sabato 31 gennaio 2009

Il Papa alla Cisl: "Per superare la crisi economica e sociale occorre superare gli interessi particolaristici e di settore"


IL PAPA E LA CRISI ECONOMICA: LO SPECIALE DEL BLOG

UDIENZA AI DIRIGENTI DELLA CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI LAVORATORI (CISL) , 31.01.2009

Alle ore 12.20 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Dirigenti della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL) e rivolge loro il discorso che riportiamo di seguito:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Illustri Signori, gentili Signore!

Con vivo compiacimento accolgo in voi e cordialmente saluto i membri del gruppo dirigente della Confederazione Italiana Sindacale Lavoratori: saluto in particolare il Segretario Generale, e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti. Egli ha ricordato che proprio 60 anni fa, la CISL muoveva i primi passi prendendo parte attiva alla fondazione del sindacato libero internazionale e recava al nascente soggetto il contributo dell’ancoraggio ai principi della dottrina sociale della Chiesa e la pratica di un sindacalismo libero ed autonomo da schieramenti politici e dai partiti. Questi stessi orientamenti voi oggi intendete ribadire, desiderando continuare a trarre dal magistero sociale della Chiesa ispirazione nella vostra azione finalizzata a tutelare gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici e dei pensionati d’Italia. Come ha opportunamente richiamato il Segretario Generale, la grande sfida ed opportunità che la preoccupante crisi economica del momento invita a saper cogliere, è di trovare una nuova sintesi tra bene comune e mercato, tra capitale e lavoro. Ed in questo ambito, significativo è il contributo che possono apportare le organizzazioni sindacali.

Nel pieno rispetto della legittima autonomia di ogni istituzione, la Chiesa, esperta in umanità, non si stanca di offrire il contributo del suo insegnamento e della sua esperienza a coloro che intendono servire la causa dell’uomo, del lavoro e del progresso, della giustizia sociale e della pace.

La sua attenzione alle problematiche sociali è cresciuta nel corso dell’ultimo secolo. Proprio per questo, i miei venerati Predecessori, attenti ai segni dei tempi, non hanno mancato di fornire opportune indicazioni ai credenti e agli uomini di buona volontà, illuminandoli nel loro impegno per la salvaguardia della dignità dell’uomo e le reali esigenze della società.

All’alba del XX secolo, con l’Enciclica Rerum novarum, il Papa Leone XIII fece una difesa accorata dell’inalienabile dignità dei lavoratori. Gli orientamenti ideali, contenuti in tale documento, contribuirono a rafforzare l’animazione cristiana della vita sociale; e questo si tradusse, tra l’altro, nella nascita e nel consolidarsi di non poche iniziative di interesse civile, come i centri di studi sociali, le società operaie, le cooperative e i sindacati. Si verificò pure un impulso notevole verso una legislazione del lavoro rispettosa delle legittime attese degli operai, specialmente delle donne e dei minori, e si ebbe anche un sensibile miglioramento dei salari e delle stesse condizioni di lavoro. Di questa Enciclica, che ha avuto "il privilegio" di essere commemorata da vari successivi documenti pontifici, Giovanni Paolo II ha voluto solennizzare il centesimo anniversario pubblicando l’Enciclica Centesimus annus, nella quale osserva che la dottrina sociale della Chiesa, specialmente in questo nostro periodo storico, considera l’uomo inserito nella complessa rete di relazioni che è tipica delle società moderne. Le scienze umane, per parte loro, contribuiscono a metterlo in grado di capire sempre meglio se stesso, in quanto essere sociale. "Soltanto la fede, però, - nota il mio venerato Predecessore - gli rivela pienamente la sua identità vera, e proprio da essa prende avvio la dottrina sociale della Chiesa, la quale, avvalendosi di tutti gli apporti delle scienze e della filosofia, si propone di assistere l’uomo nel cammino della salvezza" (n. 54).

Nella sua precedente Enciclica sociale Laborem exercens del 1981, dedicata al tema del lavoro, Papa Giovanni Paolo II aveva sottolineato che la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all’interno di una questione sociale che è andata assumendo progressivamente dimensioni mondiali. Anzi, il lavoro – egli insiste - va visto come la "chiave essenziale" dell’intera questione sociale, perché condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale, delle persone, delle famiglie, delle comunità e dell’intera umanità (cfr n. 1). Sempre in questo importante documento vengono posti in luce il ruolo e l’importanza strategica dei sindacati, definiti "un indispensabile elemento della vita sociale, specialmente nelle moderne società industrializzate" (cfr n. 20).

C’è un altro elemento che ritorna frequentemente nel magistero dei Papi del Novecento ed è il richiamo alla solidarietà ed alla responsabilità.

Per superare la crisi economica e sociale che stiamo vivendo, sappiamo che occorre uno sforzo libero e responsabile da parte di tutti; è necessario, cioè, superare gli interessi particolaristici e di settore, così da affrontare insieme ed uniti le difficoltà che investono ogni ambito della società, in modo speciale il mondo del lavoro.

Mai come oggi si avverte una tale urgenza; le difficoltà che travagliano il mondo del lavoro spingono ad una effettiva e più serrata concertazione tra le molteplici e diverse componenti della società. Il richiamo alla collaborazione trova significativi riferimenti anche nella Bibbia. Ad esempio, nel libro del Qoèlet leggiamo: "Meglio essere in due che uno solo, perchè otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi" (4,9-10). L’auspicio è quindi che dall’attuale crisi mondiale scaturisca la volontà comune di dar vita a una nuova cultura della solidarietà e della partecipazione responsabile, condizioni indispensabili per costruire insieme l’avvenire del nostro pianeta.

Cari amici, la celebrazione del 60° anniversario di fondazione della vostra organizzazione sindacale sia motivo per rinnovare l’entusiasmo degli inizi e riscoprire ancor più il vostro originario carisma. Il mondo ha bisogno di persone che si dedichino con disinteresse alla causa del lavoro nel pieno rispetto della dignità umana e del bene comune. La Chiesa, che apprezza il ruolo fondamentale dei sindacati, vi è vicina oggi come ieri, ed è pronta ad aiutarvi, perché possiate adempiere al meglio il vostro compito nella società. Nell’odierna festa di san Giovanni Bosco, desidero infine affidare l’attività e i progetti del vostro sindacato a questo Apostolo dei giovani, che con grande sensibilità sociale fece del lavoro un prezioso strumento di formazione e di educazione delle nuove generazioni. Invoco, inoltre, su di voi e sulle vostre famiglie la protezione della Madonna e di san Giuseppe, buon padre e lavoratore esperto che si prese quotidiana cura della famiglia di Nazaret. Per parte mia, vi assicuro un ricordo nella preghiera, mentre con affetto benedico voi qui presenti e tutti gli iscritti alla vostra Confederazione.

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venerdì 30 gennaio 2009

Il Papa ai vescovi russi: Rinnovato impegno nel dialogo con i nostri fratelli ortodossi


IL RIAVVICINAMENTO FRA CATTOLICI E ORTODOSSI

Il discorso di Benedetto XVI ai vescovi della Russia in visita «ad limina Apostolorum»

Rinnovato impegno nel dialogo con i nostri fratelli ortodossi

È importante che i cristiani affrontino insieme le grandi sfide culturali ed etiche del momento presente. Lo ha detto il Papa rivolgendosi questa mattina, giovedì 29, ai vescovi della Russia in occasione della loro visita "ad limina Apostolorum". All'inizio dell'incontro monsignor Joseph Wert, vescovo della Trasfigurazione a Novosibirsk e ordinario per i fedeli di rito bizantino residenti in Russia, ha rivolto al Papa un indirizzo di saluto.

Cari e venerati Fratelli!

Nel contesto dell'Anno Paolino, che stiamo celebrando, mi è particolarmente gradito accogliervi e con gioia vi saluto con le parole dell'Apostolo: "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (1 Cor 1, 3). Siete venuti a Roma per venerare i luoghi sacri dove san Pietro e san Paolo hanno sigillato la loro esistenza al servizio del Vangelo con il martirio, ed è proprio questo il primo significato della visita ad limina Apostolorum. Successori degli Apostoli, voi incontrate il Successore di Pietro, ponendo in luce la comunione che vi lega a lui. La comunione con il Vescovo di Roma, garante dell'unità ecclesiale, permette alle comunità affidate alle vostre cure pastorali, sebbene minoritarie, di sentirsi cum Petro e sub Petro, parte viva del Corpo di Cristo esteso su tutta la terra. L'unità, che è dono di Cristo, cresce e si sviluppa infatti nelle concrete situazioni delle varie Chiese locali. A questo riguardo, il Concilio Vaticano II ricorda che "i singoli Vescovi sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese, formate a immagine della Chiesa universale, e in esse e da esse è costituita l'una e l'unica Chiesa cattolica" (Cost. Lumen gentium, 23).
A voi, Pastori della Chiesa che vive in Russia, il Successore di Pietro rinnova l'espressione della sua sollecitudine e vicinanza spirituale, con l'incoraggiamento a proseguire uniti nell'attività pastorale, beneficiando anche dell'esperienza della Chiesa universale.
Ho ascoltato con grande interesse quanto mi avete riferito circa le vostre comunità che stanno vivendo un processo di maturazione e vanno approfondendo insieme il loro "volto" di Chiesa cattolica locale. A questo tende del resto anche il vostro sforzo di inculturazione della fede. Esprimo volentieri il mio apprezzamento per l'impegno con cui curate il rilancio della partecipazione liturgica-sacramentale, della catechesi, della formazione sacerdotale e della preparazione di un laicato maturo e responsabile, che sia fermento evangelico nelle famiglie e nella società civile. Purtroppo anche in Russia, come in altre parti del mondo, si registra la crisi della famiglia e il conseguente calo demografico, insieme con le altre problematiche che assillano la società contemporanea. Come è noto, tali problematiche preoccupano anche le Autorità statali, con le quali è perciò opportuno proseguire la collaborazione per il bene di tutti. In questo contesto giustamente la vostra attenzione si dirige specialmente ai giovani, ai quali la comunità cattolica russa, fedele alla "memoria" dei propri testimoni e martiri ed utilizzando opportuni strumenti e linguaggi, è chiamata a trasmettere inalterato il patrimonio di santità e di fedeltà a Cristo, e i valori umani e spirituali che sono alla base di un'efficace promozione umana ed evangelica.
Cari Fratelli nell'Episcopato, poiché non sono poche le preoccupazioni con cui vi dovete quotidianamente misurare, vi esorto a non scoraggiarvi se vi paiono talora modeste le realtà ecclesiali, e i risultati pastorali che ottenete non sembrano confacenti agli sforzi dispiegati. Alimentate, piuttosto, in voi e nei vostri collaboratori un autentico spirito di fede, con la consapevolezza tutta evangelica che Gesù Cristo non mancherà di rendere fecondo, con la grazia del suo Spirito, il vostro ministero per la gloria del Padre, secondo tempi e modalità che solo Lui conosce. Proseguite nel promuovere e nel curare, con costante impegno e attenzione, le vocazioni sacerdotali e religiose: quella delle vocazioni è una pastorale particolarmente necessaria in questo nostro tempo. Abbiate cura di formare presbiteri con la stessa sollecitudine di san Paolo verso il suo discepolo Timoteo, perché siano autentici "uomini di Dio" (cfr. 1 Tm 6, 11). Per loro siate padri e modelli nel servizio ai fratelli; incoraggiate la loro fraternità e amicizia e collaborazione; sosteneteli nella formazione permanente dottrinale e spirituale. Pregate per i sacerdoti e insieme con loro, sapendo che soltanto chi vive di Cristo e in Cristo può esserne fedele ministro e testimone. Ugualmente, abbiate a cuore la formazione delle persone consacrate e la crescita spirituale dei fedeli laici, affinché sentano la loro vita come una risposta alla chiamata universale alla santità, che deve esprimersi in una coerente testimonianza evangelica in ogni circostanza quotidiana.
Voi vivete in un contesto ecclesiale particolare, cioè in un Paese contrassegnato nella maggioranza della sua popolazione da una millenaria tradizione ortodossa con un ricco patrimonio religioso e culturale.

