venerdì 31 ottobre 2008

Benedetto XVI all'assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze: "Non c'è opposizione tra fede nella creazione e scienza"


DISCORSO DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

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Il Papa: “Non c’è alcuna opposizione tra la comprensione della fede riguardo alla creazione e la evidenza delle scienze empiriche”

IL PAPA: NON C'E' CONTRASTO TRA EVOLUZIONE E CREAZIONE

Benedetto XVI all'assemblea plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze

Non c'è opposizione tra fede nella creazione e scienza

Non c'è opposizione tra la comprensione di fede della creazione" e "la prova delle scienze empiriche". Lo ha ribadito Benedetto XVI nel discorso rivolto ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 31 ottobre, nella Sala Clementina.

La traduzione del discorso del Papa

Illustri signore e signori,

sono lieto di salutare voi, membri della Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra assemblea plenaria, e ringrazio il professor Nicola Cabibbo per le parole che mi ha cortesemente rivolto a vostro nome.
Nella scelta del tema "Comprensione scientifica dell'evoluzione dell'universo e della vita", cercate di concentrarvi su un'area di indagine che solleva grande interesse. Infatti, oggi molti nostri contemporanei desiderano riflettere sull'origine fondamentale degli esseri, sulla loro causa, sul loro fine e sul significato della storia umana e dell'universo.
In questo contesto, è naturale che sorgano questioni relative al rapporto fra la lettura che le scienze fanno del mondo e quella offerta dalla rivelazione cristiana. I miei predecessori Papa Pio xii e Papa Giovanni Paolo ii hanno osservato che non vi è opposizione fra la comprensione di fede della creazione e la prova delle scienze empiriche. Agli inizi la filosofia ha proposto immagini per spiegare l'origine del cosmo sulla base di uno o più elementi del mondo materiale. Questa genesi non era considerata come una creazione, quanto piuttosto come una mutazione o trasformazione. Implicava una interpretazione in qualche modo orizzontale dell'origine del mondo. Un progresso decisivo nella comprensione dell'origine del cosmo è stato la considerazione dell'essere in quanto essere e l'interesse della metafisica per la questione fondamentale dell'origine prima e trascendente dell'essere partecipato. Per svilupparsi ed evolversi il mondo deve prima essere, e quindi essere passato dal nulla all'essere. Deve essere creato, in altre parole, dal primo Essere che è tale per essenza.

Affermare che il fondamento del cosmo e dei suoi sviluppi è la sapienza provvida del Creatore non è dire che la creazione ha a che fare soltanto con l'inizio della storia del mondo e della vita. Ciò implica, piuttosto, che il Creatore fonda questi sviluppi e li sostiene, li fissa e li mantiene costantemente.

Tommaso d'Aquino ha insegnato che la nozione di creazione deve trascendere l'origine orizzontale del dispiegamento degli eventi, ossia della storia, e di conseguenza tutti i nostri modi meramente naturalistici di pensare e di parlare dell'evoluzione del mondo. Tommaso ha osservato che la creazione non è né un movimento né una mutazione. È piuttosto il rapporto fondazionale e costante che lega le creature al Creatore poiché Egli è la causa di tutti gli esseri e di tutto il divenire (cfr. Summa theologiae, I, q. 45, a.3).
"Evolvere" significa letteralmente "srotolare un rotolo di pergamena", cioè, leggere un libro. L'immagine della natura come libro ha le sue origini nel cristianesimo ed è rimasta cara a molti scienziati.

Galileo vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio così come lo è delle Scritture. È un libro la cui storia, la cui evoluzione, la cui "scrittura" e il cui significato "leggiamo" secondo i diversi approcci delle scienze, presupponendo per tutto il tempo la presenza fondamentale dell'autore che vi si è voluto rivelare.

Questa immagine ci aiuta a comprendere che il mondo, lungi dall'essere stato originato dal caos, assomiglia a un libro ordinato. È un cosmo. Nonostante elementi irrazionali, caotici e distruttivi nei lunghi processi di cambiamento del cosmo, la materia in quanto tale è "leggibile". Possiede una "matematica" innata. La mente umana, quindi, può impegnarsi non solo in una "cosmografia" che studia fenomeni misurabili, ma anche in una "cosmologia" che discerne la logica interna visibile del cosmo.

All'inizio potremmo non riuscire a vedere né l'armonia del tutto né delle relazioni fra le parti individuali né il loro rapporto con il tutto. Tuttavia, resta sempre un'ampia gamma di eventi intellegibili, e il processo è razionale poiché rivela un ordine di corrispondenze evidenti e finalità innegabili: nel mondo inorganico fra microstruttura e macrostruttura, nel mondo animale e organico fra struttura e funzione, e nel mondo spirituale fra conoscenza della verità e aspirazione alla libertà. L'indagine filosofica e sperimentale scopre gradualmente questi ordini. Percepisce che operano per mantenersi in essere, difendendosi dagli squilibri e superando ostacoli. Grazie alle scienze naturali abbiamo molto ampliato la nostra comprensione dell'unicità del posto dell'umanità nel cosmo.
La distinzione fra un semplice essere vivente e un essere spirituale, che è capax Dei, indica l'esistenza dell'anima intellettiva di un libero oggetto trascendente. Quindi, il Magistero della Chiesa ha costantemente affermato che "ogni anima spirituale è creata direttamente da Dio - non è "prodotta" dai genitori - ed è immortale" (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 366). Ciò evidenzia gli elementi distintivi dell'antropologia e invita il pensiero moderno ad esplorarli.
Illustri accademici, desidero concludere ricordando le parole che vi rivolse il mio predecessore Papa Giovanni Paolo ii nel novembre del 2003: "Sono sempre più convinto che la verità scientifica, che è di per sé una partecipazione alla Verità divina, possa aiutare la filosofia e la teologia a comprendere sempre più pienamente la persona umana e la Rivelazione di Dio sull'uomo, una rivelazione compiuta e perfezionata in Gesù Cristo. Per questo importante arricchimento reciproco nella ricerca della verità e del bene dell'umanità, io, insieme a tutta la Chiesa, sono profondamente grato".
Su di voi, sulle vostre famiglie e su tutti coloro che sono associati all'opera della Pontificia Accademia delle Scienze invoco di cuore le benedizioni divine di sapienza e di pace.

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(©L'Osservatore Romano - 1 novembre 2008)

FOTO: Il Papa con il Prof. Stephen Hawking

Il Papa: "Auspico di cuore che si intensifichi il dialogo tra Pastori e Movimenti ecclesiali a tutti i livelli: parrocchie, diocesi e Sede Apostolica"


UDIENZA AI PARTECIPANTI AGLI INCONTRI ORGANIZZATI DALLA CATHOLIC FRATERNITY OF CHARISMATIC COVENANT COMMUNITIES AND FELLOWSHIPS, 31.10.2008

Alle 12.15 di questa mattina, nell’Aula delle Benedizioni del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti agli Incontri organizzati dalla Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships e rivolge loro il discorso che pubblichiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Eminenza,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!


Porgo con vivo piacere a voi tutti il mio cordiale benvenuto, e vi ringrazio per la visita che mi rendete in occasione del II° Incontro Internazionale dei Vescovi che accompagnano le nuove Comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico, del Consiglio internazionale della Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships e, infine, della XIIIa Conferenza Internazionale, convocata in Assisi, sul tema: "Noi predichiamo Cristo Crocifisso, potenza e sapienza di Dio" (cfr 1 Cor 1,23-24), a cui prendono parte le principali Comunità del Rinnovamento Carismatico nel mondo. Saluto voi, cari Fratelli nell’Episcopato, e voi tutti, che operate al servizio dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità. Un saluto speciale rivolgo al Prof. Matteo Calisi, Presidente della Catholic Fraternity, che si è fatto interprete dei vostri sentimenti.

Come ho avuto già modo di affermare in altre circostanze, i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità, fioriti dopo il Concilio Vaticano II, costituiscono un singolare dono del Signore ed una risorsa preziosa per la vita della Chiesa. Essi vanno accolti con fiducia e valorizzati nei loro diversi contributi da porre a servizio dell’utilità comune in modo ordinato e fecondo. Di grande interesse è poi l’attuale vostra riflessione sulla centralità di Cristo nella predicazione, come pure sull’importanza dei "Carismi nella vita della Chiesa particolare", con riferimento alla teologia paolina, al Nuovo Testamento e all'esperienza del Rinnovamento Carismatico. Ciò che apprendiamo nel Nuovo Testamento sui carismi, che apparvero come segni visibili della venuta dello Spirito Santo, non è un evento storico del passato, ma realtà sempre viva: è lo stesso divino Spirito, anima della Chiesa, ad agire in essa in ogni epoca, e questi suoi misteriosi ed efficaci interventi si manifestano in questo nostro tempo in maniera provvidenziale. I Movimenti e le Nuove Comunità sono come delle irruzioni dello Spirito Santo nella Chiesa e nella società contemporanea. Possiamo allora ben dire che uno degli elementi e degli aspetti positivi delle Comunità del Rinnovamento Carismatico Cattolico è proprio il rilievo che in esse rivestono i carismi o doni dello Spirito Santo e loro merito è averne richiamato nella Chiesa l’attualità.

Il Concilio Vaticano II, in diversi documenti, fa riferimento ai Movimenti e alle nuove Comunità ecclesiali, specialmente nella Costituzione Dogmatica Lumen gentium, dove leggiamo: "I carismi straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto appropriati e utili alle necessità della Chiesa, si devono accogliere con gratitudine e consolazione" (n. 12). In seguito, anche il Catechismo della Chiesa Cattolica ha sottolineato il valore e l’importanza dei nuovi carismi nella Chiesa, la cui autenticità viene però garantita dalla disponibilità a sottomettersi al discernimento dell'autorità ecclesiastica (cfr n. 2003). Proprio perché assistiamo a una promettente fioritura di movimenti e comunità ecclesiali, è importante che i Pastori esercitino nei loro confronti un prudente e saggio e benevolo discernimento.

