8 mesi fa
sabato 31 marzo 2007
30Giorni: 30 domande al cardinale Joseph Ratzinger (marzo 1999)
30 domande al Cardinale J. Ratzinger
Intervista a cura di Ignazio Artizzu tratta dalla rivista "Una voce grida..." n°9 - marzo 1999
La magia, parodia del divino
Eminenza, cosa è la magia ?
E' l'uso di forze apparentemente misteriose per avere un dominio sulla realtà fisica e anche psicologica. Il tentativo, cioè, di strumentalizzare le potenze soprannaturali per il proprio uso. Con la magia si esce dal campo della razionalità e dell'utilizzo delle forze fisiche insegnate dalla scienza. Si cerca - e a volte anche si trova - un modo di impadronirsi della realtà con forze sconosciute. Può essere in molti casi una truffa, ma può anche darsi che con elementi che si sottraggono alla razionalità si possa entrare in un certo dominio della realtà.
Sia il Nuovo che l'Antico Testamento condannano in modo ferreo ogni pratica magica, così come il ricorso all'occultismo in tutte le sue forme. Come commenta questo dal punto di vista teologico?
Vediamo intanto l'origine più profonda delle superstizioni, della magia e dell'occultismo per capire meglio la condanna nei loro confronti. Direi che ci sono due elementi : da una parte nell'uomo, creato ad immagine di Dio, esiste la sete del divino. L'uomo non può limitarsi al finito, all'empirico: avrà sempre il desiderio di allargare la prospettiva del suo essere e di entrare nella sfera divina, di uscire dalla pura realtà fisica e toccare una realtà più profonda, Questo desiderio, di per sé innato nell'uomo - immagine di Dio - è smarrito perché sembra troppo difficile andare realmente alla ricerca di Dio, elevarsi e lasciarsi elevare dall'Amore Divino e arrivare così ad un vero incontro del Dio personale che mi ha creato e mi ama. Allora accade un po' come nel mondo umano: le avventure passeggere sono più facili di un amore profondo, di una vita. E così come in questa vita umana un amore fedele, un vero amore, che va fino alle profondità del nostro essere, esige un impegno ben diverso dalle facili avventure, così anche le realtà spirituali esigono un impegno profondo, una fedeltà, una disciplina interiore, l'umiltà di impostare la propria vita alla sequela di Dio. Allora l'uomo cerca le cose più facili, un esperimento immediato della profondità dell' essere.
Possiamo anche dire che qui si verifica una dottrina fondamentale della Chiesa, cioè che nell'uomo da una parte troviamo la natura creata da Dio, dall'altra anche questa tendenza opposta: lo smarrimento e il peccato originale che lo deviano dalla sua origine e trasformano in una caricatura il suo desiderio innato di amare Dio e di entrare nella unione con Lui. Ecco, questa seconda tendenza si realizza nel cercare un cammino più facile, un contatto più immediato e soprattutto un modo per non sottomettersi all'amore e al potere divino. Allora l'uomo comincia a farsi dominatore della realtà sfruttando questa presunta possibilità del suo essere. E ciò mi pare una profonda inversione e perversione della relazione più profonda del nostro essere: invece di adorare Dio, di sottomettersi a Dio, l'uomo intende farsi dominatore della realtà usando queste potenze occulte, e si sente il vero dominatore.
E' la tendenza che troviamo nel capitolo 3 della Genesi: io stesso divento Dio e ho il potere divino e non mi sottometto alla realtà. "Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio conoscendo il bene e il male. Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture." (Gen 3,4-7)
San Paolo, a Cipro, definisce pubblicamente il mago Elimas "figlio dei diavolo". Possiamo dunque affermare con certezza che dietro la magia e il mondo dell' occulto c'è sempre il demonio?
Si. Io direi che senza il demonio, che provoca questa perversione della creazione, non sarebbe possibile tutto questo mondo dell'occultismo e della magia. Entra in gioco un elemento che va oltre le realtà della ragione e le realtà riconoscibili con la scienza unita ad una ragione sincera. Si offre un elemento apparentemente divino, cioè delle forze che possono prestare dei successi, esperienze che appaiono come soprannaturali e spesso come divine. Sono invece una parodia del divino. Poteri, ma poteri di caduta, che in realtà sono ironie contro Dio.
E' questa la radice della ferma condanna espressa anche dalla Chiesa nei confronti della magia e dell'occultismo?
Si. Ciò comincia nell'Antico Testamento: pensiamo al conflitto tra Samuele e Saul. E' proprio la caratteristica della religione del Dio rivelato: non si fa uso di queste pratiche, che sono caratteristiche delle religioni di questa terra, e perciò pagane, perché pervertono la relazione tra Dio e l'uomo. Questa condanna continua in tutta la storia della Rivelazione e riceve la sua ultima chiarezza nel Nuovo Testamento. Non è - sia chiaro - un positivismo che vuole escludere qualcosa della ricchezza dell' essere o delle esperienze possibili, ma la verità di Dio che si oppone alla menzogna fondamentale.
Il nome del diavolo nella Sacra Scrittura, "padre della menzogna", diventa comprensibile in modo nuovo se consideriamo tutti questi fenomeni, perché qui troviamo realmente la menzogna nella sua purezza totale.
In quale forma?
L'uomo si fa dominatore del mondo sfruttando ciò che appare come Dio e quindi usa il potere per dominare il mondo in sé stesso, entrando cosi in una menzogna radicale. Questa menzogna appare in un primo momento come un allargamento del potere, delle esperienze, come una cosa bellissima: io divento Dio. Ma alla fine la menzogna è sempre una realtà che distrugge. Vivere nella menzogna vuol dire vivere contro la realtà e quindi vivere nella autodistruzione. In questo senso possiamo vedere due aspetti di questa proibizione. Da una parte, semplicemente, le pratiche occulte e magiche sono da escludere perché pervertono la realtà, sono menzogne nel senso più profondo.
Il secondo aspetto, quello morale dopo quello ontologico, è che, opposte alla verità, esse sono distruttive e distruggono l'essere umano cominciando dal suo nucleo.
I figli della menzogna
Quali sono dunque i pericoli per chi ha a che fare con la magia e l'occulto?
Cominciamo anche qui dal fenomenologico. Il tranello viene teso con cose promettenti, con una esperienza di potere, di allegria, di soddisfazione. Ma poi una persona entra in una rete demoniaca che diventa dopo poco tempo molto più forte di lui. Non è più l'uomo padrone di casa
Poniamo che una persona entri a fare parte di una setta o di un gruppo magico. Diventerà schiavo non solo del gruppo, il che sarebbe già gravissimo, dato che queste sette possono alienare totalmente una persona. Ma sarà schiavo della realtà che sta dietro il gruppo, cioè una realtà realmente diabolica. E cosi va verso una autodistruzione sempre più profonda, peggiore di quella della droga.
Quali sono le radici di questa sete di occulto?
Mi sembra questa mescolanza di una tendenza verso il divino e lo smarrimento che chiude l'uomo in sé stesso.
Nessuno degli occultisti dichiara apertamente di operare con il concorso dei demonio. Anzi, quasi tutti affermano di essere credenti e di fare il bene. Usano immagini sacre, crocifissi...
Si. La menzogna profonda poi si concretizza in menzogne più evidenti. Il mago, nel suo orientamento personale, è arrivato alla menzogna. Poi, diventa naturale usare tutti i modi concreti per esprimere e fare agire la menzogna. Naturalmente il sincretismo è uno degli elementi fondamentali del mondo magico e occultista, che si serve delle religioni, e soprattutto degli elementi cristiani, pervertendoli sia allo scopo di attirare la gente e rendersi credibile, sia anche nella speranza di usare la forza nascosta della realtà cristiana. Lo vediamo negli Atti degli Apostoli con Simone mago, che vorrebbe comprare la forza degli apostoli. "Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l' imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro dicendo: "Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo". Ma Pietro gli rispose: " Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio. Non v'è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Pentiti dunque di questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonato questo pensiero . Ti vedo infatti chiuso in fiele amaro e in lacci di iniquità." (At 8,18-23)
Si afferma che esistono forme di magia e divinazione innocue e "leggere", come la lettura della mano, le carte e gli oroscopi. E si ironizza sul Nuovo Catechismo, che le ha condannate. Esiste una scala di gravità o sono tutte dello stesso ceppo, e quindi tutto gravi?
Esiste forse un uso più leggero, ma comunque non accettabile, perché apre la porta all'occulto. Se uno comincia a muoversi in questa direzione c'è il pericolo di cadere nella trappola più profonda. Ma il fatto che si scivola facilmente, e spesso inevitabilmente, una volta entrati in questo cammino, non deve portarci ad un rigorismo che non distingue più tra comportamenti che sono simbolo di una certa leggerezza di vita e il modo di agire di coloro che sono entrati nel pieno di queste situazioni. Una certa distinzione esiste senza dubbio, ma si deve tenere presente che un gradino guida facilmente all'altro, perché il terreno è scivoloso.
Cosa direbbe a chi frequente la Chiesa e anche gli occultisti, o pratica egli stesso l'occultismo, credendo che l'una cosa non debba escludere l'altra?
Gli direi che deve cominciare a capire meglio la fede e inserirsi profondamente nel cammino cristiano, per capire che sono cose del tutto diverse. Se ascolto la Parola del Signore, con la mano nella mano del Signore, mi lascio guidare dall'amore di Cristo, mi inserisco nella grande comunione della Chiesa , andando insieme con la Chiesa sulla strada di Cristo. Ben diverso è se io comincio a entrare nella realtà grave dell'occultismo. I due atteggiamenti sono dall'inizio profondamente diversi. Capire questa distinzione è una decisione fondamentale dell'uomo, è il passo iniziale del cammino della fede.
Pensiamo al rito del Battesimo, dove abbiamo da una parte il "si" al Signore e alla sua legge, e dall'altra il "no" a satana. In tempi passati ci si voltava verso l'oriente per dire "si" al Signore e verso l'occidente per dire "no" alle seduzioni del diavolo. Con questo rito, nato in tempi in cui, come accade oggi, la Chiesa era circondata e attaccata dalle pratiche occulte, si capisce la diversità inconciliabile di questi due comportamenti. lo dico "si" al cammino del Signore e questo implica che dica il mio "no" alle pratiche magiche. Dobbiamo rinnovare in senso molto concreto e realistico questa duplice decisione. Dire "si" a Cristo implica che non posso "servire due padroni", come dice il Signore stesso, e se dico "si" al Signore non posso nello stesso momento dire "si" a questi poteri nascosti, ma devo dire: "no, non accetto la seduzione del diavolo ". E forse, in occasione del rinnovamento dei voti battesimali che facciamo prima della Pasqua, si dovrebbe spiegare che ciò che pronunciamo non è un antico rituale, ma una decisione importante per la nostra vita oggi, un atto concreto e realistico.
Spezzare le catene
Esiste un punto di non-ritorno per chi ha dato la propria vita alla magia?
E' difficile rispondere. Se uno è entrato in ciò che il Signore chiama "peccato contro lo Spirito Santo ", come avversione a Dio e maledizione dello Spirito di Dio, pervertendo il suo spirito, aprendolo alla azione del demonio, qui si realizza forse quello che il Signore indica come il punto del non ritorno. Ma da parte nostra non possiamo giudicare questo. Noi dobbiamo dire sempre: c'è la speranza di conversione. Naturalmente, se uno è entrato in questo mondo, una conversione radicale diventa necessaria, ed è una conversione che si fa sempre più difficile, realizzabile solo con l'aiuto forte dello Spirito Santo implorato dalla Comunità della Chiesa che intende aiutare queste persone a tornare a Dio. Quindi dobbiamo sempre avere la speranza, e fare il possibile per implorare il perdono di Dio e per illuminare queste persone e renderle aperte ad una conversione profonda. Occorre poi la espulsione del demonio. Un rito la cui importanza, per un certo tempo, non è stata più capita dai cristiani, ma che ora riceve di nuovo un senso e un significato molto concreto. Perché si tratta di liberare le persone dal demonio che, a causa del contatto con la magia e l'occultismo, si è realmente impossessato di loro.
Quindi sono necessari gli esorcismi?
Certamente.
Talvolta la gente recepisce questo discorso, ma lamenta una scarsa informazione da parte degli stessi uomini di Chiesa. Cosa fare di più per informare gli sprovveduti?
