mercoledì 31 marzo 2010

Il Papa: Disponiamoci a vivere intensamente questo Triduo Santo ormai imminente, per essere sempre più profondamente inseriti nel Mistero di Cristo


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

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UDIENZA GENERALE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

L’UDIENZA GENERALE, 31.03.2010

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa ha incentrato la sua meditazione sul significato del Triduo Pasquale, culmine dell’itinerario quaresimale.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con la recita del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Il Triduo Pasquale

Cari Fratelli e Sorelle,

stiamo vivendo i giorni santi che ci invitano a meditare gli eventi centrali della nostra Redenzione, il nucleo essenziale della nostra fede. Domani inizia il Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico, nel quale siamo chiamati al silenzio e alla preghiera per contemplare il mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore. Nelle omelie i Padri fanno spesso riferimento a questi giorni che, come osserva Sant’Atanasio in una delle sue Lettere Pasquali, ci introducono «in quel tempo che ci fa conoscere un nuovo inizio, il giorno della Santa Pasqua, nella quale il Signore si è immolato» (Lett. 5,1-2: PG 26, 1379). Vi esorto pertanto a vivere intensamente questi giorni affinché orientino decisamente la vita di ciascuno all'adesione generosa e convinta a Cristo, morto e risorto per noi.

La Santa Messa Crismale, preludio mattutino del Giovedì Santo, vedrà domani mattina riuniti i presbiteri con il proprio Vescovo. Nel corso di una significativa celebrazione eucaristica, che ha luogo solitamente nelle Cattedrali diocesane, verranno benedetti l’olio degli infermi, dei catecumeni e il Crisma. Inoltre, il Vescovo e i Presbiteri, rinnoveranno le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’Ordinazione. Tale gesto assume quest’anno, un rilievo tutto speciale, perché collocato nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, che ho indetto per commemorare il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. A tutti i Sacerdoti vorrei ripetere l’auspicio che formulavo a conclusione della Lettera di indizione: «Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Cristo e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!».

Domani pomeriggio celebreremo il momento istitutivo dell’Eucaristia. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, confermava i primi cristiani nella verità del mistero eucaristico, comunicando loro quanto egli stesso aveva appreso: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25). Queste parole manifestano con chiarezza l’intenzione di Cristo: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato quale sacrificio della Nuova Alleanza. Al tempo stesso, Egli costituisce gli Apostoli e i loro successori ministri di questo sacramento, che consegna alla sua Chiesa come prova suprema del suo amore.

Con suggestivo, ricorderemo, inoltre, il gesto di Gesù che lava i piedi agli Apostoli (cfr Gv 13,1-25). Tale atto diviene per l’evangelista la rappresentazione di tutta la vita di Gesù e rivela il suo amore sino alla fine, un amore infinito, capace di abilitare l’uomo alla comunione con Dio e di renderlo libero. Al termine della liturgia del Giovedì santo, la Chiesa ripone il Santissimo Sacramento in un luogo appositamente preparato, che sta a rappresentare la solitudine del Getsemani e l’angoscia mortale di Gesù. Davanti all’Eucarestia, i fedeli contemplano Gesù nell’ora della sua solitudine e pregano affinché cessino tutte le solitudini del mondo. Questo cammino liturgico è, altresì, invito a cercare l’incontro intimo col Signore nella preghiera, a riconoscere Gesù fra coloro che sono soli, a vegliare con lui e a saperlo proclamare luce della propria vita.

Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore. Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante: la crocifissione. Esiste una inscindibile connessione fra l’Ultima Cena e la morte di Gesù. Nella prima Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue, ossia la sua esistenza terrena, se stesso, anticipando la sua morte e trasformandola in un atto di amore. Così la morte che, per sua natura, è la fine, la distruzione di ogni relazione, viene da lui resa atto di comunicazione di sé, strumento di salvezza e proclamazione della vittoria dell’amore. In tal modo, Gesù diventa la chiave per comprendere l’Ultima Cena che è anticipazione della trasformazione della morte violenta in sacrificio volontario, in atto di amore che redime e salva il mondo.

Il Sabato Santo è caratterizzato da un grande silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. In questo tempo di attesa e di speranza, i credenti sono invitati alla preghiera, alla riflessione, alla conversione, anche attraverso il sacramento della riconciliazione, per poter partecipare, intimamente rinnovati, alla celebrazione della Pasqua.

Nella notte del Sabato Santo, durante la solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", tale silenzio sarà rotto dal canto dell’Alleluia, che annuncia la resurrezione di Cristo e proclama la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. La Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore, entrando nel giorno della Pasqua che il Signore inaugura risorgendo dai morti.

Cari Fratelli e Sorelle, disponiamoci a vivere intensamente questo Triduo Santo ormai imminente, per essere sempre più profondamente inseriti nel Mistero di Cristo, morto e risorto per noi. Ci accompagni in questo itinerario spirituale la Vergine Santissima. Lei che seguì Gesù nella sua passione e fu presente sotto la Croce, ci introduca nel mistero pasquale, perché possiamo sperimentare la letizia e la pace del Risorto.

Con questi sentimenti, ricambio fin d’ora i più cordiali auguri di santa Pasqua a tutti voi, estendendoli alle vostre Comunità e a tutti i vostri cari.

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lunedì 29 marzo 2010

Il Papa: Giovanni Paolo II sapeva di essere stato preso per mano dal Signore e questo gli ha consentito di esercitare un ministero molto fecondo


LA FIGURA DI KAROL WOJTYLA, GIOVANNI PAOLO II

ANNIVERSARI DELLA MORTE DI GIOVANNI PAOLO II: RASSEGNA STAMPA

CAPPELLA PAPALE NEL V ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL SERVO DI DIO GIOVANNI PAOLO II

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Lunedì, 29 marzo 2010

Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle
!

Siamo riuniti intorno all’altare, presso la tomba dell’Apostolo Pietro, per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dell’anima eletta del Venerabile Giovanni Paolo II, nel quinto anniversario della sua dipartita. Lo facciamo con qualche giorno di anticipo, perché il 2 aprile sarà quest’anno il Venerdì Santo. Siamo, comunque, all’interno della Settimana Santa, contesto quanto mai propizio al raccoglimento e alla preghiera, nel quale la Liturgia ci fa rivivere più intensamente le ultime giornate della vita terrena di Gesù. Desidero esprimere la mia riconoscenza a tutti voi che prendete parte a questa Santa Messa. Saluto cordialmente i Cardinali – in modo speciale l’Arcivescovo Stanislao Dziwisz – i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose; come pure i pellegrini giunti appositamente dalla Polonia, i tanti giovani e i numerosi fedeli che non hanno voluto mancare a questa Celebrazione.

Nella prima lettura biblica che è stata proclamata, il profeta Isaia presenta la figura di un “Servo di Dio”, che è allo stesso tempo il suo eletto, nel quale egli si compiace. Il Servo agirà con fermezza incrollabile, con un’energia che non viene meno fino a che egli non abbia realizzato il compito che gli è stato assegnato. Eppure, non avrà a sua disposizione quei mezzi umani che sembrano indispensabili all’attuazione di un piano così grandioso. Egli si presenterà con la forza della convinzione, e sarà lo Spirito che Dio ha posto in lui a dargli la capacità di agire con mitezza e con forza, assicurandogli il successo finale. Ciò che il profeta ispirato dice del Servo, lo possiamo applicare all’amato Giovanni Paolo II: il Signore lo ha chiamato al suo servizio e, nell’affidargli compiti di sempre maggiore responsabilità, lo ha anche accompagnato con la sua grazia e con la sua continua assistenza. Durante il suo lungo Pontificato, egli si è prodigato nel proclamare il diritto con fermezza, senza debolezze o tentennamenti, soprattutto quando doveva misurarsi con resistenze, ostilità e rifiuti. Sapeva di essere stato preso per mano dal Signore, e questo gli ha consentito di esercitare un ministero molto fecondo, per il quale, ancora una volta, rendiamo fervide grazie a Dio.

Il Vangelo poc’anzi proclamato ci conduce a Betania, dove, come annota l’Evangelista, Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro (Gv 12,1). Questo banchetto in casa dei tre amici di Gesù è caratterizzato dai presentimenti della morte imminente: i sei giorni prima di Pasqua, il suggerimento del traditore Giuda, la risposta di Gesù che richiama uno degli atti pietosi della sepoltura anticipato da Maria, l’accenno che non sempre lo avrebbero avuto con loro, il proposito di eliminare Lazzaro in cui si riflette la volontà di uccidere Gesù. In questo racconto evangelico, c’è un gesto sul quale vorrei attirare l’attenzione: Maria di Betania “prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli” (12,3). Il gesto di Maria è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore: per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro con l’acqua, ma li cosparge con una grande quantità di profumo prezioso, che – come contesterà Giuda – si sarebbe potuto vendere per trecento denari; non unge, poi, il capo, come era usanza, ma i piedi: Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda. L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore.

Maria si pone ai piedi di Gesù in umile atteggiamento di servizio, come farà lo stesso Maestro nell’Ultima Cena, quando – ci dice il quarto Vangelo – “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli” (Gv 13,4-5), perché – disse – “anche voi facciate come io ho fatto a voi” (v. 15): la regola della comunità di Gesù è quella dell’amore che sa servire fino al dono della vita. E il profumo si spande: “tutta la casa – annota l’Evangelista – si riempì dell’aroma di quel profumo” (Gv 12,3). Il significato del gesto di Maria, che è risposta all’Amore infinito di Dio, si diffonde tra tutti i convitati; ogni gesto di carità e di devozione autentica a Cristo non rimane un fatto personale, non riguarda solo il rapporto tra l’individuo e il Signore, ma riguarda l’intero corpo della Chiesa, è contagioso: infonde amore, gioia, luce.

“Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11): all’atto di Maria si contrappongono l’atteggiamento e le parole di Giuda, che, sotto il pretesto dell’aiuto da recare ai poveri, nasconde l’egoismo e la falsità dell’uomo chiuso in se stesso, incatenato dall’avidità del possesso, che non si lascia avvolgere dal buon profumo dell’amore divino. Giuda calcola là dove non si può calcolare, entra con animo meschino dove lo spazio è quello dell’amore, del dono, della dedizione totale. E Gesù, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interviene a favore del gesto di Maria: “Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Gesù comprende che Maria ha intuito l’amore di Dio ed indica che ormai la sua ”ora” si avvicina, l’“ora” in cui l’Amore troverà la sua espressione suprema sul legno della Croce: il Figlio di Dio dona se stesso perché l’uomo abbia la vita, scende negli abissi della morte per portare l’uomo alle altezze di Dio, non ha paura di umiliarsi “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,8). Sant’Agostino, nel Sermone in cui commenta tale brano evangelico, rivolge a ciascuno di noi, con parole incalzanti, l’invito ad entrare in questo circuito d’amore, imitando il gesto di Maria e ponendosi concretamente alla sequela di Gesù. Scrive Agostino: “Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore… Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore” (In Ioh. evang., 50, 6).

Cari fratelli e sorelle! Tutta la vita del Venerabile Giovanni Paolo II si è svolta nel segno di questa carità, della capacità di donarsi in modo generoso, senza riserve, senza misura, senza calcolo. Ciò che lo muoveva era l’amore verso Cristo, a cui aveva consacrato la vita, un amore sovrabbondante e incondizionato. E proprio perché si è avvicinato sempre più a Dio nell’amore, egli ha potuto farsi compagno di viaggio per l’uomo di oggi, spargendo nel mondo il profumo dell’Amore di Dio. Chi ha avuto la gioia di conoscerlo e frequentarlo, ha potuto toccare con mano quanto viva fosse in lui la certezza “di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”, come abbiamo ascoltato nel Salmo responsoriale (26/27,13); certezza che lo ha accompagnato nel corso della sua esistenza e che, in modo particolare, si è manifestata durante l’ultimo periodo del suo pellegrinaggio su questa terra: la progressiva debolezza fisica, infatti, non ha mai intaccato la sua fede rocciosa, la sua luminosa speranza, la sua fervente carità. Si è lasciato consumare per Cristo, per la Chiesa, per il mondo intero: la sua è stata una sofferenza vissuta fino all’ultimo per amore e con amore.

Nell’Omelia per il XXV anniversario del suo Pontificato, egli confidò di avere sentito forte nel suo cuore, al momento dell’elezione, la domanda di Gesù a Pietro: “Mi ami tu? Mi ami più di costoro…? (Gv 21,15-16); e aggiunse: “Ogni giorno si svolge all’interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo” (Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato” (16 ottobre 2003). Sono parole cariche di fede e di amore, l’amore di Dio, che tutto vince!

Na zakończenie pragnę pozdrowić obecnych tu Polaków. Gromadzicie się licznie wokół grobu Czcigodnego Sługi Bożego ze szczególnym sentymentem, jako córki i synowie tej samej ziemi, wyrastający w tej samej kulturze i duchowej tradycji. Życie i dzieło Jana Pawła II, wielkiego Polaka, może być dla Was powodem do dumy. Trzeba jednak byście pamiętali, że jest to również wielkie wezwanie, abyście byli wiernymi świadkami tej wiary, nadziei i miłości, jakich on nieustannie nas uczył. Przez wstawiennictwo Jana Pawła II niech was zawsze umacnia Boże błogosławieństwo.

[Infine voglio salutare i polacchi qui presenti. Vi radunate numerosi intorno alla tomba del Venerabile Servo di Dio con un sentimento speciale, come figlie e figli della stessa terra, cresciuti nella stessa cultura e tradizione spirituale. La vita e l’opera di Giovanni Paolo II, grande polacco, può essere per voi motivo di orgoglio. Bisogna però che ricordiate, che questa è anche una grande chiamata ad essere fedeli testimoni della fede, della speranza e dell’amore, che egli ci ha ininterrottamente insegnato. Per l’intercessione di Giovanni Paolo II, vi sorregga sempre la benedizione del Signore.]

Mentre proseguiamo la Celebrazione eucaristica, accingendoci a vivere i giorni gloriosi della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, affidiamoci con fiducia – sull’esempio del Venerabile Giovanni Paolo II – all’intercessione della Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, affinché ci sostenga nell’impegno di essere, in ogni circostanza, apostoli infaticabili del suo Figlio divino e del suo Amore misericordioso. Amen!

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domenica 28 marzo 2010

Il Papa: "Cari amici, non temete quando il seguire Cristo comporta incomprensioni e offese"


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LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 28.03.2010

Al termine della solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI recita l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PAROLE DEL SANTO PADRE

Mentre ci avviamo a concludere questa celebrazione, il pensiero non può non andare alla Domenica delle Palme di 25 anni fa. Era il 1985, che le Nazioni Unite avevano dichiarato "Anno della Gioventù". Il Venerabile Giovanni Paolo II volle cogliere quella occasione e, commemorando l’ingresso di Cristo in Gerusalemme acclamato dai suoi giovani discepoli, diede inizio alle Giornate Mondiali della Gioventù. Da allora, la Domenica delle Palme ha acquisito questa caratteristica, che ogni due o tre anni si manifesta anche nei grandi incontri mondiali, tracciando una sorta di pellegrinaggio giovanile attraverso l’intero pianeta alla sequela di Gesù. 25 anni or sono, il mio amato Predecessore invitò i giovani a professare la loro fede in Cristo che "ha preso su di sé la causa dell’uomo" (Omelia, 31 marzo 1985, nn. 5, 7: Insegnamenti VIII, 1 [1985], 884, 886). Oggi io rinnovo questo appello alla nuova generazione, a dare testimonianza con la forza mite e luminosa della verità, perché agli uomini e alle donne del terzo millennio non manchi il modello più autentico: Gesù Cristo. Consegno questo mandato in particolare ai 300 delegati del Forum Internazionale dei Giovani, venuti da ogni parte del mondo, convocati dal Pontificio Consiglio per i Laici.

Chers pèlerins francophones, rassemblés en ce dimanche des Rameaux, je vous salue cordialement, particulièrement vous, les jeunes, en cette vingt-cinquième Journée Mondiale de la Jeunesse. Accueillez avec joie l’appel à suivre le Christ, à l’aimer par-dessus tout et à le servir dans ses frères ! N’ayez pas peur de répondre avec générosité, s’il vous invite à le suivre dans la vie sacerdotale ou dans la vie religieuse. Tout au long de cette Semaine Sainte, avec Marie, suivez Jésus qui nous conduit vers la lumière de la Résurrection ! À tous, bonne montée vers Pâques !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors at this Angelus, especially the young people present who are celebrating the twenty-fifth World Youth Day. Today we also begin Holy Week, the Church’s most intense time of prayer and reflection, by recalling Jesus’s welcome into Jerusalem by the children. Let us make their joy our own, by welcoming Christ into our lives, our hearts and our families. Upon you and your loved ones, I gladly invoke the strength and peace of our Lord Jesus Christ.

Ein herzliches „Grüß Gott" sage ich allen deutschsprachigen Pilgern und Besuchern, und ganz besonders den jungen Menschen, die am heutigen Palmsonntag den 25. Weltjugendtag in den Diözesen feiern. Voll Freude sehen wir, daß auch in unserer Zeit viele Jugendliche Jesus Christus mit Begeisterung die Tore ihres Lebens öffnen und sich ohne Scheu zu ihrem Herrn und König bekennen. Der Blick auf die liebende Hingabe Jesu, die wir in den Geheimnissen der Karwoche betrachten werden, schenke uns allen die Kraft, nicht vor den Ansprüchen der Nachfolge Christi zurückzuschrecken. Der Herr segne euch und eure Familien.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentes en esta oración mariana. Con la celebración del Domingo de Ramos, la Iglesia conmemora la Entrada Triunfal del Señor en Jerusalén, iniciándose así esta Semana grande y santa, donde celebraremos los misterios de la Pasión, Muerte y Resurrección de Nuestro Señor. Os invito, queridos hermanos, a participar con especial fervor en las celebraciones litúrgicas de los próximos días, para experimentar y gozar de la infinita misericordia de Dios, que por amor nos libra del pecado y de la muerte. Buenas y santas fiestas. Muchas gracias.

Pozdravljam dijake Škofijske klasične gimnazije v Šentvidu in vse druge slovenske romarje! Želim vam, da bi vedno z navdušenjem sprejemali Jezusa kot odrešenika in mu sledili – če treba tudi preko trpljenja - do zmage vstajenja. Naj vas spremlja moj blagoslov!

[Saluto gli alunni del Liceo Classico Diocesano di Šentvid e tutti gli altri pellegrini sloveni! Vi auguro cordialmente di accogliere Gesù come Salvatore sempre con entusiasmo e di seguirlo – se necessario anche attraverso la sofferenza – fino alla vittoria della risurrezione! Vi accompagni la mia Benedizione!]

Pozdrawiam pielgrzymów polskich, szczególnie młodych, którzy przybyli do Rzymu z okazji Światowego Dnia Młodzieży. Raz jeszcze zadajemy Chrystusowi pytanie: „Nauczycielu dobry, co mam czynić, aby osiągnąć życie wieczne?" (Mk 10, 17). Przeżycia Wielkiego Tygodnia, które w szczególny sposób ukazują wielką miłość Boga do człowieka, niech pomogą nam znaleźć właściwą odpowiedź. Życzę wszystkim głębokiej zadumy nad męką, śmiercią i zmartwychwsta

niem Chrystusa.

[Saluto i pellegrini Polacchi e, in modo particolare, tutti i giovani che sono venuti a Roma in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Ancora una volta chiediamo a Gesù: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?" (Mc 10,17). I misteri della Settimana Santa, che in modo particolare ci mostrano il grande amore di Dio verso l’uomo, ci aiutino a trovare la giusta risposta. Auguro a tutti di meditare in profondità la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.]

Infine, saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i giovani venuti da varie città e diocesi. Cari amici, non temete quando il seguire Cristo comporta incomprensioni e offese. Servitelo nelle persone più fragili e svantaggiate, in particolare nei vostri coetanei in difficoltà. A questo proposito, desidero assicurare anche una speciale preghiera per la Giornata mondiale dei portatori di autismo, promossa dall’ONU, che ricorrerà il prossimo 2 aprile.