Auspico di cuore che si intensifichi il dialogo tra Pastori e Movimenti ecclesiali a tutti i livelli: nelle parrocchie, nelle diocesi e con la Sede Apostolica. So che sono allo studio opportune modalità per dare riconoscimento pontificio ai nuovi Movimenti e Comunità ecclesiali e non sono pochi quelli che già lo hanno ricevuto.

Di questo dato - il riconoscimento o l’erezione di associazioni internazionali da parte della Santa Sede per la Chiesa universale - i Pastori, specialmente i Vescovi, non possono non tenere conto nel doveroso discernimento che ad essi compete (cfr Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il Ministero Pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores, Cap. 4,8).

Cari fratelli e sorelle, fra queste nuove realtà ecclesiali riconosciute dalla Santa Sede, va annoverata anche la vostra, la Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, Associazione Internazionale di fedeli, che assolve a una specifica missione in seno al Rinnovamento Carismatico Cattolico (cfr Decreto del Pontificio Consiglio per i Laici del 30 novembre 1990 prot. 1585/S-6//B-SO). Uno dei suoi obiettivi, conformemente alle indicazioni del mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, è salvaguardare l'identità cattolica delle comunità carismatiche e incoraggiarle nel mantenere uno stretto legame con i Vescovi e con il Romano Pontefice (cfr Lettera autografa alla Catholic Fraternity, 1 giugno 1998). Apprendo, inoltre, con compiacimento, che essa si propone la costituzione di un Centro di formazione permanente per i membri e i responsabili delle Comunità Carismatiche. Ciò permetterà alla Catholic Fraternity di meglio valorizzare la propria missione ecclesiale orientata all'evangelizzazione, alla liturgia, all'adorazione, all'ecumenismo, alla famiglia, ai giovani e alle vocazioni di speciale consacrazione; missione che sarà ancor più aiutata dal trasferimento della Sede internazionale dell’associazione a Roma, con la possibilità di essere in più stretto contatto con il Pontificio Consiglio per i Laici.

Cari fratelli e sorelle, la salvaguardia della fedeltà all'identità cattolica e dell’ecclesialità da parte di ognuna delle vostre comunità vi permetterà di rendere dappertutto una testimonianza viva ed operante del profondo mistero della Chiesa. E sarà proprio questo a promuovere la capacità delle varie comunità di attirare nuovi membri. Affido i lavori dei vostri rispettivi convegni alla protezione di Maria, Madre della Chiesa, Tempio vivo dello Spirito Santo, e all’intercessione dei santi Francesco e Chiara di Assisi, esempi di santità e di rinnovamento spirituale, mentre di cuore imparto a voi e a tutte le vostre comunità una speciale Benedizione Apostolica.

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giovedì 30 ottobre 2008

"Non è la conoscenza in sè che può far male, ma la presunzione, il vantarsi di ciò che si è arrivati - o si presume di essere arrivati - a conoscere"


DISCORSO DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELLA SANTA MESSA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO DEI PONTIFICI ATENEI ROMANI, 30.10.2008

Alle ore 18.30 di questo pomeriggio, al termine della Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’Em.mo Card. Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi), il Santo Padre Benedetto XVI scende nella Basilica Vaticana per incontrare i docenti e gli studenti delle Università pontificie ed ecclesiastiche presenti in Roma, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge loro:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

È sempre per me motivo di gioia questo tradizionale incontro con le Università ecclesiastiche romane all’inizio dell’anno accademico. Vi saluto tutti con grande affetto, a partire dal Signor Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, che ha presieduto la santa Messa e che ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Sono lieto di salutare gli altri Cardinali e Presuli presenti, come pure i Rettori, i Professori, i Responsabili e i Superiori dei Seminari e dei Collegi, e naturalmente voi, cari studenti, che da diversi Paesi siete venuti a Roma per compiere i vostri studi.

In questo anno, nel quale celebriamo il giubileo bimillenario della nascita dell’apostolo Paolo, vorrei soffermarmi brevemente insieme con voi su un aspetto del suo messaggio che mi sembra particolarmente adatto per voi, studiosi e studenti, e sul quale mi sono intrattenuto anche ieri nella catechesi durante l’Udienza generale.
Intendo cioè riferirmi a quanto san Paolo scrive sulla sapienza cristiana, in particolare nella sua prima Lettera ai Corinzi, comunità nella quale erano scoppiate rivalità tra i discepoli.

L’Apostolo affronta il problema di tali divisioni nella comunità, additando in esse un segno della falsa sapienza, cioè di una mentalità ancora immatura perché carnale e non spirituale (cfr 1 Cor 3,1-3). Riferendosi poi alla propria esperienza, Paolo ricorda ai Corinzi che Cristo lo ha mandato ad annunciare il Vangelo "non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo" (1,17).

Da qui prende avvio una riflessione sulla "sapienza della Croce", vale a dire sulla sapienza di Dio, che si contrappone alla sapienza di questo mondo. L’Apostolo insiste sul contrasto esistente tra le due sapienze, delle quali una sola è vera, quella divina, mentre l’altra in realtà è "stoltezza".

Ora, la novità stupefacente, che esige di essere sempre riscoperta ed accolta, è il fatto che la sapienza divina, in Cristo, ci è stata donata, ci è stata partecipata. C’è, alla fine del capitolo 2° della Lettera menzionata, un’espressione che riassume tale novità e che proprio per questo non finisce mai di sorprendere. San Paolo scrive: "Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo - "0µ,ĩH *, <@L< ÕD4FJ@L XP@µ,<" (2,16). Questa contrapposizione tra le due sapienze non è da identificare con la differenza tra la teologia, da una parte, e la filosofia e le scienze, dall’altra. Si tratta, in realtà, di due atteggiamenti fondamentali.

La "sapienza di questo mondo" è un modo di vivere e di vedere le cose prescindendo da Dio e seguendo le opinioni dominanti, secondo i criteri del successo e del potere. La "sapienza divina" consiste nel seguire la mente di Cristo – è Cristo che ci apre gli occhi del cuore per seguire la strada della verità e dell’amore.

Cari studenti, voi siete venuti a Roma per approfondire le vostre conoscenze in campo teologico, e anche se studiate altre materie diverse dalla teologia, per esempio il diritto, la storia, le scienze umane, l’arte, ecc., comunque la formazione spirituale secondo il pensiero di Cristo resta per voi fondamentale, ed è questa la prospettiva dei vostri studi. Perciò sono importanti per voi queste parole dell’apostolo Paolo e quelle che leggiamo subito dopo, sempre nella prima Lettera ai Corinzi: "Chi conosce infatti i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato" (2,11-12).

Eccoci ancora all’interno dello schema di contrapposizione tra la sapienza umana e quella divina. Per conoscere e comprendere le cose spirituali bisogna essere uomini e donne spirituali, poiché se si è carnali, si ricade inevitabilmente nella stoltezza, anche se magari si studia molto e si diventa "dotti" e "sottili ragionatori di questo mondo" (1,20).

Possiamo vedere in questo testo paolino un accostamento quanto mai significativo con i versetti del Vangelo che riportano la benedizione di Gesù rivolta a Dio Padre, perché – dice il Signore – "hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). I "sapienti" di cui parla Gesù sono quelli che Paolo chiama i "sapienti di questo mondo". Mentre i "piccoli" sono coloro che l’Apostolo qualifica "stolti", "deboli", "ignobili e disprezzati" per il mondo (1,27-28), ma che in realtà, se accolgono "la parola della Croce" (1,18), diventano i veri sapienti. Al punto che Paolo esorta chi si ritiene sapiente secondo i criteri del mondo a "farsi stolto", per diventare veramente sapiente davanti a Dio (3,18). Questo non è un atteggiamento anti-intellettuale, non è opposizione alla "recta ratio". Paolo – seguendo Gesù – si oppone ad un tipo di superbia intellettuale, in cui l’uomo, pur sapendo molto, perde la sensibilità per la verità e la disponibilità ad aprirsi alla novità dell’agire divino.

Cari amici, questa riflessione paolina quindi non vuole affatto condurre a sottovalutare l’impegno umano necessario per la conoscenza, ma si pone su un altro piano: a Paolo interessa sottolineare – e lo fa senza mezzi termini – che cosa vale realmente per la salvezza e che cosa invece può recare divisione e rovina. L’Apostolo cioè denuncia il veleno della falsa sapienza, che è l’orgoglio umano.

Non è infatti la conoscenza in sé che può far male, ma la presunzione, il "vantarsi" di ciò che si è arrivati – o si presume di essere arrivati – a conoscere. Proprio da qui derivano poi le fazioni e le discordie nella Chiesa e, analogamente, nella società.

Si tratta dunque di coltivare la sapienza non secondo la carne, bensì secondo lo Spirito. Sappiamo bene che san Paolo con le parole "carne, carnale" non si riferisce al corpo, ma ad un modo di vivere solo per se stessi e secondo i criteri del mondo. Perciò, secondo Paolo, è sempre necessario purificare il proprio cuore dal veleno dell’orgoglio, presente in ognuno di noi. Anche noi dobbiamo dunque elevare con san Paolo il grido: "Chi ci libererà?" (cfr Rm 7,24). E pure noi possiamo ricevere con lui la risposta: la grazia di Gesù Cristo, che il Padre ci ha donato mediante lo Spirito Santo (cfr Rm 7,25). Il "pensiero di Cristo", che per grazia abbiamo ricevuto, ci purifica dalla falsa sapienza. E questo "pensiero di Cristo" lo accogliamo attraverso la Chiesa e nella Chiesa, lasciandoci portare dal fiume della sua viva tradizione.