È essenziale tener conto della necessità di un rinnovato impegno nel dialogo con i nostri fratelli e sorelle ortodossi; sappiamo che questo dialogo, nonostante i progressi compiuti, conosce ancora alcune difficoltà.

In questi giorni mi sento spiritualmente vicino ai cari fratelli e sorelle della Chiesa Ortodossa Russa, che gioiscono per l'elezione del Metropolita Kirill a nuovo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie: a lui porgo i miei auguri più cordiali per il delicato compito ecclesiale che gli è stato affidato. Chiedo al Signore di confermarci tutti nell'impegno di camminare insieme sulla via della riconciliazione e dell'amore fraterno.
La vostra presenza in Russia sia un richiamo e uno stimolo al dialogo anche personale. Se nei vari incontri non si riesce sempre ad affrontare questioni di fondo, tuttavia tali contatti contribuiscono a una migliore conoscenza reciproca, grazie alla quale è possibile collaborare insieme in ambiti di comune interesse per l'educazione delle nuove generazioni. È importante che i cristiani affrontino uniti le grandi sfide culturali ed etiche del momento presente, concernenti la dignità della persona umana e i suoi diritti inalienabili, la difesa della vita in ogni sua fase, la tutela della famiglia e altre urgenti questioni economiche e sociali.
Cari Fratelli, lodo il Signore e vi sono profondamente grato per il bene che compite, svolgendo il vostro ministero episcopale in piena fedeltà al Magistero. Vi assicuro un quotidiano ricordo nella preghiera. Attraverso di voi giunga il mio ringraziamento ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai laici, che con voi collaborano al servizio di Cristo e del suo Vangelo. Invoco la materna intercessione della beata Vergine Maria e degli Apostoli Pietro e Paolo su di voi e sui vostri programmi apostolici, e di cuore imparto una speciale Benedizione Apostolica a ciascuno di voi, estendendola con affetto ai sacerdoti, ai religiosi e religiose e all'intera comunità cattolica che rende testimonianza a Cristo tra le popolazioni della Federazione Russa.

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(©L'Osservatore Romano - 30 gennaio 2009)

giovedì 29 gennaio 2009

Corriamo il rischio di cadere in un pessimismo antropologico che, alla luce dell’odierna situazione culturale, considera quasi impossibile sposarsi


UDIENZA AL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO, 29.01.2009

Alle ore 12 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza i Prelati Uditori, gli Officiali e gli Avvocati del Tribunale della Rota Romana in occasione della solenne inaugurazione dell’Anno giudiziario.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa ha loro rivolto e l’indirizzo di omaggio del Decano del Tribunale della Rota Romana, S.E. Mons. Antoni Stankiewicz
:

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Illustri Giudici, Officiali e Collaboratori
del Tribunale della Rota Romana
!

La solenne inaugurazione dell’attività giudiziaria del vostro Tribunale mi offre anche quest’anno la gioia di riceverne i degni componenti: Monsignor Decano, che ringrazio per il nobile indirizzo di saluto, il Collegio dei Prelati Uditori, gli Officiali del Tribunale e gli Avvocati dello Studio Rotale. A voi tutti rivolgo il mio saluto cordiale, insieme con l’espressione del mio apprezzamento per gli importanti compiti a cui attendete quali fedeli collaboratori del Papa e della Santa Sede.

Voi vi aspettate dal Papa, all’inizio del vostro anno di lavoro, una parola che vi sia luce e orientamento nel disimpegno delle vostre delicate mansioni.

Molteplici potrebbero essere gli argomenti su cui intrattenerci in questa circostanza, ma a vent’anni di distanza dalle allocuzioni di Giovanni Paolo II sull’incapacità psichica nelle cause di nullità matrimoniale, del 5 febbraio 1987 (AAS 79 [1987], pp. 1453-1459) e del 25 gennaio 1988 (AAS 80 [1988], pp. 1178-1185), sembra opportuno chiedersi in quale misura questi interventi abbiano avuto una recezione adeguata nei tribunali ecclesiastici. Non è questo il momento per tracciare un bilancio, ma è davanti agli occhi di tutti il dato di fatto di un problema che continua ad essere di grande attualità. In alcuni casi si può purtroppo avvertire ancora viva l’esigenza di cui parlava il mio venerato Predecessore: quella di preservare la comunità ecclesiale «dallo scandalo di vedere in pratica distrutto il valore del matrimonio cristiano dal moltiplicarsi esagerato e quasi automatico delle dichiarazioni di nullità, in caso di fallimento del matrimonio, sotto il pretesto di una qualche immaturità o debolezza psichica del contraente» (Allocuzione alla Rota Romana, 5.2.1987, cit., n. 9, p. 1458).

Nel nostro odierno incontro mi preme richiamare l’attenzione degli operatori del diritto sull’esigenza di trattare le cause con la doverosa profondità richiesta dal ministero di verità e di carità che è proprio della Rota Romana. All’esigenza del rigore procedurale, infatti, le summenzionate allocuzioni, in base ai principi dell’antropologia cristiana, forniscono i criteri di fondo non solo per il vaglio delle perizie psichiatriche e psicologiche, ma anche per la stessa definizione giudiziale delle cause. Al riguardo, è opportuno ricordare ancora alcune distinzioni che tracciano la linea di demarcazione innanzitutto tra «una maturità psichica che sarebbe il punto d’arrivo dello sviluppo umano», e «la maturità canonica, che è invece il punto minimo di partenza per la validità del matrimonio» (ibid., n. 6, p. 1457); in secondo luogo, tra incapacità e difficoltà, in quanto «solo l’incapacità, e non già la difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera comunità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio» (ibid., n. 7, p. 1457); in terzo luogo, tra la dimensione canonistica della normalità, che ispirandosi alla visione integrale della persona umana, «comprende anche moderate forme di difficoltà psicologica», e la dimensione clinica che esclude dal concetto di essa ogni limitazione di maturità e «ogni forma di psicopatologia» (Allocuzione alla Rota Romana, 25.1.1988, cit., n. 5, p. 1181); infine, tra la «capacità minima, sufficiente per un valido consenso» e la capacità idealizzata «di una piena maturità in ordine ad una vita coniugale felice» (ibid., n. 9, p. 1183).

Atteso poi il coinvolgimento delle facoltà intellettive e volitive nella formazione del consenso matrimoniale, il Papa Giovanni Paolo II, nel menzionato intervento del 5 febbraio 1987, riaffermava il principio secondo cui una vera incapacità «è ipotizzabile solo in presenza di una seria forma di anomalia che, comunque si voglia definire, deve intaccare sostanzialmente le capacità di intendere e/o di volere» (Allocuzione alla Rota Romana, cit., n. 7, p. 1457). Al riguardo, sembra opportuno ricordare che la norma codiciale sull’incapacità psichica nel suo aspetto applicativo è stata arricchita e integrata anche dalla recente Istruzione Dignitas connubii del 25 gennaio 2005. Essa, infatti, per l’avverarsi di tale incapacità richiede, già al tempo del matrimonio, la presenza di una particolare anomalia psichica (art. 209, § 1) che perturbi gravemente l’uso di ragione (art. 209, § 2, n. 1; can. 1095, n. 1), o la facoltà critica ed elettiva in relazione a gravi decisioni, particolarmente per quanto attiene alla libera scelta dello stato di vita (art. 209, § 2, n. 2; can. 1095, n. 2), o che provochi nel contraente non solo una grave difficoltà, ma anche l’impossibilità di far fronte ai compiti inerenti agli obblighi essenziali del matrimonio (art. 209, § 2, n. 3; can. 1095, n. 3).

In quest’occasione, tuttavia, vorrei altresì riconsiderare il tema dell’incapacità a contrarre matrimonio, di cui al canone 1095, alla luce del rapporto tra la persona umana e il matrimonio e ricordare alcuni principi fondamentali che devono illuminare gli operatori del diritto.

Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. Corriamo infatti il rischio di cadere in un pessimismo antropologico che, alla luce dell’odierna situazione culturale, considera quasi impossibile sposarsi. A parte il fatto che tale situazione non è uniforme nelle varie regioni del mondo, non si possono confondere con la vera incapacità consensuale le reali difficoltà in cui versano molti, specialmente i giovani, giungendo a ritenere che l’unione matrimoniale sia normalmente impensabile e impraticabile.