Dobbiamo trovare nuove forme di apostolato. Il dilagare dell'occultismo nelle forme attuali è un fenomeno abbastanza recente. Ancora 10 anni fa ci mancava anche l'informazione in proposito. Forse non eravamo preparati a questo attacco, e non abbiamo preparato sufficientemente i fedeli. Mi sembra che dovremmo predisporre brevi informazioni che dicano l'essenziale in modo comprensibile. Dobbiamo inserire questo discorso anche nelle catechesi per gli adulti e nella formazione permanente di ogni cristiano,
Eminenza, le cito alcuni dati. In Italia, al numero dell'oroscopo telefonico arrivano oltre 10 milioni di chiamate all'anno. Sempre in Italia, ci sono almeno 100 mila maghi e meno di 38 mila sacerdoti cattolici. Cosa prova meditando questa realtà?
E' il segno che siamo in una minaccia di paganizzazione profonda. Questo è paganesimo, è perversione del destino religioso dell'uomo. In questa religione artefatta, nella quale come ho detto l'uomo sfrutta o cerca di sfruttare le forze soprannaturali, c'è una sfida fondamentale per la nostra opera di evangelizzazione. Davanti alla paganizzazione si deve annunciare la realtà liberante di Dio. Queste pratiche si presentano con il pretesto e la pretesa di offrire all'uomo una liberazione. Offrono potere, soddisfazione, la promessa di fare vivere con tutte le possibilità dell'essere. In realtà sono una schiavitù terribile, che può realmente disumanizzare. Lo sappiamo anche dalle religioni precristiane, che hanno creato un mondo di timore. Quando è arrivato l'annuncio cristiano, non ha portato una liberazione politica, come diremmo oggi, ma la liberazione dalla paura dei demoni. C'è un solo Dio che è più forte di tutti: questo è l'annuncio che ha liberato realmente il mondo. E anche oggi, in certe parti del mondo non ancora evangelizzate, si vede come la paura dei demoni e dei maghi crea un clima di paura e di immobilità. Non si può agire perché ad ogni passo si può cadere nelle mani di un demone. Dobbiamo quindi proclamare la forza liberatrice dell'annuncio che c'è un solo Dio, e che questo Dio è Amore e ci ama e ha la forza di guidarci e di darci la vera libertà, e che con potenza invincibile ci libera da questa schiavitù. Ma si vede che, purtroppo, questo non è più presente nella mentalità delle persone. Molti vedono solo il cammino arduo della religione, come è lontano Dio, come non ne facciamo esperienza, e cercano l'esperienza veloce e la soddisfazione rapida, e cosi cadono nella schiavitù. In questa ora di tentazione pagana profonda, credo che dobbiamo annunciare il Vangelo in tutta la sua semplicità e grandezza come la vera e l'unica liberazione.
Nella sua vita di sacerdote, Vescovo e Cardinale, le è mai capitato di avere a che fare con persone danneggiate dalla magia?
Nell'ambiente in cui sono vissuto non era presente questa realtà. Ho sentito diverse volte parlare di questi casi. E oggi sento ormai da più parti come la magia deteriora e distrugge le vite umane.
La magia tradizionale, folcloristica, tipica dei paesi mediterranei è ancora radicata nelle regioni italiane. E una pratica innocente o l'ingrediente principale resta sempre il concorso dei demonio?
Anche agli albori del Cristianesimo restavano tra la gente elementi magici, ridotti nella loro presenza, direi ridimensionati dalla fede che si diffondeva, sempre, però, con il pericolo di un rigurgito della magia. Era una presenza pericolosa e inaccettabile, ma dominata dalla vita di fede dei più. Ma adesso vediamo che questi piccoli "residui" che apparivano innocenti non sono affatto innocenti, e possono diventate oggi l'aggancio per una nuova irruzione dell'occultismo nel mondo.
E un valido metro di valutazione che l'occultista richieda denaro o meno?
Dipende dalla sua decisione precedente di essere mago. Se il suo fosse un lavoro moralmente giusto, potrebbe anche richiedere di essere pagato. Ma dato che già il suo mestiere in quanto tale implica la menzogna e la perversione della realtà, la presenza del denaro non serve ad altro che a continuare la menzogna fondamentale che sta alla base. In questo senso, nel commercio di magia e di "poteri", si rende visibile una perversione ancora più profonda. Le cose spirituali non possono essere pagate, e la vera esperienza spirituale, che è quella che Cristo mi regala, la posso ottenere solo con la mia conversione, il mio "esodo" spirituale. Occorre dunque aiutate le persone cadute nella rete dell'occulto a ritrovare la via della conversione, offrendo loro una comunità, accompagnarle verso la fede e aiutarle a mettersi in cammino verso la verità, oltre che ovviamente aiutarle ad accedere - se le condizioni sono adempiute - all'esorcismo effettuato da sacerdoti autorizzati dal proprio Vescovo.
Uno yoga cristiano?
Anche la meditazione trascendentale e lo yoga, in particolare lo yoga, hanno come substrato l'occultismo. Anzi, l'ultimo grado dello yoga, il più elevato, comporta - affermano gli stessi libri sacri di questa "filosofia" - un contatto con il mondo degli spiriti e la acquisizione di poteri magici. Ritiene che vi sia un legame di fondo, anche se poco apparente, tra la diffusione delle religioni orientali e l'attuale rigurgito di occultismo?
Nel fondo è presente, senza dubbio. Diciamo che l'offerta di queste religioni orientali si muove su diversi livelli. C'è uno yoga ridotto ad una specie di ginnastica: si offre qualche elemento che può dare un aiuto per il rilassamento del corpo. Bene, se lo yoga è ridotto realmente ad una ginnastica si può anche accettare, nel caso di movimenti che hanno un senso esclusivamente fisico. Ma deve essere realmente ridotto, ripeto, a un puro esercizio di rilassamento fisico, liberato da ogni elemento ideologico. Su questo punto si deve essere molto attenti per non introdurre in una preparazione fisica una determinata visione dell'uomo, del mondo, della relazione tra uomo e Dio. Questa purificazione di un metodo in sé logico di idee incompatibili con la vita cristiana, potrebbe essere paragonata per esempio con la "demitizzazione" delle tradizioni pagane sulla creazione del mondo, realizzata nel primo capitolo della Genesi, dove il sole e la luna, le grandi divinità del mito sono ridotte a "lampade" create da Dio, lampade che riflettono la luce di Dio, e ci fanno immaginare la vera Luce, che è il Creatore della luce. E cosi, anche nel caso dello yoga e delle altre tecniche orientali, sarebbe necessaria una trasformazione e uno spostamento radicale che realmente tolgano di mezzo ogni pretesa ideologica. Nel momento in cui compaiono elementi che pretendono di guidare ad una "mistica", diventano già strumenti che conducono in una direzione sbagliata.
Questa trasformazione, o chiarimento, c'è stato?
Generalmente no. Può darsi comunque che alcune persone abbiano cercato di escludere gli elementi religiosi e ideologici, mantenendo queste pratiche su un piano di puro esercizio fisico. Questo non si può escludere.
Può esistere uno "yoga cristiano"?
Nel momento in cui lo si chiama "yoga cristiano" è già ideologizzato e appare come una religione, e questo non mi piace tanto. Mentre sul piano puramente fisico, ripeto, alcuni elementi potrebbero anche sussistere. Occorre stare molto attenti riguardo al contesto ideologico, che lo rende parte di un potere quasi mistico. Il rischio è che lo yoga diventi un metodo autonomo di "redenzione", priva di un vero incontro tra Dio e la persona umana. E in quel caso, siamo già nel trascendente. E' vero che anche nella preghiera e nella meditazione cristiana la posizione del corpo ha la sua importanza, e sta a significare un atteggiamento interiore. che si esprime anche nella liturgia. Ma nello yoga i movimenti del corpo hanno una diversa implicazione di rapporto con Dio, che non è quella della liturgia cristiana. Occorre la massima prudenza perché dietro questi elementi corporali si nasconde una concezione dell'essere come tale, della relazione tra corpo e anima, tra uomo, mondo e Dio.
Ritiene legittimo l'insegnamento della meditazione trascendentale e dello yoga nelle Chiese Cattoliche e nelle comunità religiose da parte di sacerdoti?
Mi sembra molto pericoloso perché in questo contesto queste pratiche sono già offerte come un qualcosa, appunto, di religioso.
E' possibile coniugare il mantra con la preghiera cristiana?
Il mantra è una preghiera rivolta non a Dio, ma ad altre divinità che sono idoli.
Perché questo deprezzamento di Cristo e della Chiesa?
Questa è una questione profonda legata alla situazione attuale del mondo. Le radici di questo comportamento che oggi noi vediamo sono tante e si sono sviluppate nel corso di un'epoca, anche se solo oggi emergono in tutta la loro forza. Mi sembra che l'elemento ultimo sia quello, ancora una volta, del capitolo 3 della Genesi: la superbia dell'uomo che intende fare di sé stesso Dio e non accetta di sottomettersi a Lui. C'è dietro la volontà di prendere nelle proprie mani Dio e non di mettersi nelle sue mani.
Una fede da amare, non da tradire
Urs Von Balthasar definisce la meditazione trascendentale un tradimento nei confronti della fede cristiana. E' d'accordo con questa affermazione?
Si. Perché il Dio Trascendente, la persona che mi ha chiamato e mi ama, viene deformato in una dimensione trascendentale dell'essere. Credo che sia necessario distinguere bene tra il Dio Trascendente e la trascendentalità. Mentre il Trascendente è una Persona che mi ha creato, il trascendentale è una dimensione dell'essere e quindi implica una filosofia di identità. Il cammino della Meditazione Trascendentale, preso nelle sue intenzioni ultime, ha questa tendenza di guidare ad immergersi nella identità, e quindi è esattamente opposto alla visione cristiana, che conosce anche una unione di identità. Cristo si è identificato con noi e così ci inserisce nel suo Corpo, ma è una identificazione diversa, operata nell'amore, nella quale rimane sempre una identità personale distinta, mentre la Meditazione Trascendentale comporta l'immergersi, il lasciarsi "sciogliere" nella identità dell'essere supremo.
Quale è, in termini spirituali, il prezzo di queste pratiche?
La perdita della fede e la perversione della relazione uomo - Dio, e un disorientamento profondo dell'essere umano, cosicché alla fine l'uomo si sposa con la menzogna.
Come deve realizzarsi concretamente il rispetto verso questi culti non cristiani, fermo restando anche il rispetto verso i valori imprescindibili della fede cristiano?
Il rispetto è dovuto soprattutto alle persone. Come dice S. Agostino dobbiamo avere amore per il peccatore e non per il peccato. Dobbiamo sempre vedere nell'uomo che è caduto in questi errori una persona creata e chiamata da Dio e che ha cercato anche, in un certo senso, di arrivare alla realtà divina per trovare le risposte al suo desiderio di elevarsi. Dobbiamo inoltre rispettare gli elementi ai quali ho accennato, chiarendo molto bene, però, quelle realtà che sono distruttive e che sono opposte non solo alla fede cristiana ma anche alla verità dell'essere umano stesso.
Veggenti o spiritisti?
Il mondo pullula oggi di veggenti che affermano di ricevere rivelazioni da parte di Dio e della Madonna. Divulgano libri che contengono messaggi apparentemente buoni e conformi con la fede cristiana e la dottrina della Chiesa. Ma dietro questi messaggi c'è - in molti casi - una tecnica medianica, come la "scrittura automatica", o altre forme di spiritismo. Quale atteggiamento deve avere il cristiano verso questi fenomeni?