Lo esprime molto bene l’iconografia che raffigura Gesù-Sapienza in grembo alla Madre Maria, simbolo della Chiesa: In gremio Matris sedet Sapientia Patris: in grembo alla Madre siede la Sapienza del Padre, cioè Cristo. Rimanendo fedeli a quel Gesù che Maria ci offre, al Cristo che la Chiesa ci presenta, possiamo impegnarci intensamente nel lavoro intellettuale, interiormente liberi dalla tentazione dell’orgoglio e vantandoci sempre e solo nel Signore.

Cari fratelli e sorelle, è questo l’augurio che vi rivolgo all’inizio del nuovo anno accademico, invocando su voi tutti la materna protezione di Maria, Sedes Sapientiae, e dell’Apostolo Paolo. Vi accompagni anche la mia affettuosa Benedizione.

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«Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio»: il testo integrale


Conferenza Stampa di presentazione del documento "Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio"

Vedi anche:

Svolta di Papa Ratzinger: psicologi nei seminari (Rodari)

Assistenza degli psicologi nella scelta dei candidati al sacerdozio: i commenti di Bartoloni e Politi

Il Vaticano ribadisce il suo "no" a chi trova difficile rispettare il voto di castità (Il Tempo)

Documento sull’uso delle competenze psicologiche per l'ammissione ai seminari (Muolo)

Documento della Congregazione per l'Educazione Cattolica: "L'importanza di formare anche i formatori" (Osservatore Romano)

Vaticano: sì ai test psicologici, ma sull'ammissione ai seminari decide il vescovo (Izzo)

Presentati gli "Orientamenti" sui possibili contributi delle scienze psicologiche nella valutazione di un candidato al sacerdozio (Radio Vaticana)

Vaticano: "Dai seminari non si entra ed esce a piacimento"

Presentato in Vaticano il documento su psicologia e formazione dei presbiteri (Sir)

Vaticano: Per valutare seminaristi si puo' ricorrere a psicologi (Apcom)

Presentato dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica il documento «Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio»

Per la piena maturità dei preti di domani

I. La Chiesa e il discernimento vocazionale

1. "Ogni vocazione cristiana viene da Dio, è dono di Dio. Essa però non viene mai elargita fuori o indipendentemente dalla Chiesa, ma passa sempre nella Chiesa e mediante la Chiesa (...) luminoso e vivo riflesso del mistero della Trinità santissima" (1).
La Chiesa, "generatrice ed educatrice di vocazioni" (2), ha il compito di discernere la vocazione e l'idoneità dei candidati al ministero sacerdotale. Infatti, "la chiamata interiore dello Spirito Santo ha bisogno di essere riconosciuta come autentica chiamata dal vescovo" (3).
Nel promuovere tale discernimento e nell'intera formazione al ministero, la Chiesa è mossa da una duplice attenzione: salvaguardare il bene della propria missione e, allo stesso tempo, quello dei candidati. Come ogni vocazione cristiana, la vocazione al sacerdozio, infatti, unitamente alla dimensione cristologica, ha un'essenziale dimensione ecclesiale: "non solo essa deriva "dalla" Chiesa e dalla sua mediazione, non solo si fa riconoscere e si compie "nella" Chiesa, ma si configura - nel fondamentale servizio a Dio - anche e necessariamente come servizio "alla" Chiesa. La vocazione cristiana, in ogni sua forma, è un dono destinato all'edificazione della Chiesa, alla crescita del Regno di Dio nel mondo" (4).
Quindi, il bene della Chiesa e quello del candidato non sono tra loro contrapposti, bensì convergenti. I responsabili della formazione sono impegnati ad armonizzarli tra loro, considerandoli sempre simultaneamente nella loro dinamica interdipendenza: è, questo, un aspetto essenziale della grande responsabilità del loro servizio alla Chiesa e alle persone (5).
2. Il ministero sacerdotale, inteso e vissuto come conformazione a Cristo Sposo, Buon Pastore, richiede doti nonché virtù morali e teologali, sostenute da equilibrio umano e psichico, particolarmente affettivo, così da permettere al soggetto di essere adeguatamente predisposto a una donazione di sé veramente libera nella relazione con i fedeli in una vita celibataria (6).
Trattando delle diverse dimensioni della formazione sacerdotale - umana, spirituale, intellettuale, pastorale - l'Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, prima di soffermarsi su quella spirituale, "elemento di massima importanza nell'educazione sacerdotale" (7), rileva che la dimensione umana è il fondamento dell'intera formazione. Essa elenca una serie di virtù umane e di capacità relazionali che sono richieste al sacerdote affinché la sua personalità sia "ponte e non ostacolo per gli altri nell'incontro con Gesù Cristo Redentore dell'uomo" (8). Esse vanno dall'equilibrio generale della personalità alla capacità di portare il peso delle responsabilità pastorali, dalla conoscenza profonda dell'animo umano al senso della giustizia e della lealtà (9).
Alcune di queste qualità meritano particolare attenzione: il senso positivo e stabile della propria identità virile e la capacità di relazionarsi in modo maturo con altre persone o gruppi di persone; un solido senso di appartenenza, fondamento della futura comunione con il presbiterio e di una responsabile collaborazione al ministero del vescovo (10); la libertà di entusiasmarsi per grandi ideali e la coerenza nel realizzarli nell'azione d'ogni giorno; il coraggio di prendere decisioni e di restarvi fedeli; la conoscenza di sé, delle proprie doti e limiti integrandoli in una visione positiva di sé di fronte a Dio; la capacità di correggersi; il gusto per la bellezza intesa come "splendore di verità" e l'arte di riconoscerla; la fiducia che nasce dalla stima per l'altro e che porta all'accoglienza; la capacità del candidato di integrare, secondo la visione cristiana, la propria sessualità, anche in considerazione dell'obbligo del celibato (11).
Tali disposizioni interiori devono essere plasmate nel cammino di formazione del futuro presbitero, il quale, uomo di Dio e della Chiesa, è chiamato a edificare la comunità ecclesiale. Egli, innamorato dell'Eterno, è proteso all'autentica e integrale valorizzazione dell'uomo e a vivere sempre più la ricchezza della propria affettività nel dono di sé al Dio uno e trino e ai fratelli, particolarmente a quelli che soffrono.
Si tratta, ovviamente, di obiettivi che si possono raggiungere soltanto attraverso la diuturna corrispondenza del candidato all'opera della grazia in lui e che sono acquisiti con un graduale, lungo e non sempre lineare cammino di formazione (12).
Consapevole del mirabile e impegnativo intreccio delle dinamiche umane e spirituali nella vocazione, il candidato non può che trarre vantaggio da un attento e responsabile discernimento vocazionale, teso a individuare cammini personalizzati di formazione e a superare con gradualità eventuali carenze sul piano spirituale e umano. È dovere della Chiesa fornire ai candidati un'efficace integrazione delle dimensioni umana e morale, alla luce della dimensione spirituale a cui esse si aprono e in cui si completano (13).

II. Preparazione dei formatori

3. Ogni formatore dovrebbe essere buon conoscitore della persona umana, dei suoi ritmi di crescita, delle sue potenzialità e debolezze e del suo modo di vivere il rapporto con Dio. Per questo, è auspicabile che i vescovi, fruendo di esperienze, di programmi e di istituzioni ben collaudate, provvedano a una idonea preparazione dei formatori nella pedagogia vocazionale, secondo le indicazioni già emanate dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica (14).
I formatori hanno bisogno di adeguata preparazione per operare un discernimento che permetta, nel pieno rispetto della dottrina della Chiesa circa la vocazione sacerdotale, sia di decidere in modo ragionevolmente sicuro in ordine all'ammissione in seminario o alla casa di formazione del clero religioso, ovvero alla dimissione da essi per motivi di non idoneità, sia di accompagnare il candidato verso l'acquisizione di quelle virtù morali e teologali necessarie per vivere in coerenza e libertà interiore la donazione totale della propria vita per essere "servitore della Chiesa comunione" (15).
4. Il documento Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale, di questa Congregazione per l'Educazione Cattolica, riconosce che "gli errori di discernimento delle vocazioni non sono rari, e troppe inettitudini psichiche, più o meno patologiche, si rendono manifeste soltanto dopo l'ordinazione sacerdotale. Il discernerle in tempo permetterà di evitare tanti drammi" (16).
Ciò esige che ogni formatore abbia la sensibilità e la preparazione psicologica adeguate (17) per essere in grado, per quanto possibile, di percepire le reali motivazioni del candidato, di discernere gli ostacoli nell'integrazione tra maturità umana e cristiana e le eventuali psicopatologie. Egli deve ponderare accuratamente e con molta prudenza la storia del candidato. Da sola, però, essa non può costituire il criterio decisivo, sufficiente per giudicare l'ammissione o la dimissione dalla formazione. Il formatore deve saper valutare sia la persona nella sua globalità e progressività di sviluppo - con i suoi punti di forza e i suoi punti deboli - sia la consapevolezza che essa ha dei suoi problemi, sia la sua capacità di controllare responsabilmente e liberamente il proprio comportamento.
Per questo, ogni formatore va preparato, anche con adeguati corsi specifici, alla più profonda comprensione della persona umana e delle esigenze della sua formazione al ministero ordinato. A tale scopo, molto utili possono essere gli incontri di confronto e chiarificazione con esperti in scienze psicologiche su alcune specifiche tematiche.

