mercoledì 31 ottobre 2012

Il Papa: la Cappella Sistina, contemplata in preghiera, è ancora più bella, più autentica; si rivela in tutta la sua ricchezza. Qui tutto vive, tutto risuona a contatto con la Parola di Dio

VESPRI: VIDEO INTEGRALE

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La Cappella Sistina (Tg1)


La luce di Dio illumina gli affreschi della Cappella Sistina. Così il Papa celebrando i Vespri a 500 anni dall’inaugurazione della Volta


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La Cappella Sistina compie 500 anni. Non ci sarà il numero chiuso

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I 500 anni della Cappella Sistina (Zavattaro)



CELEBRAZIONE DEI VESPRI IN OCCASIONE DEL 500° ANNIVERSARIO DELL’INAUGURAZIONE DELLA CAPPELLA SISTINA, 31.10.2012

Alle ore 18 di questo pomeriggio, nella Cappella Sistina, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione dei primi Vespri della solennità di tutti i Santi, in occasione del 500° anniversario dell’Inaugurazione della Cappella.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Celebrazione:

OMELIA DEL SANTO PADRE 

Venerati Fratelli, 
cari fratelli e sorelle! 

In questa liturgia dei Primi Vespri della solennità di tutti i Santi, noi commemoriamo l’atto con cui, 500 anni or sono, il Papa Giulio II inaugurò l’affresco della volta di questa Cappella Sistina. Ringrazio il Cardinale Bertello per le parole che mi ha rivolto e saluto cordialmente tutti i presenti. 
Perché ricordare tale evento storico-artistico in una celebrazione liturgica? Anzitutto perché la Sistina è, per sua natura, un’aula liturgica, è la Cappella magna del Palazzo Apostolico Vaticano.
Inoltre, perché le opere artistiche che la decorano, in particolare i cicli di affreschi, trovano nella liturgia, per così dire, il loro ambiente vitale, il contesto in cui esprimono al meglio tutta la loro bellezza, tutta la ricchezza e la pregnanza del loro significato. E’ come se, durante l’azione liturgica, tutta questa sinfonia di figure prendesse vita, in senso certamente spirituale, ma inseparabilmente anche estetico, perché la percezione della forma artistica è un atto tipicamente umano e, come tale, coinvolge i sensi e lo spirito. 
In poche parole: la Cappella Sistina, contemplata in preghiera, è ancora più bella, più autentica; si rivela in tutta la sua ricchezza. Qui tutto vive, tutto risuona a contatto con la Parola di Dio. 
Abbiamo ascoltato il passo della Lettera agli Ebrei: «Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa…» (12,22-23). L’Autore si rivolge ai cristiani e spiega che per loro si sono realizzate le promesse dell’Antica Alleanza: una festa di comunione che ha per centro Dio, e Gesù, l’Agnello immolato e risorto (cfr vv. 23-24). Tutta questa dinamica di promessa e compimento noi l’abbiamo qui rappresentata negli affreschi delle pareti lunghe, opera dei grandi pittori umbri e toscani della seconda metà del Quattrocento. 
E quando il testo biblico prosegue dicendo che noi ci siamo accostati «all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione» (v. 23), il nostro sguardo si leva al Giudizio finale michelangiolesco, dove lo sfondo azzurro del cielo, richiamato nel manto della Vergine Maria, dona luce di speranza all’intera visione, assai drammatica. «Christe, redemptor omnium, / conserva tuos famulos, / beatæ semper Virginis / placatus sanctis precibus» - canta la prima strofa dell’Inno latino di questi Vespri. Ed è proprio ciò che noi vediamo: Cristo redentore al centro, coronato dai suoi Santi, e accanto a Lui Maria, in atto di supplice intercessione, quasi a voler mitigare il tremendo giudizio. 
Ma stasera la nostra attenzione va principalmente al grande affresco della volta, che Michelangelo, per incarico di Giulio II, realizzò in circa quattro anni, dal 1508 al 1512. Il grande artista, già celebre per capolavori di scultura, affrontò l’impresa di dipingere più di mille metri quadrati di intonaco, e possiamo immaginare che l’effetto prodotto su chi per la prima volta la vide compiuta dovette essere davvero impressionante. Da questo immenso affresco è precipitato sulla storia dell’arte italiana ed europea – dirà il Wölfflin nel 1899 con una bella e ormai celebre metafora – qualcosa di paragonabile a un «violento torrente montano portatore di felicità e al tempo stesso di devastazione»: nulla rimase più come prima. Giorgio Vasari, in un famoso passaggio delle Vite, scrive in modo molto efficace: «Questa opera è stata ed è veramente la lucerna dell’arte nostra, che ha fatto tanto giovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo». 
Lucerna, lume, illuminare: tre parole del Vasari che non saranno state lontane dal cuore di chi era presente alla Celebrazione dei Vespri di quel 31 ottobre 1512. Ma non si tratta solo di luce che viene dal sapiente uso del colore ricco di contrasti, o dal movimento che anima il capolavoro michelangiolesco, ma dall’idea che percorre la grande volta: è la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale. Quella luce che con la sua potenza vince il caos e l’oscurità per donare vita: nella creazione e nella redenzione. E la Cappella Sistina narra questa storia di luce, di liberazione, di salvezza, parla del rapporto di Dio con l’umanità. Con la geniale volta di Michelangelo, lo sguardo viene spinto a ripercorrere il messaggio dei Profeti, a cui si aggiungono le Sibille pagane in attesa di Cristo, fino al principio di tutto: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Con un’intensità espressiva unica, il grande artista disegna il Dio Creatore, la sua azione, la sua potenza, per dire con evidenza che il mondo non è prodotto dell’oscurità, del caso, dell’assurdo, ma deriva da un’Intelligenza, da una Libertà, da un supremo atto di Amore. In quell’incontro tra il dito di Dio e quello dell’uomo, noi percepiamo il contatto tra il cielo e la terra; in Adamo Dio entra in una relazione nuova con la sua creazione, l’uomo è in diretto rapporto con Lui, è chiamato da Lui, è a immagine e somiglianza di Dio. 
Vent’anni dopo, nel Giudizio Universale, Michelangelo concluderà la grande parabola del cammino dell’umanità, spingendo lo sguardo al compimento di questa realtà del mondo e dell’uomo, all’incontro definitivo con il Cristo Giudice dei vivi e dei morti. 
Pregare stasera in questa Cappella Sistina, avvolti dalla storia del cammino di Dio con l’uomo, mirabilmente rappresentata negli affreschi che ci sovrastano e ci circondano, è un invito alla lode, un invito ad elevare al Dio creatore, redentore e giudice dei vivi e dei morti, con tutti i Santi del Cielo, le parole del cantico dell’Apocalisse: «Amen, alleluia. […] Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi! […] Alleluia. […]  Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria» (19,4a.5.7a). Amen. 