In questo momento, il nostro pensiero e il nostro cuore si dirigono in modo particolare a Gerusalemme, dove il mistero pasquale si è compiuto. Sono profondamente addolorato per i recenti contrasti e per le tensioni verificatisi ancora una volta in quella Città, che è patria spirituale di Cristiani, Ebrei e Musulmani, profezia e promessa di quell’universale riconciliazione che Dio desidera per tutta la famiglia umana. La pace è un dono che Dio affida alla responsabilità umana, affinché lo coltivi attraverso il dialogo e il rispetto dei diritti di tutti, la riconciliazione e il perdono. Preghiamo, quindi, perché i responsabili delle sorti di Gerusalemme intraprendano con coraggio la via della pace e la seguano con perseveranza!

Cari fratelli e sorelle! Come fece Gesù con il discepolo Giovanni, anch’io vi affido a Maria, dicendovi: Ecco la vostra madre (cfr Gv 19,27). A Lei ci rivolgiamo tutti con fiducia filiale, recitando insieme la preghiera dell’Angelus.

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Il Papa: Gesù ci conduce verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti


QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

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CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE, 28.03.2010

Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.
Alla celebrazione prendono parte giovani di Roma e di altre Diocesi, in occasione della ricorrenza della XXV Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10, 17).
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Luca:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,
cari giovani
!

Il Vangelo della benedizione delle palme, che ascoltiamo qui riuniti in Piazza San Pietro, comincia con la frase: “Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme” (Lc 19,28). Subito all’inizio della liturgia di questo giorno, la Chiesa anticipa la sua risposta al Vangelo, dicendo: “Seguiamo il Signore”. Con ciò il tema della Domenica delle Palme è chiaramente espresso. È la sequela.

Essere cristiani significa considerare la via di Gesù Cristo come la via giusta per l’essere uomini – come quella via che conduce alla meta, ad un’umanità pienamente realizzata e autentica. In modo particolare, vorrei ripetere a tutti i giovani e le giovani, in questa XXV Giornata Mondiale della Gioventù, che l’essere cristiani è un cammino, o meglio: un pellegrinaggio, un andare insieme con Gesù Cristo. Un andare in quella direzione che Egli ci ha indicato e ci indica.

Ma di quale direzione si tratta? Come la si trova? La frase del nostro Vangelo offre due indicazioni al riguardo. In primo luogo dice che si tratta di un’ascesa. Ciò ha innanzitutto un significato molto concreto. Gerico, dove ha avuto inizio l’ultima parte del pellegrinaggio di Gesù, si trova a 250 metri sotto il livello del mare, mentre Gerusalemme – la meta del cammino – sta a 740-780 metri sul livello del mare: un’ascesa di quasi mille metri. Ma questa via esteriore è soprattutto un’immagine del movimento interiore dell’esistenza, che si compie nella sequela di Cristo: è un’ascesa alla vera altezza dell’essere uomini.

L’uomo può scegliere una via comoda e scansare ogni fatica. Può anche scendere verso il basso, il volgare. Può sprofondare nella palude della menzogna e della disonestà. Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto.

Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l’aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l’altro.

Egli conduce verso la disponibilità per i sofferenti, per gli abbandonati; verso la fedeltà che sta dalla parte dell’altro anche quando la situazione si rende difficile. Conduce verso la disponibilità a recare aiuto; verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall’ingratitudine. Egli ci conduce verso l’amore – ci conduce verso Dio.

“Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme”. Se leggiamo questa parola del Vangelo nel contesto della via di Gesù nel suo insieme – una via che, appunto, prosegue sino alla fine dei tempi – possiamo scoprire nell’indicazione della meta “Gerusalemme” diversi livelli. Naturalmente innanzitutto deve intendersi semplicemente il luogo “Gerusalemme”: è la città in cui si trovava il Tempio di Dio, la cui unicità doveva alludere all’unicità di Dio stesso. Questo luogo annuncia quindi anzitutto due cose: da un lato dice che Dio è uno solo in tutto il mondo, supera immensamente tutti i nostri luoghi e tempi; è quel Dio a cui appartiene l’intera creazione. È il Dio di cui tutti gli uomini nel più profondo sono alla ricerca e di cui in qualche modo tutti hanno anche conoscenza. Ma questo Dio si è dato un nome. Si è fatto conoscere a noi, ha avviato una storia con gli uomini; si è scelto un uomo – Abramo – come punto di partenza di questa storia. Il Dio infinito è al contempo il Dio vicino. Egli, che non può essere rinchiuso in alcun edificio, vuole tuttavia abitare in mezzo a noi, essere totalmente con noi.

Se Gesù insieme con l’Israele peregrinante sale verso Gerusalemme, Egli ci va per celebrare con Israele la Pasqua: il memoriale della liberazione di Israele – memoriale che, allo stesso tempo, è sempre speranza della libertà definitiva, che Dio donerà. E Gesù va verso questa festa nella consapevolezza di essere Egli stesso l’Agnello in cui si compirà ciò che il Libro dell’Esodo dice al riguardo: un agnello senza difetto, maschio, che al tramonto, davanti agli occhi dei figli d’Israele, viene immolato “come rito perenne” (cfr Es 12,5-6.14).

E infine Gesù sa che la sua via andrà oltre: non avrà nella croce la sua fine. Sa che la sua via strapperà il velo tra questo mondo e il mondo di Dio; che Egli salirà fino al trono di Dio e riconcilierà Dio e l’uomo nel suo corpo. Sa che il suo corpo risorto sarà il nuovo sacrificio e il nuovo Tempio; che intorno a Lui, dalla schiera degli Angeli e dei Santi, si formerà la nuova Gerusalemme che è nel cielo e tuttavia è anche già sulla terra, perché nella sua passione Egli ha aperto il confine tra cielo e terra. La sua via conduce al di là della cima del monte del Tempio fino all’altezza di Dio stesso: è questa la grande ascesa alla quale Egli invita tutti noi. Egli rimane sempre presso di noi sulla terra ed è sempre già giunto presso Dio, Egli ci guida sulla terra e oltre la terra.

Così, nell’ampiezza dell’ascesa di Gesù diventano visibili le dimensioni della nostra sequela – la meta alla quale Egli vuole condurci: fino alle altezze di Dio, alla comunione con Dio, all’essere-con-Dio. È questa la vera meta, e la comunione con Lui è la via. La comunione con Lui è un essere in cammino, una permanente ascesa verso la vera altezza della nostra chiamata.

Il camminare insieme con Gesù è al contempo sempre un camminare nel «noi» di coloro che vogliono seguire Lui. Ci introduce in questa comunità. Poiché il cammino fino alla vita vera, fino ad un essere uomini conformi al modello del Figlio di Dio Gesù Cristo supera le nostre proprie forze, questo camminare è sempre anche un essere portati.

Ci troviamo, per così dire, in una cordata con Gesù Cristo – insieme con Lui nella salita verso le altezze di Dio. Egli ci tira e ci sostiene. Fa parte della sequela di Cristo che ci lasciamo integrare in tale cordata; che accettiamo di non potercela fare da soli. Fa parte di essa questo atto di umiltà, l’entrare nel «noi» della Chiesa; l’aggrapparsi alla cordata, la responsabilità della comunione – il non strappare la corda con la caparbietà e la saccenteria. L’umile credere con la Chiesa, come essere saldati nella cordata dell’ascesa verso Dio, è una condizione essenziale della sequela. Di questo essere nell’insieme della cordata fa parte anche il non comportarsi da padroni della Parola di Dio, il non correre dietro un’idea sbagliata di emancipazione. L’umiltà dell’«essere-con» è essenziale per l’ascesa. Fa anche parte di essa che nei Sacramenti ci lasciamo sempre di nuovo prendere per mano dal Signore; che da Lui ci lasciamo purificare e corroborare; che accettiamo la disciplina dell’ascesa, anche se siamo stanchi.

Infine, dobbiamo ancora dire: dell’ascesa verso l’altezza di Gesù Cristo, dell’ascesa fino all’altezza di Dio stesso fa parte la Croce. Come nelle vicende di questo mondo non si possono raggiungere grandi risultati senza rinuncia e duro esercizio, come la gioia per una grande scoperta conoscitiva o per una vera capacità operativa è legata alla disciplina, anzi, alla fatica dell’apprendimento, così la via verso la vita stessa, verso la realizzazione della propria umanità è legata alla comunione con Colui che è salito all’altezza di Dio attraverso la Croce. In ultima analisi, la Croce è espressione di ciò che l’amore significa: solo chi perde se stesso, si trova.

Riassumiamo: la sequela di Cristo richiede come primo passo il risvegliarsi della nostalgia per l’autentico essere uomini e così il risvegliarsi per Dio. Richiede poi che si entri nella cordata di quanti salgono, nella comunione della Chiesa. Nel «noi» della Chiesa entriamo in comunione col «Tu» di Gesù Cristo e raggiungiamo così la via verso Dio. È richiesto inoltre che si ascolti la Parola di Gesù Cristo e la si viva: in fede, speranza e amore. Così siamo in cammino verso la Gerusalemme definitiva e già fin d’ora, in qualche modo, ci troviamo là, nella comunione di tutti i Santi di Dio.

Il nostro pellegrinaggio alla sequela di Cristo non va verso una città terrena, ma verso la nuova Città di Dio che cresce in mezzo a questo mondo. Il pellegrinaggio verso la Gerusalemme terrestre, tuttavia, può essere proprio anche per noi cristiani un elemento utile per tale viaggio più grande.

Io stesso ho collegato al mio pellegrinaggio in Terra Santa dello scorso anno tre significati. Anzitutto avevo pensato che a noi può capitare in tale occasione ciò che san Giovanni dice all’inizio della sua Prima Lettera: quello che abbiamo udito, lo possiamo, in certo qual modo, vedere e toccare con le nostre mani (cfr 1Gv 1,1). La fede in Gesù Cristo non è un’invenzione leggendaria. Essa si fonda su di una storia veramente accaduta. Questa storia noi la possiamo, per così dire, contemplare e toccare. È commovente trovarsi a Nazaret nel luogo dove l’Angelo apparve a Maria e le trasmise il compito di diventare la Madre del Redentore. È commovente essere a Betlemme nel luogo dove il Verbo, fattosi carne, è venuto ad abitare fra noi; mettere il piede sul terreno santo in cui Dio ha voluto farsi uomo e bambino. È commovente salire la scala verso il Calvario fino al luogo in cui Gesù è morto per noi sulla Croce. E stare infine davanti al sepolcro vuoto; pregare là dove la sua santa salma riposò e dove il terzo giorno avvenne la risurrezione. Seguire le vie esteriori di Gesù deve aiutarci a camminare più gioiosamente e con una nuova certezza sulla via interiore che Egli ci ha indicato e che è Lui stesso.