III. Contributo della psicologia al discernimento e alla formazione

5. In quanto frutto di un particolare dono di Dio, la vocazione al sacerdozio e il suo discernimento esulano dalle strette competenze della psicologia. Tuttavia, per una valutazione più sicura della situazione psichica del candidato, delle sue attitudini umane a rispondere alla chiamata divina, e per un ulteriore aiuto nella sua crescita umana, in alcuni casi può essere utile il ricorso a esperti nelle scienze psicologiche. Essi possono offrire ai formatori non solo un parere circa la diagnosi e l'eventuale terapia di disturbi psichici, ma anche un contributo nel sostegno allo sviluppo delle qualità umane e relazionali richieste dall'esercizio del ministero (18), suggerendo utili itinerari da seguire per favorire una risposta vocazionale più libera.
Anche la formazione al sacerdozio deve fare i conti sia con le molteplici manifestazioni di quello squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo (19) - e che ha una sua particolare manifestazione nelle contraddizioni tra l'ideale di oblatività, cui coscientemente il candidato aspira, e la sua vita concreta - sia con le difficoltà proprie di un progressivo sviluppo delle virtù umane e relazionali. L'aiuto del padre spirituale e del confessore è fondamentale e imprescindibile per superarle con la grazia di Dio. In alcuni casi, tuttavia, lo sviluppo di queste qualità umane e relazionali può essere ostacolato da particolari ferite del passato non ancora risolte.
Infatti, coloro che oggi chiedono di entrare in seminario riflettono, in modo più o meno accentuato, il disagio di un'emergente mentalità caratterizzata da consumismo, da instabilità nelle relazioni familiari e sociali, da relativismo morale, da visioni errate della sessualità, da precarietà delle scelte, da una sistematica opera di negazione dei valori, soprattutto da parte dei mass-media.
Tra i candidati si possono trovare alcuni che provengono da particolari esperienze - umane, familiari, professionali, intellettuali, affettive - che in vario modo hanno lasciato ferite non ancora guarite e che provocano disturbi, sconosciuti nella loro reale portata allo stesso candidato e spesso da lui attribuiti erroneamente a cause esterne a sé, senza avere, quindi, la possibilità di affrontarli adeguatamente (20).
È evidente che tutto ciò può condizionare la capacità di progredire nel cammino formativo verso il sacerdozio.
Si casus ferat (21) - ossia nei casi eccezionali che presentano particolari difficoltà - il ricorso a esperti nelle scienze psicologiche, sia prima dell'ammissione al seminario sia durante il cammino formativo, può aiutare il candidato nel superamento di quelle ferite, in vista di una sempre più stabile e profonda interiorizzazione dello stile di vita di Gesù Buon Pastore, Capo e Sposo della Chiesa (22).
Per una corretta valutazione della personalità del candidato, l'esperto potrà fare ricorso sia a interviste, sia a test, da attuare sempre con il previo, esplicito, informato e libero consenso del candidato (23).
Consideratane la particolare delicatezza, dovrà essere evitato l'uso di specialistiche tecniche psicologiche o psicoterapeutiche da parte dei formatori.
6. È utile che il rettore e gli altri formatori possano contare sulla collaborazione di esperti nelle scienze psicologiche, che comunque non possono fare parte dell'équipe dei formatori. Essi dovranno aver acquisito competenza specifica in campo vocazionale e, alla professionalità, unire la sapienza dello Spirito.
Nella scelta degli esperti cui fare ricorso per la consulenza psicologica, per garantire meglio l'integrazione con la formazione morale e spirituale, evitando deleterie confusioni o contrapposizioni, si tenga presente che essi, oltre a distinguersi per la loro solida maturità umana e spirituale, devono ispirarsi a un'antropologia che condivida apertamente la concezione cristiana circa la persona umana, la sessualità, la vocazione al sacerdozio e al celibato, così che il loro intervento tenga conto del mistero dell'uomo nel suo personale dialogo con Dio, secondo la visione della Chiesa.
Là ove non fossero disponibili tali esperti, si provveda alla loro specifica preparazione (24).
L'ausilio delle scienze psicologiche deve integrarsi nel quadro della globale formazione del candidato, così da non ostacolare, ma da assicurare in modo particolare la salvaguardia del valore irrinunciabile dell'accompagnamento spirituale, il cui compito è di mantenere orientato il candidato alla verità del ministero ordinato, secondo la visione della Chiesa. Il clima di fede, di preghiera, di meditazione della Parola di Dio, di studio della teologia e di vita comunitaria - fondamentale per la maturazione di una generosa risposta alla vocazione ricevuta da Dio - permetterà al candidato una corretta comprensione del significato e l'integrazione del ricorso alle competenze psicologiche nel suo cammino vocazionale.
7. Il ricorso agli esperti nelle scienze psicologiche dovrà essere regolato nei diversi Paesi dalle rispettive Rationes institutionis sacerdotalis e nei singoli seminari dagli ordinari o superiori maggiori competenti, con fedeltà e coerenza ai princìpi e alle direttive del presente documento.

a. Discernimento iniziale

8. È necessario, fin dal momento in cui il candidato si presenta per essere accolto in seminario, che il formatore possa conoscerne accuratamente la personalità, le attitudini, le disposizioni, le risorse, le potenzialità e i diversi eventuali tipi di ferite, valutandone la natura e l'intensità.
Non bisogna dimenticare la possibile tendenza di alcuni candidati a minimizzare o a negare le proprie debolezze: essi non parlano ai formatori di alcune loro gravi difficoltà, temendo di poter non essere capiti e di non essere accettati. Coltivano così attese poco realistiche nei confronti del proprio futuro. Al contrario, vi sono candidati che tendono a enfatizzare le loro difficoltà, considerandole ostacolo insormontabile per il cammino vocazionale.
Il discernimento tempestivo degli eventuali problemi che ostacolassero il cammino vocazionale - quali l'eccessiva dipendenza affettiva, l'aggressività sproporzionata, l'insufficiente capacità di essere fedele agli impegni assunti e di stabilire rapporti sereni di apertura, fiducia e collaborazione fraterna e con l'autorità, l'identità sessuale confusa o non ancora ben definita - non può che essere di grande beneficio per la persona, per le istituzioni vocazionali e per la Chiesa.
Nella fase del discernimento iniziale, l'aiuto di esperti nelle scienze psicologiche può essere necessario anzitutto a livello propriamente diagnostico, qualora ci fosse il dubbio di presenza di disturbi psichici. Se si constatasse la necessità di una terapia, dovrebbe essere attuata prima dell'ammissione al seminario o alla casa di formazione.
L'aiuto degli esperti può essere utile ai formatori anche per delineare un cammino formativo personalizzato secondo le specifiche esigenze del candidato.
Nella valutazione della possibilità di vivere, in fedeltà e gioia, il carisma del celibato, quale dono totale della propria vita a immagine di Cristo Capo e Pastore della Chiesa, si tenga presente che non basta accertarsi della capacità di astenersi dall'esercizio della genitalità, ma è necessario anche valutare l'orientamento sessuale, secondo le indicazioni emanate da questa Congregazione (25). La castità per il Regno, infatti, è molto di più della semplice mancanza di relazioni sessuali.
Alla luce delle finalità indicate, la consultazione psicologica può in alcuni casi risultare utile.

b. Formazione successiva

9. Nel periodo della formazione, il ricorso a esperti nelle scienze psicologiche, oltre a rispondere alle necessità generate da eventuali crisi, può essere utile a sostenere il candidato nel suo cammino verso un più sicuro possesso delle virtù umane e morali; può fornire al candidato una più profonda conoscenza della propria personalità e può contribuire a superare, o a rendere meno rigide, le resistenze psichiche alle proposte formative.
Una maggiore padronanza, non solo delle proprie debolezze, ma anche delle proprie forze umane e spirituali (26), permette di donarsi con la dovuta consapevolezza e libertà a Dio, nella responsabilità verso se stessi e verso la Chiesa.
Non si sottovaluti, tuttavia, il fatto che la maturità cristiana e vocazionale raggiungibile, grazie anche all'aiuto delle competenze psicologiche, benché illuminate e integrate dai dati dell'antropologia della vocazione cristiana, e quindi della grazia, non sarà mai esente da difficoltà e tensioni che richiedono disciplina interiore, spirito di sacrificio, accettazione della fatica e della croce (27), e affidamento all'aiuto insostituibile della grazia (28).

10. Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, e così via).
Lo stesso deve valere anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere la castità nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l'equilibrio affettivo e relazionale.

IV. La richiesta di indagini specialistiche e il rispetto dell'intimità del candidato

11. Spetta alla Chiesa scegliere le persone che ritiene adatte al ministero pastorale ed è suo diritto e dovere verificare la presenza delle qualità richieste in coloro che essa ammette al ministero sacro (29).
Il canone 1051 1 del Codice di Diritto Canonico prevede che per lo scrutinio delle qualità richieste in vista dell'ordinazione si provveda, tra l'altro, all'indagine sullo stato di salute fisica e psichica del candidato (30).
Il canone 1052 stabilisce che il vescovo, per poter procedere all'ordinazione, deve avere la certezza morale sull'idoneità del candidato, "provata con argomenti positivi" ( 1) e che, nel caso di un dubbio fondato, non deve procedere all'ordinazione (cfr. 3).
Da ciò deriva che la Chiesa ha il diritto di verificare, anche con il ricorso alla scienza medica e psicologica, l'idoneità dei futuri presbiteri. Infatti, è proprio del vescovo o del superiore competente non solo sottoporre a esame l'idoneità del candidato, ma anche riconoscerla. Il candidato al presbiterato non può imporre le proprie personali condizioni, ma deve accettare con umiltà e gratitudine le norme e le condizioni che la Chiesa stessa, per la sua parte di responsabilità, pone (31). Per cui, in casi di dubbio circa l'idoneità, l'ammissione al seminario o alla casa di formazione sarà possibile, talvolta, soltanto dopo una valutazione psicologica della personalità.
12. Il diritto e il dovere dell'istituzione formativa di acquisire le conoscenze necessarie per un giudizio prudenzialmente certo sull'idoneità del candidato non possono ledere il diritto alla buona fama di cui la persona gode, né il diritto a difendere la propria intimità, come prescritto dal canone 220 del Codice di Diritto Canonico. Ciò significa che si potrà procedere alla consulenza psicologica solo con il previo, esplicito, informato e libero consenso del candidato.
I formatori assicurino un'atmosfera di fiducia, così che il candidato possa aprirsi e partecipare con convinzione all'opera di discernimento e di accompagnamento, offrendo "la sua personale convinta e cordiale collaborazione" (32). A lui è richiesta un'apertura sincera e fiduciosa con i propri formatori. Solo facendosi sinceramente conoscere da loro può essere aiutato in quel cammino spirituale che egli stesso cerca entrando in seminario.
Importanti, e spesso determinanti per superare eventuali incomprensioni, saranno sia il clima educativo tra alunni e formatori - contrassegnato da apertura e trasparenza - sia le motivazioni e le modalità con cui i formatori presenteranno al candidato il suggerimento di una consulenza psicologica.
Si eviti l'impressione che tale suggerimento significhi preludio di un'inevitabile dimissione dal seminario o dalla casa di formazione.
Il candidato potrà rivolgersi liberamente o a un esperto, scelto tra quelli indicati dai formatori, oppure a uno scelto da lui stesso e accettato da loro.
Secondo le possibilità, dovrebbe essere sempre garantita ai candidati una libera scelta tra vari esperti che abbiano i requisiti indicati (33).
Qualora il candidato, davanti a una richiesta motivata da parte dei formatori, rifiutasse di accedere a una consulenza psicologica, essi non forzeranno in alcun modo la sua volontà e procederanno prudentemente nell'opera di discernimento con le conoscenze di cui dispongono, tenendo conto del citato canone 1052 1.