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Il Papa: La nostra fede è veramente personale, solo se è comunitaria: può essere la mia fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede della Chiesa unica

CICLO DI CATECHESI IN OCCASIONE DELL'ANNO DELLA FEDE

ANNO DELLA FEDE (11 OTTOBRE 2012 - 24 NOVEMBRE 2013): LO SPECIALE DEL BLOG 

DISCORSI, MESSAGGI ED OMELIE DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELL'ANNO DELLA FEDE


UDIENZA GENERALE: VIDEO INTEGRALE

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE


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Il Papa: Ogni cristiano deve impegnarsi ad essere comunicatore della fede


Il Papa: la fede non è il prodotto di un mio pensiero (Sir)

Il Papa: relegare la fede nella sfera del privato contraddice la sua stessa natura (Ambrogetti)


Il Papa: oggi il tempo poteva essere anche peggiore. Gli sposi diano il giusto spazio alla preghiera (Izzo)


Il Papa all'udienza generale: la fede nasce e vive nella Chiesa, non è un fatto privato (R.V.)

Sandy: le vittime arrivano a 50. Il Papa: «Prego per loro» (Tempi)

Il Papa: la fede è veramente personale se il mio "io" sì unisce al "noi" della Chiesa (AsiaNews)


Sandy, il Papa: prego per le vittime ed esprimo solidarietà (Izzo)


Il Papa: "La fede non è fatto privato ma si vive nella comunità" (Speciale)


Il Papa: La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice la natura stessa della fede (Asca)

Il Papa: grazie alla fede possono diventare santi anche i peccatori. Credere è atto ecclesiale, c'è un'unica fede cristiana (Izzo)

Il Papa agli Italiani: Vi ringrazio per la pazienza nonostante il tempo brutto ma poteva essere peggiore...

Il Papa all'udienza generale: la fede non è dialogo privato con Gesù ma credere con e nella Chiesa


L’UDIENZA GENERALE,  31.10.2012


L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, nel nuovo ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede, ha incentrato la sua meditazione sulla fede della Chiesa.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA 

L'Anno della fede. La fede della Chiesa


Cari fratelli e sorelle,


continuiamo nel nostro cammino di meditazione sulla fede cattolica

La settimana scorsa ho mostrato come la fede sia un dono, perché è Dio che prende l’iniziativa e ci viene incontro; e così la fede è una risposta con la quale noi Lo accogliamo come fondamento stabile della nostra vita. E’ un dono che trasforma l’esistenza, perché ci fa entrare nella stessa visione di Gesù, il quale opera in noi e ci apre all’amore verso Dio e verso gli altri.
Oggi vorrei fare un altro passo nella nostra riflessione, partendo ancora una volta da alcune domande: la fede ha un carattere solo personale, individuale? Interessa solo la mia persona? Vivo la mia fede da solo? 
Certo, l’atto di fede è un atto eminentemente personale, che avviene nell’intimo più profondo e che segna un cambiamento di direzione, una conversione personale: è la mia esistenza che riceve una svolta, un orientamento nuovo. 
Nella Liturgia del Battesimo, al momento delle promesse, il celebrante chiede di manifestare la fede cattolica e formula tre domande: Credete in Dio Padre onnipotente? Credete in Gesù Cristo suo unico Figlio? Credete nello Spirito Santo? Anticamente queste domande erano rivolte personalmente a colui che doveva ricevere il Battesimo, prima che si immergesse per tre volte nell’acqua. E anche oggi la risposta è al singolare: «Credo». Ma questo mio credere non è il risultato di una mia riflessione solitaria, non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un dialogo, in cui c’è un ascoltare, un ricevere e un rispondere; è il comunicare con Gesù che mi fa uscire dal mio «io» racchiuso in me stesso per aprirmi all’amore di Dio Padre. 
E’ come una rinascita in cui mi scopro unito non solo a Gesù, ma anche a tutti quelli che hanno camminato e camminano sulla stessa via; e questa nuova nascita, che inizia con il Battesimo, continua per tutto il percorso dell’esistenza. Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce così nella moltitudine dei credenti in una comunione che non è solo sociologica, ma radicata nell’eterno amore di Dio, che in Se stesso è comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore trinitario. 
La nostra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia fede, solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede dell’unica Chiesa.
Alla domenica, nella Santa Messa, recitando il «Credo», noi ci esprimiamo in prima persona, ma confessiamo comunitariamente l’unica fede della Chiesa. Quel «credo» pronunciato singolarmente si unisce a quello di un immenso coro nel tempo e nello spazio, in cui ciascuno contribuisce, per così dire, ad una concorde polifonia nella fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica riassume in modo chiaro così: «"Credere" è un atto ecclesiale. 
La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede. La Chiesa è la Madre di tutti i credenti. "Nessuno può dire di avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa come Madre" [san Cipriano]» (n. 181). Quindi la fede nasce nella Chiesa, conduce ad essa e vive in essa. Questo è importante ricordarlo.
Agli inizi dell’avventura cristiana, quando lo Spirito Santo scende con potenza sui discepoli, nel giorno di Pentecoste - come narrano gli Atti degli Apostoli (cfr 2,1-13) - la Chiesa nascente riceve la forza per attuare la missione affidatale dal Signore risorto: diffondere in ogni angolo della terra il Vangelo, la buona notizia del Regno di Dio, e guidare così ogni uomo all’incontro con Lui, alla fede che salva. Gli Apostoli superano ogni paura nel proclamare ciò che avevano udito, visto, sperimentato di persona con Gesù. Per la potenza dello Spirito Santo, iniziano a parlare lingue nuove, annunciando apertamente il mistero di cui erano stati testimoni. Negli Atti degli Apostoli ci viene riferito poi il grande discorso che Pietro pronuncia proprio nel giorno di Pentecoste. Egli parte da un passo del profeta Gioele (3,1-5), riferendolo a Gesù, e proclamando il nucleo centrale della fede cristiana: Colui che aveva beneficato tutti, che era stato accreditato presso Dio con prodigi e segni grandi, è stato inchiodato sulla croce ed ucciso, ma Dio lo ha risuscitato dai morti, costituendolo Signore e Cristo. Con Lui siamo entrati nella salvezza definitiva annunciata dai profeti e chi invocherà il suo nome sarà salvato (cfr At 2,17-24). Ascoltando queste parole di Pietro, molti si sentono personalmente interpellati, si pentono dei propri peccati e si fanno battezzare ricevendo il dono dello Spirito Santo (cfr At 2, 37-41). 
Così inizia il cammino della Chiesa, comunità che porta questo annuncio nel tempo e nello spazio, comunità che è il Popolo di Dio fondato sulla nuova alleanza grazie al sangue di Cristo e i cui membri non appartengono ad un particolare gruppo sociale o etnico, ma sono uomini e donne provenienti da ogni nazione e cultura. E’ un popolo «cattolico», che parla lingue nuove, universalmente aperto ad accogliere tutti, oltre ogni confine, abbattendo tutte le barriere. Dice san Paolo: «Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti" (Col 3,11).
La Chiesa, dunque, fin dagli inizi è il luogo della fede, il luogo della trasmissione della fede, il luogo in cui, per il Battesimo, si è immersi nel Mistero Pasquale della Morte e Risurrezione di Cristo, che ci libera dalla prigionia del peccato, ci dona la libertà di figli e ci introduce nella comunione col Dio Trinitario. Al tempo stesso, siamo immersi nella comunione con gli altri fratelli e sorelle di fede, con l’intero Corpo di Cristo, tirati fuori dal nostro isolamento. Il Concilio Ecumenico Vaticano II lo ricorda: «Dio volle salvare e santificare gli uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che Lo riconoscesse nella verità e fedelmente Lo servisse» (Cost. dogm. Lumen gentium, 9). 
Richiamando ancora la liturgia del Battesimo, notiamo che, a conclusione delle promesse in cui esprimiamo la rinuncia al male e ripetiamo «credo» alle verità della fede, il celebrante dichiara: «Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore». La fede è virtù teologale, donata da Dio, ma trasmessa dalla Chiesa lungo la storia. Lo stesso san Paolo, scrivendo ai Corinzi, afferma di aver comunicato loro il Vangelo che a sua volta anche lui aveva ricevuto (cfr 1 Cor 15,3).
Vi è un’ininterrotta catena di vita della Chiesa, di annuncio della Parola di Dio, di celebrazione dei Sacramenti, che giunge fino a noi e che chiamiamo Tradizione. Essa ci dà la garanzia che ciò in cui crediamo è il messaggio originario di Cristo, predicato dagli Apostoli. Il nucleo dell’annuncio primordiale è l’evento della Morte e Risurrezione del Signore, da cui scaturisce tutto il patrimonio della fede. 
Dice il Concilio: «La predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva essere consegnata con successione continua fino alla fine dei tempi» Cost. dogm. Dei Verbum, 8). In tal modo, se la Sacra Scrittura contiene la Parola di Dio, la Tradizione della Chiesa la conserva e la trasmette fedelmente, perché gli uomini di ogni epoca possano accedere alle sue immense risorse e arricchirsi dei suoi tesori di grazia. Così la Chiesa «nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede» (ibidem).
Vorrei, infine, sottolineare che è nella comunità ecclesiale che la fede personale cresce e matura. E’ interessante osservare come nel Nuovo Testamento la parola «santi» designa i cristiani nel loro insieme, e certamente non tutti avevano le qualità per essere dichiarati santi dalla Chiesa. Che cosa si voleva indicare, allora, con questo termine? Il fatto che coloro che avevano e vivevano la fede in Cristo risorto erano chiamati a diventare un punto di riferimento per tutti gli altri, mettendoli così in contatto con la Persona e con il Messaggio di Gesù, che rivela il volto del Dio vivente. E questo vale anche per noi: un cristiano che si lascia guidare e plasmare man mano dalla fede della Chiesa, nonostante le sue debolezze, i suoi limiti e le sue difficoltà, diventa come una finestra aperta alla luce del Dio vivente, che riceve questa luce e la trasmette al mondo. Il Beato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptoris missio affermava che «la missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!» (n. 2).
La tendenza, oggi diffusa, a relegare la fede nella sfera del privato contraddice quindi la sua stessa natura. Abbiamo bisogno della Chiesa per avere conferma della nostra fede e per fare esperienza dei doni di Dio: la sua Parola, i Sacramenti, il sostegno della grazia e la testimonianza dell’amore. 
Così il nostro «io» nel «noi» della Chiesa potrà percepirsi, ad un tempo, destinatario e protagonista di un evento che lo supera: l’esperienza della comunione con Dio, che fonda la comunione tra gli uomini. In un mondo in cui l’individualismo sembra regolare i rapporti fra le persone, rendendole sempre più fragili, la fede ci chiama ad essere Popolo di Dio, ad essere Chiesa, portatori dell’amore e della comunione di Dio per tutto il genere umano (cfr Cost. past. Gaudium et spes, 1). 
Grazie per l’attenzione.