Mi sembra che l'origine di questa inflazione di messaggi sia quella alla quale abbiamo accennato, e cioè di una desiderio di "accaparrarsi" una esperienza diretta del divino, di non restare nella sobrietà della fede ma di toccare più da vicino la realtà di Dio. Il primo punto essenziale è quello di affidarsi al Signore che si è rivelalo nella sua parola e che è presente nella Chiesa e nei Sacramenti, e di vivere in questo cammino fondamentale che da una sua esperienza diversa dalle altre, ed è un po' più ardua, ma alla fine molto più reale e gratificante perché molto più vera. L'atteggiamento fondamentale deve essere quello di vivere realmente la fede nella vita della Chiesa e convincersi che Dio, come ha detto San Giovanni della Croce, dandoci suo Figlio ci ha dato tutto, perché Gesù è la sua Parola, e non c'è da aggiungere altro, Dio non può dare di più che Se Stesso nel suo Figlio. Occorre mettersi davvero nelle mani del Figlio e vivere la vita della Chiesa, che è anche immensamente ricca, perché il Signore è circondato dai Santi, ad iniziare dalla Madonna. E questa esperienza è possibile per tutti. Credendo in Dio, non cammino solo, ma sono accompagnato da questa grande schiera dei Santi e dei credenti di tutti i tempi, e così ricevo anche tutte le risposte, perché la Chiesa vive e ha una voce viva per parlare e annunciare oggi la Parola del Signore come Parola presente per me e per il nostro tempo. E se uno vive questa realtà con convinzione e con gioia, non in senso purista, ma con tutta la ricchezza e la bellezza che questo comporta, non ha più bisogno di altro, e può stabilire con il proprio discernimento quali cose possono essere a lui utili senza diventare dipendente di questi fenomeni.
Alcuni affermano di possedere il testo del "segreto di Fatima". E' possibile?
No.
Se dietro apparizioni e messaggi c'è il fenomeno medianico della scrittura automatica o altre forme di medianità -oggi si diffondono nel mondo vari libri di "messaggi" -possiamo credere con certezza che ci si trova davanti ad un fenomeno da scartare?
Si tratta di fenomeni medianici che non hanno a che vedere con la mistica cristiana.
La pranoterapia non è un dono di Dio
Tra le varie ramificazioni della New Age c'è la cosiddetta "medicina alternativa", nella quale ha un posto importante la pranoterapia. Alcune persone affermano di possedere un fluido nelle mani che può curare i malati, e lo confondono con il carisma delle guarigioni...
Il carisma delle guarigioni si manifesta in primo luogo nella assenza totale di elementi di magia e si realizza in uno spirito di preghiera. Le guarigioni operate dal Signore e su suo mandato dagli apostoli sono espressione di preghiera. Non si usano mezzi e contesti spirituali alieni dalla fede e dalla ragione. I carismi, a differenza dei poteri e dei fluidi vantati da queste persone, si sottomettono alla verità e al potere di Dio e non introducono altri elementi. Gli altri casi sono espressione di un terribile mondo sotterraneo, che - molto tempo piuttosto nascosto - oggi di nuovo, in una fase di ripaganizzazione, viene allo scoperto.
Grazie alla nostra Gemma segnaliamo:
"Il laicismo nuova ideologia l´Europa non emargini Dio"
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MARCO POLITI
CITTÀ DEL VATICANO - L´Europa, culla e pilastro del cattolicesimo, sta perdendo la sua connotazione cristiana. Già oggi i non praticanti, gli indifferenti e gli agnostici sono maggioranza. Per la Chiesa di Roma è una sfida decisiva. Ed è da qui che partiamo nel colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger nella Sala Rossa del Sant´Uffizio. Congregazione per la Dottrina della fede si chiama oggi ed il suo capo è stato e continua ad essere un pilastro del pontificato wojtyliano.
«Viviamo in una situazione di grande trasformazione. Denatalità e immigrazione - ci confida il porporato - mutano anche la composizione etnica dell´Europa. Soprattutto siamo passati da una cultura cristiana ad un secolarismo aggressivo e a tratti persino intollerante. E ciò nonostante, sebbene le chiese si svuotino e tanti non riescano più a credere, la fede non è morta. Sono sicuro che anche nel contesto di una società multiculturale, e fra grandi contrasti, la fede cristiana rimanga un fattore importante, capace di fornire forza morale e culturale al continente».
Dunque il cardinale Ratzinger non è pessimista?
«Ottimismo e pessimismo sono categorie emozionali. Io penso di essere realista. Resto convinto della forza interiore della fede. Piuttosto il cattolicesimo è diventato sempre più "cattolico", cioè universale. E mentre altri continenti scoprono il loro modo di essere cristiani e cattolici, l´Europa non sarà più una voce così determinante come in passato. Avrà una grande rilevanza, ma sempre all´interno di un concerto internazionale».
Dopo l´affare Buttiglione certi gruppi laici e cattolici dipingono un cristianesimo assediato in Europa.
«Esiste un´aggressività ideologica secolare, che può essere preoccupante. In Svezia un pastore protestante, che aveva predicato sull´omosessualità in base ad un brano della Scrittura, è andato in carcere per un mese. Il laicismo non è più quell´elemento di neutralità, che apre spazi di libertà per tutti. Comincia a trasformarsi in un´ideologia che si impone tramite la politica e non concede spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, la quale rischia così di diventare cosa puramente privata e in fondo mutilata. In questo senso una lotta esiste e noi dobbiamo difendere la libertà religiosa contro l´imposizione di un´ideologia che si presenta come fosse l´unica voce della razionalità, mentre invece è solo l´espressione di un "certo" razionalismo».
Ma per lei cos´è la laicità?
«La laicità giusta è la libertà di religione. Lo Stato non impone una religione, ma dà libero spazio alle religioni con una responsabilità verso la società civile, e quindi permette a queste religioni di essere fattori nella costruzione della vita sociale».
Eppure ci sono frontiere delicate. Prendiamo il crocifisso nelle scuole. C´è la tendenza, che trovo banalizzante, di dire che è simbolo di amore universale e quindi non può dare fastidio a nessuno. In realtà è anzitutto il segno di un Dio e di una religione. Non è comprensibile che ci sia chi afferma che non ci può essere un solo segno imposto?
«Dipende dalle situazioni storiche. Possono darsi paesi che non hanno una storia o una presenza cristiana e quindi non vogliono questo segno perché non esprime un´eredità e un orientamento morale comune. Io penso che grazie a Dio l´Italia, e anche parte della Germania, sono ancora così segnate dal loro passato e dal loro presente cristiano che il crocifisso resta per loro un punto di orientamento. La Croce ci parla di un Dio che si fa uomo e muore per l´uomo, che ama l´uomo e perdona. E questa è già una visione di Dio che esclude il terrorismo e le guerre di religione in nome di Dio. Può darsi che in futuro si perda la sostanza cristiana in un popolo: allora si potrebbe dire che non c´è più questo orientamento comune e magari non si potrebbe più offrirlo negli spazi pubblici. Per me sarebbe un passaggio triste e perciò mi impegno personalmente perché non vada persa questa sostanza cristiana».
Ma se un ebreo o un musulmano, senza polemiche, chiedono di trovare nella scuola anche un segno della loro fede, è giusto negarlo?
«Si può riflettere sulle condizioni di un simile caso, ponderando bene tutte le differenze che esso comporta. Ma è una questione aperta, dovrei rifletterci sopra in modo più approfondito».
Non crede che esiste una difficoltà della Chiesa a farsi capire dall´uomo di oggi?
«Non facciamone un´immagine mitica, l´uomo d´oggi è molteplice. E´ assai diverso in America latina, in Africa o in Asia. E anche tra noi ci sono ceti sociali con svariate visioni del mondo. Ma è vero che il cristianesimo ha difficoltà a farsi capire nel mondo odierno, specialmente in quello occidentale: americano ed europeo. Sul piano intellettuale il sistema concettuale del cristianesimo appare molto lontano dal linguaggio e dal modo di vedere moderno. Basterebbe pensare solo alla parola "natura": come ha cambiato senso! Dobbiamo, senza dubbio, fare il possibile per tradurre questo sistema concettuale in modo che emerga la vera essenza del cristianesimo».
Come descriverla?
«Una storia di amore fra Dio e gli uomini. Se si capisce questo nel linguaggio del nostro tempo, il resto seguirà».
Basta questo?
«C´è anche la difficoltà ad accettare il cristianesimo dal punto di vista esistenziale. Gli attuali modelli di vita sono molto diversi e quindi l´impegno intellettuale da solo non è sufficiente. Bisogna offrire spazi di vita, di comunione, di cammino. Solo attraverso esperienze concrete e l´esempio esistenziale è possibile verificare l´accessibilità e la realtà del messaggio cristiano».
Torna a diffondersi la tentazione di rifugiarsi nel sogno di una società organicamente cristiana. Ha senso?
«Certamente no. Era una situazione storica determinata con luci ed ombre, come testimonia anche la storia della Chiesa. Oggi si tende a vedere piuttosto le ombre, ma vi erano anche luci, come rivela la grande cultura medievale. Adesso, rifugiarsi in una situazione non più ripetibile sarebbe assurdo. Dobbiamo accettare che la storia vada avanti, affrontando la difficoltà di credere in un contesto pluralista, ma sapendo bene che vi sono pure nuove possibilità per una fede libera e adulta. La fede non è solo il risultato di una tradizione e di una specifica situazione sociale, ma anzitutto l´esito di un libero sì del cuore a Cristo».
Dove sta Dio nella società contemporanea?
«E´ molto emarginato. Nella vita politica sembra quasi indecente parlare di Dio, quasi fosse un attacco alla libertà di chi non crede. Il mondo politico segue le sue norme e le sue strade, escludendo Dio come cosa che non appartiene a questa terra. Lo stesso nel mondo del commercio, dell´economia e della vita privata. Dio rimane ai margini. A me sembra invece necessario riscoprire, e le forze ci sono, che anche la sfera politica ed economica ha bisogno di una responsabilità morale, una responsabilità che nasce dal cuore dell´uomo e, in ultima istanza, ha a che fare con la presenza o l´assenza di Dio. Una società in cui Dio è assolutamente assente, si autodistrugge. Lo abbiamo visto nei grandi regimi totalitari del secolo scorso».
Un grosso nodo è l´etica sessuale. L´enciclica Humanae Vitae ha prodotto un fossato tra magistero e comportamento pratico dei fedeli. E´ ora di rimeditarla?
«Per me è evidente che dobbiamo continuare a riflettere. Già nei suoi primi anni di pontificato Giovanni Paolo II ha offerto al problema un nuovo tipo di approccio antropologico, personalistico, sviluppando una visione molto diversa della relazione fra l´io e il tu dell´uomo e della donna. Vero è che la pillola ha dato il via ad una rivoluzione antropologica di grandissime dimensioni. Non si è rivelata essere, come forse si poteva pensare all´inizio, solo un aiuto per le situazioni difficili, ma ha cambiato la visione della sessualità, dell´uomo e del corpo stesso. E´ stata sganciata la sessualità dalla fecondità e così è cambiato profondamente il concetto della stessa vita umana. L´atto sessuale ha perso la sua intenzionalità e finalità, che prima era sempre stata visibile e determinante, sicchè tutti i tipi di sessualità sono diventati equivalenti. Soprattutto da questa rivoluzione consegue l´equiparazione tra omosessualità ed eterosessualità. Ecco perché dico che Paolo VI ha indicato un problema di grandissima importanza».
Ecco, l´omosessualità. E´ un tema che riguarda l´amore fra due persone e non la mera sessualità. Cosa può fare la Chiesa per capire questo fenomeno?
«Diciamo due cose. Anzitutto dobbiamo avere un grande rispetto per queste persone, che soffrono anche e che vogliono trovare un loro modo di vivere giusto. D´altra parte, creare ora la forma giuridica di una specie di matrimonio omosessuale, in realtà, non aiuta queste persone».
Quindi lei giudica negativamente la scelta fatta in Spagna?
«Sì, perché è distruttiva per la famiglia e la società. Il diritto crea la morale o una forma di morale, poiché la gente normale comunemente ritiene che quanto afferma il diritto sia anche moralmente lecito. E se giudichiamo questa unione più o meno equivalente al matrimonio, abbiamo una società che non riconosce più la specificità né il carattere fondamentale della famiglia, cioè l´essere proprio dell´uomo e della donna che ha lo scopo di dare continuità - non solo in senso biologico - all´umanità. Ecco perché la scelta fatta in Spagna non reca un vero beneficio a queste persone: poiché in tal modo distruggiamo elementi fondamentali di un ordine di diritto».
Eminenza, a volte la Chiesa dicendo no su tutto, è andata incontro a sconfitte. Non dovrebbe essere almeno possibile un patto di solidarietà fra due persone, anche omosessuali, riconosciuto e tutelato dalla legge?