Quando andiamo in Terra Santa come pellegrini, vi andiamo però anche – e questo è il secondo aspetto – come messaggeri della pace, con la preghiera per la pace; con l’invito a tutti di fare in quel luogo, che porta nel nome la parola “pace”, tutto il possibile affinché esso diventi veramente un luogo di pace. Così questo pellegrinaggio è al tempo stesso – come terzo aspetto – un incoraggiamento per i cristiani a rimanere nel Paese delle loro origini e ad impegnarsi intensamente in esso per la pace.

Alla fine del Vangelo per la benedizione delle palme udiamo l’acclamazione con cui i pellegrini salutano Gesù alle porte di Gerusalemme. È la parola dal Salmo 118 (117), che originariamente i sacerdoti proclamavano dalla Città Santa ai pellegrini, ma che, nel frattempo, era diventata espressione della speranza messianica: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Sal 118[117],26; Lc 19,38). I pellegrini vedono in Gesù l’Atteso, che viene nel nome del Signore, anzi, secondo il Vangelo di san Luca, inseriscono ancora una parola: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore”. E proseguono con un’acclamazione che ricorda il messaggio degli Angeli a Natale, ma lo modifica in una maniera che fa riflettere. Gli Angeli avevano parlato della gloria di Dio nel più alto dei cieli e della pace in terra per gli uomini della benevolenza divina. I pellegrini all’ingresso della Città Santa dicono: “Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!”.

Sanno troppo bene che in terra non c’è pace. E sanno che il luogo della pace è il cielo – sanno che fa parte dell’essenza del cielo di essere luogo di pace. Così questa acclamazione è espressione di una profonda pena e, insieme, è preghiera di speranza: Colui che viene nel nome del Signore porti sulla terra ciò che è nei cieli. La sua regalità diventi la regalità di Dio, presenza del cielo sulla terra. La Chiesa, prima della consacrazione eucaristica, canta la parola del Salmo con cui Gesù venne salutato prima del suo ingresso nella Città Santa: essa saluta Gesù come il Re che, venendo da Dio, nel nome di Dio entra in mezzo a noi. Anche oggi questo saluto gioioso è sempre supplica e speranza.

Preghiamo il Signore affinché porti a noi il cielo: la gloria di Dio e la pace degli uomini. Intendiamo tale saluto nello spirito della domanda del Padre Nostro: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!”. Sappiamo che il cielo è cielo, luogo della gloria e della pace, perché lì regna totalmente la volontà di Dio. E sappiamo che la terra non è cielo fin quando in essa non si realizza la volontà di Dio. Salutiamo quindi Gesù che viene dal cielo e lo preghiamo di aiutarci a conoscere e a fare la volontà di Dio. Che la regalità di Dio entri nel mondo e così esso sia colmato con lo splendore della pace. Amen.

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venerdì 26 marzo 2010

Il Papa ai giovani: "La nostra vita non esiste per caso, non è un caso. La mia vita è voluta da Dio dall’eternità..."


IL PAPA, INTERROGATO, RISPONDE "A BRACCIO"

IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

Vedi anche:

La fede più forte delle accuse mediatiche. I giovani con Papa Ratzinger (Lorenzoni)

Il Papa e l'arte di essere uomini. L'incontro in piazza San Pietro con 70.000 giovani (Bustaffa)

L'affetto di 70mila giovani per Benedetto XVI. Il Papa: è nel dono di sé che si trova la vera vita (Radio Vaticana)

La stupenda serata con il Papa ed i giovani nel commento di Salvatore Izzo

Bellissima serata con il Papa :-)

INCONTRO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI CON I GIOVANI DI ROMA E DEL LAZIO, 25.03.2010

Alle ore 20.30 di questa sera, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato i giovani di Roma e del Lazio in preparazione alla Giornata Mondiale della Gioventù.
L’arrivo del Santo Padre è stato preceduto da un momento di festa e di riflessione curato dal Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile di Roma, che ha avuto inizio alle ore 19.
Pubblichiamo di seguito il dialogo tra i giovani e il Santo Padre:


DIALOGO DEL SANTO PADRE CON I GIOVANI

D: Padre Santo il giovane del Vangelo ha chiesto a Gesù: maestro buono cosa devo fare per avere la vita eterna? Io non so neanche cosa è la vita eterna. Non riesco ad immaginarmela, ma una cosa la so: non voglio buttare la mia vita, voglio viverla fino in fondo e non da sola. Ho paura che questo non avvenga, ho paura di pensare solo a me stessa, di sbagliare tutto e di ritrovarmi senza una meta da raggiungere, vivendo alla giornata. E’ possibile fare della mia vita qualcosa di bello e di grande?

Cari giovani,

prima di rispondere alla domanda vorrei dire grazie di cuore per tutta la vostra presenza, per questa meravigliosa testimonianza della fede, del voler vivere in comunione con Gesù, per il vostro entusiasmo nel seguire Gesù e vivere bene. Grazie!

Ed ora la domanda. Lei ci ha detto che non sa cosa sia la vita eterna e non sa immaginarsela. Nessuno di noi è in grado di immaginare la vita eterna, perché è fuori della nostra esperienza.
Tuttavia, possiamo cominciare a comprendere che cosa sia la vita eterna, e penso che lei, con la sua domanda, ci abbia dato una descrizione dell’essenziale della vita eterna, cioè della vera vita: non buttare via la vita, viverla in profondità, non vivere per se stessi, non vivere alla giornata, ma vivere realmente la vita nella sua ricchezza e nella sua totalità.
E come fare? Questa è la grande questione, con la quale anche il ricco del Vangelo è venuto al Signore (cfr Mc 10,17). A prima vista, la risposta del Signore appare molto secca. Tutto sommato, dice: osserva i comandamenti (cfr Mc 10,19). Ma dietro, se riflettiamo bene, se ascoltiamo bene il Signore, nella totalità del Vangelo, troviamo la grande saggezza della Parola di Dio, di Gesù. I comandamenti, secondo un’altra Parola di Gesù, sono riassunti in quest’unico: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la ragione, con tutta l’esistenza e amare il prossimo come se stesso. Amare Dio, suppone conoscere Dio, riconoscere Dio. E questo è il primo passo che dobbiamo fare: cercare di conoscere Dio.
E così sappiamo che la nostra vita non esiste per caso, non è un caso. La mia vita è voluta da Dio dall’eternità. Io sono amato, sono necessario. Dio ha un progetto con me nella totalità della storia; ha un progetto proprio per me. La mia vita è importante e anche necessaria.
L’amore eterno mi ha creato in profondità e mi aspetta. Quindi, questo è il primo punto: conoscere, cercare di conoscere Dio e così capire che la vita è un dono, che è bene vivere. Poi l’essenziale è l’amore. Amare questo Dio che mi ha creato, che ha creato questo mondo, che governa tra tutte le difficoltà dell’uomo e della storia, e che mi accompagna. E amare il prossimo.

I dieci comandamenti ai quali Gesù nella sua risposta accenna, sono solo un’esplicitazione del comandamento dell’amore. Sono, per così dire, regole dell’amore, indicano la strada dell’amore con questi punti essenziali: la famiglia, come fondamento della società; la vita, da rispettare come dono di Dio; l’ordine della sessualità, della relazione tra uomo e donna; l’ordine sociale e, finalmente, la verità. Questi elementi essenziali esplicitano la strada dell’amore, esplicitano come realmente amare e come trovare la via retta.

Quindi c’è una volontà fondamentale di Dio per noi tutti, che è identica per tutti noi. Ma la sua applicazione è diversa in ogni vita, perché Dio ha un progetto preciso con ogni uomo.

San Francesco di Sales una volta ha detto: la perfezione, cioè l’essere buono, il vivere la fede e l’amore, è sostanzialmente una, ma in forme molto diverse. Molto diversa è la santità di un certosino e di un uomo politico, di uno scienziato o di un contadino, e via dicendo. E così per ogni uomo Dio ha il suo progetto e io devo trovare, nelle mie circostanze, il mio modo di vivere questa unica e comune volontà di Dio le cui grandi regole sono indicate in queste esplicazioni dell’amore. E cercare quindi anche di compiere ciò che è l’essenza dell’amore, cioè non prendere la vita per me, ma dare la vita; non "avere" la vita, ma fare della vita un dono, non cercare me stesso, ma dare agli altri. Questo è l’essenziale, e implica rinunce, cioè uscire da me stesso e non cercare me stesso. E proprio non cercando me stesso, ma dandomi per le grandi e vere cose, trovo la vera vita. Così ognuno troverà, nella sua vita, le diverse possibilità: impegnarsi nel volontariato, in una comunità di preghiera, in un movimento, nell’azione della sua parrocchia, nella propria professione. Trovare la mia vocazione e viverla in ogni posto è importante e fondamentale, sia io un grande scienziato, o un contadino. Tutto è importante agli occhi di Dio: è bello se è vissuto sino in fondo con quell’amore che realmente redime il mondo.

Alla fine vorrei raccontare una piccola storia di santa Giuseppina Bakhita, questa piccola santa africana che in Italia ha trovato Dio e Cristo, e che mi fa sempre una grande impressione. Era suora in un convento italiano; un giorno, il Vescovo del luogo fa visita a quel monastero, vede questa piccola suora nera, della quale sembra non avesse saputo nulla e dice: "Suora cosa fa lei qui?" E Bakhita risponde: "La stessa cosa che fa lei, eccellenza". Il vescovo visibilmente irritato dice: "Ma come, suora, fa la stessa cosa come me?", "Sì, – dice la suora – ambedue vogliamo fare la volontà di Dio, non è vero?".
Infine questo è il punto essenziale: conoscere, con l’aiuto della Chiesa, della Parola di Dio e degli amici, la volontà di Dio, sia nelle sue grandi linee, comuni per tutti, sia nella concretezza della mia vita personale. Così la vita diventa forse non troppo facile, ma bella e felice. Preghiamo il Signore che ci aiuti sempre a trovare la sua volontà e a seguirla con gioia.

D. Il Vangelo ci ha detto che Gesù fissò quel giovane e lo amò. Padre Santo che vuol dire essere guardati con amore da Gesù; come possiamo fare anche noi oggi questa esperienza? Ma è davvero possibile vivere questa esperienza anche in questa vita di oggi?