○ Saluto in lingua italiana


Un caloroso benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. E vi ringrazio per la pazienza nonostante il tempo brutto, ma poteva essere anche peggiore. 

Saluto i fedeli della Diocesi di Avezzano, con il loro Vescovo Mons. Pietro Santoro, venuti per commemorare i 100 anni di attività dell’Azione Cattolica Italiana in quella Chiesa particolare. Saluto i Rettori delle Università Cattoliche riuniti a Roma: la visita alle Tombe degli Apostoli accresca in tutti voi il senso di appartenenza alla Chiesa. Accolgo con gioia i membri della Scuola di Fede e di Preghiera "Figli in cielo" e quelli della Casa degli Italiani a Barcellona, incoraggiandoli ad intensificare il loro impegno in particolare verso le persone che maggiormente soffrono o sono bisognose di aiuto.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la Solennità di Tutti i Santi, che ci ricorda la chiamata universale alla santità: cari giovani, la vostra aspirazione alla felicità si realizzi nelle Beatitudini evangeliche; cari ammalati, portare la vostra croce con Cristo vi santifichi nell’amore; e voi, cari sposi novelli, sappiate dare il giusto spazio alla preghiera, perché la vostra vita coniugale sia un cammino di santità. Grazie a tutti voi.


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lunedì 29 ottobre 2012

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 99ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (13 GENNAIO 2013)



Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato


Vedi anche:

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Crisi e integrazione europea. L'incontro del Papa con il presidente croato

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Il Messaggio di Benedetto XVI in occasione della 99° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (Marcolivio)

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Benedetto XVI: prestare particolare cura alla dimensione religiosa dei migranti (Tridente)

Immigrati, Santa Sede: nessuno Stato ha il diritto di respingerli (Izzo)

Immigrati, il Papa: possono contribuire ai valori del Paese ospitante. Card. Vegliò: sono 214 milioni e la crisi non li ferma (Izzo)


Il cardinale Vegliò: nessuno Stato ha il diritto di cacciare i migranti

Immigrati, il Papa: regolare i flussi ma non blindare le frontiere. Il vero diritto è a non emigrare (Izzo)


Il Papa: per i migranti "pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri" (AsiaNews)

Immigrati, il Papa: Persecuzione e violenza costringono a fuga

Il Papa: Ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, assicurando sempre il rispetto della dignità di ogni persona umana


Giornata del Migrante. Il Papa: aprite la speranza, non chiudete le frontiere (R.V.)

Il Papa: per vincere immigrazione clandestina non basta chiudere frontiere


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 99ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (13 GENNAIO 2013), 29.10.2012

«Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza» è il tema scelto dal Papa per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 13 gennaio 2013.
Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha preparato in vista di tale Giornata:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza

Cari fratelli e sorelle!