«Ma l´istituzionalizzazione di una simile intesa - lo voglia o no il legislatore - apparirebbe necessariamente all´opinione pubblica come un altro tipo di matrimonio e la relativizzazione sarebbe inevitabile. Non dimentichiamo poi che con queste scelte, verso cui oggi inclina un´Europa - diciamo così - in decadenza, ci separiamo da tutte le grandi culture dell´umanità, le quali hanno sempre riconosciuto il significato proprio della sessualità: cioè che un uomo e una donna sono creati per essere congiuntamente la garanzia del futuro dell´umanità. Garanzia non solo fisica ma morale».
In definitiva le visioni confliggenti nell´etica riflettono la rivoluzione del soggetto in corso nel mondo occidentale. La nuova soggettività è una sciagura o una sfida per la Chiesa?
«Di per sé la capacità di autodeterminazione può essere una cosa buona. Ma dubito che molti soggetti siano realmente autodeterminati - come oggi si vuol far credere - e non vivano invece un certo uniformismo prefabbricato, magari pensando di realizzare se stessi. L´uomo d´oggi è manipolabile dal mercato, dai media, dalle mode. Vero è che la sfera del soggetto è divenuta molto più grande. Il problema è che oggi la religione e la morale sembrano appartenere solo alla sfera del soggetto. L´oggettività si troverebbe unicamente nelle scienze mentre il resto sarebbe soggettivo. Di conseguenza la religione perde peso nella formazione della coscienza comune».
E allora?
«Rimane un´acquisizione positiva che il soggetto sia più consapevole della sua libertà e responsabilità, ma è giunto il momento di riconoscere che la libertà umana può vivere solo come libertà condivisa con gli altri. In una responsabilità comune. Soprattutto va capito che l´uomo non crea se stesso: è una creatura con i suoi limiti e con la possibilità di deviare o di trovare la via che corrisponde al suo essere propriamente una persona umana».
In questo scenario tutto occidentale sta irrompendo l´Islam. Come dovrebbe fronteggiarlo il cattolicesimo?
«Anzitutto l´Islam è multiforme, non è riducibile solo all´area terrorista o a quella moderata. Esistono interpretazioni diverse: sunniti, sciiti, eccetera. Culturalmente c´è una grande differenza tra Indonesia, Africa o penisola araba e forse si sta formando anche un Islam con una specificità europea, che accetta elementi della nostra cultura. In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme ad un certo patrimonio morale e all´osservanza di alcune norme che dimostrano come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni comuni: cosa che noi abbiamo un po´ perso».
E sul versante critico?
«Si tratta di cogliere anche le debolezze culturali di una religione troppo legata ad un libro considerato come verbalmente ispirato, con tutti i pericoli che ne conseguono. Possiamo offrire il concetto di libertà religiosa ad una religione in cui è determinante la teocrazia, cioè l´inscindibilità tra potere statale e religione. Potremmo mostrare loro che un Dio che lascia più libertà all´uomo, offre nuovi spazi all´uomo e al suo sviluppo culturale».
Si fa strada la tendenza nei nostri paesi a voler esportare in ogni modo i valori occidentali nel resto del mondo, perché considerati migliori.
«Non dobbiamo imporre e dogmatizzare tutte le nostre idee. Dobbiamo essere consapevoli della relatività di tante nostre forme politiche, religiose, economiche. D´altra parte, dobbiamo lasciare agli altri popoli la possibilità di contribuire alla molteplicità del concerto della cultura umana. Noi cerchiamo di convincere gli altri di cose che ci paiono essenziali, ma ciò deve avvenire nel rispetto, senza imposizioni».
Repubblica, 19 novembre 2004
Caspita!!! Politi puo' trovare in questa intervista (che egli stesso ha fatto) tutte le risposte che sta cercando sulla grandezza del pontificato di Ratzinger!
Il Signore sceglie la nostra povertà
Ratzinger racconta la sua nomina ad arcivescovo di Monaco e a cardinale da parte di Paolo VI nel 1977 e i due conclavi del 1978
di Gianni Cardinale
Quella del 1978 non fu un’estate qualsiasi per la Chiesa cattolica. Nel giro di poche settimane i cardinali si ritrovarono per due volte riuniti in conclave per eleggere il successore di Pietro. Il 6 agosto, infatti, dopo quindici anni di pontificato, venne meno Paolo VI, che avrebbe compiuto 81 anni il successivo 26 settembre. Il 26 agosto, dopo un rapidissimo conclave – due giorni e quattro votazioni –, venne eletto papa il patriarca di Venezia Albino Luciani, che prese il nome di Giovanni Paolo I. Avrebbe compiuto 66 anni il 17 ottobre. Ma non festeggiò quel compleanno. Il suo pontificato durò appena trentatré giorni. All’alba del 28 settembre il nuovo Pontefice venne trovato esanime nella sua camera da letto. Il Sacro Collegio quindi si riunì di nuovo per il conclave che il 16 ottobre – dopo otto votazioni in tre giorni – vide l’elezione dell’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, 58 anni, che col nome di Giovanni Paolo II divenne il primo Papa polacco della storia, il primo non italiano dopo 456 anni.
Per ricordare, venticinque anni dopo, i drammatici avvenimenti di quell’estate, 30Giorni ha chiesto la testimonianza del cardinale Joseph Ratzinger, 76 anni, indubbiamente il più conosciuto tra i ventuno porporati dell’attuale Sacro Collegio che parteciparono ai due conclavi del 1978. Con il porporato bavarese abbiamo anche parlato dei suoi colloqui e dei suoi incontri con papa Montini e con Luciani tra il 1977 e il 1978.
Il cardinale Joseph Ratzinger non ha bisogno di molte presentazioni. Teologo famoso fin dall’epoca del Concilio Vaticano II, nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga e creato cardinale nel 1977 da Paolo VI, è attualmente l’unico porporato europeo creato da papa Montini che siederebbe in un eventuale conclave. Convocato a Roma da papa Wojtyla nel 1981, presiede da allora la Congregazione per la dottrina della fede, la Pontificia Commissione biblica e la Commissione teologica internazionale. Attualmente è il più longevo tra i capidicastero della Curia romana. Eletto vicedecano del Sacro Collegio nel novembre ’98, alla fine dello scorso anno è stato eletto decano.
Eminenza, il 24 marzo 1977 Paolo VI la nominò arcivescovo di Monaco, tre mesi dopo la creò cardinale…
JOSEPH RATZINGER: Due o tre giorni dopo la mia consacrazione episcopale del 28 maggio venni informato della mia nomina a cardinale, che quindi coincideva quasi con l’ordinazione sacramentale. Fu per me una grande sorpresa. Non so ancora darmi una spiegazione di tutto questo. So comunque che Paolo VI teneva presente il mio lavoro come teologo. Tanto che alcuni anni prima, forse nel 1975, mi aveva invitato a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano. Ma non mi sentivo sufficientemente sicuro né del mio italiano né del mio francese per preparare e osare una tale avventura, e così avevo detto di no. Ma questa era una prova che il Papa mi conosceva. Forse una qualche parte in questa storia potrebbe averla avuta monsignor Karl Rauber, oggi nunzio in Belgio, allora stretto collaboratore del sostituto Giovanni Benelli. Comunque, sta di fatto, mi hanno detto, che di fronte alla terna per la nomina a Monaco e Frisinga, il Papa avrebbe personalmente scelto la mia povertà.
Quello del 27 giugno 1977 fu un “miniconcistoro” con soli cinque neocardinali…
RATZINGER: Sì, eravamo un piccolo gruppo, interessante e simpatico. C’era Bernardin Gantin, l’unico ancora in vita oltre il sottoscritto. E poi Mario Luigi Ciappi, il teologo della Casa pontificia, Benelli naturalmente, e Frantisek Tomasek che era stato nominato in pectore già l’anno prima e che ricevette la porpora insieme a noi.
Si racconta che fu Benelli, il quale era stato nominato arcivescovo di Firenze il 3 giugno, a “scegliere” i nomi di quel “miniconcistoro”…
RATZINGER: Può darsi. Non ho mai avuto voglia, né ho voglia ora di esplorare queste cose. Rispetto la Provvidenza; quali fossero gli strumenti della Provvidenza non mi interessa.
Cosa ricorda di quella cerimonia?
RATZINGER: Alla consegna del berretto nell’Aula Paolo VI io ho avuto un grande vantaggio rispetto agli altri quattro neocardinali. Nessuno di loro aveva con sé una grande famiglia. Benelli aveva lavorato per lungo tempo in Curia, e a Firenze non era molto conosciuto, quindi non erano tanti i fedeli provenienti dal capoluogo toscano; Tomasek – c’era ancora la cortina di ferro – non poteva avere accompagnatori; Ciappi era un teologo che aveva lavorato sempre, per così dire, nella sua isola; Gantin è del Benin e dall’Africa non è agevole venire a Roma. Io invece ho avuto tanta gente: l’aula era quasi piena di persone che venivano da Monaco e dalla Baviera.
Fece un figurone…
RATZINGER: In un certo senso sì. Gli applausi per me furono maggiori che per gli altri. Si vedeva che Monaco era presente. E il Papa fu visibilmente compiaciuto di vedere in qualche modo confermata la sua scelta.
In quell’occasione ebbe modo di avere un colloquio personale col Papa?
RATZINGER: Dopo la liturgia, nella quale il Papa ci aveva consegnato l’anello, mi fu detto che Paolo VI desiderava parlarmi in udienza privata. Io ero stato per tanti anni un semplice professore, molto lontano dai vertici della gerarchia, e non sapevo come comportarmi, mi sentivo un po’ a disagio in quel contesto. Non osavo parlare con il Papa perché mi sentivo ancora troppo semplice, ma lui fu molto buono e mi incoraggiò. Si trattò di un colloquio senza intenzioni specifiche, voleva conoscermi da vicino, dopo che forse Benelli gli aveva parlato di me.
Cosa ricorda dell’ultimo anno del pontificato di Paolo VI?
RATZINGER: In quel periodo, insieme agli altri vescovi della Baviera, venni a Roma per la visita ad limina. E in quella occasione ci fu un bell’incontro col Papa. Paolo VI cominciò a parlare in tedesco, lo faceva abbastanza bene, ma poi preferì passare all’italiano con cui era più facile comunicare. Parlò col cuore della sua vita e del suo primo incontro con la nostra terra. Ricordò che quando era stato a Monaco, da giovane sacerdote, si era trovato un po’ disorientato e aveva trovato tante persone che lo avevano aiutato. Fu un colloquio personale, senza grandi discorsi: si vedeva che il suo cuore si era aperto e voleva semplicemente condividere alcuni momenti con alcuni suoi confratelli nell’episcopato. Si trattò di un incontro molto simpatico.
Venne a Roma altre volte con Paolo VI papa?
RATZINGER: Sì, per il suo ottantesimo compleanno [il 26 settembre 1977, ndr]. Il 16 ottobre celebrò una messa solenne a San Pietro. In quella occasione mi ha impressionato per come ha citato il verso della Divina Commedia in cui Dante parla di «quella Roma onde Cristo è romano» [Purgatorio, XXXII, 102, ndr]. Paolo VI era considerato un po’ un intellettuale che aveva difficoltà ad essere caldo con gli altri. In quel momento aveva manifestato un calore inaspettato proprio per Roma. Io non conoscevo o non mi ricordavo di queste parole di Dante. Mi impressionarono molto. Con queste parole Paolo VI voleva esprimere il suo amore per Roma che è divenuta la città del Signore, il centro della Sua Chiesa.
Come seppe della scomparsa di papa Montini?
RATZINGER: Ero andato in vacanza in Austria. Venni informato la mattina stessa del 6 agosto che il Santo Padre si era sentito improvvisamente male. Chiamai il vicario generale di Monaco per dirgli di invitare subito tutta la diocesi a pregare per il Papa. Poi feci una piccola gita e quando tornai mi telefonarono per dirmi che il Papa si era aggravato e poco dopo mi chiamarono di nuovo per comunicarmi che era morto. Allora decisi che la mattina successiva sarei tornato a Monaco, e quella sera stessa venne la tv per intervistarmi. Dopo aver scritto una lettera alla diocesi partii per Roma.
Dove assistette ai funerali del Papa.