Naturalmente direi di sì, perché il Signore è sempre presente e guarda ognuno di noi con amore. Solo che noi dobbiamo trovare questo sguardo e incontrarci con lui. Come fare? Direi che il primo punto per incontrarci con Gesù, per fare esperienza del suo amore è conoscerlo. Conoscere Gesù implica diverse vie. Una prima condizione è conoscere la figura di Gesù come ci appare nei Vangeli, che ci danno un ritratto molto ricco della figura di Gesù, nelle grandi parabole, pensiamo al figliol prodigo, al samaritano, a Lazzaro eccetera. In tutte le parabole, in tutte le sue parole, nel sermone della montagna, troviamo realmente il volto di Gesù, il volto di Dio fino alla croce dove, per amore di noi, si dà totalmente fino alla morte e può, alla fine, dire Nelle tue mani Padre, do la mia vita, la mia anima (cfr Lc 23,46).

Quindi: conoscere, meditare Gesù insieme con gli amici, con la Chiesa e conoscere Gesù non solo in modo accademico, teorico, ma con il cuore, cioè parlare con Gesù nella preghiera. Una persona non la si può conoscere nello stesso modo in cui posso studiare la matematica. Per la matematica è necessaria e sufficiente la ragione, ma per conoscere una persona, anzitutto la grande persona di Gesù, Dio e uomo, ci vuole anche la ragione, ma, nello stesso tempo, anche il cuore.

Solo con l’apertura del cuore a lui, solo con la conoscenza dell’insieme di quanto ha detto e di quanto ha fatto, con il nostro amore, con il nostro andare verso di lui, possiamo man mano conoscerlo sempre di più e così anche fare l’esperienza di essere amati. Quindi: ascoltare la Parola di Gesù, ascoltarla nella comunione della Chiesa, nella sua grande esperienza e rispondere con la nostra preghiera, con il nostro colloquio personale con Gesù, dove gli diciamo quanto non possiamo capire, i nostri bisogni, le nostre domande.

In un vero colloquio, possiamo trovare sempre di più questa strada della conoscenza, che diventa amore. Naturalmente non solo pensare, non solo pregare, ma anche fare è una parte del cammino verso Gesù: fare le cose buone, impegnarsi per il prossimo. Ci sono diverse strade; ognuno conosce le proprie possibilità, nella parrocchia e nella comunità in cui vive, per impegnarsi anche con Cristo e per gli altri, per la vitalità della Chiesa, perché la fede sia veramente forza formativa del nostro ambiente, e così del nostro tempo. Quindi, direi questi elementi: ascoltare, rispondere, entrare nella comunità credente, comunione con Cristo nei sacramenti, dove si da a noi, sia nell’Eucaristia, sia nella Confessione eccetera, e, finalmente, fare, realizzare le parole della fede così che diventino forza della mia vita e appare veramente anche a me lo sguardo di Gesù e il suo amore mi aiuta, mi trasforma.

D. Gesù invitò il giovane ricco a lasciare tutto, e a seguirlo, ma lui se ne andò via triste. Anche io come lui faccio fatica a seguirlo, perché ho paura di lasciare le mie cose e talvolta la Chiesa mi chiede delle rinunce difficili. Padre Santo come posso trovare la forza per scelte coraggiose, e chi mi può aiutare?

Ecco, cominciamo con questa parola dura per noi: rinunce. Le rinunce sono possibili e, alla fine, diventano anche belle se hanno un perché e se questo perché giustifica poi anche la difficoltà della rinuncia. San Paolo ha usato, in questo contesto, l’immagine delle olimpiadi e degli atleti impegnati per le olimpiadi (cfr 1Cor 9,24-25).

Dice: Loro, per arrivare finalmente alla medaglia - in quel tempo alla corona - devono vivere una disciplina molto dura, devono rinunciare a tante cose, devono esercitarsi nello sport che praticano e fanno grandi sacrifici e rinunce perché hanno una motivazione, ne vale la pena. Anche se alla fine, forse, non sono tra i vincitori, tuttavia è una bella cosa aver disciplinato se stesso ed essere stato capace di fare queste cose con una certa perfezione.

La stessa cosa che vale, con questa immagine di san Paolo, per le olimpiadi, per tutto lo sport, vale anche per tutte le altre cose della vita. Una vita professionale buona non si può raggiungere senza rinunce, senza una preparazione adeguata, che sempre esige una disciplina, esige che si debba rinunciare a qualche cosa, e così via, anche nell’arte e in tutti gli elementi della vita.

Noi tutti comprendiamo che per raggiungere uno scopo, sia professionale, sia sportivo, sia artistico, sia culturale, dobbiamo rinunciare, imparare per andare avanti. Proprio anche l’arte di vivere, di essere se stesso, l’arte di essere uomo esige rinunce, e le rinunce vere, che ci aiutano a trovare la strada della vita, l’arte della vita, ci sono indicate nella Parola di Dio e ci aiutano a non cadere – diciamo - nell’abisso della droga, dell’alcool, della schiavitù della sessualità, della schiavitù del denaro, della pigrizia. Tutte queste cose, in un primo momento, appaiono come azioni di libertà. In realtà, non sono azioni di libertà, ma inizio di una schiavitù che diventa sempre più insuperabile. Riuscire a rinunciare alla tentazione del momento, andare avanti verso il bene crea la vera libertà e fa preziosa la vita. In questo senso, mi sembra, dobbiamo vedere che senza un "no" a certe cose non cresce il grande "sì" alla vera vita, come la vediamo nelle figure dei santi. Pensiamo a san Francesco, pensiamo ai santi del nostro tempo, Madre Teresa, don Gnocchi e tanti altri, che hanno rinunciato e che hanno vinto e sono divenuti non solo liberi loro stessi ma anche una ricchezza per il mondo e ci mostrano come si può vivere. Così alla domanda "chi mi aiuta", direi che ci aiutano le grandi figure della storia della Chiesa, ci aiuta la Parola di Dio, ci aiuta la comunità parrocchiale, il movimento, il volontariato, eccetera. E ci aiutano le amicizie di uomini che "vanno avanti", che hanno già fatto progressi nella strada della vita e che possono convincermi che camminare così è la strada giusta. Preghiamo il Signore che ci doni sempre degli amici, delle comunità che ci aiutano a vedere la strada del bene e a trovare così la vita bella e gioiosa.

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TRADUZIONE UFFICIALE IN ITALIANO DELL'EPISTOLA "DE DELICTIS GRAVIORIBUS" DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE


TRADUZIONE UFFICIALE IN ITALIANO DEL MOTU PROPRIO "SACRAMENTORUM SANCTITATIS TUTELA" DI GIOVANNI PAOLO II

GUIDA PROCEDIMENTI CDF NEI CASI DI ABUSO SESSUALE (2003)

MODIFICHE INTRODOTTE NELLE NORMAE DE GRAVIORIBUS DELICTIS (2010): LO SPECIALE DEL BLOG

MODIFICHE INTRODOTTE NELLE NORMAE DE GRAVIORIBUS DELICTIS: LE NUOVE NORME E LA LETTERA DELLA CDF AI VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI E GERARCHI INTERESSATI

La lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede "Ad exsequendam ecclesiasticam legem"

Sui delitti più gravi

Con la lettera Ad exsequendam ecclesiasticam legem del 18 maggio 2001 a tutta la gerarchia cattolica, la Congregazione per la Dottrina della Fede dava notizia delle norme sui delitti più gravi ("delicta graviora") riservati alla medesima congregazione. Del testo latino della lettera, pubblicato in "Acta Apostolicae Sedis" (93, 2001, pp. 785-788), diamo la traduzione italiana tratta dall'"Enchiridion Vaticanum" (20, 2001, Bologna, Edb, 2004, pp. 491-497).

Per l'applicazione della legge ecclesiastica, che all'articolo 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: "[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all'occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio" (1), era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l'esame delle dottrine, ratificate e confermate dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica (2).
Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare "i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti", per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere "a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche", poiché l'istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant'Offizio il 16 marzo 1962 (3), doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici.

Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l'hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al Sommo Pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell'infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal Sommo Pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica data in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela.

I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono:

- I delitti contro la santità dell'augustissimo sacramento e sacrificio dell'eucaristia, cioè:

1° l'asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate (4);

2° l'attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima (5);

3° la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica né riconoscono la dignità sacramentale dell'ordinazione sacerdotale (6);

4° la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l'altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica (7);

- Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè:

1° l'assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo (8);

2° la sollecitazione, nell'atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso (9);

3° la violazione diretta del sigillo sacramentale (10);

- Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.

Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione.

Ogni volta che l'ordinario o il gerarca avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolto un'indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all'ordinario o al gerarca, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale.

Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione.

Si deve notare che l'azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni (11). La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune (12); ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.

Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i gerarchi, possono ricoprire validamente per tali cause l'ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l'istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d'ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.
Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell'uno e dell'altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.
Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.

Con la presente lettera, inviata per mandato del Sommo Pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e gerarchi interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei gerarchi ci sia una sollecita cura pastorale.

Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.

Joseph card. Ratzinger
prefetto
Tarcisio Bertone, sdb
arcivescovo emerito di Vercelli, segretario

Note

1) Ioannes Paulus II, Constitutio apostolica Pastor bonus de Romana curia, 28.6.1988, art. 52: "Acta Apostolicae Sedis" (AAS) 80 (1988), 874.

2) Congregatio pro Doctrina Fidei, Agendi ratio in doctrinarum examine, 29.6.1997: AAS 89 (1997), 830-835.

3) Suprema Sacra Congregatio Sancti Officii, Instr. Crimen sollicitationis ad omnes patriarchas, archiepiscopos, episcopos aliosque locorum ordinarios "etiam ritus orientalis": De modo procedendi in causis sollicitationis, 16.3.1962, Tipografia poliglotta vaticana 1962.

4) Cfr. Codex Iuris Canonici (CIC), can. 1367; Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium (CCEO), can. 1442. Cfr. et Pontificium Consilium de Legum Textibus Interpretandis. Responsum ad propositum dubium Utrum in can. 1367 CIC, 4.6.1999 [3.7.1999]: AAS 91 (1999), 918.

5) Cfr. CIC cann. 1378 2 n. 1 e 1379; CCEO can. 1443.

6) Cfr. CIC cann. 908 e 1365; CCEO cann. 702 e 1440.