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ha ricordato che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta» (n. 40), per cui «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (ibid., 1). A tale dichiarazione hanno fatto eco il Servo di Dio Paolo VI, che ha chiamato la Chiesa «esperta in umanità» (Enc. Populorum progressio, 13), e il Beato Giovanni Paolo II, che ha affermato come la persona umana sia «la prima via che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione ..., la via tracciata da Cristo stesso» (Enc. Centesimus annus, 53). Nella mia Enciclica Caritas in veritate ho voluto precisare, sulla scia dei miei Predecessori, che «tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell’uomo» (n. 11), riferendomi anche ai milioni di uomini e donne che, per diverse ragioni, vivono l’esperienza della migrazione. In effetti, i flussi migratori sono «un fenomeno che impressiona per la quantità di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale» (ibid., 62), poiché «ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (ibidem).

In tale contesto, ho voluto dedicare la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2013 al tema «Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza», in concomitanza con le celebrazioni del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e del 60° della promulgazione della Costituzione Apostolica Exsul familia, mentre tutta la Chiesa è impegnata a vivere l’Anno della fede, raccogliendo con entusiasmo la sfida della nuova evangelizzazione.

In effetti, fede e speranza formano un binomio inscindibile nel cuore di tantissimi migranti, dal momento che in essi vi è il desiderio di una vita migliore, unito molte volte alla ricerca di lasciarsi alle spalle la «disperazione» di un futuro impossibile da costruire. Al tempo stesso, i viaggi di molti sono animati dalla profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature e tale conforto rende più tollerabili le ferite dello sradicamento e del distacco, magari con la riposta speranza di un futuro ritorno alla terra d’origine. Fede e speranza, dunque, riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con esse «noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino» (Enc. Spe salvi, 1).
Nel vasto campo delle migrazioni la materna sollecitudine della Chiesa si esplica su varie direttrici. Da una parte, quella che vede le migrazioni sotto il profilo dominante della povertà e della sofferenza, che non di rado produce drammi e tragedie. Qui si concretizzano interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà. Dall’altra parte, però, la Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici. In questa direttrice, allora, prendono corpo gli interventi di accoglienza che favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona. Ed è proprio a questa dimensione che la Chiesa è chiamata, per la stessa missione affidatale da Cristo, a prestare particolare attenzione e cura: questo è il suo compito più importante e specifico. Verso i fedeli cristiani provenienti da varie zone del mondo l’attenzione alla dimensione religiosa comprende anche il dialogo ecumenico e la cura delle nuove comunità, mentre verso i fedeli cattolici si esprime, tra l’altro, nel realizzare nuove strutture pastorali e valorizzare i diversi riti, fino alla piena partecipazione alla vita della comunità ecclesiale locale. La promozione umana va di pari passo con la comunione spirituale, che apre le vie «ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Lett. ap. Porta fidei, 6). E’ sempre un dono prezioso quello che porta la Chiesa guidando all’incontro con Cristo che apre ad una speranza stabile e affidabile.
La Chiesa e le varie realtà che ad essa si ispirano sono chiamate, nei confronti di migranti e rifugiati, ad evitare il rischio del mero assistenzialismo, per favorire l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri. Coloro che emigrano portano con sé sentimenti di fiducia e di speranza che animano e confortano la ricerca di migliori opportunità di vita. Tuttavia, essi non cercano solamente un miglioramento della loro condizione economica, sociale o politica. È vero che il viaggio migratorio spesso inizia con la paura, soprattutto quando persecuzioni e violenze costringono alla fuga, con il trauma dell’abbandono dei familiari e dei beni che, in qualche misura, assicuravano la sopravvivenza. Tuttavia, la sofferenza, l’enorme perdita e, a volte, un senso di alienazione di fronte al futuro incerto non distruggono il sogno di ricostruire, con speranza e coraggio, l’esistenza in un Paese straniero. In verità, coloro che migrano nutrono la fiducia di trovare accoglienza, di ottenere un aiuto solidale e di trovarsi a contatto con persone che, comprendendo il disagio e la tragedia dei propri simili, e anche riconoscendo i valori e le risorse di cui sono portatori, siano disposte a condividere umanità e risorse materiali con chi è bisognoso e svantaggiato. Occorre, infatti, ribadire che «la solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere» (Enc. Caritas in veritate, 43). Migranti e rifugiati, insieme alle difficoltà, possono sperimentare anche relazioni nuove e ospitali, che li incoraggiano a contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze professionali, il loro patrimonio socio-culturale e, spesso, anche con la loro testimonianza di fede, che dona impulso alle comunità di antica tradizione cristiana, incoraggia ad incontrare Cristo e invita a conoscere la Chiesa.
Certo, ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana. Il diritto della persona ad emigrare – come ricorda la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 65 – è iscritto tra i diritti umani fondamentali, con facoltà per ciascuno di stabilirsi dove crede più opportuno per una migliore realizzazione delle sue capacità e aspirazioni e dei suoi progetti. Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra, ripetendo con il Beato Giovanni Paolo II che «diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria: diritto che però diventa effettivo solo se si tengono costantemente sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione» (Discorso al IV Congresso mondiale delle Migrazioni, 1998). Oggi, infatti, vediamo che molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un «calvario» per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria. Così, mentre vi sono migranti che raggiungono una buona posizione e vivono dignitosamente, con giusta integrazione nell’ambiente d’accoglienza, ve ne sono molti che vivono in condizioni di marginalità e, talvolta, di sfruttamento e di privazione dei fondamentali diritti umani, oppure che adottano comportamenti dannosi per la società in cui vivono. Il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono.
A tale proposito, non possiamo dimenticare la questione dell’immigrazione irregolare, tema tanto più scottante nei casi in cui essa si configura come traffico e sfruttamento di persone, con maggior rischio per donne e bambini. Tali misfatti vanno decisamente condannati e puniti, mentre una gestione regolata dei flussi migratori, che non si riduca alla chiusura ermetica delle frontiere, all’inasprimento delle sanzioni contro gli irregolari e all’adozione di misure che dovrebbero scoraggiare nuovi ingressi, potrebbe almeno limitare per molti migranti i pericoli di cadere vittime dei citati traffici. Sono, infatti, quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza, contromisure efficaci per debellare il traffico di persone, programmi organici dei flussi di ingresso legale, maggiore disponibilità a considerare i singoli casi che richiedono interventi di protezione umanitaria oltre che di asilo politico. Alle adeguate normative deve essere associata una paziente e costante opera di formazione della mentalità e delle coscienze. In tutto ciò è importante rafforzare e sviluppare i rapporti di intesa e di cooperazione tra realtà ecclesiali e istituzionali che sono a servizio dello sviluppo integrale della persona umana. Nella visione cristiana, l’impegno sociale e umanitario trae forza dalla fedeltà al Vangelo, con la consapevolezza che «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (Gaudium et spes, 41).
Cari fratelli e sorelle migranti, questa Giornata Mondiale vi aiuti a rinnovare la fiducia e la speranza nel Signore che sta sempre accanto a noi! Non perdete l’occasione di incontrarLo e di riconoscere il suo volto nei gesti di bontà che ricevete nel vostro pellegrinaggio migratorio. Rallegratevi poiché il Signore vi è vicino e, insieme con Lui, potrete superare ostacoli e difficoltà, facendo tesoro delle testimonianze di apertura e di accoglienza che molti vi offrono. Infatti, «la vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata» (Enc. Spe salvi, 49).
Affido ciascuno di voi alla Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione, «stella del cammino», che con la sua materna presenza ci è vicina in ogni momento della vita, e a tutti imparto con affetto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 12 ottobre 2012