RATZINGER: Mi colpì l’assoluta semplicità della bara con il Vangelo posato sopra. Questa povertà, che il Papa aveva voluto, mi aveva quasi scioccato. Mi impressionò anche la messa funebre celebrata dal cardinale Carlo Confalonieri, che, essendo ultraottantenne, non avrebbe partecipato al conclave: fece un’omelia molto bella. Come fu bella quella pronunciata in un’altra messa dal cardinale Pericle Felici, che sottolineò come durante il funerale le pagine del Vangelo posto sopra la bara del Papa fossero state sfogliate dal vento. Ritornai poi a Monaco per celebrare una messa in suffragio: il Duomo era molto affollato. Quindi tornai a Roma per il conclave.
Lei era un cardinale “novello”…
RATZINGER: Ero tra i più giovani ma, siccome ero vescovo diocesano, appartenevo all’ordine dei presbiteri e quindi, nel protocollo, venivo prima di molti cardinali curiali che appartenevano all’ordine dei diaconi. Così non ero agli ultimi posti. Ricordo che al pranzo, anche in questo contesto venivano rispettate le precedenze, mi trovavo tra i cardinali Silvio Oddi e Felici, due porporati italianissimi.
Ebbe realmente un ruolo importante in quel conclave?
RATZINGER: È vero che con alcuni cardinali germanofoni ci siamo visti qualche volta. A questi incontri partecipavano Joseph Schröffer, già prefetto dell’Educazione cattolica, Joseph Höffner di Colonia, il grande Franz König di Vienna – che vive ancora –, Alfred Bengsch di Berlino; c’erano inoltre Paulo Evaristo Arns e Aloísio Lorscheider, brasiliani di origine tedesca. Si trattava di un piccolo gruppo. Non volevamo assolutamente decidere niente, ma solo parlare un po’. Io mi sono lasciato guidare dalla Provvidenza, ascoltando i nomi, e vedendo come si è formato finalmente un consenso sul patriarca di Venezia.
Lo conosceva?
RATZINGER: Sì, lo conoscevo personalmente. Durante le vacanze estive del ’77, ad agosto, mi trovavo nel seminario diocesano di Bressanone e Albino Luciani venne a farmi visita. L’Alto Adige fa parte della regione ecclesiastica del Triveneto e lui, che era un uomo di una squisita gentilezza, come patriarca di Venezia si sentì quasi in obbligo di recarsi a trovare questo suo giovane confratello. Mi sentivo indegno di una tale visita. In quella occasione ho avuto modo di ammirare la sua grande semplicità, e anche la sua grande cultura. Mi raccontò che conosceva bene quei luoghi, dove da bambino era venuto con la mamma in pellegrinaggio al santuario di Pietralba, un monastero di Serviti di lingua italiana a mille metri di quota, molto visitato dai fedeli del Veneto. Luciani aveva tanti bei ricordi di quei luoghi e anche per questo era contento di tornare a Bressanone.
Prima non l’aveva mai conosciuto di persona?
RATZINGER: No. Io ero vissuto, come ho già detto, nel mondo accademico, molto lontano dalle gerarchie, e non conoscevo di persona i vertici ecclesiastici.
Poi lo incontrò di nuovo?
RATZINGER: No, mai prima del conclave del ’78.
In quell’occasione scambiò delle parole con lui?
RATZINGER: Qualcuna, perché ci conoscevamo, ma non molte. C’era molto da fare e da meditare.
Che impressione fece la sua elezione?
RATZINGER: Io sono stato molto felice. Avere come pastore della Chiesa universale un uomo con quella bontà e con quella fede luminosa era la garanzia che le cose andavano bene. Lui stesso era rimasto sorpreso e sentiva il peso della grande responsabilità. Si vedeva che soffriva un po’ di questo colpo. Non si aspettava questa elezione. Non era un uomo che cercava la carriera, ma concepiva gli incarichi che aveva avuto come un servizio e anche una sofferenza.
Quale fu il suo ultimo colloquio con lui?
RATZINGER: Il giorno del suo insediamento, il 3 settembre. L’arcidiocesi di Monaco e Frisinga è gemellata con le diocesi dell’Ecuador, e per quel mese di settembre a Guayaquil era stato organizzato un Congresso mariano nazionale. L’episcopato locale aveva chiesto che venissi nominato delegato pontificio per questo Congresso. Giovanni Paolo I aveva già letto la richiesta e deciso positivamente in merito; così, durante il tradizionale omaggio dei cardinali, parlammo del mio viaggio e lui invocò molte benedizioni su di me e su tutta la Chiesa ecuadoregna.
Lei andò in Ecuador?
RATZINGER: Sì, e proprio quando ero lì, mi raggiunse la notizia della morte del Papa. In un modo un po’ strano. Dormivo nell’episcopio di Quito. Non avevo chiuso la porta perché nell’episcopio mi sento come nel seno di Abramo. Era notte fonda quando entrò nella mia stanza un fascio di luce e si affacciò una persona con un abito da carmelitano. Rimasi un po’ sbigottito da questa luce e da questa persona vestita in maniera lugubre che sembrava messaggera di notizie infauste. Non ero sicuro se fosse sogno o realtà. Infine scoprii che era un vescovo ausiliare di Quito (Alberto Luna Tobar, oggi arcivescovo emerito di Cuenca, ndr), il quale mi comunicò che il Papa era morto. E così seppi di questo avvenimento tristissimo e imprevisto. Nonostante questa notizia, riuscii a dormire in grazia di Dio e la mattina dopo celebrai messa con un missionario tedesco, il quale nella preghiera dei fedeli pregò «per il nostro papa morto Giovanni Paolo I». Alla funzione assisteva anche il mio segretario laico, il quale alla fine venne da me e mi disse costernato che il missionario aveva sbagliato nome, che avrebbe dovuto pregare per Paolo VI e non per Giovanni Paolo I. Lui ancora non sapeva della morte di Albino Luciani.
Lei aveva visto il Papa al conclave. Nel rendergli omaggio le sembrava un uomo che nel giro di un mese potesse morire?
RATZINGER: Mi sembrava che stesse bene. Certo non appariva un uomo di grande salute. Ma tanti sembrano fragili e poi vivono cento anni. A me appariva di buona salute. Non sono un medico, ma mi sembrava un uomo che, come me, non pareva avere una salute molto forte. Ma queste persone sono poi quelle che hanno di solito una maggiore aspettativa di vita.
Quindi fu per lei una morte inaspettata?
RATZINGER: Assolutamente inaspettata.
Ebbe qualche dubbio quando cominciarono a girare voci su una morte violenta del Papa?
RATZINGER: No.
Il vescovo di Belluno-Feltre, il salesiano Vincenzo Savio, ha annunciato di aver ricevuto, lo scorso 17 giugno, il nullaosta della Congregazione delle cause dei santi affinché si possa procedere alla causa di beatificazione del servo di Dio Albino Luciani. Cosa pensa a riguardo?
RATZINGER: Personalmente sono convintissimo che era un santo. Per la sua grande bontà, semplicità, umiltà. E per il suo grande coraggio. Perché aveva anche il coraggio di dire le cose con grande chiarezza, anche andando contro le opinioni correnti. E anche per la sua grande cultura di fede. Non era solo un semplice parroco che per caso era diventato patriarca. Era un uomo di grande cultura teologica e di grande senso ed esperienza pastorale. I suoi scritti sulla catechesi sono preziosi. Ed è bellissimo il suo libro Illustrissimi, che lessi subito dopo l’elezione. Sì, sono convintissimo che è un santo.
Pur avendolo incontrato in non più di tre occasioni?
RATZINGER: Sì, è stato sufficiente perché la sua figura luminosa irradiasse in me questa convinzione.
Quando vi incontraste per il secondo conclave del 1978 quale era la sensazione dominante nel Collegio cardinalizio?
RATZINGER: Dopo questa morte improvvisa eravamo tutti un po’ depressi. Era stato un colpo forte. Certo, anche dopo la morte di Paolo VI c’era tristezza. Ma quella di Montini era stata una vita completa, che aveva avuto un epilogo naturale. Lui stesso aspettava la morte, parlava della sua morte. Dopo un pontificato così grande c’era stato un nuovo inizio, con un Papa di tipo diverso ma in piena continuità. Ma che la Provvidenza avesse detto di no alla nostra elezione fu veramente un colpo duro. Benché l’elezione di Luciani non fu un errore. Quei trentatré giorni di pontificato hanno avuto una funzione nella storia della Chiesa.
Quale?
RATZINGER: Non fu solo la testimonianza di bontà e di una fede gioiosa. Ma quella morte improvvisa aprì anche le porte ad una scelta inaspettata. Quella di un Papa non italiano.
Nel primo conclave del 1978 era stata presa in considerazione questa ipotesi?
RATZINGER: Si parlò anche di questo. Ma non era un’ipotesi molto reale, anche perché c’era la bella figura di Albino Luciani. Dopo si pensò che c’era bisogno di qualcosa di assolutamente nuovo.
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venerdì 30 marzo 2007
IL PAPA: URGENTE OGGI PROCLAMARE VANGELO DEL LAVORO
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL IX FORUM INTERNAZIONALE DEI GIOVANI (ROCCA DI PAPA, 28-31 MARZO 2007)
Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, S.E. Mons. Stanisław Ryłko, ed ai partecipanti al IX Forum internazionale dei Giovani sul tema: "Testimoni di Cristo nel mondo del lavoro" in corso di svolgimento a Rocca di Papa:
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
All’Arcivescovo
Mons. STANISŁAW RYŁKO
Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici
Sono particolarmente lieto di inviare il mio cordiale saluto a Lei, Venerato Fratello, al Segretario, ai Collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici e a quanti prendono parte al IX Forum internazionale dei giovani sul tema "Testimoni di Cristo nel mondo del lavoro", che si tiene in questa settimana a Rocca di Papa. Con particolare affetto mi rivolgo ai giovani delegati delle Conferenze Episcopali e di vari Movimenti, Associazioni e Comunità internazionali, provenienti dai cinque Continenti ed impegnati in settori molto diversi. Estendo il mio deferente pensiero agli autorevoli relatori, che hanno accettato di recare all’incontro il contributo della loro competenza e della loro esperienza.
Il tema è quanto mai attuale e tiene conto delle trasformazioni intervenute negli ultimi anni nel campo dell’economia, della tecnologia e della comunicazione, che hanno modificato radicalmente la fisionomia e le condizioni del mercato del lavoro. I progressi compiuti, se da una parte hanno suscitato nuove speranze nei giovani, dall’altra hanno spesso creato in loro forme preoccupanti di emarginazione e di sfruttamento, con crescenti situazioni di disagio personale. A causa del rilevante divario tra gli ambiti formativi e il mondo del lavoro, sono aumentate le difficoltà di reperire un’occupazione lavorativa che risponda alle attitudini personali e agli studi compiuti, con in più l’aggravio dell’incertezza circa la possibilità di poter poi mantenere nel tempo un pur modesto impiego. Il processo di globalizzazione in atto nel mondo ha recato con sé un’esigenza di mobilità che obbliga numerosi giovani a emigrare e a vivere lontano dal Paese d’origine e dalla propria famiglia. E questo ingenera in tanti un inquietante senso di insicurezza, con indubbie ripercussioni sulla capacità non solo di immaginare e di mettere in atto un progetto per il futuro, ma persino di impegnarsi concretamente nel matrimonio e nella formazione di una famiglia. Si tratta di problematiche complesse e delicate che devono essere opportunamente affrontate, guardando alla realtà di oggi e facendo riferimento alla Dottrina sociale, della quale è offerta un’adeguata presentazione nel Catechismo della Chiesa Cattolica e soprattutto nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa.
Costante è stata, in effetti, in questi anni l’attenzione della Chiesa verso la questione sociale, ed in particolare verso il lavoro. Basti ricordare l’Enciclica Laborem exercens, pubblicata poco più di venticinque anni fa, il 14 settembre 1981, dall’amato mio predecessore Giovanni Paolo II. Essa ribadisce e attualizza le grandi intuizioni sviluppate dai Sommi Pontefici Leone XIII e Pio XI nelle Encicliche Rerum novarum (1891) e Quadragesimo anno (1931), entrambe scritte all'epoca della industrializzazione dell'Europa. In un contesto di liberalismo economico condizionato dalle pressioni del mercato, dalla concorrenza e dalla competitività, questi documenti pontifici richiamano con forza la necessità di valorizzare la dimensione umana del lavoro e di tutelare la dignità della persona: in effetti, il riferimento ultimo di ogni attività umana non può che essere l'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Un’approfondita analisi della situazione, infatti, conduce a constatare che il lavoro rientra nel progetto di Dio sull'uomo e che esso è partecipazione alla sua opera creatrice e redentrice. E, pertanto, ogni attività umana dovrebbe essere occasione e luogo di crescita degli individui e della società, sviluppo dei "talenti" personali da valorizzare e porre al servizio ordinato del bene comune, in spirito di giustizia e di solidarietà. Per i credenti, poi, la finalità ultima del lavoro è la costruzione del Regno di Dio.