Anzi, la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il rilievo che ha sul piano della salvezza. Ciò che in definitiva è in gioco è la stessa verità sul matrimonio e sulla sua intrinseca natura giuridica (cfr Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 27.1.2007, AAS 99 [2007], pp. 86-91), presupposto imprescindibile per poter cogliere e valutare la capacità richiesta per sposarsi.

In questo senso, la capacità deve essere messa in relazione con ciò che è essenzialmente il matrimonio, cioè «l’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 48), e, in modo particolare, con gli obblighi essenziali ad essa inerenti, da assumersi da parte degli sposi (can. 1095, n. 3). Questa capacità non viene misurata in relazione ad un determinato grado di realizzazione esistenziale o effettiva dell’unione coniugale mediante l’adempimento degli obblighi essenziali, ma in relazione all’efficace volere di ciascuno dei contraenti, che rende possibile ed operante tale realizzazione già al momento del patto nuziale. Il discorso sulla capacità o incapacità, quindi, ha senso nella misura in cui riguarda l’atto stesso di contrarre matrimonio, poiché il vincolo messo in atto dalla volontà degli sposi costituisce la realtà giuridica dell’una caro biblica (Gn 2, 24; Mc 10, 8; Ef 5, 31; cfr can. 1061, § 1), la cui valida sussistenza non dipende dal successivo comportamento dei coniugi lungo la vita matrimoniale. Diversamente, nell’ottica riduzionistica che misconosce la verità sul matrimonio, la realizzazione effettiva di una vera comunione di vita e di amore, idealizzata su un piano di benessere puramente umano, diventa essenzialmente dipendente soltanto da fattori accidentali, e non invece dall’esercizio della libertà umana sorretta dalla grazia. È vero che questa libertà della natura umana, «ferita nelle sue proprie forze naturali» ed «inclinata al peccato» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 405), è limitata e imperfetta, ma non per questo è inautentica e insufficiente a realizzare quell’atto di autodeterminazione dei contraenti che è il patto coniugale, che dà vita al matrimonio e alla famiglia fondata su esso.

Ovviamente alcune correnti antropologiche «umanistiche», orientate all’autorealizzazione e all’autotrascendenza egocentrica, idealizzano talmente la persona umana e il matrimonio che finiscono per negare la capacità psichica di tante persone, fondandola su elementi che non corrispondono alle esigenze essenziali del vincolo coniugale. Dinanzi a queste concezioni, i cultori del diritto ecclesiale non possono non tener conto del sano realismo a cui faceva riferimento il mio venerato Predecessore (cfr Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 27.1.1997, n. 4, AAS 89 [1997], p. 488), perché la capacità fa riferimento al minimo necessario affinché i nubendi possano donare il loro essere di persona maschile e di persona femminile per fondare quel vincolo al quale è chiamata la stragrande maggioranza degli esseri umani. Ne segue che le cause di nullità per incapacità psichica esigono, in linea di principio, che il giudice si serva dell’aiuto dei periti per accertare l’esistenza di una vera incapacità (can. 1680; art. 203, § 1, DC), che è sempre un’eccezione al principio naturale della capacità necessaria per comprendere, decidere e realizzare la donazione di sé stessi dalla quale nasce il vincolo coniugale.

Ecco quanto, venerati componenti del Tribunale della Rota Romana, desideravo esporvi in questa circostanza solenne e a me sempre tanto gradita. Nell’esortarvi a perseverare con alta coscienza cristiana nell’esercizio del vostro ufficio, la cui grande importanza per la vita della Chiesa emerge anche dalla cose testé dette, vi auguro che il Signore vi accompagni sempre nel vostro delicato lavoro con la luce della sua grazia, di cui vuol essere pegno l’Apostolica Benedizione, che a ciascuno imparto con profondo affetto.

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INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO S.E. MONS. A. STANKIEWICZ

Beatissimo Padre,

Con filiale devozione e grande gioia desidero esprimere alla Santità Vostra, a nome dei Prelati Uditori, degli Officiali, degli Avvocati e dei Collaboratori del Tribunale della Rota Romana, profonda gratitudine per la concessione di questa Udienza inaugurale del nuovo Anno Giudiziario, tanto desiderata da tutti noi. L'incontro annuale con il Successore di Pietro e Giudice Supremo in tutto l'orbe cattolico (can. 1442), per l'autorità del Quale esercitiamo in modo vicario il munus iudicandi nelle cause a iure riservate alla Rota Romana (can. 1405, § 3) e affidate (can. 1444, § 2) o deferite ad essa per legittimo appello (can. 1444, § 1), illumina ed arricchisce la nostra singolare diaconia canonico-giudiziaria, pure di carattere pastorale, nei confronti di ogni fedele e di ogni uomo (cf. can. 1476) per la tutela dei loro legittimi diritti nella Chiesa, e, in modo specifico, di quei diritti che spettano loro nell'ambito dell'istituto matrimoniale e familiare.

Invero, il Vostro Magistero, Beatissimo Padre, in merito al matrimonio e alla famiglia, specialmente su ciò che è essenziale e costitutivo nella realtà matrimoniale, radicata «dentro l'essenza più profonda dell'essere umano» (Benedetto XVI, Discorso di apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, 6 giugno 2005; Insegnamenti, vol. I, Città del Vaticano 2006, p. 202), e su ciò che rientra nella capacità richiesta per la valida celebrazione del patto coniugale, costituisce una sicura «guida immediata» non solo per il nostro operato quotidiano presso il Tribunale Apostolico della Rota Romana, ma anche «per l'operato di tutti i Tribunali della Chiesa» (Benedetto XVI, Allocuzione alla Rota Romana, 26 gennaio 2008, AAS 100 [2008], p. 87). Infatti, al Magistero ecclesiale, che è «una fonte prioritaria per comprendere ed applicare rettamente il diritto matrimoniale canonico», spetta anche «l'interpretazione autentica della parola di Dio su queste realtà (cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 10), compresi i loro aspetti giuridici» (Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 27 gennaio 1997, AAS 89 [1997], p. 487), che vincola, quindi, anche le pronunce nelle cause di nullità matrimoniale, sottoposte alla verifica della fondatezza e al giudizio definitivo della giustizia ecclesiale.

Ma vi è di più. L'intervento del Magistero, auspicabile e non di rado perfino necessario, data la complessità della realtà antropologica e teologica del matrimonio, in modo immediato ed efficace contribuisce all'uniformità non solo delle decisioni giudiziali, ma anche della stessa giurisprudenza canonica fondata su di esse, alla quale fornisce un rilevante indirizzo interpretativo per l'accertamento della verità oggettiva nella retta amministrazione della giustizia della Chiesa in questo campo.

E proprio la giurisprudenza canonica così qualificata ottenne un elogio da parte del servo di Dio, Papa Paolo VI (Allocuzione alla Rota Romana, 31 gennaio 1974, AAS 66 [1974], p. 86), che lo espresse con le parole del celeberrimo giurista romano Ulpiano, sebbene riferibili antiquitus alla scienza del diritto, denominata iurisprudentia, e cioè: «divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia» (Ulp. 1 Reg. D. 1, 1, 10, 2). Questa mutuazione del significato enunciativo in favore del ruolo della giurisprudenza nell'ambito ecclesiale, fu dettata dalla ripercussione religiosa presente nel discernimento giudiziale del iustum atque iniustum, per cui «il senso sacrale della funzione giudiziaria ha sempre accompagnato nel processo storico della civiltà coloro che tale funzione hanno esercitato, ovvero su di essa hanno saggiamente discorso» (Paolo VI, Allocuzione, cit., p. 86).

D'altra parte, la Chiesa come realtà sacramentale, ossia l'universale salutis sacramentum, mediante la funzione giudiziaria esercitata nelle cause di nullità del matrimonio, dimostra il suo amore pastorale verso i fedeli che soffrono a causa di relazioni familiari difficili, trovandosi in una situazione matrimoniale irregolare, dissonante con il messaggio del Vangelo, e, di conseguenza, mette «a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza» (Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Familiaris consortio, n. 84). Tale ministero di carità richiede anche la consonanza con il ministero di verità, che conduce al giudizio sulle cose «secundum quod sunt» (cf. S. Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, q. 60, a. 4, ad 2), in quanto «la verità è la legge della giustizia» (Pio XII, Allocuzione alla Rota Romana, 1° ottobre 1942, AAS 34 [1942], p. 342).

Per questo motivo il discernimento canonico della realtà dei matrimoni falliti, e poi accusati di nullità nel foro ecclesiale, non può prescindere dalla dimensione della verità del matrimonio.

Questa verità, secondo l'insegnamento di Vostra Santità, non è «una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche», bensì «affonda le sue radici nella verità dell'uomo ed ha trovato la sua attuazione nella storia della salvezza, al cui centro sta la parola: `Dio ama il suo popolo'. La rivelazione biblica, infatti, è anzitutto espressione di una storia d'amore, la storia dell'alleanza di Dio con gli uomini: perciò la storia dell'amore e dell'unione di un uomo ed una donna nell'alleanza dei matrimonio ha potuto essere assunta da Dio quale simbolo della storia della salvezza» (Benedetto XVI, Discorso di apertura del Convegno ecclesiale, cit., p. 203).

Certamente le dolorose vicende umane della vita matrimoniale e familiare, raccontate dagli atti delle cause matrimoniali, riflettono spesso l'influsso sulla mentalità dei fedeli del crescente fenomeno della pluralizzazione dei percorsi matrimoniali e paramatrimoniali, alimentato dal relativismo, il quale, «non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura il proprio ‘Io’ con le sue voglie, e sotto l'apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l'uno dall'altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio ‘Io’» (ibid., p. 207).

Ma perfino nelle suddette «tendenze e sviluppi negativi» - come insegna la Santità Vostra - «questo legame profondo tra Dio e l'uomo, tra l'amore di Dio e l'amore umano, trova conferma». Infatti, con le stesse armi adoperate «per scacciare Dio dall'uomo, per allontanare Dio dallo sguardo e dal cuore dell'uomo», e per «liberare la natura da Dio», nello stesso tempo «si distrugge il disegno del Creatore e così la verità della nostra natura» (ibid., p. 204).