V. Il rapporto dei responsabili della formazione con l'esperto

a. I responsabili del foro esterno

13. In spirito di fiducia reciproca e collaborazione alla propria formazione, il candidato potrà essere invitato a dare liberamente il proprio consenso scritto affinché l'esperto nelle scienze psicologiche, tenuto al segreto professionale, possa comunicare gli esiti della consultazione ai formatori, da lui stesso indicati. Essi si serviranno delle informazioni, in tal modo acquisite, per elaborare un quadro generale della personalità del candidato e per trarre le opportune indicazioni in vista del suo ulteriore cammino formativo o dell'ammissione all'ordinazione.
Onde proteggere, nel presente e nel futuro, l'intimità e la buona fama del candidato si presti particolare cura affinché le esternazioni dell'esperto siano accessibili esclusivamente ai responsabili della formazione, con il preciso e vincolante divieto di farne uso diverso da quello proprio del discernimento vocazionale e della formazione del candidato.

b. Carattere specifico della direzione spirituale

14. Al padre spirituale spetta un compito non lieve nel discernimento della vocazione, sia pure nell'ambito della coscienza.
Fermo restando che la direzione spirituale non può in alcun modo essere scambiata per o sostituita da forme di analisi o di aiuto psicologico e che la vita spirituale di per sé favorisce una crescita nelle virtù umane, se non ci sono blocchi di natura psicologica (34), il padre spirituale può trovarsi, per chiarire dubbi altrimenti non risolvibili, nella necessità di suggerire una consulenza psicologica, senza comunque mai imporla, onde procedere con maggior sicurezza nel discernimento e nell'accompagnamento spirituale (35).
Nel caso di una richiesta di consulenza psicologica da parte del padre spirituale, è auspicabile che il candidato, oltre a rendere edotto lo stesso padre spirituale dei risultati della consultazione, informi altresì il formatore di foro esterno, specialmente se lo stesso padre spirituale lo avrà invitato a questo.
Qualora il padre spirituale ritenga utile acquisire direttamente lui stesso informazioni dal consulente, proceda secondo quanto indicato al numero 13 per i formatori di foro esterno.
Dai risultati della consulenza psicologica il padre spirituale trarrà le indicazioni opportune per il discernimento di sua competenza e per i consigli da dare al candidato, anche in ordine al proseguimento o meno del cammino formativo.

c. Aiuto dell'esperto al candidato e ai formatori

15. L'esperto - in quanto richiesto - aiuterà il candidato a raggiungere una maggiore conoscenza di sé, delle proprie potenzialità e vulnerabilità. Lo aiuterà anche a confrontare gli ideali vocazionali proclamati con la propria personalità, onde stimolare una adesione personale, libera e consapevole alla propria formazione. Sarà compito dell'esperto fornire al candidato le opportune indicazioni sulle difficoltà che egli sta sperimentando e sulle loro possibili conseguenze per la sua vita e per il suo futuro ministero sacerdotale.
Effettuata l'indagine, tenendo conto anche delle indicazioni offertegli dai formatori, l'esperto, solo con il previo consenso scritto del candidato, darà loro il suo contributo per comprendere il tipo di personalità e le problematiche che il soggetto sta affrontando o deve affrontare.
Egli indicherà anche, secondo la sua valutazione e le proprie competenze, le prevedibili possibilità di crescita della personalità del candidato. Suggerirà, inoltre, se necessario, forme o itinerari di sostegno psicologico.

VI. Le persone dimesse o che liberamente hanno lasciato seminari o case di formazione

16. È contrario alle norme della Chiesa ammettere al seminario o alla casa di formazione persone già uscite o, a maggior ragione, dimesse da altri seminari o da case di formazione, senza assumere prima le dovute informazioni dai loro rispettivi vescovi o superiori maggiori, soprattutto circa le cause della dimissione o dell'uscita (36).
È preciso dovere dei precedenti formatori fornire informazioni esatte ai nuovi formatori.
Si presti particolare attenzione al fatto che spesso i candidati lasciano l'istituzione educativa di spontanea volontà per prevenire una dimissione forzata.
Nel caso di passaggio ad altro seminario o casa di formazione, il candidato deve informare i nuovi formatori della consultazione psicologica precedentemente effettuata. Solo con il libero consenso scritto del candidato, i nuovi formatori potranno avere accesso alle comunicazioni dell'esperto che aveva effettuato la consultazione.
Nel caso si ritenga di poter accogliere in seminario un candidato che, dopo la precedente dimissione, si sia sottoposto a trattamento psicologico, si verifichi prima, per quanto è possibile, con accuratezza la sua condizione psichica, assumendo, tra l'altro, dopo aver ottenuto il suo libero consenso scritto, le dovute informazioni presso l'esperto che lo ha accompagnato.
Nel caso in cui un candidato chiede il passaggio a un altro seminario o casa di formazione dopo essere ricorso a un esperto in psicologia, senza voler accettare che la perizia sia a disposizione dei nuovi formatori, si tenga presente che l'idoneità del candidato deve essere provata con argomenti positivi, a norma del citato canone 1052, e quindi deve essere escluso ogni ragionevole dubbio.

Conclusione

17. Tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nella formazione offrano la loro convinta collaborazione, nel rispetto delle specifiche competenze di ciascuno, affinché il discernimento e l'accompagnamento vocazionale dei candidati siano adatti a "portare al sacerdozio solo coloro che sono stati chiamati e di portarli adeguatamente formati, ossia con una risposta cosciente e libera di adesione e di coinvolgimento di tutta la loro persona a Gesù Cristo che chiama all'intimità di vita con lui e alla condivisione della sua missione di salvezza" (37).
Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nel corso dell'udienza concessa il 13 giugno 2008 al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvato il presente documento e ne ha autorizzato la pubblicazione.

Roma, 29 giugno 2008, solennità dei santi Pietro e Paolo, Apostoli.

Zenon cardinale Grocholewski
Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica

Jean-Louis Bruguès
Arcivescovo Segretario della Congregazione

Note

1) Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), n. 35b-c: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 714.
2) Ibidem, n. 35d: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 715.
3) Ibidem, n. 65d: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 771.
4) Ibidem, n. 35e: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 715.
5) Cfr. ibidem, nn. 66-67: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 772-775.
6) Di tali condizioni viene data una descrizione molto ampia in Pastores dabo vobis, nn. 43-44: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 731-736; cfr. Codex Iuris Canonici, canoni 1029 e 1041, 1.
7) In quanto essa, "per ogni presbitero (...) costituisce il cuore che unifica e vivifica il suo essere prete e il suo fare il prete": Pastores dabo vobis, n. 45c: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 737.
8) Pastores dabo vobis, n. 43: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 731-733.
9) Cfr. ibidem; cfr. anche concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius (28 ottobre 1965), n. 11: Acta Apostolicae Sedis, 58 (1966), 720-721; Decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965), n. 3: Acta Apostolicae Sedis, 58 (1966), 993-995; Congregazione per l'Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (19 marzo 1985), n. 51.
10) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 17: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 682-684.
11) Paolo VI, nella Lettera enciclica Sacerdotalis cælibatus (24 giugno 1967), tratta esplicitamente di questa necessaria capacità del candidato al sacerdozio ai nn. 63-64: Acta Apostolicae Sedis, 59 (1967), 682-683. Egli conclude al n. 64: "Una vita così totalmente e delicatamente impegnata nell'intimo e all'esterno, come quella del sacerdote celibe, esclude, infatti, soggetti di insufficiente equilibrio psicofisico e morale, né si deve pretendere che la grazia supplisca in ciò la natura". Cfr. anche Pastores dabo vobis, n. 44: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 733-736.
Nel percorso evolutivo assume un'importanza speciale la maturità affettiva, un ambito dello sviluppo che richiede, oggi più di ieri, una particolare attenzione. "Si cresce nella maturità affettiva quando il cuore aderisce a Dio. Cristo ha bisogno di sacerdoti che siano maturi, virili, capaci di coltivare un'autentica paternità spirituale. Perché ciò accada, serve l'onestà con se stessi, l'apertura verso il direttore spirituale e la fiducia nella divina misericordia", Benedetto XVI, "Discorso ai sacerdoti e ai religiosi nella Cattedrale di Varsavia" (25 maggio 2006), in: "L'Osservatore Romano" (26-27 maggio 2006), p. 7. Cfr. Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche, Nuove vocazioni per una nuova Europa, Documento finale del Congresso sulle Vocazioni al sacerdozio e alla Vita consacrata in Europa (Roma, 5-10 maggio 1997), a cura delle Congregazioni per l'Educazione Cattolica, per le Chiese Orientali, per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (6 gennaio 1998), n. 37, pp. 111-120.
13) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 45a: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 736.
14) Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei Seminari (4 novembre 1993), nn. 36 e 57-59; cfr. soprattutto Optatam totius, n. 5: Acta Apostolicae Sedis, 58 (1966), 716-717.
15) Pastores dabo vobis, n. 16e: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 682.
16) Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale (11 aprile 1974), n. 38.
17) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 66c: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 773; Direttive sulla preparazione degli educatori nei Seminari, n. 57-59.
18) Cfr. Optatam totius, n. 11: Acta Apostolicae Sedis, 58 (1966), 720-721.
19) Cfr. concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (7 dicembre 1965), n. 10: Acta Apostolicae Sedis, 58 (1966), 1032-1033.
20) Per meglio comprendere queste affermazioni, è opportuno fare riferimento alle seguenti affermazioni di Giovanni Paolo II: "L'uomo, dunque, porta in sé il germe della vita eterna e la vocazione a far propri i valori trascendentali; egli, però, resta interiormente vulnerabile e drammaticamente esposto al rischio di fallire la propria vocazione, a causa di resistenze e difficoltà che egli incontra nel suo cammino esistenziale sia a livello conscio, ove è chiamata in causa la responsabilità morale, sia a livello subconscio, e ciò sia nella sua vita psichica ordinaria, che in quella segnata da lievi o moderate psicopatologie, che non influiscono sostanzialmente sulla libertà della persona di tendere agli ideali trascendenti, responsabilmente scelti" (Allocuzione alla Rota Romana (25 gennaio 1988): Acta Apostolicae Sedis, 80 (1988), 1181).
21) Cfr. Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 39; Congregazione per i vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), n. 88.
22) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 29d: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 704.
23) Cfr. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, Istruzione sull'aggiornamento della formazione alla vita religiosa (6 gennaio 1969), n. 11 iii: Acta Apostolicae Sedis, 61 (1969), 113.
24) Cfr. Giovanni Paolo II: "Sarà opportuno curare la preparazione di esperti psicologi i quali, al buon livello scientifico, uniscano una comprensione profonda della concezione cristiana circa la vita e la vocazione al sacerdozio, così da essere in grado di fornire supporti efficaci alla necessaria integrazione tra la dimensione umana e quella soprannaturale". ("Discorso ai partecipanti alla Sessione Plenaria della Congregazione per l'Educazione Cattolica" 4 febbraio 2002, n. 2: Acta Apostolicae Sedis, 94, 2002, 465).
25) Cfr. Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli Ordini Sacri (4 novembre 2005): Acta Apostolicae Sedis, 97 (2005), 1007-1013.
26) Cfr. Orientamenti educativi per la formazione al celibato sacerdotale, n. 38.
27) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 48d: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 744.
28) Cfr. 2 Corinzi, 12, 7-10.
29) Cfr. Codex Iuris Canonici, canoni 1025, 1051 e 1052; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Carta circular Entre las más delicadas a los excelentísimos y reverendísimos señores obispos diocesanos y demás ordinarios canónicamente facultados para llamar a las sagradas ordenes, sobre los escrutinios acerca de la idoneidad de los candidatos (10 novembre 1997): Notitiae 33 (1997), pp. 495-506.
30) Cfr. Codex Iuris Canonici, canoni 1029, 1031 1 e 1041, 1; Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, n. 39.
31) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 35g: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 715.
32) Ibidem, n. 69b: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 778.
33) Cfr. n. 6 di questo documento.
34) Cfr. nota n. 20.
35) Cfr. Pastores dabo vobis, n. 40c: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 725.
36) Cfr. Codex Iuris Canonici, canone 241, 3; Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istruzione alle Conferenze Episcopali circa l'ammissione in Seminario di candidati provenienti da altri Seminari o Famiglie religiose (8 marzo 1996).
37) Pastores dabo vobis, n. 42c: Acta Apostolicae Sedis, 84 (1992), 730.

(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2008)

Il Papa agli Ebrei: "Il dialogo è serio e onesto soltanto quando rispetta le differenze e riconosce gli altri proprio nella loro alterità"


IL PAPA E L'EBRAISMO: LO SPECIALE DEL BLOG

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Il discorso del Papa all'International Jewish Committee on Interreligious Consultations

Tra ebrei e cristiani dialogo nel rispetto e nella verità

Il dialogo tra ebrei e cristiani ha bisogno di rispetto, di accettazione reciproca e di verità "per superare differenze, prevenire incomprensioni ed evitare scontri inutili". Lo ha detto il Papa durante l'udienza ai membri dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations, ricevuti nella mattina di giovedì 30 ottobre, nella Sala dei Papi.

La traduzione del discorso del Papa

Cari amici,

sono lieto di ricevere questa delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations. Da più di trent'anni il vostro Comitato e la Santa Sede hanno contatti regolari e fruttuosi, che hanno contribuito a una comprensione e a un'accettazione maggiori fra cattolici ed ebrei.
Colgo volentieri quest'occasione per riaffermare l'impegno per la realizzazione dei principi esposti nella storica dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II.
Quella dichiarazione, che ha condannato con fermezza tutte le forme di antisemitismo, è stata sia una pietra miliare significativa nella lunga storia dei rapporti fra cattolici ed ebrei sia un invito a una rinnovata comprensione teologica dei rapporti fra la Chiesa e il popolo ebraico.
Oggi i cristiani sono sempre più consapevoli del patrimonio spirituale che condividono con il popolo della Torah, il popolo eletto da Dio nella sua ineffabile misericordia, un patrimonio che esorta a un apprezzamento, a un rispetto e a un amore più grandi e reciproci (cfr. Nostra aetate, n. 4).
Anche gli ebrei vengono esortati a scoprire che cosa hanno in comune con quanti credono nel Signore, il Dio di Israele, che per primo si è rivelato attraverso la sua Parola potente e che dà la vita. Come ci ricorda il salmista, la Parola di Dio è lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino; ci mantiene vivi e ci dona nuova vita (cfr. Sal 119, 105). Questa Parola ci sprona a recare una testimonianza comune dell'amore, della misericordia e della verità di Dio. Questo è un servizio vitale nel nostro tempo, minacciato dalla perdita dei valori spirituali e morali che garantiscono dignità umana, solidarietà, giustizia e pace.
Nel nostro mondo inquieto, così spesso segnato dalla povertà, dalla violenza e dallo sfruttamento, il dialogo fra culture e religioni deve essere sempre più considerato come un dovere sacro di quanti sono impegnati nell'edificazione di un mondo degno dell'uomo. La capacità di rispettarsi e accettarsi reciprocamente e di pronunciare la verità con amore, è essenziale per superare differenze, prevenire incomprensioni ed evitare scontri inutili.

Come voi stessi avete sperimentato nel corso degli anni, durante gli incontri dell'International Liaison Committee, il dialogo è serio e onesto soltanto quando rispetta le differenze e riconosce gli altri proprio nella loro alterità. Un dialogo sincero ha bisogno di apertura e di un forte senso di identità da entrambe le parti, affinché ognuno venga arricchito dai doni dell'altro.

Negli scorsi mesi ho avuto il piacere di incontrare comunità ebraiche a New York, a Parigi e qui in Vaticano.
Rendo grazie a Dio per questi incontri e per il progresso che rispecchiano nei rapporti fra cattolici ed ebrei. Con questo spirito, dunque, vi incoraggio a perseverare nella vostra importante opera con pazienza e rinnovato impegno. Vi offro i miei buoni auspici oranti mentre il vostro Comitato si prepara a incontrare il prossimo mese a Budapest una delegazione della Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo, per affrontare il tema "Religione e società civile oggi".
Con questi sentimenti, cari amici, chiedo all'Onnipotente di continuare a vegliare su di voi e sulle vostre famiglie e a guidare i vostri passi lungo il cammino della pace.

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

(©L'Osservatore Romano - 31 ottobre 2008)

mercoledì 29 ottobre 2008

Il Papa: "La Croce, per tutto quello che rappresenta e quindi anche per il messaggio teologico che contiene, è scandalo e stoltezza"


CICLO DI CATECHESI DEDICATE A SAN PAOLO APOSTOLO ED ALL'ANNO PAOLINO

GLI APOSTOLI NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO

ARTICOLI E COMMENTI SU SAN PAOLO APOSTOLO E L'ANNO PAOLINO

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

L’UDIENZA GENERALE, 29.10.2008

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunta dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre, continuando il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sul tema: "L’importanza della cristologia - La teologia della Croce" nella predicazione paolina.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Papa ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Paolo - X: La teologia della Croce nel pensiero di Paolo

Cari fratelli e sorelle,

nella personale esperienza di san Paolo c'è un dato incontrovertibile: mentre all'inizio era stato un persecutore ed aveva usato violenza contro i cristiani, dal momento della sua conversione sulla via di Damasco, era passato dalla parte del Cristo crocifisso, facendo di Lui la sua ragione di vita e il motivo della sua predicazione.
La sua fu un’esistenza interamente consumata per le anime (cfr 2 Cor 12,15), per niente tranquilla e al riparo da insidie e difficoltà.

Nell’incontro con Gesù gli si era reso chiaro il significato centrale della Croce: aveva capito che Gesù era morto ed era risorto per tutti e per lui stesso. Ambedue le cose erano importanti; l’universalità: Gesù è morto realmente per tutti, e la soggettività: Egli è morto anche per me. Nella Croce, quindi, si era manifestato l'amore gratuito e misericordioso di Dio.