Mentre invito a far tesoro del dialogo e della riflessione di questi giorni, auspico che quest’importante assemblea giovanile costituisca per i partecipanti una fruttuosa occasione di crescita spirituale ed ecclesiale, grazie alla condivisione delle testimonianze e delle esperienze, alla preghiera comune e alle liturgie celebrate insieme. Oggi, più che mai, è necessario e urgente proclamare "il Vangelo del lavoro", vivere da cristiani nel mondo del lavoro e diventare apostoli fra i lavoratori. Ma per compiere questa missione occorre restare uniti a Cristo con la preghiera e un’intensa vita sacramentale, valorizzando a tale scopo in maniera speciale la Domenica, che è Giorno dedicato al Signore. Mentre incoraggio i giovani a non perdersi d’animo dinanzi alle difficoltà, do loro appuntamento per domenica prossima, in Piazza san Pietro, ove si svolgerà la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, ultima tappa di preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù, che si terrà il prossimo anno a Sidney, in Australia.
Quest’anno il tema di riflessione è: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). Ripeto in questa circostanza quanto ho scritto ai giovani cristiani del mondo intero nel mio Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù, che si ravvivi cioè nei giovani "la fiducia nell'amore vero, fedele e forte; un amore che genera pace e gioia; un amore che lega le persone, facendole sentire libere nel reciproco rispetto" e capaci di sviluppare appieno le proprie potenzialità. Non conta soltanto diventare più «competitivi» e «produttivi», occorre essere «testimoni della carità». Soltanto così, infatti, con il sostegno anche delle rispettive parrocchie, movimenti e comunità, in cui è possibile fare esperienza della grandezza e della vitalità della Chiesa, i giovani di oggi saranno in grado di vivere il lavoro come una vocazione e una vera missione. A tal fine assicuro il mio orante ricordo e, invocando la celeste protezione di Maria e di san Giuseppe, Patrono dei lavoratori, di cuore invio a Lei, Venerato Fratello, a quanti partecipano al Forum internazionale e a tutti i giovani lavoratori cristiani una speciale Benedizione Apostolica
Dal Vaticano, 28 Marzo 2007
BENEDICTUS PP. XVI
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Il Papa incontra i giovani
Vedi anche:
"Messaggio del Papa per la Quaresima 2007"
IL PAPA AI GIOVANI: SIETE TANTI, SAN PIETRO NON BASTA
CELEBRAZIONE DELLA PENITENZA CON I GIOVANI DELLA DIOCESI DI ROMA IN PREPARAZIONE ALLA XXII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ , 29.03.2007
Domenica 1° aprile 2007 - Domenica delle Palme - si celebrerà in tutte le Diocesi la XXII Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34).
In preparazione alla Giornata, questo pomeriggio, alle ore 18.00, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione della Penitenza con i Giovani della Diocesi di Roma.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa ha pronunciato nel corso della Celebrazione Penitenziale:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari amici,
ci incontriamo questa sera, in prossimità della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, che ha per tema, come sapete, il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù nella notte in cui fu tradito: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). Saluto cordialmente tutti voi che siete venuti dalle varie parrocchie di Roma. Saluto il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, i sacerdoti presenti, con un pensiero speciale per i confessori che tra poco saranno a vostra disposizione. L’odierno appuntamento, come già ha anticipato la vostra Portavoce, che ringrazio per le parole rivoltemi a vostro nome all’inizio della celebrazione, assume un profondo ed alto significato. È, infatti, un incontro attorno alla Croce, una celebrazione della misericordia di Dio che nel Sacramento della confessione ognuno di voi potrà sperimentare personalmente.
Nel cuore di ogni uomo, mendicante di amore, c’è sete di amore. Il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, scriveva già nella sua prima Enciclica Redemptor hominis: "L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa pienamente" (n. 10). Ancor più il cristiano non può vivere senza amore. Anzi, se non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno pienamente cristiano, perché, come ho rilevato nell’Enciclica Deus caritas est, "all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1). L’amore di Dio per noi, iniziato con la creazione, si è fatto visibile nel mistero della Croce, in quella kenosi di Dio, in quello svuotamento ed umiliante abbassamento del Figlio di Dio che abbiamo sentito proclamare dall’apostolo Paolo nella prima Lettura, nel magnifico inno a Cristo della Lettera ai Filippesi. Sì, la Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio per noi. Un amore crocifisso, che non si ferma allo scandalo del Venerdì Santo, ma culmina nella gioia della Risurrezione e Ascensione al cielo e nel dono dello Spirito Santo, Spirito dell’amore per mezzo del quale, anche questa sera, saranno rimessi i peccati e concessi il perdono e la pace.
L’amore di Dio per l’uomo, che si esprime in pienezza sulla Croce, è descrivibile con il termine agape, ossia "amore oblativo che cerca esclusivamente il bene dell’altro", ma pure con il termine eros. Infatti, mentre è amore che offre all’uomo tutto ciò che Dio è, come ho osservato nel Messaggio per questa Quaresima, è anche un amore dove il "cuore stesso di Dio, l’Onnipotente, attende il ‘sì’ delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa". Purtroppo "fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cfr Gn 3,1-7)" (ibid.). Ma nel sacrificio della Croce Dio continua a riproporre il suo amore, la sua passione per l’uomo, quella forza che, come si esprime lo Pseudo Dionigi, "non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato" (De divinis nominibus, IV, 13; PG 3, 712), venendo a "mendicare" l’amore della sua creatura. Questa sera, accostandovi al Sacramento della confessione, potrete fare l’esperienza del "dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla" (CCC, 1999) affinché, uniti a Cristo, diventiamo creature nuove (cfr 2 Cor 5,17-18).
Cari giovani della Diocesi di Roma, con il Battesimo voi siete già nati a vita nuova in virtù della grazia di Dio. Poiché però questa vita nuova non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato, ci è data l’opportunità di accostarci al Sacramento della confessione. Ogni volta che lo fate con fede e devozione, l’amore e la misericordia di Dio muovono il vostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo. A lui, e così a Cristo stesso, esprimete il dolore per i peccati commessi, con il fermo proposito di non peccare più in avvenire e con la disponibilità ad accogliere con gioia gli atti di penitenza che egli vi indica per riparare il danno causato dal peccato. Sperimentate così il "perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il ricupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenza del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano di ogni giorno" (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 310). Con il lavacro penitenziale di questo Sacramento, siamo riammessi nella piena comunione con Dio e con la Chiesa, compagnia affidabile perché "sacramento universale di salvezza" (Lumen gentium, 48).
Nella seconda parte del comandamento nuovo il Signore dice: "Amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34). Certamente Egli attende che ci lasciamo attrarre dal suo amore e ne sperimentiamo tutta la grandezza e bellezza, ma non basta! Cristo ci attira a sé per unirsi a ciascuno di noi, affinché, a nostra volta, impariamo ad amare i fratelli con lo stesso suo amore, come Lui ci ha amati. Oggi, come sempre, c’è tanto bisogno di una rinnovata capacità di amare i fratelli. Uscendo da questa celebrazione, con i cuori ricolmi dell’esperienza dell’amore di Dio, siate preparati ad "osare" l’amore nelle vostre famiglie, nei rapporti con i vostri amici e anche con chi vi ha offeso. Siate preparati ad incidere con una testimonianza autenticamente cristiana negli ambienti di studio e di lavoro, ad impegnarvi nelle comunità parrocchiali, nei gruppi, nei movimenti, nelle associazioni e in ogni ambito della società.
Voi, giovani fidanzati, vivete il fidanzamento nell’amore vero, che comporta sempre il reciproco rispetto, casto e responsabile. Se il Signore chiama alcuni di voi, cari giovani amici di Roma, ad una vita di particolare consacrazione siate pronti a rispondere con un "sì" generoso e senza compromessi. Donandovi a Dio e ai fratelli, sperimenterete la gioia di chi non si ripiega su se stesso in un egoismo troppo spesso asfissiante. Ma tutto ciò, certamente, ha un prezzo, quel prezzo che Cristo per primo ha pagato e che ogni suo discepolo, anche se in modo ben inferiore rispetto al Maestro, deve anch’egli pagare: il prezzo del sacrificio e dell’abnegazione, della fedeltà e della perseveranza senza le quali non c’è e non ci può essere vero amore, pienamente libero e sorgente di gioia.
Cari ragazzi e ragazze, il mondo aspetta questo vostro contributo per l’edificazione della "civiltà dell’amore". "L’orizzonte dell’amore è davvero sconfinato: è il mondo intero!" (Messaggio per la XXII Giornata Mondiale della Gioventù). I sacerdoti che vi seguono ed i vostri educatori sono certi che, con la grazia di Dio ed il costante soccorso della sua divina misericordia, riuscirete ad essere all’altezza dell’arduo compito al quale il Signore vi chiama. Non perdetevi d’animo ed abbiate sempre fiducia in Cristo e nella sua Chiesa! Il Papa vi è vicino e vi assicura un ricordo quotidiano nella preghiera, affidandovi particolarmente alla Vergine Maria, Madre di misericordia, perché vi accompagni e vi sostenga sempre. Amen!
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COMMENTI
Una GMG all'insegna del perdono. In San Pietro la liturgia penitenziale dei giovani con il papa
di Mattia Bianchi
Migliaia di giovani di Roma hanno partecipato al tradizionale incontro con il papa, in vista della Giornata mondiale della gioventù di domenica. L'invito di Benedetto XVI alla castità, le richieste di perdono, le confessioni individuali. La cronaca...
CITTA' DEL VATICANO - La forza del perdono per testimoniare la dimensione del cristianesimo legata all'amore. E' stato questo il filo conduttore dell'incontro di Benedetto XVI con i giovani di Roma, svoltosi ieri in Vaticano in preparazione alla Giornata mondiale della gioventù di domenica 1° aprile. Un appuntamento entrato nella tradizione che per la prima volta ha cambiato pelle, mettendo da parte il clima di festa e di musica (negli anni scorsi, l'incontro si svolgeva in piazza San Pietro), a favore di una maggiore sobrietà e soprattutto, della celebrazione del sacramento della Riconciliazione. In piena sintonia con il suo stile, infatti, Benedetto XVI ha voluto indicare ai giovani la misericordia per sperimentare in prima persona l'essenza del cristianesimo. Nessun tono inquisitorio, ma piuttosto la volontà di sfatare i pregiudizi sulla confessione, sacramento che permette all'uomo di toccare con mano l'amore di Dio e godere della "pace e serenità della coscienza e della consolazione dello spirito". Spazio quindi a letture e richieste di perdono che hanno introdotto il momento della confessioni individuali, grazie alla presenza di oltre 200 sacerdoti e dello stesso pontefice che ha confessato sei ragazzi.
Il rito. La liturgia è ruotata intorno al tema “Come io vi ho amato”, approfondito in quattro momenti. Dopo il saluto ai giovani riuniti in Aula Paolo VI ("Siete davvero tanti!"), il papa ha raggiunto la basilica dove è iniziata la cerimonia vera e propria. I riti iniziali hanno compreso la processione silenziosa, la sosta, un saluto da parte di un rappresentante dei giovani e la preghiera di colletta davanti al Crocifisso della Cappella Sistina, portato in basilica per l'occasione. Nella Liturgia della Parola, invece, è stato proclamato il testo dell'inno cristologico della Lettera ai Filippesi (2,1-11), il salmo 26 e la pericope del Vangelo di Giovanni (13, 34-38), in cui viene presentato il comandamento nuovo dell’amore (“Come io vi ho amato...”) che precede nella narrazione l’annunzio del rinnegamento di Pietro. Dopo l'omelia del papa, spazio al rito della riconciliazione caratterizzato da alcune invocazioni di perdono proposte dai giovani sullo schema dei sette vizi capitali (superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria) e dall’accensione, dopo ogni richiesta di perdono, di una luce davanti al Crocifisso. A seguire, la preghiera e le confessioni individuali: il momento centrale della liturgia, conclusasi con il rendimento di grazie e la benedizione del papa.