BENEDICTUS PP. XVI

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domenica 28 ottobre 2012

Il Papa: Fin da ora possiamo dire che da questo Sinodo esce rafforzato l’impegno per il rinnovamento spirituale della Chiesa stessa, per poter rinnovare spiritualmente il mondo secolarizzato; e questo rinnovamento verrà dalla riscoperta di Gesù Cristo, della sua verità e della sua grazia, del suo «volto», così umano e insieme così divino, sul quale risplende il mistero trascendente di Dio


SINODO DEI VESCOVI SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE PER LA TRASMISSIONE DELLA FEDE CRISTIANA (7-28 OTTOBRE 2012): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI, OMELIE E MESSAGGI DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DEL SINODO SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA


LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 28.10.2012

Al termine della Santa Messa celebrata nella Basilica Vaticana con i Padri Sinodali per la conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro. 
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Con la Santa Messa celebrata stamani nella Basilica di San Pietro, si è conclusa la XIII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Per tre settimane ci siamo confrontati sulla realtà della nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana: tutta la Chiesa era rappresentata e, dunque, coinvolta in questo impegno, che non mancherà di dare i suoi frutti, con la grazia del Signore. 
Prima di tutto però il Sinodo è sempre un momento di forte comunione ecclesiale, e per questo desidero insieme con tutti voi ringraziare Dio, che ancora una volta ci ha fatto sperimentare la bellezza di essere Chiesa, e di esserlo proprio oggi, in questo mondo così com’è, in mezzo a questa umanità con le sue fatiche e le sue speranze.
Molto significativa è stata la coincidenza di questa Assemblea sinodale con il 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e quindi con l’inizio dell’Anno della fede. Ripensare al Beato Giovanni XXIII, al Servo di Dio Paolo VI, alla stagione conciliare, è stato quanto mai favorevole, perché ci ha aiutato a riconoscere che la nuova evangelizzazione non è una nostra invenzione, ma è un dinamismo che si è sviluppato nella Chiesa in modo particolare dagli anni ‘50 del secolo scorso, quando apparve evidente che anche i Paesi di antica tradizione cristiana erano diventati, come si suol dire, «terra di missione». 
Così è emersa l’esigenza di un annuncio rinnovato del Vangelo nelle società secolarizzate, nella duplice certezza che, da una parte, è solo Lui, Gesù Cristo, la vera novità che risponde alle attese dell’uomo di ogni epoca, e dall’altra, che il suo messaggio chiede di essere trasmesso in modo adeguato nei mutati contesti sociali e culturali.
Che cosa possiamo dire al termine di queste intense giornate di lavoro? 
Da parte mia, ho ascoltato e raccolto molti spunti di riflessione e molte proposte, che, con l’aiuto della Segreteria del Sinodo e dei miei Collaboratori, cercherò di ordinare ed elaborare, per offrire a tutta la Chiesa una sintesi organica e indicazioni coerenti. 
Fin da ora possiamo dire che da questo Sinodo esce rafforzato l’impegno per il rinnovamento spirituale della Chiesa stessa, per poter rinnovare spiritualmente il mondo secolarizzato; e questo rinnovamento verrà dalla riscoperta di Gesù Cristo, della sua verità e della sua grazia, del suo «volto», così umano e insieme così divino, sul quale risplende il mistero trascendente di Dio.
Affidiamo alla Vergine Maria i frutti del lavoro dell’Assise sinodale appena conclusa. Lei, Stella della nuova evangelizzazione, ci insegni e ci aiuti a portare a tutti Cristo, con coraggio e con gioia.


DOPO L’ANGELUS


Comincio con un Appello.
Nei giorni scorsi un devastante uragano, che si è abbattuto con particolare violenza su Cuba, Haiti, la Giamaica e le Bahamas, ha causato vari morti e ingenti danni, costringendo numerose persone a lasciare le proprie case. Desidero assicurare la mia vicinanza e il mio ricordo a coloro che sono stati colpiti da questo disastro naturale, mentre invito tutti alla preghiera e alla solidarietà, per alleviare il dolore dei familiari delle vittime e offrire aiuto alle migliaia di danneggiati.

Chers pèlerins francophones, alors que s’achèvent les travaux du Synode pour la nouvelle évangélisation, la parole du Christ nous invite à la confiance et à l’acte de foi en Lui. Celui qui croit ne peut garder pour lui la Bonne Nouvelle du salut. Le Seigneur a confié à tous ses disciples la responsabilité d’annoncer l’Évangile parmi tous les peuples. Puisse l’Esprit Saint rendre votre témoignage lumineux afin que beaucoup découvrent et suivent le Christ, Rédempteur de l’homme. Que la Vierge Marie, Mère de l’Église, vous accompagne sur les chemins qui conduisent vers son Fils !

I greet all the English-speaking visitors present for this Angelus prayer. In today’s Gospel, Jesus grants sight to the blind man with the words: "Your faith has saved you". As we mark the end of the Synod on the new evangelization, let us renew both our faith in Christ and our commitment to the spread of his Gospel of healing and joy. God bless you and your families!

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Gäste aus den Ländern deutscher Sprache. Mit der heutigen Meßfeier in der Petersbasilika habe ich zusammen mit den Synodenvätern und vielen Gläubigen die XIII. Ordentliche Generalversammlung der Bischofssynode zur „Neuen Evangelisierung und Weitergabe des christlichen Glaubens" beendet. Wir haben voller Freude im Hallelujavers gesungen: „Unser Retter Jesus Christus hat dem Tod die Macht genommen und uns das Leben gebracht durch das Evangelium." Liebe Brüder und Schwestern! In der Gewißheit, daß der Herr lebt und uns nahe ist, wollen wir unseren Glauben freudig, mit Mut und mit Begeisterung in die Welt hinaus tragen! Gott segne euch alle.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, en particular a los miembros de la Hermandad del Señor de los Milagros de Roma. Al concluir la Asamblea General ordinaria del Sínodo de los Obispos, dedicada al tema de la nueva evangelización, invito a todos a intensificar la oración para que este evento eclesial produzca abundantes frutos en la vida de la Iglesia. Encomiendo este deseo a la amorosa intercesión de María Santísima, y reitero mi exhortación a dirigirse a Ella cada día con el rezo del Santo Rosario, confiándole todas nuestras dificultades, retos y alegrías, para que los presente a su Hijo Jesucristo, luz del mundo y esperanza del hombre. Feliz Domingo.

