuta di Cristo, appena apparve la grazia di Dio Salvatore e sorse il sole di giustizia, "fu ingoiata dalla vittoria" (1 Cor 15,54), non potendo coesistere con la Vita» (Omelia sulla nascita di Cristo, 2: PG 31,1461). E ancora san Basilio, in un altro testo, rivolgeva questo invito: «Celebriamo la salvezza del mondo, il natale del genere umano. Oggi è stata rimessa la colpa di Adamo. Ormai non dobbiamo più dire: "Sei in polvere e in polvere ritornerai" (Gn 3,19), ma: unito a colui che è venuto dal cielo, sarai ammesso in cielo" (Omelia sulla nascita di Cristo, 6: PG 31,1473).

Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi. San Paolo afferma che Gesù Cristo «pur essendo nella condizione di Dio… svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Guardiamo alla grotta di Betlemme: Dio si abbassa fino ad essere adagiato in una mangiatoia, che è già preludio dell’abbassamento nell’ora della sua passione. Il culmine della storia di amore tra Dio è l’uomo passa attraverso la mangiatoia di Betlemme e il sepolcro di Gerusalemme.

Cari fratelli e sorelle, viviamo con gioia il Natale che si avvicina. Viviamo questo evento meraviglioso: il Figlio di Dio nasce ancora «oggi», Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità. Viviamo il Natale del Signore contemplando il cammino dell’amore immenso di Dio che ci ha innalzati a Sé attraverso il Mistero di Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del suo Figlio, poiché – come afferma sant’Agostino - «in [Cristo] la divinità dell’Unigenito si è fatta partecipe della nostra mortalità, affinché noi fossimo partecipi della sua immortalità» (Epistola 187,6,20: PL 33,839-840). Soprattutto contempliamo e viviamo questo Mistero nella celebrazione dell’Eucaristia, centro del Santo Natale; lì si rende presente in modo reale Gesù, vero Pane disceso dal cielo, vero Agnello sacrificato per la nostra salvezza.

Auguro a tutti voi e alle vostre famiglie di celebrare un Natale veramente cristiano, in modo che anche gli scambi di auguri in quel giorno siano espressione della gioia di sapere che Dio ci è vicino e vuole percorrere con noi il cammino della vita. Grazie.

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