7) Cfr. CIC can. 927.

8) Cfr. CIC can. 1378 1; CCEO can. 1457.

9) Cfr. CIC can. 1387; CCEO can. 1458.

10) Cfr. CIC can. 1388 1; CCEO can. 1456 1.

11) Cfr. CIC can. 1362 1 n. 1; CCEO can. 1152 2 n. 1.

12) Cfr. CIC can. 1362 2; CCEO can. 1152 3.

(©L'Osservatore Romano - 27 marzo 2010)

TRADUZIONE UFFICIALE IN ITALIANO DEL MOTU PROPRIO "SACRAMENTORUM SANCTITATIS TUTELA" DI GIOVANNI PAOLO II


TRADUZIONE UFFICIALE IN ITALIANO DELL'EPISTOLA "DE DELICTIS GRAVIORIBUS" DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

GUIDA PROCEDIMENTI CDF NEI CASI DI ABUSO SESSUALE (2003)

MODIFICHE INTRODOTTE NELLE NORMAE DE GRAVIORIBUS DELICTIS (2010): LO SPECIALE DEL BLOG

MODIFICHE INTRODOTTE NELLE NORMAE DE GRAVIORIBUS DELICTIS: LE NUOVE NORME E LA LETTERA DELLA CDF AI VESCOVI ED AGLI ALTRI ORDINARI E GERARCHI INTERESSATI

Il testo del motu proprio di Giovanni Paolo II

«Sacramentorum sanctitatis tutela»

Con la lettera apostolica in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 30 aprile 2001 Giovanni Paolo II promulgava le norme sui delitti più gravi riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Del testo latino del motu proprio, pubblicato in "Acta Apostolicae Sedis" (93, 2001, pp. 737-739), diamo la traduzione italiana tratta dall'"Enchiridion Vaticanum" (20, 2001, Bologna, Edb, 2004, pp. 397-401).

La tutela della santità dei sacramenti, soprattutto della santissima eucaristia e della penitenza, come pure la preservazione dei fedeli chiamati a essere partecipi del regno del Signore nell'osservanza del sesto comandamento del Decalogo, richiedono che, per procurare la salvezza delle anime, "che deve sempre essere nella Chiesa legge suprema" (Codice di diritto canonico, can. 1752), la Chiesa stessa intervenga con la propria sollecitudine pastorale al fine di prevenire i pericoli di violazione.
Già in passato dai miei predecessori fu provveduto con opportune costituzioni apostoliche alla santità dei sacramenti, in particolare della penitenza, come con la costituzione di Papa Benedetto xiv Sacramentum poenitentiae del 1° giugno 1741 (1); anche i canoni del Codice di diritto canonico promulgato nel 1917, assieme alle loro fonti, con i quali erano state stabilite sanzioni canoniche contro i delitti di questa specie, erano orientati al medesimo scopo (2).
In tempi più recenti, per premunirsi da questi delitti e altri affini, la Suprema Sacra Congregazione del Sant'Offizio, con l'istruzione Crimen sollicitationis, diretta il 16 marzo 1962 a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e agli altri ordinari dei luoghi "anche di rito orientale", stabilì il procedimento da seguire in queste cause, poiché la competenza giudiziaria in esse, sia per via amministrativa sia per via processuale, era affidata esclusivamente ad essa.
Si deve rammentare che tale istruzione aveva forza di legge, dal momento che il Sommo Pontefice, a norma del can. 247 I del Codice di diritto canonico promulgato nel 1917, presiedeva la Congregazione del Sant'Offizio e l'istruzione procedeva dalla sua personale autorità, poiché il cardinale in carica in quel momento fungeva solo da segretario.
Il Sommo Pontefice Paolo vi di felice memoria confermò la competenza giudiziaria e amministrativa nel modo di procedere "secondo le norme proprie emendate e approvate" con la costituzione apostolica sulla curia romana Regimini Ecclesiae universae del 15 agosto 1967 (3).
Infine, con l'autorità che mi è propria, nella costituzione apostolica Pastor bonus, promulgata il 28 giugno 1988, ho espressamente stabilito: "[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all'occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio" (4), ulteriormente confermando e precisando la competenza giudiziaria della medesima Congregazione per la dottrina della fede come Tribunale apostolico.
Dopo l'approvazione da parte mia del Regolamento per l'esame delle dottrine (5), era però necessario definire più dettagliatamente sia "i delitti più gravi commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti", per i quali la competenza rimane esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede, sia anche le norme processuali speciali "per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche".
Con questa mia lettera apostolica data in forma di motu proprio ho completato tale lavoro e perciò con essa promulgo le Norme circa i delitti più gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, distinte in due parti: la prima contiene le Norme sostanziali, e la seconda le Norme processuali. Ordino a tutti gli interessati di osservarle fedelmente e con cura. Tali norme assumono valore di legge nel giorno stesso in cui sono promulgate.
Nonostante qualsiasi disposizione contraria, anche degna di speciale menzione.

Roma, presso San Pietro, 30 aprile, memoria di san Pio V Papa, nell'anno 2001, XXIII del mio pontificato.

GIOVANNI PAOLO PP. II

Note

1) Benedictus XIV, Constitutio Sacramentum poenitentiae, 1 iunii 1741, in Codex Iuris Canonici, Pii X Pontificis Maximi iussu digestus, Benedicti Papae XV auctoritate promulgatus, Documenta, Documentum v, "Acta Apostolicae Sedis" (AAS) 9 (1917) Pars II, 505-508.

2) Cfr. Codex Iuris Canonici anno 1917 promulgatus, cann. 817, 2316, 2320, 2322, 2368 1. 2369 1.

3) Cfr. Paulus pp. VI, Constitutio apostolica Regimini Ecclesiae universae de Romana Curia, 15 augusti 1967, n. 36: AAS 59 (1967) 898.

4) Ioannes Paulus II, Constitutio apostolica Pastor bonus de Romana Curia, 28 iunii 1988, art. 52: AAS 80 (1988) 874.

5) Congregatio pro Doctrina Fidei. Agendi ratio in doctrinarum examine, 29 iunii 1997: AAS 89 (1997) 830-835.

(©L'Osservatore Romano - 27 marzo 2010)

mercoledì 24 marzo 2010

Sant’Alberto mostra che tra fede e scienza non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia


CICLO DI CATECHESI SUI GRANDI SCRITTORI DELLA CHIESA DI ORIENTE ED OCCIDENTE NEL MEDIOEVO

CICLO DI CATECHESI SULLA TEOLOGIA MONASTICA E LA TEOLOGIA SCOLASTICA

UDIENZA GENERALE: IL VIDEO SU BENEDICT XVI.TV

CATECHESI DEL SANTO PADRE: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

L’UDIENZA GENERALE, 24.03.2010

L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 in Piazza San Pietro dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e di fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla cultura cristiana nel Medioevo, si è soffermato sulla figura di Sant’Alberto Magno.
Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti.
L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica impartita insieme ai Vescovi presenti.

CATECHESI DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA

Sant’Alberto Magno

Cari fratelli e sorelle,

uno dei più grandi maestri della teologia medioevale è sant’Alberto Magno.
Il titolo di "grande" (magnus), con il quale egli è passato alla storia, indica la vastità e la profondità della sua dottrina, che egli associò alla santità della vita. Ma già i suoi contemporanei non esitavano ad attribuirgli titoli eccellenti; un suo discepolo, Ulrico di Strasburgo, lo definì "stupore e miracolo della nostra epoca".
Nacque in Germania all’inizio del XIII secolo, e ancora molto giovane si recò in Italia, a Padova, sede di una delle più famose università del Medioevo. Si dedicò allo studio delle cosiddette "arti liberali": grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, geometria, astronomia e musica, cioè della cultura generale, manifestando quel tipico interesse per le scienze naturali, che sarebbe diventato ben presto il campo prediletto della sua specializzazione. Durante il soggiorno a Padova, frequentò la chiesa dei Domenicani, ai quali poi si unì con la professione dei voti religiosi. Le fonti agiografiche lasciano capire che Alberto maturò gradualmente questa decisione. Il rapporto intenso con Dio, l’esempio di santità dei Frati domenicani, l’ascolto dei sermoni del Beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico nella guida dell’Ordine dei Predicatori, furono i fattori decisivi che lo aiutarono a superare ogni dubbio, vincendo anche resistenze familiari. Spesso, negli anni della giovinezza, Dio ci parla e ci indica il progetto della nostra vita. Come per Alberto, anche per tutti noi la preghiera personale nutrita dalla Parola del Signore, la frequenza ai Sacramenti e la guida spirituale di uomini illuminati sono i mezzi per scoprire e seguire la voce di Dio. Ricevette l’abito religioso dal beato Giordano di Sassonia.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, i Superiori lo destinarono all’insegnamento in vari centri di studi teologici annessi ai conventi dei Padri domenicani. Le brillanti qualità intellettuali gli permisero di perfezionare lo studio della teologia nell’università più celebre dell’epoca, quella di Parigi. Fin da allora sant’Alberto intraprese quella straordinaria attività di scrittore, che avrebbe poi proseguito per tutta la vita.

Gli furono assegnati compiti prestigiosi. Nel 1248 fu incaricato di aprire uno studio teologico a Colonia, uno dei capoluoghi più importanti della Germania, dove egli visse a più riprese, e che divenne la sua città di adozione.

Da Parigi portò con sé a Colonia un allievo eccezionale, Tommaso d’Aquino. Basterebbe solo il merito di essere stato maestro di san Tommaso, per nutrire profonda ammirazione verso sant’Alberto. Tra questi due grandi teologi si instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, attitudini umane che aiutano molto lo sviluppo della scienza.

Nel 1254 Alberto fu eletto Provinciale della "Provincia Teutoniae" – teutonica - dei Padri domenicani, che comprendeva comunità diffuse in un vasto territorio del Centro e del Nord-Europa. Egli si distinse per lo zelo con cui esercitò tale ministero, visitando le comunità e richiamando costantemente i confratelli alla fedeltà, agli insegnamenti e agli esempi di san Domenico.