L'omelia del papa. La Croce come espressione dell'amore di Dio, sia in termini di agape (l'amore che cerca esclusivamente il bene del'altro) che di eros (l'amore di chi attende un sì, come uno sposo con la sposa). Nella sua omelia, Benedetto XVI tratteggia la dimensione più profonda del cristianesimo, chiarendo che se “un cristiano non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno pienamente cristiano”. Ed è proprio nella croce che Dio “continua a riproporre il suo amore e la sua passione per l’uomo”. Una realtà sperimentabile nel sacramento della confessione, con cui è possibile rispondere alla “debolezza della natura umana” e “all'inclinazione al peccato”. “Ogni volta che lo fate (ndr. vi confessate) con fede e devozione, - ha detto il papa - l’amore e la misericordia di Dio muovono il vostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo”. Dal perdono scaturisce poi un impegno ulteriore, perché “Cristo ci attira a sé per unirsi a ciascuno di noi, affinché, a nostra volta, impariamo ad amare i fratelli con lo stesso suo amore”. “Uscendo da questa celebrazione, - è l'invito di Benedetto XVI - con i cuori ricolmi dell’esperienza dell’amore di Dio, siate preparati ad “osare” l’amore nelle vostre famiglie, nei rapporti con i vostri amici e anche con chi vi ha offeso”. Un richiamo alla testimonianza negli ambienti di vita quotidiana: lo studio , il lavoro, la parrocchia, i gruppi, i movimenti e ogni ambito della società. Nella stessa misura, ai fidanzati viene chiesto di vivere il fidanzamento in un rispetto “casto e responsabile”, mentre ai giovani che sentono la chiamata alla consacrazione di rispondere con un “sì” “generoso e senza compromessi”. Una radicalità che ha un prezzo: il sacrificio e l’abnegazione, la fedeltà e la perseveranza “senza le quali non c’è e non ci può essere vero amore, pienamente libero e sorgente di gioia”. Si costruisce così la civiltà dell'amore, senza perdersi d'animo e con una piena fiducia in Cristo e nella Chiesa. “Il papa – promette Benedetto XVI - vi è vicino e vi assicura un ricordo quotidiano nella preghiera, affidandovi particolarmente alla Vergine Maria”.
Il saluto di un giovane. All'inizio della celebrazione, il papa ha ricevuto il saluto di Costanza d’Ardia, una 26enne impegnata nella pastorale giovanile diocesana. “Quest’anno – ha detto la giovane - il motivo della nostra gratitudine è ancora più grande. Oggi, infatti, non ci incontriamo soltanto con il papa che amiamo per la sua gentilezza e che apprezziamo per gli interventi così penetranti ed illuminanti per il cammino della nostra vita, ma soprattutto, tramite Lei ed i tanti sacerdoti qui presenti, ci incontriamo con la Misericordia di Dio". “Ogni persona – ha continuato Costanza - per amare ha bisogno di sentirsi amata. Noi giovani, soprattutto, se non sappiamo sempre amare è perché spesso non abbiamo ricevuto amore vero. È infatti amore vero quello di chi dicendo di interessarsi di noi in realtà ci sfrutta? È amore per noi quello di chi ci impone di vivere la sessualità non come manifestazione dell’amore all’interno del matrimonio ma come semplice uso del nostro corpo? È amore per noi quello di chi non rischia col proporci mete alte accompagnandoci nel cammino della vita per educarci ai valori più veri o ci lascia in condizioni precarie di lavoro? È amore per noi quello di chi offre ai giovani sostanze che stordiscono e tolgono il controllo di noi stessi? È amore per noi quello di un superaffetto che ci viene offerto per impedirci di uscire dal caldo nido familiare per compiere scelte di vita importanti e definitive?”. La giovane ha poi aggiunto: “Tra noi, Santità, quanti sono gli assetati di amore perché in famiglia il rapporto tra i genitori si è incrinato e ha provocato depressione e dolore nel cuore dei figli! È tra noi, anche chi ha una vita più serena, spesso è in ricerca di qualcosa di più che sappia appagare il suo desiderio infinito di bene, di giusto, di vero. Il suo desiderio di amore”.
Le richieste di perdono. Entrando nei particolari della cerimonia, ha colpito senza dubbio per la sua schiettezza e trasparenza, la richiesta di perdono dei giovani, sulla base dei sette vizi capitali. Nella basilica di San Pietro sono risuonati i limiti e le fragilità dell'uomo, affidate alla misericordia di un Dio che tutto perdona. Non discorsi fumosi o ideali, ma esperienze molto concreti che appartengono alla vita di tutti i giorni. I giovani hanno chiesto perdono per la superbia che cerca “solo la lode e l’approvazione della gente” e per il “desiderio di non dipendere da nessuno e nemmeno da Dio e per il vittimismo con cui sappiamo darci sempre una giustificazione”. Per l'invidia e l'egocentrismo che “ci impedisce di desiderare il bene per gli altri e ci rende incapaci di amare”, per quando “chiamiamo l’invidia sana competitività”. Per l'ira, racchiusa nei “turbamenti del cuore e nei sentimenti di avversione verso i fratelli”, “nell’animosità eccitata, nell’aggressività del corpo e nella sete di vendetta”. Per l'accidia, ovvero “il torpore, la pigrizia, l’abbattimento, la tristezza, la dipendenza e le crisi di astinenza da stimoli e piaceri esteriori che ci lasciano sempre tristi e vuoti”: una vita senza scopo, insomma, “il tempo perso e la fuga dall’impegno quotidiano”.
Per l'avarizia, “l’avidità, la brama di possedere, la fiducia smodata riposta nel denaro” e le sue conseguenze: “liti familiari, ansie e falsi timori, tradimenti, frodi, inganni,spergiuri, violenza e indurimento del cuore”. Atteggiamenti che su larga scala producono “le drammatiche disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri, le guerre, i disumani sfruttamenti e l’inganno delle coscienze prodotto da un sistema di accumulo e consumo che fa di tutto per eccitare la brama del possesso”. Per la gola, espressa non solo nel “rapporto irrazionale con il cibo, i vizi del fumo,dell’alcool, delle droghe, la dipendenza che ci fa schiavi”, ma anche nello scambiare per “libera scelta ciò che è solo condizionamento dell’abitudine, delle mode, della pubblicità”. Per la lussuria, che fa schiavi del sesso e per “il disordine morale che mette a rischio persone, famiglie e società: un riferimento al “cedimento a immagini proposte ad arte, a voci allusive, alla pornografia in video e in rete”, alla “mentalità diffusa che spaccia il disordine sessuale per conquista e fa credere che ogni istinto debba trovare immediata soddisfazione”. Da qui, la richiesta di aiuto a Dio, a “custodire la castità nel cuore e nella mente, a non avere rapporti sessuali prima o fuori del matrimonio, a evitare deviazioni e stravaganze”. Obiettivo: “Riscoprire la meraviglia della sessualità secondo Dio, nella cornice dell’amore coniugale, nell’atmosfera di famiglia e di tenerezza dove il sesso non è profanato e svenduto ma è sacra partecipazione al dono della vita”.
Le richieste di perdono sono state riprese anche dopo le confessioni individuali, per tutte le situazioni in cui viene meno l'amore per il prossimo, in famiglia, nella Chiesa, nel fidanzamento, nello studio, nel lavoro o nel tempo libero. “Signore, perdonaci se abbiamo attentato alla vita e all’integrità fisica del prossimo, - ha detto un giovane - se ne abbiamo offeso l’onore, se ne abbiamo danneggiato i beni. Se abbiamo consigliato o praticato l’aborto, se abbiamo serbato odio, se siamo stati rissosi, se abbiamo pronunciato insulti e parole offensive, fomentando screzi e rancori”. E ancora: “Signore, perdonaci se abbiamo rubato,se abbiamo ingiustamente desiderato la roba d’altri, se abbiamo danneggiato il prossimo nei suoi averi, se non abbiamo restituito quanto sottratto e riparato i danni arrecati. Signore, perdonaci se, avendo ricevuto dei torti, non ci siamo dimostrati disponibili alla riconciliazione e al perdono per amore tuo o serbiamo in cuore desideri di odio e di vendetta”.
Korazym
Un popolo di perdonati. La forza di un’etica non solo religiosa
di Redazione
Alla liturgia penitenziale con il papa, i giovani danno nome e cognome a limiti e fragilità umane. Emerge un impegno valido per tutti e al tempo stesso la forza del cristianesimo: la consapevolezza di non essere migliori, ma perdonati.
Sarà difficile parlare ancora di una Chiesa che punta il dito, giudica e non capisce. La liturgia penitenziale per i giovani, presieduta dal papa, ha dimostrato (nel caso ce ne fosse ancora bisogno) che il grande amore del cristianesimo si esprime con totale radicalità e atteggiamento disarmante nella misericordia. C’è una forza tutta religiosa nella logica del perdono cristiano, di per sé difficile da vivere in un’ottica puramente umana. Eppure il senso delle richieste di perdono lette da sette giovani, partendo dai vizi capitali, va oltre la fede e la religione e si pone come un programma etico, da attuare non sotto l'effetto dell’incenso, ma nella concretezza del quotidiano. Una visione radicata senza dubbio nella realtà della salvezza cristiana, capace tuttavia di porsi anche come morale laica. E non potrebbe essere diversamente.
Del resto, sarebbe forse peggiore un mondo che mettesse da parte “le azioni che cercano solo la lode e l’approvazione della gente, la ricerca di potere, l’egocentrismo, l’avidità e l’insoddisfazione”? L’umanità vivrebbe peggio se rinunciasse alla “tentazione di farla pagare agli altri”, “al piacere di fare del male a qualcuno”, “alla gratuità dell’ira? Perderemmo forse qualcosa a rinunciare al “torpore, alla pigrizia, all’abbattimento e alla tristezza”, in parole povere alla noia?
Sarebbe così peregrino un mondo senza “una fiducia smodata nel denaro”, in cui ognuno si impegni a vivere con più sobrieta e senza bramosia? E non saremmo forse persone migliori, se imparassimo a non farci condizionare “dalle abitudini, dalle mode o dalla pubblicità”? Vivendo la dimensione più bella della sessualità, al di là di ogni piacere effimero, pornografia o mentalità usa e getta?
Le domande potrebbero continuare, perché l'elenco dei limiti e delle fragilità umane risuonate nella basilica di San Pietro è stato lungo e dettagliato: la fotografia di ogni cuore umano (di cristiani e non, dei credenti e degli atei) e di converso, una piattaforma programmatica per aspirare ad una vita autentica, a prescindere dalle proprie convinzioni. Certo, ci sono anche richiami alla castità e alla purezza che forse faranno sorridere i benpensanti e anche qualche giovane cattolico che la pensa diversamente, ma dalla prospettiva della misericordia emerge il valore aggiunto della proposta cristiana. In un contesto politico e sociale in cui tutti giudicano tutti, c'è ancora qualcuno che ha il coraggio e l'umiltà di mettersi allo specchio, ammettendo le proprie contraddizioni. Perché i cristiani non sono perfetti né migliori degli altri. Hanno semplicemente una proposta universale e una consapevolezza: quella di essere un popolo di perdonati.
Korazym
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mercoledì 28 marzo 2007
Il Papa e Sant'Ireneo
I PADRI DELLA CHIESA NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO XVI
Vedi anche:
Paragone azzardato: Papa Benedetto, novello Sant'Ireneo?
L’UDIENZA GENERALE , 28.03.2007
Sant'Ireneo di Lione
Cari fratelli e sorelle!