Questo amore Paolo sperimentò anzitutto in se stesso (cfr Gal 2,20) e da peccatore diventò credente, da persecutore apostolo. Giorno dopo giorno, nella sua nuova vita, sperimentava che la salvezza era ‘grazia’, che tutto discendeva dalla morte di Cristo e non dai suoi meriti, che del resto non c’erano.

Il “vangelo della grazia” diventò così per lui l'unico modo di intendere la Croce, il criterio non solo della sua nuova esistenza, ma anche la risposta ai suoi interlocutori. Tra questi vi erano, innanzitutto, i giudei che riponevano la loro speranza nelle opere e speravano da queste la salvezza; vi erano poi i greci che opponevano la loro sapienza umana alla croce; infine, vi erano quei gruppi di eretici, che si erano formati una propria idea del cristianesimo secondo il proprio modello di vita.

Per san Paolo la Croce ha un primato fondamentale nella storia dell’umanità; essa rappresenta il punto focale della sua teologia, perché dire Croce vuol dire salvezza come grazia donata ad ogni creatura.

Il tema della croce di Cristo diventa un elemento essenziale e primario della predicazione dell’Apostolo: l'esempio più chiaro riguarda la comunità di Corinto. Di fronte ad una Chiesa dove erano presenti in modo preoccupante disordini e scandali, dove la comunione era minacciata da partiti e divisioni interne che incrinavano l'unità del Corpo di Cristo, Paolo si presenta non con sublimità di parola o di sapienza, ma con l'annuncio di Cristo, di Cristo crocifisso.

La sua forza non è il linguaggio persuasivo ma, paradossalmente, la debolezza e la trepidazione di chi si affida soltanto alla potenza di Dio” (cfr1 Cor 2,1-4).

La Croce, per tutto quello che rappresenta e quindi anche per il messaggio teologico che contiene, è scandalo e stoltezza.

L'Apostolo lo afferma con una forza impressionante, che è bene ascoltare dalle sue stesse parole: “La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio...è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1 Cor 1,18-23).

Le prime comunità cristiane, alle quali Paolo si rivolge, sanno benissimo che Gesù ormai è risorto e vivo; l'Apostolo vuole ricordare non solo ai Corinzi o ai Galati, ma a tutti noi, che il Risorto è sempre Colui che è stato crocifisso.

Lo ‘scandalo’ e la ‘stoltezza’ della Croce stanno proprio nel fatto che laddove sembra esserci solo fallimento, dolore, sconfitta, proprio lì c'è tutta la potenza dell'Amore sconfinato di Dio, perché la Croce è espressione di amore e l’amore è la vera potenza che si rivela proprio in questa apparente debolezza.

Per i Giudei la Croce è skandalon, cioè trappola o pietra di inciampo: essa sembra ostacolare la fede del pio israelita, che stenta a trovare qualcosa di simile nelle Sacre Scritture. Paolo, con non poco coraggio, sembra qui dire che la posta in gioco è altissima: per i Giudei la Croce contraddice l'essenza stessa di Dio, il quale si è manifestato con segni prodigiosi. Dunque accettare la croce di Cristo significa operare una profonda conversione nel modo di rapportarsi a Dio.

Se per i Giudei il motivo del rifiuto della Croce si trova nella Rivelazione, cioè la fedeltà al Dio dei Padri, per i Greci, cioè i pagani, il criterio di giudizio per opporsi alla Croce è la ragione. Per questi ultimi, infatti, la Croce è moría, stoltezza, letteralmente insipienza, cioè un cibo senza sale; quindi più che un errore, è un insulto al buon senso.

Paolo stesso in più di un'occasione fece l'amara esperienza del rifiuto dell'annuncio cristiano giudicato ‘insipiente’, privo di rilevanza, neppure degno di essere preso in considerazione sul piano della logica razionale.

Per chi, come i greci, vedeva la perfezione nello spirito, nel pensiero puro, già era inaccettabile che Dio potesse divenire uomo, immergendosi in tutti i limiti dello spazio e del tempo. Decisamente inconcepibile era poi credere che un Dio potesse finire su una Croce! E vediamo come questa logica greca è anche la logica comune del nostro tempo.

Il concetto di apátheia, indifferenza, quale assenza di passioni in Dio, come avrebbe potuto comprendere un Dio diventato uomo e sconfitto, che addirittura si sarebbe poi ripreso il corpo per vivere come risorto? “Ti sentiremo su questo un’altra volta” (At 17,32) dissero sprezzantemente gli Ateniesi a Paolo, quando sentirono parlare di risurrezione dei morti. Ritenevano perfezione il liberarsi del corpo concepito come prigione; come non considerare un’aberrazione il riprendersi il corpo? Nella cultura antica non sembrava esservi spazio per il messaggio del Dio incarnato.

Tutto l’evento “Gesù di Nazaret” sembrava essere contrassegnato dalla più totale insipienza e certamente la Croce ne era il punto più emblematico.

Ma perché san Paolo proprio di questo, della parola della Croce, ha fatto il punto fondamentale della sua predicazione? La risposta non è difficile: la Croce rivela “la potenza di Dio” (cfr1 Cor 1,24), che è diversa dal potere umano; rivela infatti il suo amore: “Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio, è più forte degli uomini” (ivi v. 25). Distanti secoli da Paolo, noi vediamo che nella storia ha vinto la Croce e non la saggezza che si oppone alla Croce. Il Crocifisso è sapienza, perché manifesta davvero chi è Dio, cioè potenza di amore che arriva fino alla Croce per salvare l'uomo. Dio si serve di modi e strumenti che a noi sembrano a prima vista solo debolezza.

Il Crocifisso svela, da una parte, la debolezza dell'uomo e, dall'altra, la vera potenza di Dio, cioè la gratuità dell'amore: proprio questa totale gratuità dell'amore è la vera sapienza.

Di ciò san Paolo ha fatto esperienza fin nella sua carne e ce lo testimonia in svariati passaggi del suo percorso spirituale, divenuti precisi punti di riferimento per ogni discepolo di Gesù: “Egli mi ha detto: ti basta la mia grazia: la mia potenza, infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9); e ancora: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor 1,28). L’Apostolo si identifica a tal punto con Cristo che anch'egli, benché in mezzo a tante prove, vive nella fede del Figlio di Dio che lo ha amato e ha dato se stesso per i peccati di lui e per quelli di tutti (cfr Gal 1,4; 2,20). Questo dato autobiografico dell'Apostolo diventa paradigmatico per tutti noi.

San Paolo ha offerto una mirabile sintesi della teologia della Croce nella seconda Lettera ai Corinzi (5,14-21), dove tutto è racchiuso tra due affermazioni fondamentali: da una parte Cristo, che Dio ha trattato da peccato in nostro favore (v. 21), è morto per tutti (v. 14); dall'altra, Dio ci ha riconciliati con sé, non imputando a noi le nostre colpe (vv. 18-20). E’ da questo “ministero della riconciliazione” che ogni schiavitù è ormai riscattata (cfr 1 Cor 6,20; 7,23). Qui appare come tutto questo sia rilevante per la nostra vita. Anche noi dobbiamo entrare in questo “ministero della riconciliazione”, che suppone sempre la rinuncia alla propria superiorità e la scelta della stoltezza dell’amore.

San Paolo ha rinunciato alla propria vita donando totalmente se stesso per il ministero della riconciliazione, della Croce che è salvezza per tutti noi. E questo dobbiamo saper fare anche noi: possiamo trovare la nostra forza proprio nell’umiltà dell’amore e la nostra saggezza nella debolezza di rinunciare per entrare così nella forza di Dio.

Noi tutti dobbiamo formare la nostra vita su questa vera saggezza: non vivere per noi stessi, ma vivere nella fede in quel Dio del quale tutti possiamo dire: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”.

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martedì 28 ottobre 2008

Benedetto XVI: "Giovanni XXIII fu uomo e pastore di pace, che seppe aprire in Oriente e in Occidente inaspettati orizzonti di fraternità e di dialogo"


LA FIGURA DI ANGELO GIUSEPPE RONCALLI

IL MAGISTERO DELLA CHIESA NEGLI SCRITTI DEI PREDECESSORI DI PAPA BENEDETTO XVI

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

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Benedetto XVI: "Papa Giovanni fu uomo e pastore di pace"

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL TERMINE DELLA SANTA MESSA IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO DELL’ELEZIONE AL SOGLIO PONTIFICIO DEL BEATO GIOVANNI XXIII, 28.10.2008

Questo pomeriggio, alle ore 18, al termine della Santa Messa celebrata dall’Em.mo Card. Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, in occasione del 50° anniversario dell’elezione al Soglio Pontificio del Beato Giovanni XXIII, il Santo Padre Benedetto XVI scende nella Basilica Vaticana e rivolge ai Pellegrini di Bergamo e a tutti i fedeli presenti il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Signor Cardinale Segretario di Stato,
Venerati Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!


Sono lieto di poter condividere con voi questo gesto di omaggio al Beato Giovanni XXIII, mio amato Predecessore, nell’anniversario della sua elezione alla Cattedra di Pietro.
Mi rallegro con voi dell’iniziativa e rendo grazie al Signore che ci concede di rivivere l'annuncio di “grande gioia” (gaudium magnum) risuonato cinquant'anni or sono in questo giorno e in quest'ora dalla Loggia della Basilica Vaticana.

Fu un preludio e una profezia dell’esperienza di paternità, che Dio ci avrebbe offerto abbondantemente attraverso le parole, i gesti e il servizio ecclesiale del Papa Buono. La grazia di Dio andava preparando una stagione impegnativa e promettente per la Chiesa e per la società, e trovò nella docilità allo Spirito Santo, che distinse l'intera vita di Giovanni XXIII, il terreno buono per far germogliare la concordia, la speranza, l'unità e la pace, a bene dell'intera umanità.