Le sue doti non sfuggirono al Papa di quell’epoca, Alessandro IV, che volle Alberto per un certo tempo accanto a sé ad Anagni - dove i Papi si recavano di frequente - a Roma stessa e a Viterbo, per avvalersi della sua consulenza teologica. Lo stesso Sommo Pontefice lo nominò Vescovo di Ratisbona, una grande e famosa diocesi, che si trovava, però, in un momento difficile. Dal 1260 al 1262 Alberto svolse questo ministero con infaticabile dedizione, riuscendo a portare pace e concordia nella città, a riorganizzare parrocchie e conventi, e a dare nuovo impulso alle attività caritative.

Negli anni 1263-1264 Alberto predicava in Germania ed in Boemia, incaricato dal Papa Urbano IV, per ritornare poi a Colonia e riprendere la sua missione di docente, di studioso e di scrittore. Essendo un uomo di preghiera, di scienza e di carità, godeva di grande autorevolezza nei suoi interventi, in varie vicende della Chiesa e della società del tempo: fu soprattutto uomo di riconciliazione e di pace a Colonia, dove l’Arcivescovo era entrato in duro contrasto con le istituzioni cittadine; si prodigò durante lo svolgimento del II Concilio di Lione, nel 1274, convocato dal Papa Gregorio X per favorire l’unione tra la Chiesa latina e quella greca, dopo la separazione del grande scisma d’Oriente del 1054; egli chiarì il pensiero di Tommaso d’Aquino, che era stato oggetto di obiezioni e persino di condanne del tutto ingiustificate.

Morì nella cella del suo convento della Santa Croce a Colonia nel 1280, e ben presto fu venerato dai confratelli. La Chiesa lo propose al culto dei fedeli con la beatificazione, nel 1622, e con la canonizzazione, nel 1931, quando il Papa Pio XI lo proclamò Dottore della Chiesa.

Si trattava di un riconoscimento indubbiamente appropriato a questo grande uomo di Dio e insigne studioso non solo delle verità della fede, ma di moltissimi altri settori del sapere; infatti, dando uno sguardo ai titoli delle numerosissime opere, ci si rende conto che la sua cultura ha qualcosa di prodigioso, e che i suoi interessi enciclopedici lo portarono a occuparsi non solamente di filosofia e di teologia, come altri contemporanei, ma anche di ogni altra disciplina allora conosciuta, dalla fisica alla chimica, dall’astronomia alla mineralogia, dalla botanica alla zoologia. Per questo motivo il Papa Pio XII lo nominò patrono dei cultori delle scienze naturali ed è chiamato anche "Doctor universalis" proprio per la vastità dei suoi interessi e del suo sapere.

Certamente, i metodi scientifici adoperati da sant’Alberto Magno non sono quelli che si sarebbero affermati nei secoli successivi. Il suo metodo consisteva semplicemente nell’osservazione, nella descrizione e nella classificazione dei fenomeni studiati, ma così ha aperto la porta per i lavori futuri.

Egli ha ancora molto da insegnare a noi.

Soprattutto, sant’Alberto mostra che tra fede e scienza non vi è opposizione, nonostante alcuni episodi di incomprensione che si sono registrati nella storia. Un uomo di fede e di preghiera, quale fu sant’Alberto Magno, può coltivare serenamente lo studio delle scienze naturali e progredire nella conoscenza del micro e del macrocosmo, scoprendo le leggi proprie della materia, poiché tutto questo concorre ad alimentare la sete e l’amore di Dio.

La Bibbia ci parla della creazione come del primo linguaggio attraverso il quale Dio – che è somma intelligenza, che è Logos – ci rivela qualcosa di sé. Il libro della Sapienza, per esempio, afferma che i fenomeni della natura, dotati di grandezza e bellezza, sono come le opere di un artista, attraverso le quali, per analogia, noi possiamo conoscere l’Autore del creato (cfr Sap. 13,5). Con una similitudine classica nel Medioevo e nel Rinascimento si può paragonare il mondo naturale a un libro scritto da Dio, che noi leggiamo in base ai diversi approcci delle scienze (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 31 Ottobre 2008). Quanti scienziati, infatti, sulla scia di sant’Alberto Magno, hanno portato avanti le loro ricerche ispirati da stupore e gratitudine di fronte al mondo che, ai loro occhi di studiosi e di credenti, appariva e appare come l’opera buona di un Creatore sapiente e amorevole! Lo studio scientifico si trasforma allora in un inno di lode. Lo aveva ben compreso un grande astrofisico dei nostri tempi, di cui è stata introdotta la causa di beatificazione, Enrico Medi, il quale scrisse: "Oh, voi misteriose galassie ..., io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Da voi io prendo la luce e ne faccio scienza, prendo il moto e ne fo sapienza, prendo lo sfavillio dei colori e ne fo poesia; io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare" (Le opere. Inno alla creazione).

Sant’Alberto Magno ci ricorda che tra scienza e fede c’è amicizia, e che gli uomini di scienza possono percorrere, attraverso la loro vocazione allo studio della natura, un autentico e affascinante percorso di santità.

La sua straordinaria apertura di mente si rivela anche in un’operazione culturale che egli intraprese con successo, cioè nell’accoglienza e nella valorizzazione del pensiero di Aristotele. Ai tempi di sant’Alberto, infatti, si stava diffondendo la conoscenza di numerose opere di questo grande filosofo greco vissuto nel quarto secolo prima di Cristo, soprattutto nell’ambito dell’etica e della metafisica. Esse dimostravano la forza della ragione, spiegavano con lucidità e chiarezza il senso e la struttura della realtà, la sua intelligibilità, il valore e il fine delle azioni umane. Sant’Alberto Magno ha aperto la porta per la recezione completa della filosofia di Aristotele nella filosofia e teologia medioevale, una recezione elaborata poi in modo definitivo da S. Tommaso.

Questa recezione di una filosofia, diciamo, pagana pre-cristiana fu un’autentica rivoluzione culturale per quel tempo. Eppure, molti pensatori cristiani temevano la filosofia di Aristotele, la filosofia non cristiana, soprattutto perché essa, presentata dai suoi commentatori arabi, era stata interpretata in modo da apparire, almeno in alcuni punti, come del tutto inconciliabile con la fede cristiana. Si poneva cioè un dilemma: fede e ragione sono in contrasto tra loro o no?

Sta qui uno dei grandi meriti di sant’Alberto: con rigore scientifico studiò le opere di Aristotele, convinto che tutto ciò che è realmente razionale è compatibile con la fede rivelata nelle Sacre Scritture. In altre parole, sant’Alberto Magno, ha così contribuito alla formazione di una filosofia autonoma, distinta dalla teologia e unita con essa solo dall’unità della verità. Così è nata nel XIII secolo una chiara distinzione tra questi due saperi, filosofia e teologia, che, in dialogo tra di loro, cooperano armoniosamente alla scoperta dell’autentica vocazione dell’uomo, assetato di verità e di beatitudine: ed è soprattutto la teologia, definita da sant’Alberto "scienza affettiva", quella che indica all’uomo la sua chiamata alla gioia eterna, una gioia che sgorga dalla piena adesione alla verità.

Sant’Alberto Magno fu capace di comunicare questi concetti in modo semplice e comprensibile. Autentico figlio di san Domenico, predicava volentieri al popolo di Dio, che rimaneva conquistato dalla sua parola e dall’esempio della sua vita.

Cari fratelli e sorelle, preghiamo il Signore perché non vengano mai a mancare nella santa Chiesa teologi dotti, pii e sapienti come sant’Alberto Magno e aiuti ciascuno di noi a fare propria la "formula della santità" che egli seguì nella sua vita: "Volere tutto ciò che io voglio per la gloria di Dio, come Dio vuole per la sua gloria tutto ciò che Egli vuole", conformarsi cioè sempre alla volontà di Dio per volere e fare tutto solo e sempre per la Sua gloria.

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Il Papa: Esorto i giovani affinché cerchino con tutto il cuore di scoprire la loro vocazione all'amore, come persone e come battezzati


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE AI PARTECIPANTI AL X FORUM INTERNAZIONALE DEI GIOVANI, 24.03.2010

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI ha inviato al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, Em.mo Card. Stanisław Ryłko, e ai partecipanti al X Forum Internazionale dei Giovani, in corso a Rocca di Papa sul tema: "Imparare ad amare":

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Al Venerato Fratello
Cardinale Stanisław Ryłko
Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici


Sono lieto di inviare il mio cordiale saluto a Lei, ai collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici e a quanti prendono parte al X Forum Internazionale dei Giovani, che si tiene in questa settimana a Rocca di Papa sul tema «Imparare ad amare». Con particolare affetto mi rivolgo ai giovani delegati delle Conferenze Episcopali e di vari Movimenti, Associazioni e Comunità internazionali, provenienti dai cinque continenti. Estendo il mio pensiero agli autorevoli relatori, che apportano all'incontro il contributo della loro competenza e della loro esperienza.

«Imparare ad amare»: questo tema è centrale nella fede e nella vita cristiana e mi rallegro che abbiate occasione di approfondirlo insieme. Come sapete, il punto di partenza di ogni riflessione sull'amore è il mistero stesso di Dio, poiché il cuore della rivelazione cristiana è questo: Deus caritas est. Cristo, nella sua Passione, nel Suo dono totale, ci ha rivelato il volto di Dio che è Amore.

La contemplazione del mistero della Trinità ci fa entrare in questo mistero di Amore eterno, che è fondamentale per noi. Le prime pagine della Bibbia affermano, infatti, che: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Per il fatto stesso che Dio è amore e l'uomo è sua immagine, comprendiamo l'identità profonda della persona, la sua vocazione all'amore. L'uomo è fatto per amare; la sua vita è pienamente realizzata solo se è vissuta nell'amore. Dopo aver cercato a lungo, santa Teresa di Gesù Bambino comprese così il senso della sua esistenza: «La mia vocazione è l'Amore!» (Manoscritto B, foglio 3).

Esorto i giovani presenti a questo Forum, affinché cerchino con tutto il cuore di scoprire la loro vocazione all'amore, come persone e come battezzati. È questa la chiave di tutta l'esistenza. Possano pertanto investire tutte le loro energie per avvicinarsi a tale meta giorno dopo giorno, sostenuti dalla Parola di Dio e dai Sacramenti della Riconciliazione e dell'Eucaristia.