Nelle catechesi sulle grandi figure della Chiesa dei primi secoli arriviamo oggi alla personalità eminente di sant’Ireneo di Lione. Le notizie biografiche su di lui provengono dalla sua stessa testimonianza, tramandata a noi da Eusebio nel quinto libro della Storia Ecclesiastica. Ireneo nacque con tutta probabilità a Smirne (oggi Izmir, in Turchia) verso il 135-140, dove ancor giovane fu alla scuola del Vescovo Policarpo, discepolo a sua volta dell'apostolo Giovanni. Non sappiamo quando si trasferì dall'Asia Minore in Gallia, ma lo spostamento dovette coincidere con i primi sviluppi della comunità cristiana di Lione: qui, nel 177, troviamo Ireneo annoverato nel collegio dei presbiteri. Proprio in quell'anno egli fu mandato a Roma, latore di una lettera della comunità di Lione al Papa Eleuterio. La missione romana sottrasse Ireneo alla persecuzione di Marco Aurelio, nella quale caddero almeno quarantotto martiri, tra cui lo stesso Vescovo di Lione, il novantenne Potino, morto di maltrattamenti in carcere. Così, al suo ritorno, Ireneo fu eletto Vescovo della città. Il nuovo Pastore si dedicò totalmente al ministero episcopale, che si concluse verso il 202-203, forse con il martirio.
Ireneo è innanzitutto un uomo di fede e un Pastore. Del buon Pastore ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina, l'ardore missionario. Come scrittore, persegue un duplice scopo: difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici, ed esporre con chiarezza le verità della fede. A questi fini corrispondono esattamente le due opere che di lui ci rimangono: i cinque libri Contro le eresie, e l'Esposizione della predicazione apostolica (che si può anche chiamare il più antico "catechismo della dottrina cristiana"). In definitiva, Ireneo è il campione della lotta contro le eresie. La Chiesa del II secolo era minacciata dalla cosiddetta gnosi, una dottrina la quale affermava che la fede insegnata nella Chiesa sarebbe solo un simbolismo per i semplici, che non sono in grado di capire cose difficili; invece, gli iniziati, gli intellettuali — gnostici, si chiamavano — avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli, e così avrebbero formato un cristianesimo elitario, intellettualista. Ovviamente questo cristianesimo intellettualista si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri spesso strani e stravaganti, ma attraenti per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti era il dualismo, cioè si negava la fede nell'unico Dio Padre di tutti, Creatore e Salvatore dell'uomo e del mondo. Per spiegare il male nel mondo, essi affermavano l’esistenza, accanto al Dio buono, di un principio negativo. Questo principio negativo avrebbe prodotto le cose materiali, la materia.
Radicandosi saldamente nella dottrina biblica della creazione, Ireneo confuta il dualismo e il pessimismo gnostico che svalutavano le realtà corporee. Egli rivendicava decisamente l'originaria santità della materia, del corpo, della carne, non meno che dello spirito. Ma la sua opera va ben oltre la confutazione dell'eresia: si può dire infatti che egli si presenta come il primo grande teologo della Chiesa, che ha creato la teologia sistematica; egli stesso parla del sistema della teologia, cioé dell'interna coerenza di tutta la fede. Al centro della sua dottrina sta la questione della "regola della fede" e della sua trasmissione. Per Ireneo la "regola della fede" coincide in pratica con il Credo degli Apostoli, e ci dà la chiave per interpretare il Vangelo, per interpretare il Credo alla luce del Vangelo. Il simbolo apostolico, che è una sorta di sintesi del Vangelo, ci aiuta a capire che cosa vuol dire, come dobbiamo leggere il Vangelo stesso.
Di fatto il Vangelo predicato da Ireneo è quello che egli ha ricevuto da Policarpo, Vescovo di Smirne, e il Vangelo di Policarpo risale all’apostolo Giovanni, di cui Policarpo era discepolo. E così il vero insegnamento non è quello inventato dagli intellettuali al di là della fede semplice della Chiesa. Il vero Evangelo è quello impartito dai Vescovi che lo hanno ricevuto in una catena ininterrotta dagli Apostoli. Questi non hanno insegnato altro che proprio questa fede semplice, che è anche la vera profondità della rivelazione di Dio. Così — ci dice Ireneo — non c'è una dottrina segreta dietro il comune Credo della Chiesa. Non esiste un cristianesimo superiore per intellettuali. La fede pubblicamente confessata dalla Chiesa è la fede comune di tutti. Solo questa fede è apostolica, viene dagli Apostoli, cioè da Gesù e da Dio. Aderendo a questa fede trasmessa pubblicamente dagli Apostoli ai loro successori, i cristiani devono osservare quanto i Vescovi dicono, devono considerare specialmente l'insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima. Questa Chiesa, a causa della sua antichità, ha la maggiore apostolicità, infatti trae origine dalle colonne del Collegio apostolico, Pietro e Paolo. Con la Chiesa di Roma devono accordarsi tutte le Chiese, riconoscendo in essa la misura della vera tradizione apostolica, dell'unica fede comune della Chiesa. Con tali argomenti, qui molto brevemente riassunti, Ireneo confuta dalle fondamenta le pretese di questi gnostici, di questi intellettuali: anzitutto essi non posseggono una verità che sarebbe superiore a quella della fede comune, perché quanto essi dicono non è di origine apostolica, è inventato da loro; in secondo luogo, la verità e la salvezza non sono privilegio e monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli Apostoli, e soprattutto del Vescovo di Roma. In particolare - sempre polemizzando con il carattere "segreto" della tradizione gnostica, e notandone gli esiti molteplici e fra loro contraddittori - Ireneo si preoccupa di illustrare il genuino concetto di Tradizione apostolica, che possiamo riassumere in tre punti.
a) La Tradizione apostolica è "pubblica", non privata o segreta. Per Ireneo non c'è alcun dubbio che il contenuto della fede trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli Apostoli e da Gesù, dal Figlio di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo. Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina basta che conosca "la Tradizione che viene dagli Apostoli e la fede annunciata agli uomini": tradizione e fede che "sono giunte fino a noi attraverso la successione dei vescovi" (Adv. Haer. 3,3,3-4). Così successione dei Vescovi, principio personale e Tradizione apostolica, principio dottrinale coincidono.
b) La Tradizione apostolica è "unica". Mentre infatti lo gnosticismo è suddiviso in molteplici sètte, la Tradizione della Chiesa è unica nei suoi contenuti fondamentali, che - come abbiamo visto - Ireneo chiama appunto regula fidei o veritatis: e così perché è unica, crea unità attraverso i popoli, attraverso le culture diverse, attraverso i popoli diversi; è un contenuto comune come la verità, nonostante la diversità delle lingue e delle culture. C'è una frase molto preziosa di sant'Ireneo nel libro Contro le eresie: "La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura [la fede degli Apostoli], come se abitasse una casa sola; allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della tradizione è unica e la stessa: le Chiese fondate nelle Germanie non hanno ricevuto né trasmettono una fede diversa, né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo" (1,10,1-2). Si vede già in questo momento, siamo nell'anno 200, l'universalità della Chiesa, la sua cattolicità e la forza unificante della verità, che unisce queste realtà così diverse, dalla Germania, alla Spagna, all'Italia, all'Egitto, alla Libia, nella comune verità rivelataci da Cristo.
c) Infine, la Tradizione apostolica è come lui dice nella lingua greca nella quale ha scritto il suo libro, "pneumatica", cioè spirituale, guidata dallo Spirito Santo: in greco spirito si dice pneuma. Non si tratta infatti di una trasmissione affidata all'abilità di uomini più o meno dotti, ma allo Spirito di Dio, che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede. E' questa la "vita" della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, cioè feconda di molteplici carismi. Chiesa e Spirito per Ireneo sono inseparabili: "Questa fede", leggiamo ancora nel terzo libro Contro le eresie, "l'abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: la fede, per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso custodito in un vaso di valore ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene... Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia" (3,24,1).
Come si vede, Ireneo non si limita a definire il concetto di Tradizione. La sua tradizione, la Tradizione ininterrotta, non è tradizionalismo, perché questa Tradizione è sempre internamente vivificata dallo Spirito Santo, che la fa di nuovo vivere, la fa essere interpretata e compresa nella vitalità della Chiesa. Stando al suo insegnamento, la fede della Chiesa va trasmessa in modo che appaia quale deve essere, cioè "pubblica", "unica", "pneumatica", "spirituale". A partire da ciascuna di queste caratteristiche si può condurre un fruttuoso discernimento circa l'autentica trasmissione della fede nell'oggi della Chiesa. Più in generale, nella dottrina di Ireneo la dignità dell'uomo, corpo e anima, è saldamente ancorata nella creazione divina, nell’immagine di Cristo e nell’opera permanente di santificazione dello Spirito. Tale dottrina è come una "via maestra" per chiarire insieme a tutte le persone di buona volontà l'oggetto e i confini del dialogo sui valori, e per dare slancio sempre nuovo all'azione missionaria della Chiesa, alla forza della verità che è la fonte di tutti i veri valori del mondo.
Qualche commento di agenzia:
PAPA/ CRISTIANI SEGUANO INSEGNAMENTO VESCOVI E CHIESA DI ROMA
Cristianesimo non è monopolio di pochi, ma è pubblica fede
Città del Vaticano, 28 mar. (Apcom) - I cristiani di tutto il mondo "devono osservare quanto dicono i vescovi e considerare specialmente l'insegnamento della Chiesa di Roma". Il Papa ha esortato i fedeli a seguire il vero cristianesimo, che non è quello degli intellettuali. Davanti a circa 40mila fedeli in una piazza San Pietro gremita per l'udienza generale, Benedetto XVI ha preso spunto dalla figura di Sant'Ireneo di Lione per sottolineare che "la tradizione apostolica è pubblica, non privata o segreta".
"Il contenuto della fede - ha detto il Pontefice - è quella degli apostoli, non esiste altro insegnamento che questo. Pertanto chi vuole conoscere la vera dottrina segua quella degli apostoli". In tal senso, per Papa Ratzinger, "la verità e la salvezza non solo privilegio o monopolio di pochi, ma tutti le possono raggiungere attraverso la predicazione dei successori degli apostoli e soprattutto del vescovo di Roma".
"La tradizione apostolica - ha poi spiegato il Papa - non è solo pubblica, ma anche unica. Nei suoi contenuti fondamentali c'è l'universalità della Chiesa, la cattolicità e la forza unificante che unisce realtà diverse, dalla Germania all'Italia, dall'Egitto alla Spagna".
Infine, terzo elemento: "La tradizioni apostolica - ha concluso Benedetto XVI - è pneumatica, cioè spirituale, guidata dallo Spirito Santo. È lo spirito di Dio che garantisce la fedeltà".
PAPA/ DIFENDERE DOTTRINA DA ERETICI, ESPORRE FEDE CON CHIAREZZA
Non esiste cristianesimo superiore per intellettuali
Città del Vaticano, 28 mar. (Apcom) - Occorre "difendere la vera dottrina dagli assalti degli eretici ed esporre con chiarezza la verità della fede". Il Papa all'udienza generale del mercoledì, in piazza San Pietro, prende spunto dalla figura di Sant'Ireneo di Lione per spiegare che "non esiste un cristianesimo superiore per gli intellettuali" ma "la fede pubblicamante confessata è la fede comune per tutti. Solo questa fede - ha scandito Benedetto XVI - è apostolica, cioè viene dagli apostoli e da Dio".
Per il Pontefice, dunque, "il vero Vangelo non è quello inventato dagli intellettuali, ma è quello impartito dai vescovi che lo hanno ricevuto in una catena ininterrotta dagli apostoli che non hanno insegnato altro che questa fede semplice che è anche la vera profondità della rivelazione di Dio". Benedetto XVI ha raccontato così, davanti a 40mila fedeli, la storia di Sant'Ireneo, "uomo di fede e pastore". "Del buon pastore - ha detto il Papa - ha il senso della misura, la ricchezza della dottrina e l'ardore missionario".
Sant'Ireneo fu "campione della lotta contro le eresie". In quel tempo molti presentavano la Chiesa solo come "un simbolismo per i semplici che non erano in grado di capire cose difficili, invece gli iniziati - ha spiegato ancora Papa Ratzinger - e gli intellettuali avrebbero capito quanto sta dietro questi simboli e così formarono un cristianesimo elitario, intellettualista e ovviamente questo cristianesimo intellettuale si frammentava sempre più in diverse correnti con pensieri strani e stravaganti ma attrattivi per molti. Un elemento comune di queste diverse correnti - ha concluso - fu il dualismo, cioè si negava la fede dell'unico Dio padre per spiegare il male nel mondo, affermavano accanto al Dio buono un principio negativo che avrebbe prodotto le cose materiali".
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