Papa Giovanni indicò la fede in Cristo e l'appartenenza alla Chiesa, madre e maestra, quale garanzia di feconda testimonianza cristiana nel mondo. Così, nelle forti contrapposizioni del suo tempo, il Papa fu uomo e pastore di pace, che seppe aprire in Oriente e in Occidente inaspettati orizzonti di fraternità tra i cristiani e di dialogo con tutti.

La diocesi di Bergamo è in festa e non poteva mancare all'incontro spirituale col suo figlio più illustre, “un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore”, come egli stesso ebbe a dire. Accanto alla Confessione dell'Apostolo Pietro riposano le sue venerate spoglie mortali.

Da questo luogo caro a tutti i battezzati, egli vi ripete: “Sono Giuseppe, vostro fratello”. Siete venuti per riaffermare i legami comuni e la fede li apre ad una dimensione veramente cattolica.
Per questo avete voluto incontrare il Vescovo di Roma, che è Padre universale. Vi guida il vostro pastore, Mons. Roberto Amadei, accompagnato dal Vescovo Ausiliare. Sono grato a Mons. Amadei per le amabili parole rivoltemi a nome di tutti ed estendo a ciascuno l’espressione della mia gratitudine per l'affetto e la devozione che vi animano. Mi sento incoraggiato dalla vostra preghiera, mentre vi esorto a seguire l'esempio e l'insegnamento del Papa vostro conterraneo. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II lo proclamò beato, riconoscendo che le tracce della sua santità di padre e di pastore continuavano a risplendere davanti all'intera famiglia umana.
Nella Santa Messa presieduta dal Signor Cardinale Segretario di Stato la Parola di Dio vi ha accolti e introdotti nel grazie perfetto di Cristo al Padre. In Lui incontriamo i Santi e i Beati, e quanti ci hanno preceduto nel segno della fede. La loro eredità viene posta nelle nostre mani.

Un dono veramente speciale, offerto alla Chiesa con Giovanni XXIII, fu il Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui deciso, preparato e iniziato.

Siamo tutti impegnati ad accogliere in modo adeguato quel dono, continuando a meditarne gli insegnamenti e a tradurne nella vita le indicazioni operative.

E’ quanto voi stessi avete cercato di fare in questi anni, come singoli e come comunità diocesana. In particolare, vi siete di recente impegnati nel Sinodo diocesano, dedicato alla parrocchia: in esso siete tornati alla sorgente conciliare per attingervi quel supplemento di luce e di calore che si rivela necessario per riportare la parrocchia ad essere un’articolazione viva e dinamica della comunità diocesana. E’ nella parrocchia che si impara a vivere concretamente la propria fede. Ciò consente di mantenere viva la ricca tradizione del passato e di riproporne i valori in un ambiente sociale secolarizzato, che si presenta spesso ostile o indifferente.
Proprio pensando a situazioni di questo genere Papa Giovanni ebbe a dire nell’Enciclica Pacem in terris: il credente “deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificante nella massa: e tanto più lo sarà quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con Dio” (n. 162).
Questo fu il programma di vita del grande Pontefice e questo può diventare l'ideale di ogni credente e di ogni comunità cristiana che sappia attingere, nella Celebrazione eucaristica, alla fonte dell'amore gratuito, fedele e misericordioso del Crocifisso risorto.

Mi si consenta di riservare un accenno particolare alla famiglia, soggetto centrale della vita ecclesiale, grembo di educazione alla fede e cellula insostituibile della vita sociale.

Al riguardo, il futuro Papa Giovanni scriveva in una lettera ai familiari: “L’educazione che lascia tracce più profonde è sempre quella della casa. Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi” (20 dicembre 1932).
In particolare, nella famiglia si impara a vivere nel quotidiano il fondamentale precetto cristiano dell’amore.

Proprio per questo sulla famiglia conta la Chiesa, che ha la missione di manifestare ovunque, per mezzo dei suoi figli, “la grandezza della carità cristiana, di cui null'altro è più valido per estirpare i semi della discordia, nulla è più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l'unione fraterna di tutti” (Gaudet Mater Ecclesia, 33).

Ritornando, per concludere, alla parrocchia, tema del Sinodo diocesano, voi conoscete la sollecitudine di Papa Giovanni XXIII per questo organismo tanto importante nella vita ecclesiale. Con molta fiducia Papa Roncalli affidava alla parrocchia, famiglia di famiglie, il compito di alimentare tra i fedeli i sentimenti di comunione e di fraternità. Plasmata dall’Eucaristia, la parrocchia potrà diventare – egli pensava - fermento di salutare inquietudine nel diffuso consumismo e individualismo del nostro tempo, risvegliando la solidarietà ed aprendo nella fede l’occhio del cuore a riconoscere il Padre, che è amore gratuito, desideroso di condividere con i figli la sua stessa gioia.

Cari amici, vi ha accompagnati a Roma l'immagine della Madonna che Papa Giovanni ricevette in dono nella visita a Loreto, a pochi giorni dall'apertura del Concilio. Egli volle che la statua fosse collocata nel Seminario Vescovile a lui intitolato nella diocesi natale, e vedo con gioia che sono tanti i seminaristi entusiasti della loro vocazione. Affido volentieri alla Madre di Dio tutte le famiglie e le parrocchie, proponendo loro il modello della Santa Famiglia di Nazaret: siano esse il primo seminario e sappiano far crescere nel proprio ambito vocazioni al sacerdozio, alla missione, alla consacrazione religiosa, alla vita familiare secondo il cuore di Cristo. In una celebre visita durante i primi mesi del suo Pontificato, il Beato chiese ai suoi uditori quale fosse, secondo loro, il senso dell'incontro, e si diede da solo la risposta: "Il Papa ha messo i suoi occhi nei vostri occhi e il suo cuore accanto al vostro cuore" (nel primo Natale da Papa, 1958). Prego Papa Giovanni perché ci conceda di sperimentare la vicinanza del suo sguardo e del suo cuore, così da sentirci veramente famiglia di Dio.

In una celebre visita durante i primi mesi del suo Pontificato, il Beato chiese ai suoi uditori quale fosse, secondo loro, il senso dell'incontro, e si diede da solo la risposta: “Il Papa ha messo i suoi occhi nei vostri occhi e il suo cuore accanto al vostro cuore” (nel primo Natale da Papa, 1958). Prego Papa Giovanni perché ci conceda di sperimentare la vicinanza del suo sguardo e del suo cuore, così da sentirci veramente famiglia di Dio.

Con questi auspici, imparto ben volentieri ai pellegrini bergamaschi, e particolarmente a quelli di Sotto il Monte, paese natale del Beato Pontefice, dove ho avuto la gioia di recarmi anni fa, come alle autorità, ai fedeli romani e orientali qui presenti, e a tutte le persone care, la mia affettuosa Benedizione.

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IL SALUTO DEL VESCOVO DI BERGAMO

«Fratello e padre tra Oriente e Occidente»

Il vescovo Amadei a Benedetto XVI: riconoscenti per averci accolto in questo anniversario così caro «Nel ricordo di Papa Roncalli professiamo la fede della Chiesa di Bergamo al successore di Pietro»

Questo il testo del saluto che il vescovo di Bergamo, monsignor Roberto Amadei, ha rivolto ieri a Papa Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro

Beatissimo Padre,

l'intera Chiesa di Bergamo è con il cuore a Roma e rinnova la sua professione di fede davanti a Vostra Santità. Fede in Cristo, e fede nella Santa Chiesa, il cui mistero questa sera si mostra a noi nella Chiesa Romane e nel Suo Vescovo col carisma dell'unità e la missione di presiedere alla carità universale.
Presso la Confessione di Pietro, con riconoscente stupore, desideriamo aderire alla espressione di fede dell'apostolo: «Tu se il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E risentire la risposta di Gesù: «Tu sei Pietro».
Cinquant'anni or sono queste parole accompagnarono l'elezione di un figlio umile della nostra terra all'alto servizio di Vescovo di Roma e di Padre Universale. In questa sera carica di memorie, uniti a Lei, Santità, rendiamo grazie alla Provvidenza Divina per aver scelto Angelo Giuseppe Roncalli, che assunse il nome di Giovanni XXIII, quale Successore di Pietro ed averne sostenuto la docilità allo Spirito Santo perché egli potesse essere immagine viva del Buon Pastore. Nel servizio pastorale, ovunque vissuto con intensità, trovarono esaltazione la vita cristiana e quel desiderio di santità che il Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui aperto in questa fulgente Basilica, avrebbe indicato come vocazione comune a tutto il popolo di Dio. Egli si fece fratello e padre sulle vie del mondo, in Oriente e in Occidente, per narrare la bontà del Signore, donare speranza e tessere la pace che sgorga sempre sicura dal cuore misericordioso di Dio, Padre di tutti.
Santità, voglia gradire l'omaggio che ho l'onore di presentarLe insieme al Vescovo Ausiliare, al Clero e al Seminario Diocesano, ai consacrati e ai laici, come alle pubbliche autorità. Immensamente riconoscenti per averci accolti in questo anniversario così caro, Le assicuriamo la nostra devozione, ammirazione e preghiera.
A coronamento dell'Eucarestia presieduta da Sua Eminenza il Cardinale Segretario di Stato, che ringraziamo vivamente, ci faccia dono della Sua parola. E voglia concedere la Benedizione Apostolica all'intera Diocesi di Bergamo, a ciascuno di noi, a quanti portiamo nel cuore, ai sofferenti, ai fratelli e alle sorelle di Roma e del mondo, mentre con la Santissima Vergine Maria, teneramente amata dal beato Papa Giovanni XXIII, eleviamo un fervido Magnificat alla Divina Bontà.
Grazie, Padre Santo.

© Copyright Eco di Bergamo, 29 ottobre 2008