La vocazione all'amore prende forme differenti a seconda degli stati di vita. In quest’Anno Sacerdotale, mi piace ricordare le parole del Santo Curato d'Ars: «Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù». Nella sequela di Gesù, i sacerdoti danno la vita, affinché i fedeli possano vivere dell'amore di Cristo. Chiamate da Dio a donarsi interamente a Lui, con cuore indiviso, le persone consacrate nel celibato sono anche un segno eloquente dell'amore di Dio per il mondo e della vocazione ad amare Dio sopra ogni cosa.

Vorrei inoltre esortare i giovani delegati a scoprire la grandezza e la bellezza del Matrimonio: la relazione tra l'uomo e la donna riflette l'amore divino in maniera del tutto speciale; perciò il vincolo coniugale assume una dignità immensa. Mediante il Sacramento del Matrimonio, gli sposi sono uniti da Dio e con la loro relazione manifestano l'amore di Cristo, che ha dato la sua vita per la salvezza del mondo. In un contesto culturale in cui molte persone considerano il Matrimonio come un contratto a tempo che si può infrangere, è di vitale importanza comprendere che il vero amore è fedele, dono di sé definitivo. Poiché Cristo consacra l'amore degli sposi cristiani e si impegna con loro, questa fedeltà non solo è possibile, ma è la via per entrare in una carità sempre più grande. Così, nella vita quotidiana di coppia e di famiglia, gli sposi imparano ad amare come Cristo ama. Per corrispondere a questa vocazione è necessario un serio percorso educativo e anche questo Forum si pone in tale prospettiva.

Questi giorni di formazione mediante l'incontro, l'ascolto delle conferenze e la preghiera comune, devono essere anche uno stimolo per tutti i giovani delegati a farsi testimoni presso i loro coetanei di ciò che hanno visto e ascoltato. Si tratta di una vera e propria responsabilità, per la quale la Chiesa conta su di loro. Essi hanno un ruolo importante da svolgere nell'evangelizzazione dei giovani dei loro Paesi, affinché rispondano con gioia e fedeltà al comandamento di Cristo: «che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12).

Invitando i giovani a perseverare sulla via della carità nella sequela di Cristo, do loro appuntamento per domenica prossima, in Piazza san Pietro, dove si svolgerà la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della XXV Giornata Mondiale della Gioventù.

Quest'anno il tema di riflessione è: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc 10,17). A questa domanda, posta da un giovane ricco, Gesù risponde con uno sguardo d'amore e un invito al dono totale di sé, per amore di Dio. Possa questo incontro contribuire alla risposta generosa di ogni delegato alla chiamata e ai doni del Signore!

A tal fine assicuro la mia preghiera per tutta la gioventù e di cuore invio a Lei, Venerato Fratello, e a quanti partecipano al Forum internazionale una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 20 Marzo 2010

BENEDICTUS PP. XVI

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domenica 21 marzo 2010

Il Papa: Impariamo ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone


Tiziano, Cristo e l'adultera (1512/1515, Kunsthistorisches Museum, Vienna)

QUARESIMA SETTIMANA SANTA E PASQUA: LO SPECIALE DEL BLOG

ANGELUS: AUDIO INTEGRALE DI RADIO VATICANA

Angelus del 21 marzo 2010: traduzione nelle diverse lingue (da Zenit)



Vedi anche:

Intransigenti con il peccato e indulgenti con le persone per una giustizia più grande: il richiamo del Papa all’Angelus (Radio Vaticana)

Il Papa: impariamo ad essere intransigenti con il peccato e indulgenti con le persone (AsiaNews)

Il saluto del Papa in inglese: "Invochiamo umilmente il perdono di Dio per le nostre mancanze e chiediamo la forza per crescere nella santità"

Il Papa all'Angelus: "Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo" (Izzo)

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS, 21.03.2010

Alle ore 12 di oggi, V domenica di Quaresima, il Santo Padre Benedetto XVI si affaccia alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l’Angelus con i fedeli ed i pellegrini convenuti in Piazza San Pietro.
Queste le parole del Papa nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Siamo giunti alla Quinta Domenica di Quaresima, nella quale la liturgia ci propone, quest’anno, l’episodio evangelico di Gesù che salva una donna adultera dalla condanna a morte (Gv 8,1-11).
Mentre sta insegnando nel Tempio, gli scribi e i farisei conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, per la quale la legge mosaica prevedeva la lapidazione. Quegli uomini chiedono a Gesù di giudicare la peccatrice con lo scopo di"metterlo alla prova" e di spingerlo a fare un passo falso. La scena è carica di drammaticità: dalle parole di Gesù dipende la vita di quella persona, ma anche la sua stessa vita. Gli accusatori ipocriti, infatti, fingono di affidargli il giudizio, mentre in realtà è proprio Lui che vogliono accusare e giudicare. Gesù, invece, è "pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14): Egli sa che cosa c’è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore, e smascherare l’ipocrisia.
L’evangelista san Giovanni dà risalto ad un particolare: mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza, Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra. Osserva sant’Agostino che quel gesto mostra Cristo come il legislatore divino: infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra (cfr Comm. al Vang. di Giov., 33, 5).

Gesù dunque è il Legislatore, è la Giustizia in persona. E qual è la sua sentenza? "Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei".

Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto (cfr Rm 13,8-10). E’ la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo (cfr Fil 3,8-14).

Quando gli accusatori "se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani", Gesù, assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
È la stessa grazia che farà dire all’Apostolo: "So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù" (Fil 3,14).

Dio desidera per noi soltanto il bene e la vita; Egli provvede alla salute della nostra anima per mezzo dei suoi ministri, liberandoci dal male col Sacramento della Riconciliazione, affinché nessuno vada perduto, ma tutti abbiano modo di convertirsi.
In questo Anno Sacerdotale, desidero esortare i Pastori ad imitare il santo Curato d’Ars nel ministero del Perdono sacramentale, affinché i fedeli ne riscoprano il significato e la bellezza, e siano risanati dall’amore misericordioso di Dio, il quale "si spinge fino a dimenticare volontariamente il peccato, pur di perdonarci" (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).

Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo. Impariamo ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone.

Ci aiuti in questo la santa Madre di Dio che, esente da ogni colpa, è mediatrice di grazia per ogni peccatore pentito.

DOPO L’ANGELUS

Domenica prossima, Domenica delle Palme, ricorre il 25° anniversario dell’inizio delle Giornate Mondiali della Gioventù, volute dal Venerabile e amato Giovanni Paolo II. Per questo, giovedì prossimo, a partire dalle ore 19, aspetto numerosi qui in Piazza San Pietro i giovani di Roma e del Lazio, per uno speciale incontro di festa.

Chers frères et sœurs de langue française, soyez les bienvenus ! Je voudrais saluer particulièrement ce matin les religieux et les religieuses ainsi que toutes les personnes consacrées. L’Église a besoin de vous pour montrer aux hommes et aux femmes de notre temps le chemin du vrai bonheur. Gardez vivante en vous et dans vos communautés l’ardeur évangélique qui a animé vos fondateurs et vos fondatrices. Que votre dynamisme missionnaire suscite autour de vous la joie de la foi et fasse germer des vocations chez les jeunes ! Que l’aide de la Vierge Marie vous soutienne dans votre vie quotidienne ! Avec ma Bénédiction Apostolique, je vous souhaite à tous un bon dimanche !

I greet all the English-speaking pilgrims and visitors present at today’s Angelus. May your stay in Rome help to deepen your love for Jesus Christ, who gave his life for love of us. In today’s Gospel we hear of his compassion for the woman who was caught committing adultery. While acknowledging her sin, he does not condemn her, but urges her to sin no more. Trusting in his great mercy towards us, we humbly beg his forgiveness for our own failings, and we ask for the strength to grow in holiness. Upon all of you, and upon your loved ones, I invoke God’s abundant blessings.

Ganz herzlich heiße ich alle Pilger und Besucher deutscher Sprache willkommen und grüße heute besonders die Wallfahrer aus Mannheim. Gerade in der Fastenzeit führt uns Gottes Wort auf einen Weg der Umkehr und Erneuerung. Im Evangelium dieses Sonntags mahnt Jesus die Pharisäer – und auch uns –, nicht vorschnell andere Menschen zu verurteilen. Prüfen wir uns, ob wir den moralischen Maßstäben, die wir an andere anlegen, auch selbst gerecht werden. Wir können uns nicht selber heilig machen; wir bedürfen zuerst der Reinigung und der barmherzigen Liebe des Herrn, um Christus, den Heiligen, zu empfangen. Gott schenke euch die Gnade einer guten Vorbereitung auf das Osterfest.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española, en particular al grupo de jóvenes del Instituto de Enseñanza Sofía Casanova, de Ferrol. Ante la proximidad de la semana santa, os animo a todos a intensificar vuestro camino de preparación para la pascua, mediante la oración, la limosna y el ayuno. Que la contemplación piadosa y frecuente de los misterios de la pasión del Señor suscite en todos una nueva y más profunda conversión, que nos haga vivir ya para siempre de aquel mismo amor que llevó a Cristo a entregarse en la cruz por nuestra salvación. Feliz domingo.

Serdeczne pozdrowienie kieruję do Polaków. Dziś w Ewangelii słyszymy słowa Jezusa: „I ja ciebie nie potępiam. – Idź, a od tej chwili już nie grzesz" (J 8, 11). Tak przemawia Boże miłosierdzie: nie potępia, ale wzywa, byśmy na nowo podejmowali drogę nawrócenia. Wdzięczni Bogu za Jego dobroć, wytrwale postępujmy na tej drodze. Z serca wam błogosławię.

[Un cordiale saluto rivolgo ai polacchi. Oggi nel Vangelo sentiamo le parole di Gesù: "Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più" (Gv 8, 11). Così si esprime la misericordia di Dio: non condanna, ma chiama a riprendere di nuovo il cammino di conversione. Grati a Dio per la sua bontà, procediamo con perseveranza su questa strada. Vi benedico di cuore.]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i bambini e i ragazzi della "Piccola Opera di Traona", accompagnati dalle Suore e da quanti li assistono; come pure la Cooperativa Sociale "Beautiful Days", di Vittoria. Saluto inoltre i cresimandi di Zané, di Scandicci e del Vicariato Mugello Est, i ragazzi della comunità pastorale di Fagnano Olona, i fedeli di Osimo, Sant’Angelo a Cupolo e Bagheria, il gruppo di immigrati della Diocesi di Vigevano e l’Unione Nazionale Associazioni Sportive Centenarie d’Italia. A tutti auguro una buona domenica.

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