Dirijo agora uma calorosa saudação aos peregrinos de língua portuguesa, e de modo especial ao grupo vindo do Brasil - das dioceses de Guaxupé, São João da Boa Vista e Jundiaí. Ao concluir a Sínodo sobre a Nova Evangelização, confio à Virgem Santíssima os seus frutos e peço-Lhe que guie e proteja maternalmente os vossos passos ao serviço do anúncio e testemunho da Boa Nova de Jesus Cristo! A minha Bênção desça sobre vós, vossas famílias e comunidades cristãs.

Lepo pozdravljam vernike iz Idrije v Sloveniji! V tem letu vere naj vas romanje na grobove apostolov Petra in Pavla utrdi v vaši osebni veri, da boste doma in v družbi pričevali za Kristusa ter še bolj zavzeto sodelovali v župnijskem življenju. Naj vas spremlja moj blagoslov!

[Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli provenienti da Idrija in Slovenia! In questo Anno della fede, il pellegrinaggio alle tombe dei Santi Apostoli Pietro e Paolo vi rafforzi nella vostra fede personale affinché testimoniate Cristo, sia in famiglia sia nella società e, con zelo sempre maggiore, continuiate il vostro impegno nella vita della Parrocchia. Vi accompagni la mia benedizione!]

Bracia i Siostry, dzisiaj rano zakończył się Synod Biskupów. Przypomniał on, że nowa ewangelizacja jest zadaniem nas wszystkich, domaga się od nas wzrostu w gorliwości, odrodzenia życia sakramentalnego, powrotu do praktyk religijnych ze strony tych, którzy oddalili się od Kościoła, głoszenia orędzia Chrystusa wszystkim, którzy Go jeszcze nie znają. Niech Boży Duch ożywi nasze serca mocą wiary, obudzi potrzebę trwania w bliskości z Bogiem. Na realizację tych ważnych zadań z serca wam błogosławię.

[Fratelli e sorelle, si è concluso stamani il Sinodo dei Vescovi. Esso ha ricordato che la nuova evangelizzazione è compito di ognuno di noi, esige da noi l’intensificazione nello zelo, la rinascita della vita sacramentale, il ritorno alle pratiche di pietà da parte di coloro che si sono allontanati dalla Chiesa, l’annunzio del messaggio di Cristo a tutti coloro che non lo conoscono. Lo Spirito di Dio ravvivi il nostri cuori con la forza della fede, desti il bisogno di rimanere nella vicinanza con Dio. Per la realizzazione di questi importanti impegni vi benedico di cuore.]

E infine rivolgo un saluto cordiale a tutti i pellegrini di lingua italiana, in modo particolare ai gruppi parrocchiali, alle famiglie, ai giovani. Assicuro un ricordo nella preghiera per le popolazioni della Basilicata e della Calabria che hanno subito un terremoto nei giorni scorsi. A tutti auguro una buona domenica e anche una buona festa di Tutti i Santi. Buona domenica. Grazie!

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Il Papa chiude il Sinodo: La globalizzazione ha causato un notevole spostamento di popolazioni; pertanto, il primo annuncio si impone anche nei Paesi di antica evangelizzazione. Tutti gli uomini hanno il diritto di conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo; e a ciò corrisponde il dovere dei cristiani, di tutti i cristiani – sacerdoti, religiosi e laici – di annunciare la Buona Notizia

SINODO DEI VESCOVI SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE PER LA TRASMISSIONE DELLA FEDE CRISTIANA (7-28 OTTOBRE 2012): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI, OMELIE E MESSAGGI DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DEL SINODO SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


SANTA MESSA: VIDEO INTEGRALE


OMELIA DEL SANTO PADRE: AUDIO RADIO VATICANA

Vedi anche:

Il cieco risanato: un simbolo della nuova evangelizzazione (Marcolivio)

Benedetto XVI: "Prego per popolazioni colpite dal terremoto sul Pollino" (Tg1)


Vaticano. Concluso il Sinodo (Valli)

Figli del Concilio (Galeazzi)


Dal Papa appello per aiuti a Cuba, Haiti, Giamaica e Bahamas. Un pensiero per le popolazioni di Basilicata e Calabria (Izzo)

Sinodo, Santa Messa ed Angelus: servizio di Lucio Brunelli


Sinodo, il Papa: cancelliamo l'oblio della verità. Doveroso annunciare Cristo agli immigrati (Izzo)

Il Papa conclude il Sinodo con tre indicazioni per la nuova evangelizzazione: sacramenti, missione, dialogo (Ambrogetti)

Benedetto XVI: cancellare l'oblio della verità per contemplare nuovamente il vero Dio (Tridente)

Sinodo, il Papa celebra la Messa conclusiva: la secolarizzazione acceca le regioni con tradizioni cristiane. Serve attenzione particolare per chi si allontana (Izzo)

Angelus. Il Papa chiede solidarietà per le vittime dell'uragano nei Caraibi e ricorda i terremotati in Sud Italia 


Il Sinodo invoca pace per la Siria (Valle)


CAPPELLA PAPALE PER LA CONCLUSIONE DELLA XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, 28.10.2012

Alle ore 9.30 di oggi, XXX Domenica del Tempo Ordinario, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Celebrazione Eucaristica con i Padri Sinodali, in occasione della conclusione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: "La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana".
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!