In una temperie marcata da tali tendenze, il nostro servizio ecclesiale nel campo giudiziale accompagna i fedeli che hanno intrapreso il percorso di conversione per regolare la loro situazione mediante l'accertamento della verità sul loro matrimonio nel processo canonico.

Beatissimo Padre!

In questo servizio cerchiamo di rendere il nostro operato «sempre più vicino ai fedeli». Affidandoci a Maria, Speculum Iustitiae, chiediamo di illuminarci con la Vostra augusta parola e di impartirci la Vostra Benedizione Apostolica per il nostro quotidiano impegno.

mercoledì 28 gennaio 2009

"Preghiamo perché i pastori della Chiesa acquisiscano sempre più sentimenti paterni, insieme teneri e forti, nella formazione della Casa di Dio..."


CICLO DI CATECHESI DEDICATE A SAN PAOLO APOSTOLO ED ALL'ANNO PAOLINO

GLI APOSTOLI NELLA CATECHESI DI PAPA BENEDETTO

ARTICOLI E COMMENTI SU SAN PAOLO APOSTOLO E L'ANNO PAOLINO

UDIENZA GENERALE: IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

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Vedi anche:

Le parole del Papa sulla Shoah e la remissione della scomunica ai Lefebvriani: il commento di Salvatore Izzo

L’UDIENZA GENERALE, 28.01.2009

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, riprendendo il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulle Lettere a Timoteo e a Tito.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

San Paolo XIX: La visione teologica delle Lettere pastorali a Timoteo e a Tito

Cari fratelli e sorelle,

le ultime Lettere dell'epistolario paolino, delle quali vorrei parlare oggi, vengono chiamate Lettere Pastorali, perché sono state inviate a singole figure di Pastori della Chiesa: due a Timoteo e una a Tito, collaboratori stretti di san Paolo.
In Timoteo l’Apostolo vedeva quasi un alter ego; infatti gli affidò delle missioni importanti (in Macedonia: cfr At 19,22; a Tessalonica: cfr 1 Ts 3,6-7; a Corinto: cfr 1 Cor 4,17; 16,10-11), e poi scrisse di lui un elogio lusinghiero: "Io non ho nessuno di animo uguale come lui, che sappia occuparsi così di cuore delle cose che vi riguardano" (Fil 2,20). Secondo la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, del IV secolo, Timoteo fu poi il primo Vescovo di Efeso (cfr 3,4). Quanto a Tito, anch'egli doveva essere stato molto caro all'Apostolo, che lo definisce esplicitamente "pieno di zelo... mio compagno e collaboratore" (2 Cor 8,17.23), anzi "mio vero figlio nella fede comune" (Tt 1,4). Egli era stato incaricato di un paio di missioni molto delicate nella Chiesa di Corinto, il cui risultato rincuorò Paolo (cfr 2 Cor 7,6-7.13; 8,6). In seguito, per quanto ci è tramandato, Tito raggiunse Paolo a Nicopoli nell’Epiro, in Grecia (cfr Tt 3,12), e fu poi da lui inviato in Dalmazia (cfr 2 Tm 4,10). Secondo la Lettera a lui indirizzata, egli risulta poi essere stato Vescovo di Creta (cfr Tt 1,5).

Le Lettere indirizzate a questi due Pastori occupano un posto tutto particolare all'interno del Nuovo Testamento. La maggioranza degli esegeti è oggi del parere che queste Lettere non sarebbero state scritte da Paolo stesso, ma la loro origine sarebbe nella "scuola di Paolo", e rifletterebbe la sua eredità per una nuova generazione, forse integrando qualche breve scritto o parola dell’Apostolo stesso.

Ad esempio, alcune parole della Seconda Lettera a Timoteo appaiono talmente autentiche da poter venire solo dal cuore e dalla bocca dell’Apostolo.

Senza dubbio la situazione ecclesiale che emerge da queste Lettere è diversa da quella degli anni centrali della vita di Paolo. Egli, adesso, in retrospettiva si autodefinisce "araldo, apostolo, e maestro" dei pagani nella fede e nella verità, (cfr 1 Tm 2,7; 2 Tm 1,11); si presenta come uno che ha ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo – così scrive – "ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta la sua magnanimità, perché io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna". (1 Tm 1,16).

Quindi essenziale è che realmente in Paolo, persecutore convertito dalla presenza del Risorto, appare la magnanimità del Signore a incoraggiamento per noi, per indurci a sperare e ad avere fiducia nella misericordia del Signore che, nonostante la nostra piccolezza, può fare cose grandi.

Oltre gli anni centrali della vita di Paolo vanno anche i nuovi contesti culturali qui presupposti. Infatti si fa allusione all'insorgenza di insegnamenti da considerare del tutto errati e falsi (cfr 1 Tm 4,1-2; 2 Tm 3,1-5), come quelli di chi pretendeva che il matrimonio non fosse buono (cfr 1 Tm 4,3a).

Vediamo come sia moderna questa preoccupazione, perché anche oggi si legge a volte la Scrittura come oggetto di curiosità storica e non come parola dello Spirito Santo, nella quale possiamo sentire la stessa voce del Signore e conoscere la sua presenza nella storia. Potremmo dire che, con questo breve elenco di errori presenti nelle tre Lettere, appaiono anticipati alcuni tratti di quel successivo orientamento erroneo che va sotto il nome di Gnosticismo (cfr 1 Tm 2,5-6; 2 Tm 3,6-8).

A queste dottrine l'autore fa fronte con due richiami di fondo. L'uno consiste nel rimando a una lettura spirituale della Sacra Scrittura (cfr 2 Tm 3,14-17), cioè a una lettura che la considera realmente come "ispirata" e proveniente dallo Spirito Santo, così che da essa si può essere "istruiti per la salvezza". Si legge la Scrittura giustamente ponendosi in colloquio con lo Spirito Santo, così da trarne luce "per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia" (2 Tm 3,16). In questo senso aggiunge la Lettera: "perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona" (2 Tm 3,17). L’altro richiamo consiste nell’accenno al buon "deposito" (parathéke): è una parola speciale delle Lettere pastorali con cui si indica la tradizione della fede apostolica da custodire con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi.

Questo cosiddetto "deposito" è quindi da considerare come la somma della Tradizione apostolica e come criterio di fedeltà all’annuncio del Vangelo.

E qui dobbiamo tenere presente che nelle Lettere pastorali come in tutto il Nuovo Testamento, il termine "Scritture" significa esplicitamente l’Antico Testamento, perché gli scritti del Nuovo Testamento o non c’erano ancora o non facevano ancora parte di un canone delle Scritture. Quindi la Tradizione dell’annuncio apostolico, questo "deposito", è la chiave di lettura per capire la Scrittura, il Nuovo Testamento. In questo senso, Scrittura e Tradizione, Scrittura e annuncio apostolico come chiave di lettura, vengono accostate e quasi si fondono, per formare insieme il "fondamento saldo gettato da Dio" (2 Tm 2,19). L’annuncio apostolico, cioè la Tradizione, è necessario per introdursi nella comprensione della Scrittura e cogliervi la voce di Cristo. Occorre infatti essere "tenacemente ancorati alla parola degna di fede, quella conforme agli insegnamenti ricevuti" (Tt 1,9). Alla base di tutto c'è appunto la fede nella rivelazione storica della bontà di Dio, il quale in Gesù Cristo ha manifestato concretamente il suo "amore per gli uomini", un amore che nel testo originale greco è significativamente qualificato come filanthropía (Tt 3,4; cfr 2 Tm 1,9-10); Dio ama l’umanità.

Nell’insieme, si vede bene che la comunità cristiana va configurandosi in termini molto netti, secondo una identità che non solo prende le distanze da interpretazioni incongrue, ma soprattutto afferma il proprio ancoraggio ai punti essenziali della fede, che qui è sinonimo di "verità" (1 Tm 2,4.7; 4,3; 6,5; 2 Tm 2,15.18.25; 3,7.8; 4,4; Tt 1,1.14). Nella fede appare la verità essenziale di chi siamo noi, chi è Dio, come dobbiamo vivere. E di questa verità (la verità della fede) la Chiesa è definita "colonna e sostegno" (1 Tm 3,15).

In ogni caso, essa resta una comunità aperta, dal respiro universale, la quale prega per tutti gli uomini di ogni ordine e grado, perché giungano alla conoscenza della verità: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità", perche "Gesù Cristo ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1 Tm 2,4-5). Quindi il senso dell’universalità, anche se le comunità sono ancora piccole, è forte e determinante per queste Lettere. Inoltre tale comunità cristiana "non parla male di nessuno" e "mostra ogni dolcezza verso tutti gli uomini" (Tt 3,2).

Questa è una prima componente importante di queste Lettere: l’universalità e la fede come verità, come chiave di lettura della Sacra Scrittura, dell’Antico Testamento e così si delinea una unità di annuncio e di Scrittura e una fede viva aperta a tutti e testimone dell’amore di Dio per tutti.

Un’altra componente tipica di queste Lettere è la loro riflessione sulla struttura ministeriale della Chiesa. Sono esse che per la prima volta presentano la triplice suddivisione di episcopi, presbiteri e diaconi (cfr 1 Tm 3,1-13; 4,13; 2 Tm 1,6; Tt 1,5-9). Possiamo osservare nelle Lettere pastorali il confluire di due diverse strutture ministeriali e così la costituzione della forma definitiva del ministero nella Chiesa. Nelle Lettere paoline degli anni centrali della sua vita, Paolo parla di "episcopi" (Fil 1,1), e di "diaconi": questa è la struttura tipica della Chiesa formatasi all’epoca nel mondo pagano. Rimane pertanto dominante la figura dell’apostolo stesso e perciò solo man mano si sviluppano gli altri ministeri.