Il miracolo della guarigione del cieco Bartimeo ha una posizione rilevante nella struttura del Vangelo di Marco. E’ collocato infatti alla fine della sezione che viene chiamata «viaggio a Gerusalemme», cioè l’ultimo pellegrinaggio di Gesù alla Città santa, per la Pasqua in cui Egli sa che lo attendono la passione, la morte e la risurrezione. Per salire a Gerusalemme dalla valle del Giordano, Gesù passa da Gerico, e l’incontro con Bartimeo avviene all’uscita dalla città, «mentre – annota l’evangelista – Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla» (10,46), quella folla che, di lì a poco, acclamerà Gesù come Messia nel suo ingresso in Gerusalemme.
Proprio lungo la strada stava seduto a mendicare Bartimeo, il cui nome significa «figlio di Timeo», come dice lo stesso evangelista. Tutto il Vangelo di Marco è un itinerario di fede, che si sviluppa gradualmente alla scuola di Gesù. I discepoli sono i primi attori di questo percorso di scoperta, ma vi sono anche altri personaggi che occupano un ruolo importante, e Bartimeo è uno di questi. La sua è l’ultima guarigione prodigiosa che Gesù compie prima della sua passione, e non a caso è quella di un cieco, una persona cioè i cui occhi hanno perso la luce. Sappiamo anche da altri testi che la condizione di cecità ha un significato pregnante nei Vangeli. Rappresenta l’uomo che ha bisogno della luce di Dio, la luce della fede, per conoscere veramente la realtà e camminare nella via della vita. Essenziale è riconoscersi ciechi, bisognosi di questa luce, altrimenti si rimane ciechi per sempre (cfr Gv 9,39-41).
Bartimeo, dunque, in quel punto strategico del racconto di Marco, è presentato come modello. Egli non è cieco dalla nascita, ma ha perso la vista: è l’uomo che ha perso la luce e ne è consapevole, ma non ha perso la speranza, sa cogliere la possibilità di incontro con Gesù e si affida a Lui per essere guarito. Infatti, quando sente che il Maestro passa sulla sua strada, grida: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (Mc 10,47), e lo ripete con forza (v. 48). E quando Gesù lo chiama e gli chiede che cosa vuole da Lui, risponde: «Rabbunì, che io veda di nuovo!» (v. 51). Bartimeo rappresenta l’uomo che riconosce il proprio male e grida al Signore, fiducioso di essere sanato. La sua invocazione, semplice e sincera, è esemplare, e infatti – come quella del pubblicano al tempio: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18,13) – è entrata nella tradizione della preghiera cristiana. Nell’incontro con Cristo, vissuto con fede, Bartimeo riacquista la luce che aveva perduto, e con essa la pienezza della propria dignità: si rialza in piedi e riprende il cammino, che da quel momento ha una guida, Gesù, e una strada, la stessa che Gesù percorre. L’evangelista non ci dirà più nulla di Bartimeo, ma in lui ci presenta chi è il discepolo: colui che, con la luce della fede, segue Gesù «lungo la strada» (v. 52).
Sant’Agostino, in uno dei suoi scritti, fa sulla figura di Bartimeo un’osservazione molto particolare, che può essere interessante e significativa anche oggi per noi. 
Il Santo Vescovo di Ippona riflette sul fatto che, in questo caso, Marco riporti il nome non solo della persona che viene guarita, ma anche del padre, e giunge alla conclusione che «Bartimeo, figlio di Timeo, era un personaggio decaduto da prosperità molto grande, e la sua condizione di miseria doveva essere universalmente nota e di pubblico dominio in quanto non era soltanto cieco ma un mendicante che sedeva lungo la strada. Per questo motivo Marco volle ricordare lui solo, perché l’avere egli ricuperato la vista conferì al miracolo tanta risonanza quanto era grande la fama della sventura capitata al cieco» (Il consenso degli evangelisti, 2, 65, 125: PL 34, 1138). Così Sant’Agostino.
Questa interpretazione, che Bartimeo sia una persona decaduta da una condizione di «grande prosperità», ci fa pensare; ci invita a riflettere sul fatto che ci sono ricchezze preziose per la nostra vita che possiamo perdere, e che non sono materiali. In questa prospettiva, Bartimeo potrebbe rappresentare quanti vivono in regioni di antica evangelizzazione, dove la luce della fede si è affievolita, e si sono allontanati da Dio, non lo ritengono più rilevante per la vita: persone che perciò hanno perso una grande ricchezza, sono «decadute» da un’alta dignità - non quella economica o di potere terreno, ma quella cristiana -, hanno perso l’orientamento sicuro e solido della vita e sono diventati, spesso inconsciamente, mendicanti del senso dell’esistenza. 
Sono le tante persone che hanno bisogno di una nuova evangelizzazione, cioè di un nuovo incontro con Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio (cfr Mc 1,1), che può aprire nuovamente i loro occhi e insegnare loro la strada. E’ significativo che, mentre concludiamo l’Assemblea sinodale sulla Nuova Evangelizzazione, la Liturgia ci proponga il Vangelo di Bartimeo. Questa Parola di Dio ha qualcosa da dire in modo particolare a noi, che in questi giorni ci siamo confrontati sull’urgenza di annunciare nuovamente Cristo là dove la luce della fede si è indebolita, là dove il fuoco di Dio è come un fuoco di brace, che chiede di essere ravvivato, perché sia fiamma viva che dà luce e calore a tutta la casa.
La nuova evangelizzazione riguarda tutta la vita della Chiesa. Essa si riferisce, in primo luogo, alla pastorale ordinaria che deve essere maggiormente animata dal fuoco dello Spirito, per incendiare i cuori dei fedeli che regolarmente frequentano la Comunità e che si radunano nel giorno del Signore per nutrirsi della sua Parola e del Pane di vita eterna. Vorrei qui sottolineare tre linee pastorali emerse dal Sinodo. La prima riguarda i Sacramenti dell’iniziazione cristiana. E’ stata riaffermata l’esigenza di accompagnare con un’appropriata catechesi la preparazione al Battesimo, alla Cresima e all’Eucaristia. È stata pure ribadita l’importanza della Penitenza, sacramento della misericordia di Dio. Attraverso questo itinerario sacramentale passa la chiamata del Signore alla santità, rivolta a tutti i cristiani. Infatti, è stato più volte ripetuto che i veri protagonisti della nuova evangelizzazione sono i santi: essi parlano un linguaggio a tutti comprensibile con l’esempio della vita e con le opere della carità.
In secondo luogo, la nuova evangelizzazione è essenzialmente connessa con la missione ad gentes. La Chiesa ha il compito di evangelizzare, di annunciare il Messaggio di salvezza agli uomini che tuttora non conoscono Gesù Cristo. Anche nel corso delle riflessioni sinodali è stato sottolineato che esistono tanti ambienti in Africa, in Asia e in Oceania i cui abitanti aspettano con viva attesa, talvolta senza esserne pienamente coscienti, il primo annuncio del Vangelo. Pertanto occorre pregare lo Spirito Santo affinché susciti nella Chiesa un rinnovato dinamismo missionario i cui protagonisti siano, in modo speciale, gli operatori pastorali e i fedeli laici. 
La globalizzazione ha causato un notevole spostamento di popolazioni; pertanto, il primo annuncio si impone anche nei Paesi di antica evangelizzazione. Tutti gli uomini hanno il diritto di conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo; e a ciò corrisponde il dovere dei cristiani, di tutti i cristiani – sacerdoti, religiosi e laici – di annunciare la Buona Notizia.
Un terzo aspetto riguarda le persone battezzate che però non vivono le esigenze del Battesimo. Nel corso dei lavori sinodali è stato messo in luce che queste persone si trovano in tutti i continenti, specialmente nei Paesi più secolarizzati. La Chiesa ha un’attenzione particolare verso di loro, affinché incontrino nuovamente Gesù Cristo, riscoprano la gioia della fede e ritornino alla pratica religiosa nella comunità dei fedeli. Oltre ai metodi pastorali tradizionali, sempre validi, la Chiesa cerca di adoperare anche metodi nuovi, curando pure nuovi linguaggi, appropriati alle differenti culture del mondo, proponendo la verità di Cristo con un atteggiamento di dialogo e di amicizia che ha fondamento in Dio che è Amore. In varie parti del mondo, la Chiesa ha già intrapreso tale cammino di creatività pastorale, per avvicinare le persone allontanate o in ricerca del senso della vita, della felicità e, in definitiva, di Dio. Ricordiamo alcune importanti missioni cittadine, il «Cortile dei gentili», la missione continentale, e così via. Non c’è dubbio che il Signore, Buon Pastore, benedirà abbondantemente tali sforzi che provengono dallo zelo per la sua Persona e per il suo Vangelo.
Cari fratelli e sorelle, Bartimeo, avuta di nuovo la vista da Gesù, si aggiunse alla schiera dei discepoli, tra i quali sicuramente ve n’erano altri che, come lui, erano stati guariti dal Maestro. Così sono i nuovi evangelizzatori: persone che hanno fatto l’esperienza di essere risanati da Dio, mediante Gesù Cristo
E la loro caratteristica è una gioia del cuore, che dice con il Salmista: «Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia» (Sal 125,3). Anche noi, oggi, ci rivolgiamo al Signore Gesù, Redemptor hominis e Lumen gentium, con gioiosa riconoscenza, facendo nostra una preghiera di San Clemente di Alessandria: «Fino ad ora ho errato nella speranza di trovare Dio, ma poiché tu mi illumini, o Signore, trovo Dio per mezzo di te, e ricevo il Padre da te, divengo tuo coerede, poiché non ti sei vergognato di avermi per fratello. Cancelliamo, dunque, cancelliamo l’oblio della verità, l’ignoranza: e rimuovendo le tenebre che ci impediscono la vista come nebbia per gli occhi, contempliamo il vero Dio …; giacché una luce dal cielo brillò su di noi sepolti nelle tenebre e prigionieri dell’ombra di morte, [una luce] più pura del sole, più dolce della vita di quaggiù» (Protrettico, 113,2 – 114,1). Amen.

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sabato 27 ottobre 2012

Il Papa ai Padri sinodali: Anche se la Chiesa sente venti contrari, tuttavia sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così, con nuovo entusiasmo, mi sembra, siamo in cammino e ringraziamo il Signore perché ci ha dato questo incontro veramente cattolico


SINODO DEI VESCOVI SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE PER LA TRASMISSIONE DELLA FEDE CRISTIANA (7-28 OTTOBRE 2012): LO SPECIALE DEL BLOG

DISCORSI, OMELIE E MESSAGGI DEL SANTO PADRE IN OCCASIONE DEL SINODO SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE


PAROLE DEL SANTO PADRE NEL CORSO DELL’ULTIMA CONGREGAZIONE GENERALE DELLA XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, 27.10.2012

Si è tenuta questa mattina nell’Aula del Sinodo, alla presenza del Santo Padre Benedetto XVI, la 22ma e ultima Congregazione generale della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, per la presentazione e la votazione dell’Elenco finale delle Proposizioni.
Nel corso della Congregazione generale, dopo l’indirizzo di omaggio rivoltoGli da uno dei Presidente Delegati, il Card. Laurent Monsengwo Pasinya, Arcivescovo di Kinshasa, il Papa ha rivolto ai Padri le parole che riportiamo di seguito:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Cari Fratelli e sorelle,

prima di ringraziare da parte mia, vorrei ancora fare una comunicazione.
Nel contesto delle riflessioni del Sinodo dei Vescovi, «La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della Fede Cristiana», ed a conclusione di un cammino di riflessione sulle tematiche dei Seminari e della Catechesi, mi è gradito annunciare che ho deciso, dopo preghiera e ulteriore riflessione, di trasferire la competenza sui Seminari dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica alla Congregazione per il Clero e la competenza sulla Catechesi dalla Congregazione per il Clero al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Seguiranno i documenti relativi in forma di Lettera Apostolica Motu Proprio per definire gli ambiti e le rispettive facoltà. Preghiamo il Signore perché accompagni i tre Dicasteri della Curia Romana nella loro importante missione, con la collaborazione di tutta la Chiesa.
Avendo già la parola, vorrei anche esprimere i miei cordialissimi auguri ai nuovi Cardinali. Io ho voluto, con questo piccolo Concistoro, completare il Concistoro di febbraio, proprio nel contesto della Nuova Evangelizzazione, con un gesto dell’universalità della Chiesa, mostrando che la Chiesa è Chiesa di tutti i popoli, parla in tutte le lingue, è sempre Chiesa di Pentecoste; non Chiesa di un Continente, ma Chiesa universale. Proprio questa era la mia intenzione, di esprimere questo contesto, questa universalità della Chiesa; è anche la bella espressione di questo Sinodo. Per me è stato veramente edificante, consolante ed incoraggiante vedere qui lo specchio della Chiesa universale con le sue sofferenze, minacce, pericoli e gioie, esperienze della presenza del Signore, anche in situazioni difficili.
Abbiamo sentito come la Chiesa anche oggi cresce, vive. Penso, per esempio, a quanto ci è stato detto sulla Cambogia, dove di nuovo nasce la Chiesa, la fede; o anche sulla Norvegia, e tanti altri. Vediamo come anche oggi dove non si aspettava, il Signore è presente e potente e il Signore è operante anche tramite il nostro lavoro e le nostre riflessioni.
Anche se la Chiesa sente venti contrari, tuttavia sente soprattutto il vento dello Spirito Santo che ci aiuta, ci mostra la strada giusta; e così, con nuovo entusiasmo, mi sembra, siamo in cammino e ringraziamo il Signore perché ci ha dato questo incontro veramente cattolico.
Ringrazio tutti: i Padri del Sinodo, gli Uditori, con le testimonianze veramente spesso molto commoventi, gli Esperti, i Delegati fraterni che ci hanno aiutato; e sappiamo che tutti vogliamo annunciare Cristo ed il suo Vangelo e combattere, in questo tempo difficile, per la presenza della verità di Cristo e per il suo annuncio.
Soprattutto vorrei ringraziare i nostri Presidenti che ci hanno guidato dolcemente e decisamente, i Relatori che hanno lavorato giorno e notte. Io penso sempre che sia un po’ contro il diritto naturale lavorare anche di notte, ma se lo fanno volontariamente si possono ringraziare e dobbiamo sentirci grati; e, naturalmente, il nostro Segretario Generale, indefesso e ricco di idee.
Adesso queste Propositiones sono un testamento, un dono, dato a me per noi, per elaborare tutto in un documento che viene dalla vita e dovrebbe generare vita. Su questo speriamo e preghiamo; in ogni caso, andiamo avanti con l’aiuto del Signore. Grazie a voi tutti. Con molti ci vediamo anche in novembre - penso al Concistoro. Grazie.

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