Se, come detto, nelle Chiese formate nel mondo pagano abbiamo episcopi e diaconi, e non presbiteri, nelle Chiese formate nel mondo giudeo-cristiano i presbiteri sono la struttura dominante. Alla fine nelle Lettere pastorali, le due strutture si uniscono: appare adesso "l’episcopo", (il vescovo) (cfr 1 Tm 3,2; Tt 1,7), sempre al singolare, accompagnato dall’articolo determinativo "l’episcopo". E accanto a "l’episcopo" troviamo i presbiteri e i diaconi. Sempre ancora è determinante la figura dell’Apostolo, ma le tre Lettere, come ho già detto, sono indirizzate non più a comunità, ma a persone: Timoteo e Tito, i quali da una parte appaiono come Vescovi, dall’altra cominciano a stare al posto dell’Apostolo.

Si nota così inizialmente la realtà che più tardi si chiamerà "successione apostolica". Paolo dice con tono di grande solennità a Timoteo: "Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri" (1 Tim 4, 14). Possiamo dire che in queste parole appare inizialmente anche il carattere sacramentale del ministero.

E così abbiamo l’essenziale della struttura cattolica: Scrittura e Tradizione, Scrittura e annuncio, formano un insieme, ma a questa struttura, per così dire dottrinale, deve aggiungersi la struttura personale, i successori degli Apostoli, come testimoni dell’annuncio apostolico.

Importante infine notare che in queste Lettere la Chiesa comprende se stessa in termini molto umani, in analogia con la casa e la famiglia. Particolarmente in 1 Tm 3,2-7 si leggono istruzioni molto dettagliate sull'episcopo, come queste: egli dev'essere "irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria casa, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre... è necessario che egli goda buona testimonianza presso quelli di fuori".

Si devono notare qui soprattutto l'importante attitudine all'insegnamento (cfr anche 1 Tm 5,17), di cui si trovano echi anche in altri passi (cfr 1 Tm 6,2c; 2 Tm 3,10; Tt 2,1), e poi una speciale caratteristica personale, quella della "paternità".

L’episcopo infatti è considerato padre della comunità cristiana (cfr anche 1 Tm 3,15). Del resto l'idea di Chiesa come "casa di Dio" affonda le sue radici nell'Antico Testamento (cfr Nm 12,7) e si trova riformulata in Eb 3,2.6, mentre altrove si legge che tutti i cristiani non sono più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari della casa di Dio (cfr Ef 2,19).

Preghiamo il Signore e san Paolo perché anche noi, come cristiani, possiamo sempre più caratterizzarci, in rapporto alla società in cui viviamo, come membri della "famiglia di Dio". E preghiamo anche perché i pastori della Chiesa acquisiscano sempre più sentimenti paterni, insieme teneri e forti, nella formazione della Casa di Dio, della comunità, della Chiesa.

COMUNICAZIONI DEL SANTO PADRE

Dopo il saluto in polacco, il Papa ha aggiunto:

Prima dei saluti ai pellegrini italiani ho ancora tre comunicazioni da fare. La prima:

Ho appreso con gioia la notizia dell’elezione del metropolita Kirill a nuovo Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Invoco su di lui la luce dello Spirito Santo per un generoso servizio alla Chiesa ortodossa russa, affidandolo alla speciale protezione della Madre di Dio.

La seconda.

Nell’omelia pronunciata in occasione della solenne inaugurazione del mio Pontificato dicevo che è "esplicito" compito del Pastore "la chiamata all’unità", e commentando le parole evangeliche relative alla pesca miracolosa ho detto: "sebbene fossero così tanti i pesci, la rete non si strappò", proseguivo dopo queste parole evangeliche: "Ahimè, amato Signore, essa – la rete - ora si è strappata, vorremmo dire addolorati". E continuavo: "Ma no – non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa che non delude e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità che tu hai promesso…. Non permettere, Signore, che la tua rete si strappi e aiutaci ad essere servitori dell’unità".

Proprio in adempimento di questo servizio all’unità, che qualifica in modo specifico il mio ministero di Successore di Pietro, ho deciso giorni fa di concedere la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro Vescovi ordinati nel 1988 da Mons. Lefebvre senza mandato pontificio.

Ho compiuto questo atto di paterna misericordia, perché ripetutamente questi Presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare.

Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II.

La terza comunicazione.

In questi giorni nei quali ricordiamo la Shoah, mi ritornano alla memoria le immagini raccolte nelle mie ripetute visite ad Auschwitz, uno dei lager nei quali si è consumato l’eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso. Mentre rinnovo con affetto l’espressione della mia piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza, auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo. La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti. Nessun uomo è un’isola, ha scritto un noto poeta. La Shoah insegni specialmente sia alle vecchie sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell’ascolto e del dialogo, dell’amore e del perdono conduce i popoli, le culture e le religioni del mondo all’auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell’uomo!

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

martedì 27 gennaio 2009

Il Papa all'Ambasciatore di Francia: I progressi della scienza devono servire l'uomo


VIAGGIO APOSTOLICO IN FRANCIA (12-15 SETTEMBRE 2008): LO SPECIALE DEL BLOG

Il discorso di Benedetto XVI al nuovo Ambasciatore di Francia

I progressi della scienza devono servire l'uomo

Benedetto XVI ha ricevuto nella mattina di lunedì 26 gennaio, alle ore 11, in solenne udienza, Sua Eccellenza il Signor Stanislas Lefebvre de Laboulaye, nuovo Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, il quale ha presentato le Lettere con le quali viene accreditato nell'alto ufficio.
Sua Eccellenza l'Ambasciatore, rilevato alla sua residenza da un Gentiluomo di Sua Santità e da un Addetto di Anticamera, è giunto alle 10.45 al Cortile di San Damaso, nel Palazzo Apostolico Vaticano, ove un reparto della Guardia Svizzera Pontificia rendeva gli onori.
Al ripiano degli ascensori, l'Ambasciatore era ricevuto da un Gentiluomo di Sua Santità e subito dopo saliva alla seconda Loggia, dove si trovavano ad attenderlo gli Addetti di Anticamera e i Sediari. Dalla seconda Loggia il corteo si dirigeva alla Sala Clementina, dove l'Ambasciatore veniva ricevuto dal prefetto della Casa Pontificia, l'arcivescovo James Michael Harvey, il quale lo introduceva alla presenza del Pontefice nella Biblioteca privata. $\Dopo la presentazione delle Credenziali da parte dell'Ambasciatore avevano luogo lo scambio dei discorsi e, quindi, il colloquio privato.
Dopo l'udienza, nella Sala Clementina l'Ambasciatore prendeva congedo dal prefetto della Casa Pontificia e si recava a far visita al cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato. Al termine del colloquio il Diplomatico discendeva nella basilica Vaticana: ricevuto da una delegazione del Capitolo, si recava dapprima nella Cappella del Santissimo Sacramento per un breve atto di adorazione; passava poi a venerare l'immagine della Beatissima Vergine e, quindi, la tomba di San Pietro.
Al termine della visita l'Ambasciatore prendeva congedo dalla delegazione del Capitolo, quindi, alla Porta della Preghiera, prima di lasciare la basilica, si congedava dai dignitari che lo avevano accompagnato e faceva ritorno alla sua residenza
.

Questa è una nostra traduzione del discorso del Papa.

Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla, Eccellenza, in questa circostanza solenne della presentazione delle lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica francese presso la Santa Sede. Prima di tutto, le sarei grato se poteste porgere i miei saluti a Sua Eccellenza Nicolas Sarkozy, Presidente della Repubblica francese, e trasmettergli i voti cordiali che formulo per la sua persona, per la sua azione al servizio del Paese e anche per tutto il popolo francese.
È ancora viva in me la gioia di aver potuto, lo scorso anno, recarmi a Parigi e a Lourdes per celebrare il 150º anniversario delle apparizioni della Vergine Maria a Bernadette Soubirous. Desidero ribadire il mio ringraziamento al signor Presidente della Repubblica per il suo invito, come pure alle autorità politiche, civili e militari che hanno permesso il pieno successo di quel viaggio. La mia gratitudine va anche ai Pastori e ai fedeli cattolici che hanno reso possibile quei grandi raduni, rendendo testimonianza della capacità della fede di lasciare tranquillamente aperto lo spazio d'interiorità che esiste nell'uomo e di riunire fraternamente e gioiosamente grandi folle formate da uomini e donne tanto diversi.
Quei momenti hanno mostrato, se ce n'era bisogno, che la Comunità cattolica è una delle forze vive del vostro Paese. I fedeli hanno ben compreso e accolto con interesse e soddisfazione le parole del vostro Presidente che ha sottolineato come il contributo delle grandi famiglie spirituali costituisce per la vita della nazione una "grande ricchezza" che sarebbe una "follia" ignorare. La Chiesa è pronta a rispondere a questo invito e disponibile a operare in vista del bene comune.
L'anno prossimo si terrà in Francia un grande dibattito attorno alla bioetica. Sono lieto fin da ora che la missione parlamentare sulle questioni relative al termine della vita abbia offerto conclusioni sagge e piene di umanità, proponendo di intensificare gli sforzi per permettere di assistere meglio i malati. Auspico che quella stessa saggezza che riconosce il carattere intoccabile di ogni vita umana possa essere all'opera durante la revisione delle leggi sulla bioetica. I Pastori della Chiesa in Francia hanno abbondantemente lavorato e sono pronti a offrire un contributo di qualità al dibattito pubblico che si terrà. Di recente, il Magistero della Chiesa, da parte sua, ha voluto sottolineare, attraverso il documento Dignitas personae pubblicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, quanto i forti progressi scientifici devono sempre essere guidati dalla preoccupazione di servire il bene e la dignità inalienabile dell'essere umano.
Come ovunque nel mondo, il Governo del suo Paese deve oggi far fronte alla crisi economica: auspico che le misure previste si preoccupino in modo particolare di favorire la coesione sociale, di proteggere le popolazioni più fragili e soprattutto di ridare al maggior numero possibile di persone la capacità e l'opportunità di divenire attori di un'economia realmente creatrice di servizi e di vere ricchezze. Queste difficoltà sono una dolorosa fonte di preoccupazione e di sofferenza per molti, ma sono anche un'opportunità per risanare i meccanismi finanziari, per far progredire il funzionamento dell'economia verso una maggiore attenzione all'uomo e per ridurre le forme vecchie e nuove di povertà (cfr. Discorso all'Eliseo, 12 settembre 2008).
La Chiesa desidera testimoniare Cristo mettendosi al servizio di ogni uomo. Per questo motivo, sono lieto dell'accordo che lei stesso ha menzionato prima e che è stato appena firmato fra la Francia e la Santa Sede sul riconoscimento dei diplomi rilasciati dalle università pontificie e dagli istituti cattolici. Di questo accordo, che s'inscrive nel quadro del processo di Bologna, beneficeranno numerosi studenti francesi e stranieri. Esso mette in evidenza il grande contributo, soprattutto nel campo dell'educazione, della Chiesa che si preoccupa della formazione dei giovani affinché acquisiscano le competenze tecniche adeguate per esercitare in futuro le loro capacità, e ricevano anche una formazione che li porti a essere vigili per affrontare la dimensione etica di ogni responsabilità.
Poco tempo fa, le autorità francesi hanno espresso ancora una volta la loro forte volontà di dotarsi di meccanismi di discussione e di rappresentanza dei culti. A tale riguardo, nel mio viaggio in Francia, mi sono potuto congratulare per la messa in atto dell'istanza ufficiale di dialogo fra il Governo francese e la Chiesa cattolica. Conosco, inoltre, la preoccupazione permanente dei Vescovi francesi di creare le condizioni per un dialogo sereno e permanente con tutte le comunità religiose e tutte le correnti di pensiero. Li ringrazio perché si preoccupano così di assicurare le basi di un dialogo interculturale e interreligioso in cui le diverse comunità religiose abbiano l'opportunità di dimostrare di essere fattori di pace. In effetti, come ho voluto sottolineare dal palco dell'Onu, riconoscendo il valore trascendente di ogni essere umano, lungi dal mettere gli uomini gli uni contro gli altri, esse favoriscono la conversione del cuore "che poi porta a un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo o alla guerra, e di promuovere la giustizia e la pace" (18 aprile 2008).
A tale proposito, lei, signor Ambasciatore, ha ricordato le numerosi crisi che segnano oggi la scena internazionale. È noto - e io ho avuto l'occasione di ricordarlo nel mio recente discorso al Corpo diplomatico - che la Santa Sede segue con costante preoccupazione le situazioni di conflitto e i casi di violazione dei diritti umani, e non dubita che la comunità internazionale, dove la Francia svolge un ruolo importante, possa apportare il suo contributo sempre più giusto ed efficace a favore della pace e della concordia fra le nazioni e per lo sviluppo di ogni Paese.
Desidero cogliere l'occasione del nostro incontro per salutare cordialmente, per mezzo di lei, le comunità di fedeli cattolici che vivono in Francia. So che quest'anno la loro gioia sarà grande nel vedere canonizzata la beata Jeanne Jugan, fondatrice della Congregazione delle Piccole Sorelle dei Poveri. Molti francesi sono in effetti debitori della testimonianza umile e salda di carità resa dalle religiose che hanno seguito i suoi passi per servire soprattutto le persone povere e anziane.
Questo evento mostrerà, ancora una volta, quanto la fede viva sia prodiga di opere buone, quanto la santità sia un balsamo benefico per le piaghe dell'umanità.
Mentre lei inaugura la sua nobile missione di rappresentanza presso la Santa Sede, desidero onorare la memoria del suo predecessore, Sua Eccellenza Bernard Kessedjian, rendendo omaggio alle qualità umane che ha dimostrato nella sua missione al servizio delle relazioni fra la Francia e la Santa Sede. Lo affido con riconoscenza, insieme ai suoi cari, alla tenerezza del Signore.
Signor Ambasciatore, le formulo i miei voti migliori per il felice svolgimento della sua missione. Sia certo che troverà sempre presso i miei collaboratori l'accoglienza e la comprensione di cui potrà aver bisogno. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori, come pure sull'intero popolo francese e sui suoi dirigenti, invoco di tutto cuore l'abbondanza delle Benedizioni divine.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

(©L'Osservatore Romano - 26-27 gennaio 2009)

lunedì 26 gennaio 2009

Il Signore si rivolge ai membri della sua Chiesa e chiamando ciascuno per nome domanda: perché mi hai diviso? Perché hai ferito l'unità del mio corpo?


ANGELUS E VESPRI: I VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Grazie al nostro amico Alfonso possiamo leggere il testo dell'omelia pronunciata ieri sera dal Papa.

CELEBRAZIONE DEI VESPRI NELLA SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO APOSTOLO, A CONCLUSIONE DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI, 25.01.2009

Alle 17.30 di questo pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione dei secondi Vespri della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: Che formino una cosa sola nella tua mano (Ez 37,17).
Prendono parte alla celebrazione Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso del rito
:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

è grande ogni volta la gioia di ritrovarci presso il sepolcro dell'apostolo Paolo, nella memoria liturgica della sua Conversione, per concludere la Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani. Vi saluto tutti con affetto. In modo particolare saluto il Cardinale Cordero Lanza di Montezemolo, l'Abate e la Comunità dei monaci che ci ospitano.
Saluto pure il Cardinale Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Con lui saluto i Signori Cardinali presenti, i Vescovi e i Pastori delle diverse Chiese e Comunità ecclesiali, qui convenuti stasera. Una parola di speciale riconoscenza va a quanti hanno collaborato nella preparazione dei sussidi per la preghiera, vivendo in prima persona l'esercizio del riflettere e confrontarsi nell'ascolto gli uni degli altri e, tutti insieme, della Parola di Dio.
La conversione di san Paolo ci offre il modello e ci indica la via per andare verso la piena unità.

L'unità infatti richiede una conversione: dalla divisione alla comunione, dall'unità ferita a quella risanata e piena. Questa conversione è dono di Cristo risorto, come avvenne per san Paolo. Lo abbiamo sentito dalle stesse parole dell'Apostolo nella lettura poc'anzi proclamata: "Per grazia di Dio sono quello che sono" (1 Cor 15,10).

Lo stesso Signore, che chiamò Saulo sulla via di Damasco, si rivolge ai membri della sua Chiesa – che è una e santa – e chiamando ciascuno per nome domanda: perché mi hai diviso? perché hai ferito l'unità del mio corpo?

La conversione implica due dimensioni. Nel primo passo si conoscono e riconoscono nella luce di Cristo le colpe, e questo riconoscimento diventa dolore e pentimento, desiderio di un nuovo inizio. Nel secondo passo si riconosce che questo nuovo cammino non può venire da noi stessi.

Consiste nel farsi conquistare da Cristo. Come dice san Paolo: " … mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo" (Fil 3,12).

La conversiones esige il nostro sì, il mio "correre"; non è ultimamente un'attività mia, ma dono, un lasciarsi formare da Cristo; è morte e risurrezione. Perciò san Paolo non dice: "Mi sono convertito", ma dice "sono morto" (Gal 2,19), sono una nuova creatura.

In realtà, la conversione di san Paolo non fu un passaggio dall'immoralità alla moralità, da una fede sbagliata ad una fede corretta, ma fu l'essere conquistato dall'amore di Cristo: la rinuncia alla propria perfezione, fu l'umiltà di chi si mette senza riserva al servizio di Cristo per i fratelli. E solo in questa rinuncia a noi stessi, in questa conformità con Cristo siamo uniti anche tra di noi, diventiamo "uno" in Cristo. E' la comunione col Cristo risorto che ci dona l'unità.

Possiamo osservare un'interessante analogia con la dinamica della conversione di san Paolo anche meditando sul testo biblico del profeta Ezechiele (37,15-28) prescelto quest'anno come base della nostra preghiera. In esso, infatti, viene presentato il gesto simbolico dei due Leoni riuniti in uno nella mano del profeta, che con questo gesto rappresenta l'azione futura di Dio. E' la seconda parte del capitolo 37, che nella prima parte contiene la celebre visione delle ossa aride e della risurrezione d'Israele, operata dallo Spirito di Dio.

Come non notare che il segno profetico della riunificazione del popolo d'Israele viene posto dopo il grande simbolo delle ossa aride vivificate dallo Spirito? Ne deriva uno schema teologico analogo a quello della conversiones di san Paolo: al primo posto sta la potenza di Dio, che col suo Spirito opera la risurrezione come una nuova creazione. Questo Dio, che è il Creatore ed è in grado di risuscitare i morti, è anche capace di ricondurre all'unità il popolo diviso in due.

Paolo – come e più di Ezechiele – diventa strumento eletto della predicazione dell'unità conquistata da Gesù mediante la croce e la risurrezione: l'unità tra i giudei e i pagani, per formare un solo popolo nuovo. La risurrezione di Cristo estende il perimetro dell'unità: non solo unità delle tribù di Israele, ma unità di ebrei e pagani (cfr Ef 2; Gv 10,16); unificazione dell'umanità dispersa dal peccato e ancor più unità di tutti i credenti in Cristo.
La scelta di questo brano del profeta Ezechiele la dobbiamo ai fratelli della Corea, i quali si sono sentiti fortemente interpellati da questa pagina biblica, sia in quanto coreani, sia in quanto cristiani. Nella divisione del popolo ebreo in due regni si sono rispecchiati come figli di un'unica terra, che le vicende politiche hanno separato, parte al nord e parte al sud. E questa loro esperienza umana li ha aiutati a comprendere meglio il dramma della divisione tra cristiani. Ora, alla luce di questa Parola di Dio che i nostri fratelli coreani hanno scelto e proposto a tutti, emerge una verità piena di speranza: Dio promette al suo popolo una nuova unità, che debe essere segno e strumento di riconciliazione e di pace anche sul piano storico, per tutte le nazioni.
L'unità che Dio dona alla sua Chiesa, e per la quale noi preghiamo, è naturalmente la comuniones in senso spirituale, nella fede e nella carità; ma noi sappiamo che questa unità in Cristo è fermento di fraternità anche sul piano sociale, nei rapporti tra le nazioni e per l'intera famiglia umana.
E' il lievito del Regno di Dio che fa crescere tutta la pasta (cfr Mt 13,33). In questo senso, la preghiera che eleviamo in questi giorni, riferendosi alla profezia di Ezechiele, si è fatta anche intercessione per le diverse situazioni di conflitto che al presente affliggono l'umanità.

Là dove le parole umane diventano impotenti, perché prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la forza profetica della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace è possibile, e che dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace. Perciò la nostra preghiera per l'unità e per la pace chiede sempre di essere comprovata da gesti coraggiosi di riconciliazione tra noi cristiani.

Penso ancora alla Terra Santa: quanto è importante che i fedeli che vivono là, come pure i pellegrini che vi si recano, offrano a tutti la testimonianza che la diversità dei riti e delle tradizioni non dovrebbe costituire un ostacolo al mutuo rispetto e alla carità fraterna.

Nelle diversità legittime di posizioni diverse dobbiamo cercare l'unità nella fede, nel nostro "sì" fondamentale a Cristo e alla sua unica Chiesa. E così le diversità non saranno più ostacolo che ci separa, ma ricchezza nella molteplicità delle espressioni della fede comune.

Vorrei concludere questa mia riflessione facendo riferimento ad un avvenimento che i più anziani tra noi certamente non dimenticano. Il 25 gennaio del 1959, esattamente cinquant'anni or sono, il beato Papa Giovanni XXIII manifestò per la prima volta in questo luogo la sua volontà di convocare "un Concilio ecumenico per la Chiesa universale" (AAS LI [1959], p. 68).

Fece questo annuncio ai Padri Cardinali, nella Sala capitolare del Monastero di San Paolo, dopo aver celebrato la Messa solenne nella Basilica.

Da quella provvida decisione, suggerita al mio venerato Predecessore, secondo la sua ferma convinzione, dallo Spirito Santo, è derivato anche un fondamentale contributo all'ecumenismo, condensato nel Decreto Unitatis redintegratio.

In esso, tra l'altro, si legge: "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione; poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento della mente (cfr Ef 4,23), dall'abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità" (n. 7). L'atteggiamento di conversiones interiore in Cristo, di rinnovamento spirituale, di accresciuta carità verso gli altri cristiani ha dato luogo ad una nuova situazione nelle relazioni ecumeniche. I frutti dei dialoghi teologici, con le loro convergenze e con la più precisa identificazione delle divergenze che ancora permangono, spingono a proseguire coraggiosamente in due direzioni: nella ricezione di quanto positivamente è stato raggiunto e in un rinnovato impegno verso il futuro. Opportunamente il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, che ringrazio per il servizio che rende alla causa dell'unità di tutti i discepoli del Signore, ha recentemente riflettuto sulla ricezione e sul futuro del dialogo ecumenico. Tale riflessione, se da una parte vuole giustamente valorizzare quanto è stato acquisito, dall'altra intende trovare nuove vie per la continuazione delle relazioni fra le Chiese e Comunità ecclesiali nel contesto attuale.

Rimane aperto davanti a noi l'orizzonte della piena unità. Si tratta di un compito arduo, ma entusiasmante per i cristiani che vogliono vivere in sintonia con la preghiera del Signore: "che tutti siano uno, affinché il mondo creda" (Gv 17,21).

Il Concilio Vaticano II ci ha prospettato che "il santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane" (UR, 24).
Facendo affidamento sulla preghiera del Signore Gesù Cristo, e incoraggiati dai significativi passi compiuti dal movimento ecumenico, invochiamo con fede lo Spirito Santo perché continui ad illuminare e guidare il nostro cammino. Ci sproni e ci assista dal cielo l'apostolo Paolo, che tanto ha faticato e sofferto per l'unità del corpo mistico di Cristo; ci accompagni e ci sostenga la Beata Vergine Maria, Madre dell'unità della Chiesa.

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domenica 25 gennaio 2009

Noi cristiani non abbiamo ancora conseguito la mèta della piena unità,ma se ci lasciamo continuamente convertire dal Signore,vi giungeremo sicuramente


ANGELUS DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

ANGELUS E VESPRI: I VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Vedi anche:

Il Papa all'Angelus dà la parola a Miriam, "bambina eritrea, oggi romana" (Repubblica)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 25.01.2009

Alle ore 12 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Presenti oggi, tra gli altri, i Ragazzi dell’Azione Cattolica della diocesi di Roma che concludono con la "Carovana della Pace" il mese di gennaio da loro tradizionalmente dedicato al tema della pace. Al termine della preghiera dell’Angelus due bambini, invitati nell’appartamento pontificio, liberano dalla finestra due colombe, simbolo di pace.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana
:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Nel Vangelo di questa Domenica risuonano le parole della prima predicazione di Gesù in Galilea: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo" (Mc 1,15). E proprio oggi, 25 gennaio, si fa memoria della "Conversione di san Paolo". Una coincidenza felice – specialmente in questo Anno Paolino – grazie alla quale possiamo comprendere il vero significato della conversione evangelica – metànoia – guardando all’esperienza dell’Apostolo.
Per la verità, nel caso di Paolo, alcuni preferiscono non usare il termine conversione, perché – dicono - egli era già credente, anzi ebreo fervente, e perciò non passò dalla non-fede alla fede, dagli idoli a Dio, né dovette abbandonare la fede ebraica per aderire a Cristo. In realtà, l’esperienza dell’Apostolo può essere modello di ogni autentica conversione cristiana.

Quella di Paolo maturò nell’incontro col Cristo risorto; fu questo incontro a cambiargli radicalmente l’esistenza. Sulla via di Damasco accadde per lui quello che Gesù chiede nel Vangelo di oggi: Saulo si è convertito perché, grazie alla luce divina, "ha creduto nel Vangelo". In questo consiste la sua e la nostra conversione: nel credere in Gesù morto e risorto e nell’aprirsi all’illuminazione della sua grazia divina. In quel momento Saulo comprese che la sua salvezza non dipendeva dalle opere buone compiute secondo la legge, ma dal fatto che Gesù era morto anche per lui – il persecutore – ed era, ed è, risorto. Questa verità, che grazie al Battesimo illumina l’esistenza di ogni cristiano, ribalta completamente il nostro modo di vivere.

Convertirsi significa, anche per ciascuno di noi, credere che Gesù "ha dato se stesso per me", morendo sulla croce (cfr Gal 2,20) e, risorto, vive con me e in me. Affidandomi alla potenza del suo perdono, lasciandomi prendere per mano da Lui, posso uscire dalle sabbie mobili dell’orgoglio e del peccato, della menzogna e della tristezza, dell’egoismo e di ogni falsa sicurezza, per conoscere e vivere la ricchezza del suo amore.

Cari amici, l’invito alla conversione, avvalorato dalla testimonianza di san Paolo, risuona oggi, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, particolarmente importante anche sul piano ecumenico. L’Apostolo ci indica l’atteggiamento spirituale adeguato per poter progredire nella via della comunione. "Non ho certo raggiunto la mèta – egli scrive ai Filippesi –, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù" (Fil 3,12).

Certo, noi cristiani non abbiamo ancora conseguito la mèta della piena unità, ma se ci lasciamo continuamente convertire dal Signore Gesù, vi giungeremo sicuramente.

La Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa una e santa, ci ottenga il dono di una vera conversione, perché quanto prima si realizzi l’anelito di Cristo: "Ut unum sint". A Lei affidiamo l’incontro di preghiera che presiederò questo pomeriggio nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, ed a cui parteciperanno, come ogni anno, i rappresentanti delle Chiese e Comunità ecclesiali presenti a Roma.

DOPO L’ANGELUS

Ricorre oggi la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra, iniziata 55 anni fa da Raoul Follereau. La Chiesa, sulle orme di Gesù, ha sempre un’attenzione particolare per le persone segnate da questa malattia, come testimonia anche il messaggio diffuso qualche giorno fa dal Pontificio Consiglio della Pastorale della Salute. Mi rallegro che le Nazioni Unite, con una recente Dichiarazione dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani, abbiano sollecitato gli Stati alla tutela dei malati di lebbra e dei loro familiari. Da parte mia, assicuro ad essi la mia preghiera e rinnovo l’incoraggiamento a quanti lottano con loro per la piena guarigione e un buon inserimento sociale.

I popoli di vari Paesi dell’Asia Orientale si preparano a celebrare il capodanno lunare. Auguro a loro di vivere questa festa nella gioia. La gioia è l’espressione dell’essere in armonia con se stessi: e ciò può derivare solo dall’essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Che la gioia sia sempre viva nel cuore di tutti i cittadini di quelle Nazioni, a me tanto care, e si irradi sul mondo!

Ed ora saluto con grande affetto i bambini e i ragazzi dell’Azione Cattolica di Roma e di alcune parrocchie e scuole della città, che hanno dato vita alla tradizionale "Carovana della Pace". Saluto il Cardinale Vicario che li ha accompagnati. Cari ragazzi, vi ringrazio per la vostra fedeltà all’impegno per la pace, un impegno fatto non tanto di parole, ma di scelte e di gesti, come dirà un vostro rappresentante, a cui ora lascio la parola.

[Messaggio letto da un ragazzo dell’ACR]

Cari ragazzi, con l’aiuto di Gesù siate sempre costruttori di pace a casa, a scuola, nello sport e dappertutto. Grazie ancora!

Avec la fête de la conversion de saint Paul, chers frères et sœurs francophones, se termine la Semaine de Prière pour l’Unité des Chrétiens. Depuis sa rencontre bouleversante avec le Christ sur le chemin de Damas, saint Paul est devenu pour nous le modèle parfait du disciple. Soyons comme lui des témoins intrépides de l’amour invincible du Seigneur. Il me plaît de saluer, aujourd’hui, l’Union Internationale des Associations Raoul Follereau qui continue son œuvre de charité auprès des lépreux en luttant contre cette maladie et toutes les formes de pauvreté. Avec ma Bénédiction Apostolique.

I am pleased to greet all the English-speaking pilgrims gathered for this Angelus. Today the Church celebrates the Feast of the Conversion of Saint Paul. In this year dedicated to the Apostle of all Nations, and in this Week of Prayer for Christian Unity, let us implore the Lord to help us achieve the full unity of his Body once more!

Today I also wish to mention this year’s Message for World Communications Day which was released on the eve of the Feast of Saint Francis de Sales, Patron Saint of Journalists. The Message concerns the new technologies which have made the internet a resource of utmost importance, especially for the so-called "digital generation". Undoubtedly, wise use of communications technology enables communities to be formed in ways that promote the search for the true, the good and the beautiful, transcending geographical boundaries and ethnic divisions. To this end, the Vatican has launched a new initiative which will make information and news from the Holy See more readily accessible on the world wide web. It is my hope that this initiative will enrich a wide range of people – including those who have yet to find a response to their spiritual yearning – through the knowledge and love of Jesus Christ whose message of Good News the Church bears to the ends of the earth (cf. Mt 28:20)!

Mit Freude grüße ich die Pilger und Besucher deutscher Sprache. Die Kirche feiert am 25. Januar das Fest der Bekehrung des Apostels Paulus. Im Paulusjahr wollen wir dieses Gedenken auch am heutigen Sonntag begehen. Die Begegnung des glaubenseifrigen Juden Saulus mit dem auferstandenen Christus wird ihm zur Lebenswende. Paulus läßt die Erkenntnis des lebendigen Herrn nicht kalt, sondern macht ihn zum feurigen Boten des Evangeliums. Auch in uns will Christus durch sein Wort das Feuer seiner Liebe entfachen. Er will uns zu Aposteln des Heils in der Welt machen. Der Heilige Geist leite euch dabei und schenke euch wirkliche, bleibende Freude.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los fieles de las parroquias de San Bartolomé, San Andrés y Nuestra Señora de los Ángeles, de Murcia, presentes en esta oración mariana. La invitación a la conversión y a la fe en el Evangelio, que Jesús proclamó al comienzo de su ministerio público, no ha perdido su actualidad y nos recuerda que también nosotros estamos llamados a dejar todo lo que sea contrario a nuestra condición de discípulos del Señor y a identificarnos cada vez más con sus sentimientos. Que a ello nos ayude el ejemplo del Apóstol san Pablo, que acogió con docilidad la Palabra de Cristo y la puso en práctica con fidelidad y coherencia. Feliz domingo.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Obchodzimy dziś wspomnienie nawrócenia św. Pawła Apostoła. W tym dniu szczególnie przemawia do nas wezwanie Chrystusa: „Czas się wypełnił i bliskie jest królestwo Boże. Nawracajcie się i wierzcie w Ewangelię" (Mk 1, 15). Na drodze realizacji tego wezwania niech towarzyszy wszystkim Boża łaska i błogosławieństwo.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Commemoriamo oggi la conversione di San Paolo Apostolo. In questo giorno particolarmente eloquente è per noi l’appello di Cristo: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15). Sul cammino della realizzazione di quest’invito accompagni tutti la grazia e la benedizione di Dio.]

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i fedeli provenienti da Pistoia e da Scandicci. A tutti auguro una buona domenica.

Ed ora liberiamo le colombe della pace portate dai ragazzi di Roma.

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venerdì 23 gennaio 2009

Le nuove tecnologie sono un vero dono per l’umanità: dobbiamo perciò far sì che i vantaggi che esse offrono siano messi al servizio di tutti...


E' NATO "THE VATICAN": ECCO IL CANALE DEL PAPA SU YOU TUBE

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 43a GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, 23.01.2009

Vedi anche:

Verso la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali. Presenti nel mondo digitale e fedeli al Vangelo (Osservatore Romano)

Il sacerdote e il mondo digitale: echi del messaggio di Benedetto XVI (Carmen Elena Villa)

Angela Ambrogetti: Il Papa su You Tube, niente di nuovo per i Cattolici. Articolo da leggere ed incorniciare!

La Rete e la Chiesa. Destinate a incontrarsi (Osservatore Romano)

Il Papa: internet è un dono e va condiviso

Il Papa arriva su YouTube e benedice internet (Izzo)

Da mezzogiorno di oggi Papa Benedetto XVI è su Youtube. Secondo Mons. Celli il Papa navigherebbe in internet (Ansa)

Presentato il canale youtube per la Santa Sede. Un nuovo spazio per incontrare l'uomo (Osservatore Romano)

Il Papa: il cyberspazio serva a promuovere rispetto e dialogo, non sfruttamento (AsiaNews)

Un nuovo continente. Il messaggio del Papa per la 43ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (Sir)

Azione pastorale e cultura digitale: intervista con Mons. Giuliodori (Sir)

Giovani e nuove tecnologie: la fiducia del Papa (Sir)

Da oggi Papa Ratzinger sarà su YouTube, il Vaticano lancia un canale (Apcom)

PAPA: IL VATICANO SBARCA SU YOUTUBE (Asca)

Chiesa sempre più hi-tech: il Papa sbarca anche su Google

Dalle 12 di oggi la parola di Benedetto XVI su “You Tube”. L’iniziativa presentata con il Messaggio del Papa per le comunicazioni sociali (R.V.)

Benedetto XVI loda le potenzialità della rete: "Impensabili per la generazione precedente"

La Santa Sede ha aperto un canale dedicato su YouTube. Il Papa: «Internet, dono per l'umanità» (Corriere)

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 43a GIORNATA MONDIALE DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, 23.01.2009

"Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia". Questo il tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la 43a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2009.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre:

TESTO ORIGINALE IN LINGUA ITALIANA

Nuove tecnologie, nuove relazioni.
Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia


Cari fratelli e sorelle,

in prossimità ormai della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mi è caro rivolgermi a voi per esporvi alcune mie riflessioni sul tema scelto per quest’anno: Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia.
In effetti, le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani.

Questi cambiamenti sono particolarmente evidenti tra i giovani che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuove tecniche di comunicazione e si sentono quindi a loro agio in un mondo digitale che spesso sembra invece estraneo a quanti di noi, adulti, hanno dovuto imparare a capire ed apprezzare le opportunità che esso offre per la comunicazione.

Nel messaggio di quest’anno, il mio pensiero va quindi in modo particolare a chi fa parte della cosiddetta generazione digitale: con loro vorrei condividere alcune idee sullo straordinario potenziale delle nuove tecnologie, se usate per favorire la comprensione e la solidarietà umana. Tali tecnologie sono un vero dono per l’umanità: dobbiamo perciò far sì che i vantaggi che esse offrono siano messi al servizio di tutti gli esseri umani e di tutte le comunità, soprattutto di chi è bisognoso e vulnerabile.

L’accessibilità di cellulari e computer, unita alla portata globale e alla capillarità di internet, ha creato una molteplicità di vie attraverso le quali è possibile inviare, in modo istantaneo, parole ed immagini ai più lontani ed isolati angoli del mondo: è, questa, chiaramente una possibilità impensabile per le precedenti generazioni.

I giovani, in particolare, hanno colto l’enorme potenziale dei nuovi media nel favorire la connessione, la comunicazione e la comprensione tra individui e comunità e li utilizzano per comunicare con i propri amici, per incontrarne di nuovi, per creare comunità e reti, per cercare informazioni e notizie, per condividere le proprie idee e opinioni.
Molti benefici derivano da questa nuova cultura della comunicazione: le famiglie possono restare in contatto anche se divise da enormi distanze, gli studenti e i ricercatori hanno un accesso più facile e immediato ai documenti, alle fonti e alle scoperte scientifiche e possono, pertanto, lavorare in équipe da luoghi diversi; inoltre la natura interattiva dei nuovi media facilita forme più dinamiche di apprendimento e di comunicazione, che contribuiscono al progresso sociale.

Sebbene sia motivo di meraviglia la velocità con cui le nuove tecnologie si sono evolute in termini di affidabilità e di efficienza, la loro popolarità tra gli utenti non dovrebbe sorprenderci, poiché esse rispondono al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre.

Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione.

Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri. In realtà, quando ci apriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondi e diventiamo più pienamente umani. Amare è, infatti, ciò per cui siamo stati progettati dal Creatore. Naturalmente, non parlo di passeggere, superficiali relazioni; parlo del vero amore, che costituisce il centro dell’insegnamento morale di Gesù: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" e "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (cfr Mc 12,30-31). In questa luce, riflettendo sul significato delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro indubbia capacità di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualità dei contenuti che esse sono chiamate a mettere in circolazione. Desidero incoraggiare tutte le persone di buona volontà, attive nel mondo emergente della comunicazione digitale, perché si impegnino nel promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia.

Pertanto, coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi.

Le nuove tecnologie hanno anche aperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni. La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri. Simili incontri, tuttavia, per essere fecondi, richiedono forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso. Il dialogo deve essere radicato in una ricerca sincera e reciproca della verità, per realizzare la promozione dello sviluppo nella comprensione e nella tolleranza. La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze: è piuttosto ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Occorre non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.

Il concetto di amicizia ha goduto di un rinnovato rilancio nel vocabolario delle reti sociali digitali emerse negli ultimi anni. Tale concetto è una delle più nobili conquiste della cultura umana. Nelle nostre amicizie e attraverso di esse cresciamo e ci sviluppiamo come esseri umani. Proprio per questo la vera amicizia è stata da sempre ritenuta una delle ricchezze più grandi di cui l’essere umano possa disporre. Per questo motivo occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia. Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano.

L’amicizia è un grande bene umano, ma sarebbe svuotato del suo valore, se fosse considerato fine a se stesso. Gli amici devono sostenersi e incoraggiarsi l’un l’altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servizio della comunità umana.
In questo contesto, è gratificante vedere l’emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione. Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire la comune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti. Ci si deve tuttavia preoccupare di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti possono essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti. Sarebbe un grave danno per il futuro dell’umanità, se i nuovi strumenti della comunicazione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera più rapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell’informazione e della socializzazione umana.

Vorrei concludere questo messaggio rivolgendomi, in particolare, ai giovani cattolici, per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede.

Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo. A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo "continente digitale". Sappiate farvi carico con entusiasmo dell’annuncio del Vangelo ai vostri coetanei! Voi conoscete le loro paure e le loro speranze, i loro entusiasmi e le loro delusioni: il dono più prezioso che ad essi potete fare è di condividere con loro la "buona novella" di un Dio che s’è fatto uomo, ha patito, è morto ed è risorto per salvare l’umanità. Il cuore umano anela ad un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità e dove l’identità di ciascuno sia realizzata in una comunione rispettosa. A queste attese la fede può dare risposta: siatene gli araldi! Il Papa vi è accanto con la sua preghiera e con la sua benedizione.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2009

BENEDICTUS PP. XVI

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